Archivio | dicembre 1, 2012

Usa, primo matrimonio gay nella cappella di West Point

Usa, primo matrimonio gay nella cappella di West Point Il matrimonio gay nella cappella di West Point (ap)

Usa, primo matrimonio gay nella cappella di West Point

Il “sì” pronunciato da Penelope Gnesin e Brenda Sue Fulton, veterana e attivista per i diritti dei militari gay, nella chiesa protestante all’interno della prestigiosa accademia militare dello stato di New York

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NEW YORK Penelope Gnesin, 52 anni e Brenda Sue Fulton, 53 anni, veterana e attivista per i diritti dei militari gay hanno detto ‘si’ nella cappella protestante di West Point.

E’ la prima volta in assoluto che un matrimonio tra due persone dello stesso sesso viene pronunciato nella cappella della prestigiosa accademia militare dello stato di New York.

La cerimonia è stata celebrata da un cappellano militare e la coppia è andata all’altare dopo una relazione durata 17 anni. Sia Penelope che Brenda vivono in New Jersey e avrebbero preferito, come hanno rivelato alla stampa, sposarsi lì ma il ‘Garden State’ ancora non ha legalizzato le unioni gay. “Non potevamo aspettare oltre – ha detto la Fulton – anche perchè Penelope è una sopravvissuta al cancro e soffre di sclerosi multipla” e ha aggiunto che questo per lei è un bellissimo momento, è una storia incredibile.

Gli invitati hanno cominciato a twittare commenti e foto della coppia mentre la cerimonia era ancora in corso. Il quotidiano Usa Today ha pubblicato una foto della cerimonia in cui si vede in lontananza la coppia mentre si scambia i voti. Brenda è in piedi vestita con giacca e pantaloni neri mentre Penelope le sta di fronte seduta vestita di bianco, anche lei in giacca e pantaloni.

Il matrimonio è stato celebrato a meno di un anno da quando il presidente Obama ha abolito il ‘Don’t ask, don’t tell’, il provvedimento che impediva di arruolarsi a coloro che si dichiaravano apertamente gay. In realtà quello tra la Fulton e la sua compagna non è il primo matrimonio gay che si celebra a West Point, le prime nozze tra due persone dello stesso sesso sono state celebrate la settimana scorsa ma si è trattato di una cerimonia privata che si è tenuta in una sede più piccola del campus non nella cappella dei cadetti, come invece è avvenuto oggi.

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fonte repubblica.it

I Sioux comprano la terra sacra di Black Hills


Paha Sapa (Black Hills) fonte immagine
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I Sioux comprano la terra sacra di Black Hills


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Washington- Dopo mesi di raccolta fondi, i discendenti di alcune tribù Sioux hanno messo assieme 9 milioni di dollari con cui comprare un appezzamento sulle Black Hills, una regione del South Dakota, considerata dai nativi americani una terra sacra. L’iniziativa è partita dalla Indian Land Tenure Foundation.

La zona, chiamata in lingua idiana Paha Sapa, era di proprietà di una coppia di privati, Leonard e Margaret Reynolds, ma da anni era stata messa a disposizione della “Great Sioux Nation”, l’organizzazione della famosa tribù, per tenere i loro rituali annuali. All’inizio dell’anno, la coppia aveva messo in vendita questa terra. Ma la loro asta pubblica era stata cancellata, dopo la sollevazione delle tribù indiane, che quindi si sono rimboccate le maniche e hanno fatto di tutto per riprendersi questa zona. Si tratta di un territorio che ha un valore storico tutto particolare per i nativi americani, tanto che il leader dei Sioux, Cyril Scott parla di oggi come «un grande giorno per la Nazione Indiana».

In questa zona sono state girate molte scene del film di Kevin Kostner, vincitore di 7 premi Oscar, “Dances with Wolves”, (“Balla coi lupi”, 1990). E non lontano da qui, a Little Big Horn, i soldati del settimo cavaleggeri del Tenente Colonnello Custer vennero trucidati dai guerrieri indiani.

Tutta l’area era abitata dai nativi. I Lakota, una delle tribù che fanno parte dell’arcipelago dei Sioux, si stabilirono qui sin dal 1500 dopo Cristo. Nel 1868, al termine delle famose guerre tra le tribù indigene e i soldati americani, venne stabilito un trattato di pace, secondo cui quella terra sarebbe stata affidata agli indiani. Pochi anni dopo, il Congresso violò quel trattato di pace, con una legge con cui si concedeva quella terra ai cercatori d’oro, accorsi in massa dopo la scoperta di molte pepite in quella parte del South Dakota.

Da quel tempo è cominciata una lunghissima vertenza legale e politica, culminata nel 1980 con una storica sentenza della Corte Suprema che stabilì una volta per tutte che quella terra era stata occupata illegalmente dall’uomo bianco. E a mò di risarcimento danni, i giudici stabilirono che lo Stato dovesse pagare la cifra di 100 milioni di dollari in favore dei Sioux. Ma le tribù di Black Hills decisero di rifiutare quel denaro, dicendo che quella terra non poteva essere oggetto di una compravendita. Una polemica accesa , sino alla decisione di oggi. Qualcuno all’interno delle tribù ha storto il naso, sostenendo che nessuno deve `comprare´ qualcosa che è già di sua proprietà. Tuttavia, l’accordo di oggi sembra aver soddisfatto tanti eredi di Toro Seduto, Nuvola Rossa e Cavallo Pazzo.

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fonte ilsecoloxix.it

PRIMARIE & SPERANZA – S’io fossi essi

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S’io fossi essi

su Sentimental Pop
Meri Pop (Tiziana Ragni)
Data: 2012-12-01

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Se io fossi Pier Luigi Bersani o Matteo Renzi stasera avrei paura. Una dannata, fottutissima paura. Non di perdere: di vincere. Perché saprei che sto maneggiando una cosa delicata. Che si chiama speranza. Saprei che su di me centinaia di migliaia di persone vanno a investire non due euro ma un’attesa. E la speranza è merce delicata. E’ roba le cui oscillazioni possono mettere in ginocchio un Paese più di quelle dello spread. E la cui scarsità può condannarlo più severamente di Moody’s. La speranza è tipo un’energia non rinnovabile: tende ad esaurire ed esaurirsi. E come quelle energie deriva da risorse che ci hanno messo ere e Repubbliche a formarsi. Va maneggiata con cura. E rispetto.

Saprei che oggi sull’autobus numero 46, che collega il centro di Roma a una zona periferica di nome Primavalle, c’era una giovane donna appoggiata a un’altra che piangeva dicendo -Lui ha perso pure l’ultimo lavoro, che facciamo? Saprei che il lavoro che aspetta me è impensabile per un uomo solo, nel senso da solo e nel senso soltanto. Saprei che sono arrivato fin qui, fino a stasera, portato dal lavoro, dallo sforzo, dalla fatica, dalla fiducia, dalle ore piccole e persino dalle litigate di tanti.

Saprei che, si, stasera avrei paura. Ma saprei anche, stasera, che non c’è altro: che questa è l’unica possibilità. Non per me: per tutti. Saprei che, al netto dei limiti e dei difetti e del Tafazzi ch’entro ci rugge, fuori di qui, di questa cosa che si chiama centrosinistra e che ci fa dannare e disperare e però pure ancora sperare, non c’è altro.

Ma per fortuna sono io. E domani vado a consegnare sta speranza. E vorrei consegnare pure una certezza. La certezza che, ognuno per la propria parte, si sia tutti all’altezza del compito e degli occhi che abbiamo addosso. Perché se così non fosse, s’io fossi io, come sono, vi rincorrerei.

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fonte sentimental-pop.com.unita.it

Aids, 34 milioni di contagiati, il 10% sono under 15. Il vaccino ancora una chimera / VIDEODENUNCIA: Vittorio Agnoletto – AIDS: lo scandalo del vaccino italiano

Vittorio Agnoletto – AIDS: lo scandalo del vaccino italiano

Pubblicato in data 28/nov/2012 da

La storia della cosiddetta “scoperta” italiana del secolo: il vaccino contro l’Aids. Una vicenda dai contorni inquietanti, che, dopo quindici anni di enormi risorse messe in campo e sperimentazioni in Italia e in Sudafrica, non ha prodotto il risultato sperato. L’ennesimo scandalo di Stato?

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Aids, 34 milioni di contagiati, il 10% sono under 15. Il vaccino ancora una chimera

Una malattia che è ormai divenuta cronica, ma non per questo meno insidiosa. Oggi è la Giornata mondiale contro l’Aids. Sul vaccino pareri contrastanti. Il professor Fernando Aiuti: “Impossibile stabilire una data” ma Guido Silvestri, direttore della divisione di Microbiologia e immunologia ad Atlanta è più ottimista: “Credo che ci vorranno 15-20 anni”

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Più di 34 milioni di contagiati nel mondo, di cui la metà donne e 3,3 milioni bambini di età inferiore ai 15 anni. Meno di un quarto, circa 8 milioni, ha accesso ai farmaci salvavita. Superiore a 2 milioni il numero di decessi nel 2010 e di poco inferiore ai 17 miliardi di dollari la cifra investita solo lo scorso anno nelle nazioni più povere, le più colpite. Sono alcuni numeri della guerra dei trent’anni contro l’Aids, messi nero su bianco dal Rapporto 2012 sull’epidemia pubblicato dall’Unaids, il Programma dell’Onu per coordinare l’azione globale contro l’Aids.

Una malattia che è ormai divenuta cronica, ma non per questo meno insidiosa. Secondo le stime della XIX Conferenza internazionale sulla lotta all’Aids, che si è svolta a Washington lo scorso luglio, ogni anno 2,5 milioni di nuovi contagiati, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, si aggiungono alla folla di malati che attende da tempo un vaccino. A lungo ricercato, tra periodici annunci – l’ultimo, di alcune settimane fa, sulle pagine di “Nature”, relativo a un preparato messo a punto dal Ministero della salute thailandese e dall’esercito Usa, che ha mostrato un’efficacia del 31 per cento in test su 16 mila individui – e successive smentite. In occasione della Giornata mondiale contro l’Aids che si celebra ogni anno l’1 dicembre, abbiamo chiesto di fare il punto sulla ricerca e le speranze di una cura a due esperti che studiano da anni l’infezione da Hiv: Fernando Aiuti, professore emerito di Allergologia e Immunologia clinica all’Università La Sapienza di Roma e Guido Silvestri, direttore della divisione di Microbiologia e immunologia allo Yerkes National Primate Research Center, della Emory University di Atlanta.

Qual è lo stato della ricerca sull’Aids? Come sono cambiate le strategie di contrasto in questi anni?

Aiuti – Negli ultimi 15 anni sono stati scoperti nuovi farmaci antivirali che hanno assicurato una qualità di vita migliore rispetto al passato e sono riusciti a garantire la remissione clinica della malattia per molti anni. Oggi la ricerca continua nello sviluppo di nuovi farmaci meno tossici e più efficaci nel contrastare il virus, bloccandone i complessi meccanismi di replicazione o intervenendo nel chiuderne le porte di entrata preferite nelle cellule del sistema immunitario. Un altro filone di ricerca è volto all’eradicazione dell’infezione in persone malate usando vari farmaci antivirali associati a sostanze immunostimolanti, inclusi alcuni prototipi di vaccini cosiddetti terapeutici. In passato le strategie, ad esempio nelle donne, erano dirette a evitare il concepimento o l’allattamento, oggi si è riusciti con i farmaci a ridurre quasi a zero la trasmissione materno-fetale e materno-neonatale dell’infezione. L’informazione, la prevenzione, l’incentivazione dell’uso del profilattico e il counselling con invito al test Hiv hanno contribuito, insieme ai farmaci, a ridurre l’incidenza delle nuove infezioni nel mondo.

Silvestri – È la storia del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Ma siccome io sono un ottimista nato, direi un po’ più pieno che vuoto. Sicuramente sono stati fatti grandi progressi nella terapia e nella comprensione dei meccanismi molecolari e cellulari con cui il virus causa la malattia. Purtroppo, però, non abbiamo ancora né un vaccino veramente efficace, né un metodo per guarire l’infezione.

A cosa è dovuta la riduzione della mortalità dell’epidemia?

Aiuti Alla diagnosi precoce e ai nuovi farmaci antivirali che devono essere assunti in modo continuo. Le strategie della terapia intermittente sono fallite. Oggi il pericolo è rappresentato da alcune complicanze causate dall’uso continuo dei farmaci antivirali (infarti cardiaci, aterosclerosi, patologie ai reni e fegato, lipodistrofia) e dall’insorgenza di alcuni tumori a volte correlati con il grado di immunodeficienza.

Silvestri – Principalmente alla disponibilità di molti farmaci antivirali che bloccano la replicazione dell’Hiv in modo pressoché completo. Di conseguenza l’infezione, che fino al 1995-1996 era quasi sempre mortale, è diventata una malattia cronica con cui si può convivere per molti anni.

Quando potrà essere disponibile un vaccino contro l’Hiv?

Aiuti – Non è possibile al momento stabilire una data. Potrei rispondere che un vaccino contro l’Hiv esiste già, è l’unico che ha superato la fase III ed ha mostrato una protezione in volontari sani del 31 per cento. Si tratta del vaccino testato in circa 16000 persone in Thailandia, RV144 – ALVAC (associa il vettore ALVAC alla proteina del virus Hiv-l gp120). La maggior parte dei ricercatori ritiene, tuttavia, che questo livello di protezione sia insufficiente per utilizzare questo prodotto su larga scala. Anzi, secondo me, potrebbe essere persino dannoso perché le persone vaccinate potrebbero sentirsi falsamente rassicurate dall’immunizzazione. Un vaccino deve fornire una protezione superiore all’80 per cento per poter essere utilizzato su larga scala. La ricerca va avanti e i vaccini più interessanti ora pervenuti alle fasi II e III (finalizzate a valutarne l’efficacia terapeutica nell’uomo) sembrano quelli a base di plasmidi (piccole molecole di dna circolare) contenenti Dna virale o la combinazione di almeno tre subunità del virus Hiv (Gag, Env, Nef). Il problema è che in questa infezione non si conoscono i correlati della protezione, cioè quali siano i fattori immunologici in grado d’impedire l’infezione.

Silvestri – Io non sono particolarmente fiducioso, credo che ci vorranno almeno altri 15-20 anni. Ma certamente spero di sbagliarmi.

Cosa pensa dei periodici annunci di una cura? Crede possano far abbassare la guardia in termini di prevenzione?

Aiuti – Negli ultimi anni non mi sembra che ci siano stati annunci di possibilità di guarigione dalla malattia, ma solo di sua cronicizzazione. Credo che i giovani a causa della mancanza di campagne d’informazione non sappiano più nulla di questa patologia e non si proteggano a sufficienza. L’epidemia è stabile ma ogni anno in Italia ci sono 4000 nuove infezioni e solo a Roma circa 700. Una delle poche campagne nelle scuole è quella in corso proprio a Roma, ad opera del Comune e di 12 associazioni. Dai questionari proposti risulta una notevole disinformazione, addirittura solo il 20 per cento dei giovani usa il preservativo regolarmente nei rapporti sessuali, mentre, secondo un sondaggio dell’Anlaids il 22 per cento ritiene addirittura che sia già stato scoperto il vaccino contro l’Aids.

Silvestri – In generale non è mai una buona idea fare annunci “clamorosi” di cure o vaccini per l’Aids, perché questi provocano entusiasmi ingiustificati, seguiti inevitabilmente da grosse delusioni. Purtroppo a volte anche noi scienziati cadiamo nella tentazione dei “15 minuti di celebrità” ed è veramente un peccato che sia così.

Quali sono le aspettative del “vaccino Tat” dell’Istituto superiore di sanità (Iss)?

Aiuti – Il vaccino Tat ha avuto una storia travagliata e lunga, la prima sperimentazione nelle scimmie risale al 1999, la fase I nell’uomo (per testare la tolleranza dell’organismo) è terminata tra molte polemiche nel 2005 a causa di una prematura interruzione della sperimentazione e di variazioni al protocollo criticate dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). Se facciamo riferimento al vaccino preventivo Tat, cioè quello da utilizzare in persone sane, non mi risulta che abbia mai superato la fase I. Per quanto riguarda, invece, il vaccino Tat a uso terapeutico, in persone cioè già infette, la fase II in Italia è iniziata in circa 130 persone nell’agosto del 2008 e dopo quattro anni è stata pubblicata solo un’analisi ad interim a metà dello studio con dati per me incerti e non dimostrativi dell’efficacia terapeutica. In questa sperimentazione, eseguita in malati in terapia antivirale, risulta difficile separare gli effetti positivi del vaccino Tat da quelli indotti dai farmaci, anche perché i controlli non erano in contemporanea e in cieco (quando medico e paziente – doppio cieco – o solo quest’ultimo non conoscono la natura del farmaco testato), ma selezionati dai centri su base storica.

Silvestri – I dati iniziali sulle scimmie che sembravano promettenti non sono stati confermati e quelli sull’uomo mi sembrano finora poco convincenti. Concettualmente mi preoccupa il fatto che Tat sia una proteina in grado di assorbire mutazioni genetiche senza perdere funzioni, una qualità che la rende poco praticabile come target per un vaccino.

A quanto ammontano i costi di questa sperimentazione e quali sono i risultati già raggiunti?

Aiuti – Non conosco esattamente i finanziamenti impiegati per il vaccino Tat, ma in genere per una fase I sono necessari dai 3 ai 5 milioni di euro, per una fase II ne occorrono almeno 30 – 50, e ciò varia in base al numero delle persone arruolate, mentre per una eventuale fase III in volontari sani si stima almeno che ci vorrebbero dai 300 ai 500 milioni di euro, una cifra che solo le industrie farmaceutiche sono in grado d’investire. Quindi, dopo 13 anni dall’inizio della sperimentazione nelle scimmie del vaccino Tat dell’Iss non abbiamo ancora un vaccino preventivo, né un vaccino terapeutico e non mi risulta che le industrie farmaceutiche finora siano interessate alla sua eventuale produzione.

Silvestri – Sui costi non posso pronunciarmi perché non conosco i numeri esatti. Sui risultati ho alcuni dubbi.

È possibile sconfiggere l’Aids con un unico vaccino come per il vaiolo o la polio, oppure occorre un approccio diversificato come per l’influenza?

Aiuti – Purtroppo il modello di queste malattie sopra citate, come quello di morbillo, varicella, tetano o dell’influenza, non è efficace. Infatti, nell’infezione naturale da Hiv, pur formandosi anticorpi, questi non sono in grado di neutralizzare il virus e di eliminarlo dall’organismo, cioè non esiste un’immunità adottiva efficace. Ci sono alcune persone che non s’infettano nonostante l’esposizione, ma questo dipende da una caratteristica di ereditarietà genetica e non ambientale e ci sono altre persone, poche, che se s’infettano sopravvivono al virus, hanno una buona immunità e non si ammalano di Aids. Si stanno studiando queste persone per capire i meccanismi di difesa immune anti-Hiv e per cercare di sfruttarli ai fini di un vaccino. Tra questi sembrano avere importanza gli anticorpi diretti verso le regioni interne più conservate del virus, sulle quali si sta puntando per trovare un vaccino efficace.

Silvestri Credo che la strada più promettente per generare un vaccino contro l’Aids sia quella percorsa da vari gruppi negli Usa, basata sullo sviluppo di prodotti (immunogeni) che stimolano la produzione di anticorpi capaci di neutralizzare il virus. Questi anticorpi esistono in natura (anche se vengono prodotti solo da una minoranza di pazienti) e, se presenti prima dell’infezione, proteggono in maniera molto efficace nel modello delle scimmie. La difficoltà sta nell’educare il sistema immunitario a produrre anticorpi con un vaccino. Questo è un problema biologico molto complesso. Però i recenti progressi nella conoscenza della struttura e funzione di questi anticorpi mi rendono cautamente ottimista.

La via del vaccino è risolutiva o esistono altre strade potenzialmente più efficaci?

Aiuti – Come per tutte le malattie infettive controllate o sconfitte, la strada del vaccino sarebbe quella vincente. Ma, fino a quando non ci sarà un vaccino efficace, è meglio puntare sulla terapia delle persone con infezione (chi prende i farmaci infetta poco le persone dopo i rapporti sessuali) e sulla informazione e prevenzione, cercando di cambiare i comportamenti a rischio e la sudditanza delle donne nei confronti dell’uomo nei rapporti sessuali.

Silvestri – Credo che la prevenzione dell’Hiv debba esplorare non solo il vaccino, ma anche interventi di tipo “microbicida”, e naturalmente continuare a fare prevenzione di tipo comportamentale (educazione, uso del preservativo, siringhe monouso, ecc).

Perché le scimmie infettate da un parente stretto dell’Hiv non si ammalano? È possibile replicare il fenomeno nell’uomo e sfruttarlo a scopo terapeutico?

Aiuti – Questo avviene solo per alcune specie di scimmie, mentre altre si ammalano e la differenza è rappresentata sia dal sistema immunitario più resistente che dalla minore virulenza del virus. Questo è vero anche per l’uomo. Infatti, il ceppo virale Hiv-2, diffuso solo in alcune regioni dell’Africa equatoriale occidentale è molto meno patogeno del virus Hiv-1.

Silvestri – Le scimmie africane infettate con Siv, una famiglia di virus molto simili all’Hiv, non si ammalano per due motivi collegati tra loro. Il primo è che il virus infetta prevalentemente dei sottogruppi delle cellule CD4 (il bersaglio dell’Hiv) che possono essere più facilmente rimpiazzati dal sistema immunitario, per cui l’organismo non ha necessità di aggredire il virus. Il secondo è che le scimmie africane hanno sviluppato dei meccanismi per evitare la cronica attivazione del sistema immunitario, che segue alla infezione da Hiv negli uomini e contribuisce alla progressione verso l’Aids. In pratica, è come se avessero trovato il modo di deviare il virus verso cellule poco importanti del sistema immunitario.

Qual è il segreto della strategia terapeutica adottata su Timothy Brown, considerato unico malato guarito dall’Aids? È riproducibile su altri pazienti ?

Aiuti – In realtà, non è proprio così. La guarigione clinica e l’assenza del virus nel sangue periferico o nel midollo non sono sufficienti a sostenere che la persona sia guarita, perché il virus potrebbe trovarsi in altri tessuti. Nel caso di questo paziente alcuni medici statunitensi hanno rilevato tracce di virus nell’intestino. Timothy Brown è stato trapiantato a Berlino con cellule di donatore con un sistema immunitario particolare, che rende queste cellule scarsamente infettabili dal virus Hiv per una mutazione al recettore del CCR5, una delle porte d’ingresso del virus. Ci sono, inoltre, altri due importanti fattori che rendono eccezionale l’evento e difficile la sua riproposizione: i donatori con queste caratteristiche immunologiche nella popolazione sono meno dell’1 per cento e in più c’è il grave rischio di usare il trapianto di midollo osseo tra persone non consanguinee e non compatibili, con il pericolo di rigetto o morte in oltre 2/3 dei casi.

Silvestri – Ci sono almeno due segreti. Avere fatto una terapia cosiddetta mielo-ablativa, che ha distrutto tutte o quasi le cellule latentemente infettate da Hiv, ed aver ricostruito il midollo con cellule provenienti da un donatore che aveva una rara variante genetica del recettore per Hiv (una molecola chiamata CCR5), che causa resistenza alla infezione. La riproducibilità di questo approccio è purtroppo molto limitata, visti i rischi connessi alla mieloablazione (che nel caso di Timothy Brown è stata fatta per trattare una leucemia) e la scarsità di donatori con questa variante speciale del gene CCR5.

Qual è lo stato della ricerca e della prevenzione in Italia?

Aiuti – Dopo un grande successo iniziale tra gli anni 90 e fino al 2005, quando l’Italia era tra le prime sei nazioni al mondo per pubblicazioni internazionali e per varie attività scientifiche, ora il nostro contributo è molto diminuito. Sia per lo sviluppo della ricerca scientifica in altri paesi come quelli appartenenti ai BRICS o del Sud est asiatico, sia per la diminuzione degli investimenti pubblici su questo settore negli ultimi anni, a causa della crisi.

Silvestri – Direi molto buono per la ricerca clinica, con area di eccellenza nel settore dello studio delle resistenze ai farmaci antivirali e dei meccanismi per cui certi pazienti rispondono meglio (o peggio) di altri alla terapia antiretrovirale. Mi sembra, invece, che la ricerca di base soffra, sia per la cronica mancanza di fondi, che per una serie di difficoltà “logistiche” nel far crescere una nuova generazione di ricercatori italiani che siano competitivi a livello internazionale.

UNAIDS GLOBAL REPORT 2012

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fonte ilfattoquotidiano.it

Grillo lancia le “parlamentarie”: 1400 candidati. “Lasceremo allo Stato i rimborsi elettorali” / VIDEO: Zio Beppe vuole Te

Zio Beppe vuole Te 27 novembre 2012

Pubblicato in data 27/nov/2012 da

Passaparola – Comunicato politico numero cinquantatre – Beppe Grillo
“Signori stiamo per affrontare qualche cosa di straordinario, delle elezioni in Parlamento, un Movimento, elezioni via Web, non è mai stato fatto nulla di così straordinario. Facciamo quello che possiamo, le regole sono molte, poi stanno molto attenti se sbagliamo, bisogna non sbagliare nulla. Quindi queste elezioni ci saranno e potranno votare tutti i nostri iscritti, che ovviamente sono quelli che hanno dato la documentazione, mandato la carta di identità, le solite cose che abbiamo chiesto, anche per garantire un po’ chi entra, sennò ti entra Toto u curtu e poi ce lo hai tutta la vita dentro, Toto u curtu. Chi può essere eletto? Chiunque abbia già fatto una lista, perché più o meno le liste le abbiamo in tutta Italia, quindi per premiare quelli che sono stati con noi per 5 anni, che hanno combattuto sul territorio, che poi non sono stati eletti e si sono candidati. Quindi chiunque sia stato iscritto a una lista comunale o regionale può candidarsi. Ringrazio anche i 60 delegati che si sono offerti di fare questo compito di portare poi le liste in Tribunale, abbiamo bisogno di personale lì sul luogo, nelle circoscrizioni. Non si può candidare uno scelto in una circoscrizione che vive in un posto e si fa eleggere da un’altra parte, come succede nella politica normale, noi siamo qualche cosa di diverso. Quelli che vivono all’estero, gli italiani, è un’altra popolazione che c’è, che ci sta seguendo per la Sicilia, ci ha seguito, potranno iscriversi, mi raccomando di mandare un documento, l’iscrizione non costa niente, basta mandare i dati, ci stiamo organizzando. Tutte queste cose dovremmo metterle a punto anche insieme, io devo essere il capo politico di un movimento, però io voglio solo dirvi che il mio ruolo è quello di garante, di essere a garanzia di controllare, vedere chi entra, dobbiamo avere soglie di attenzione molto alte. Chi entrerà in Parlamento si toglierà questo nomignolo ormai deleterio di onorevole: macchè onorevole! Niente onorevole, sarà Cittadino del MoVimento 5 Stelle, il leader sarà il MoVimento, il leader vero.
Terremo sempre un piede fuori dal Parlamento, quindi con i nostri rimborsi, con i nostri stipendi, che non dovranno superare un certo limite, con tutte le cose fatturate, messe online. Quelli di fuori controlleranno quelli dentro e quelli dentro saranno a disposizione di quelli fuori, cioè i Cittadini fuori potranno esporre una loro legge e proposta che verrà messa dentro attraverso i parlamentari e discussa in Parlamento. Fare entrare nella Costituzione per esempio il fatto del referendum propositivo senza quorum, dell’obbligatorietà del Parlamento di discutere le leggi popolari di inserire dentro la Costituzione la legge elettorale del voto di preferenza, non si possono cambiare le leggi elettorali durante le elezioni. Sarà un cambiamento epocale, duro, sbaglieremo, sbaglierò, mi accuserete di qualsiasi cosa, non lo so. Io credo che dovremmo affrontare insieme una grande cosa che stiamo facendo, ce ne renderemo conto tra qualche anno, quindi dateci una mano piuttosto che martellarci, a me e a Casaleggio, di darci delle martellate in testa, dateci consigli, una mano, abbiamo bisogno tutti uno dell’altro.Grazie.” Beppe Grillo
http://www.beppegrillo.it/2012/10/passaparola_-_comunicato_politico_numero_ci…

Grillo lancia le “parlamentarie”: 1400 candidati.
“Lasceremo allo Stato i rimborsi elettorali”

Il leader del Movimento 5 Stelle detta sul suo blog le regole delle primarie on line, che si svolgeranno dal 3 al 6 dicembre. Voteranno solo gli iscritti. “Con noi la vera anima del Paese. Cittadini, non onorevoli. Nessun leader di cartapesta”. Sui fondi che M5S non prenderà: “Qualche partito si unisce al club”

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La presa della Bastiglia – fonte immagine

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ROMABeppe Grillo detta le regole per le “parlamentarie”, le primarie on line del Movimento 5 Stelle, e annuncia che M5S lascerà allo Stato i rimborsi elettori, “per un valore (con le attuali proiezioni) di circa 100 milioni di euro”.

“1.400 candidati – scrive sul suo blog – parteciperanno la prossima settimana alle elezioni on line del Movimento 5 Stelle. Tutti coloro che hanno accettato la candidatura non hanno precedenti penali, non sono in carica come sindaci o consiglieri, non hanno fatto due mandati. Può votare chi era iscritto al M5S al 30/9/2012 e ha inviato i suoi documenti di identità digitalizzati. Ogni votante ha a sua disposizione tre preferenze da attribuire a candidati della sua circoscrizione elettorale, al cui elenco viene indirizzato al momento del voto. Il voto non costerà nulla. Il M5S è un movimento no profit”.

Per quanto riguarda le informazioni sui candidati saranno consultabili in rete: “Ogni candidato dispone di una pagina elettorale con le informazioni anagrafiche, il curriculum e una sua presentazione che può essere consultata prima delle votazioni che si terranno da lunedì 3/12/12 a giovedì 6/12/12 dalle 10.00 alle 17.00 di ogni giorno”.

“Non sono primarie – prosegue Grillo – con leader (che brutta parola…) di cartapesta, ma ‘parlamentarie’ con cui si comporranno le liste elettorali di tutta Italia senza l’intermediazione dei partiti. Non ci saranno ‘nominati’ in Parlamento, ma cittadini che possono entrare come portavoce nella macchina dello Stato per renderla trasparente e democratica. Il percorso per arrivare al voto on line è stato complesso, può essere che ci siano stati degli errori, che qualcuno per i motivi più diversi non sia riuscito a candidarsi o che si sia candidato senza averne i requisiti, in questo ultimo caso vi prego di segnalarlo”.

“Quando, circa un mese fa, annunciai le ‘parlamentarie’ del M5S, vi chiesi – dice ancora il leader del movimento rivolgendosi ai lettori del blog – di darmi una mano, ve lo chiedo ancora oggi. Senza soldi, senza media, con contro l’intero Sistema e i suoi cani da guardia, siamo arrivati fino a qui, ma senza il vostro supporto e il vostro calore, non potremmo proseguire, né andare da nessuna parte”.

“Che io sappia – continua Grillo – è la prima volta al mondo che un movimento, sulla carta il secondo italiano, sceglie i suoi parlamentari on line senza alcun filtro. Si sono candidati operai, casalinghe, professionisti, disoccupati, piccoli imprenditori, precari, impiegati statali, studenti. La vera anima del Paese. Cittadini, non onorevoli! Incensurati, non condannati! Persone animate da spirito di servizio, non politici di carriera! Cittadini che rinunceranno a gran parte dello stipendio e alla buonuscita per il reinserimento nella società (!?), che pubblicheranno on line tutte le spese che sosterranno”.

Segue l’annuncio sui fondi che M5S non intende riscuotere: “Il M5S lascerà allo Stato i rimborsi elettorali per un valore di circa 100 milioni di euro. Qualche partito si unisce al club? ‘Allons enfants della Patrie …’ Ci vediamoin Parlamento e sarà un piacere”.

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fonte repubblica.it

SULLA RICOSTRUZIONE – La critica del Nyt: «L’Aquila, esempio da non seguire dopo l’uragano Sandy» / In Italian Ruins, New York Lessons

La critica del Nyt: «L’Aquila, esempio da non seguire dopo l’uragano Sandy»

Le promesse non mantenute in Italia devono essere un monito per la ricostruzione dopo l’uragano

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«L’Aquila è lontana da Staten Island o Rockaways, le aree dello Stato di New York più colpite dall’uragano Sandy, ma le difficoltà del capoluogo abruzzese dopo il devastante terremoto dell’aprile 2009 possono essere un monito per New York nella ricostruzione delle zone danneggiate dal passaggio della recente calamità naturale». A sostenerlo è Michael Kimmelman, giornalista e massimo esperto d’arte del New York Times, che ha visitato varie volte l’Aquila dopo il sisma. Kimmelman ricorda la costruzione delle «new towns» lanciate dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e i «tristi, isolati, minuscoli e costosi appartamenti di cui lo stesso Berlusconi si vantò di avere ordinato per gli abitanti della città», rimasti senza un tetto dopo il sisma e collocati «nella periferia della città, tagliati fuori dai trasporti di massa e dalla vita civile». Ma il centro storico dell’Aquila è rimasto deserto, un cumulo di rovine oggetto di «turismo pornografico».

LA RICOSTRUZIONE – La morale, secondo il giornalista, è che sarebbe meglio ricostruire in modo diverso: le case antisismiche in legno costerebbero meno e l’Aquila ricomincerebbe a vivere, anche senza gli edifici in pietra della sua tradizione. E questa è la lezione che anche New York dovrebbe apprendere: «Per diversi motivi L’Aquila è diversa da New York», scrive il quotidiano americano, «ma i suoi ultimi anni suggeriscono che un disastro non distrugge solo case e vite. È un test per l’immaginazione e la capacità di cambiare di una città e di una nazione».

PROMESSE NON MANTENUTE – «Dal giorno del terremoto – prosegue il critico d’arte – le autorità italiane hanno continuato a promettere di restaurare la città al suo antico aspetto, ma meno di una dozzina di edifici sono stati riparati delle centinaia che sono stati danneggiati nel centro della città che è una sorta di città fantasma».

IL SEGNO POSITIVO – «Un segno positivo è arrivato a ottobre – continua Kimmelman – quando il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è arrivato nella città abruzzese per l’apertura del nuovo auditorium progettato da Renzo Piano», promosso come «una delle poche iniziative urbane intraprese» nella città dopo il sisma. In quell’occasione, «Napolitano criticò le “nuove città” dicendo che avevano sottratto attenzione e risorse» alle sfide più importanti da intraprendere per rimettere in vita il centro cittadino. Bisogna, secondo il giornalista, abbandonare il «pensiero magico» e la speranza di ricostruire tutto com’era. «L’Aquila ha bellissimi edifici, fra cui chiese barocche e palazzi di uffici razionalisti del primo ventesimo secolo. Potrebbero essere riaperti. Ma quel che rende speciale la città sono gli spazi pubblici, le strade e le piazze».

LA LEZIONE PER NEW YORK – «La lezione che anche New York dovrebbe apprendere dunque eccola: bisogna pensare all’urbanismo e non fissarsi sulle costruzioni». Anche nello Stato americano «i funzionari pubblici hanno seguito l’esempio italiano», promettendo a persone distrutte dall’uragano la ricostruzione di interi quartieri, senza ammettere che una politica di ricollocazione è «impossibile». In molti – cittadini e politici – sembrano aperti a grandi idee, conclude il quotidiano, sostenendo che «una calamità può anche essere un’opportunità per politici ambiziosi e non di meno per un presidente al suo secondo termine (Barack Obama), dunque libero da pensieri con ottiche decennali».

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fonte corriere.it

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Samuele Pellecchia/Prospekt, for The New York Times

 Repubblica square in L’Aquila, Italy, after the earthquake in 2009.

In Italian Ruins, New York Lessons

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Published: November 30, 2012

L’Aquila, capital of Abruzzo, in central Italy, is a long way from the Rockaways and Staten Island, but its struggle to recover from an earthquake may provide a cautionary tale for New York, post-Hurricane Sandy.

That earthquake, in April 2009, killed hundreds and left tens of thousands of L’Aquilans homeless, shuttering the city’s graceful and extensive historic center, which was its cultural and economic heart. “Temporary” housing was constructed: “new towns,” as Italy’s prime minister then, Silvio Berlusconi, boasted about the sad, isolated, cramped and costly apartments he ordered for displaced L’Aquilans along nowhere stretches of the city’s outskirts, cut off from mass transit and civic life. There was no infrastructure created or public consensus reached about combating sprawl, or what to save or sacrifice and how.

Since then Italian officials have kept promising to restore the city to its former self, but fewer than a dozen buildings have so far been repaired among the hundreds damaged in the center, which is a virtual ghost town. Never a tourist mecca, despite its pretty churches and squares, L’Aquila was a working town of some 75,000, home to a university and to many families with local roots dating back to the Middle Ages.

These days, tourists arrive to gawk at the rubble. Ruin porn has become the new local industry.

A sign of progress came in October, when President Giorgio Napolitano arrived for the opening of a new concert hall designed by Renzo Piano in a park in central L’Aquila, one of the few urban initiatives since the quake. Mr. Napolitano criticized the “new towns” for diverting attention and resources from the primary challenge of returning life to the city center.

The regional government has now gained control over recovery efforts from a succession of failed authorities in Rome. But magical thinking remains a problem for residents and politicians, as usual after a disaster, while memories of the quake are fading outside the region.

What’s the relevance for the New York area? Notwithstanding the need for big change and straight talk in the face of hard science about rising sea levels and increasing storms, public officials have mostly followed the Italians’ lead, promising devastated homeowners to reconstitute ravaged neighborhoods in harm’s way. They have all but conceded that a policy of retreat and relocation is a political impossibility.

I’ve gone to L’Aquila several times since the quake, the first a couple of days after it struck, most recently before the opening ceremony for Mr. Piano’s hall, to see it under construction and to speak with residents and the city’s planning chief, Pietro Di Stefano. “We went into a labyrinth of the absurd,” he told me. “We needed a new plan.”

Then he talked about retrofitting a few buildings here and there in the city center. He seemed resigned to the futility of arguing for the demolition of homes and for new construction while owners were still petitioning the state for money. That didn’t sound like much of a plan to me.

I mentioned Mr. Piano’s project. Conceived by the architect and his friend Claudio Abbado, the conductor, as a way to bring some culture and night life back to the center, the 240-seat concert hall links multicolored cubes, pavilions made of spruce from Trent, the northern Italian province that sponsored the project. (The hall was not quite finished for the opening ceremony and, as so often happens in Italy, was shut right afterward. There are supposedly plans to finish it and organize concerts next year.)

An anomaly in L’Aquila’s historic city, the hall was partly engineered as a prototype for the sort of recyclable, quake-resistant wood construction that could handsomely and cheaply replace damaged stone houses in the center, so people might finally move back there. Per square foot, the hall cost a fourth of what the “new towns” did.

At the suggestion of wood buildings, Mr. Di Stefano stiffened. He started to pet the nearest stone building as if it were the family Labrador. “Impossible,” he said.

“This is a city of stone,” he insisted. “These homes were built by families here over hundreds of years, and they have their histories. What would Florence be without Giotto, or Pisa without the tower? The buildings are who we are.”

Is a city the assortment of its buildings or the life that happens in and around them? L’Aquila has fine architecture, including Baroque churches and early-20th-century Rationalist office blocks. These could be retrofitted and reopened, and a couple already have been. But it is really the public spaces — the streets and piazzas — that make the city special. Officials charged with saving the center, fixated on buildings instead of urbanism, seem not to realize this, and let L’Aquila die a little more each day.

And so now, in the main square, old men gather on sunny mornings, driving from miles away. They stroll the main street, as they did before the quake, then scatter by day’s end to their far-flung new homes. Antonio Antonacci, a retired lawyer, chatted in the empty Piazza Duomo with three friends when I stopped by.

“It’s still the only city center we have,” he told me.

New Yorkers aren’t particularly married to old stone houses. The city has a history of audacity and adaptability. Both have fueled the region’s prosperity. But heedless planning in the last century has also made many people skeptical about large-scale infrastructural change.

That said, some storm-ravaged New York homeowners have already made known that they’re contemplating resettling in safer neighborhoods, and Shaun Donovan, the United States secretary of housing, whom President Obama appointed to spearhead federal relief efforts after Hurricane Sandy, seems open to big ideas. A calamity can also be an opportunity, for ambitious politicians, and not least for a second-term president, now liberated to think decades ahead.

Although L’Aquila may be unlike New York in most crucial ways, its last few years suggest that a disaster doesn’t just destroy homes and take lives. It tests a city’s, and a nation’s, imagination and capacity to change.

Follow Michael Kimmelman on Twitter, @kimmelman.

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fonte nytimes.com

Imu, arrivano stangate fino a 1.200 euro. Dai sindacati a Bagnasco è bufera

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Imu, arrivano stangate fino a 1.200 euro
Dai sindacati a Bagnasco è bufera

Roma la città più penalizzata. Uil: penalizzate soprattutto le seconde case nelle grandi città. Il cardinale: grave se le scuole paritarie dovessero chiudere

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di Michele Di Branco

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ROMA – Il termine ultimo (cassa aperta fino al 17 dicembre) per il versamento dell’ultima rata si avvicina. Ma la polemica intorno all’Imu non si spegne. Ed anzi monta alimentata da chi, come le scuole paritarie, invoca l’esenzione trovando orecchie attente nel governo e in particolare nel ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo. E chi come la Uil, facendo due conti, ha scoperto che a qualcuno il saldo finale dell’imposta costerà addirittura l’intera tredicesima. Sulla questione che riguarda le scuole paritarie ieri è intervenuta con energia la Cei. «Sarebbe molto grave se dovessero chiudere», ha osservato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza dei vescovi, interpellato a proposito delle lamentele degli istituti cattolici che hanno dichiarato di non essere in grado di pagare l’Imu, in quanto si tratta di attività già in passivo. Bagnasco ha sottolineato che «c’è preoccupazione soprattutto per la mancanza di contributi» sollecitando un passo a favore degli istituti scolastici con aiuti che «lo Stato sarebbe giusto riconoscesse alle famiglie, che hanno diritto a scegliere per i propri figli l’istruzione che ritengono più idonea». In soccorso a questa battaglia, il Codacons ha presentato un ricorso al Tar chiedendo l’annullamento del regolamento Imu, giudicato «fonte di gravissima disparità di trattamento ed erronea applicazione dei principi fondamentali in materia di parità scolastica».

In attesa di vedere come andrà a finire, la Uil ha realizzato una indagine sui costi a carico dei cittadini. Con il saldo di dicembre, le famiglie italiane dovranno pagare mediamente 136 euro per la prima casa, con punte di 470 euro a Roma, mentre per una seconda casa il saldo peserà mediamente 372 euro con punte di 1.200 euro nelle grandi città. L’importo complessivo medio, tra acconto e saldo, sarà di 278 euro per la prima casa e di 745 euro per la seconda.

Ma nelle grandi città si arriverà ben oltre i mille euro per gli immobili non di abitazione, con Roma che è al top sia per la prima che per le altre case. Una spremitura che è il frutto degli aumenti impositivi stabiliti dai comuni. Secondo i dati sindacali, l’aliquota media nazionale sulla prima casa raggiungerà il 4,36 per mille, in crescita del 5,6% rispetto all’aliquota base decisa dal governo, mentre per le seconde case l’aliquota media è dell’8,78 per mille in aumento del 15,5% rispetto all’aliquota base. Alla fine, il gettito complessivo dovrebbe raggiungere 23,2 miliardi (3,8 per la prima casa): 14,8 miliardi saranno incassati dai Comuni, mentre allo Stato spetteranno 8,4 miliardi.

Sabato 01 Dicembre 2012 – 09:14
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