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Renzi ‘sfida’ Letta, “subito le riforme”; Bersani, “confonde medicina e malattia”

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Renzi ‘sfida’ Letta, “subito le riforme”; Bersani, “confonde medicina e malattia”

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16:31 30 MAG 2013

(AGI) – Roma, 30 mag. – “Siamo alle barzellette”. Con queste parole il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, ha risposto ai giornalisti che lo incalzavano sui sospetti di voler far cadere il Governo Letta. Renzi pero’ non vuole un Governo che tiri a campare: “Un Governo e’ serio se fa le cose e non vivacchia. Se vogliamo dare un segnale agli italiani, dobbiamo fare questa riforma costituzionale che richiede tempo. Se elimini il Senato e le province, dai un segnale immediato”.
Nel frattempo il Governo e’ al lavoro sull’Ilva e sulle zone terremotate. Oggi il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha visitato l’Emilia Romagna e ha annunciato che terra’ lui la delega per la Protezione Civile.

Scontro nel Pd sul Mattarellum. Dai renziani pressing su Letta

“Dobbiamo far lavorare l’Emilia, dobbiamo far lavorare l’Italia” ha detto il premier.
Sull’Ilva oggi dalle 15 si tiene un tavolo tra Governo, sindacati e Confindustria. Il ministro per lo Sviluppo economico, Flavio Zanonato, ipotizza un commissario unico o un commissario ad acta che si occupera’ solo del risanamento ambientale.
Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc, sostiene Letta: “Questo Governo rappresenta l’unica possibilita’ per il Paese. Non si puo’ sostenerlo a parole e poi picconarlo nei fatti con proposte strampalate che mirano a rompere anziche’ a unire.
Accade troppo spesso tra le fila del Pd e del Pdl”.
“Non saper distinguere fra leadership democratica e ‘uomo solo al comando’ mi sembra un bel problema”. Lo ha dichiarato Pier Luigi Bersani, in replica alle affermazioni del sindaco di Firenze Matteo Renzi. “E’ come confondere la medicina con la malattia. Sara’ meglio discutere sul serio”, ha aggiunto l’ex segretario del Pd.

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fonte agi.it

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Ilva, il governo incontra le parti sociali «Risanamento e continuità produttiva». Resta l’ipotesi commissariamento

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Ilva, il governo incontra le parti sociali
«Risanamento e continuità produttiva»
Resta l’ipotesi commissariamento

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ROMA – Il sottosegretario alla Presidenza Filippo Patroni Griffi ha convocato una riunione tecnica sull’Ilva a Palazzo Chigi con i ministri dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, dell’Ambiente, Andrea Orlando, del Lavoro, Enrico Giovannini, e con i rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil e Confindustria.

Risanamento e continuità produttiva.
«Al tavolo è emersa una unità di intenti volta ad assicurare risanamento ambientali e continuità produttiva. Il governo ora è impegnato a individuare lo strumento più efficace per conseguire questi due obiettivi nel rispetto delle decisioni della magistratura», ha spiegato al termine dell’incontro il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi. «Si sta lavorando per giungere quanto prima alla soluzione, la decisione ci sarà prima del 5 giugno», quando è convocata l’assemblea dei soci dell’Ilva, ha detto il segretario confederale della Cisl Luigi Sbarra, al termine della riunione a Palazzo Chigi.

Orlando.
«Stiamo lavorando ad una norma primaria che riparta dall’elemento del commissariamento evocato dalla legge 231, in cui non è ben definito», ha spiegato il ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando escludendo comunque un decreto per il Cdm di venerdì. «Non è un intervento semplice, ci sono elementi di incompiutezza nella normativa attuale», ha sottolineato aggiungendo che «è fondamentale raggiungere gli obiettivi di ambientalizzazione che fino ad oggi non sono stati raggiunti».

Zanonato.
La soluzione allo studio per l’Ilva potrebbe essere o un commissario unico o un commissario ad acta solo per il risanamento ambientale, ha detto il ministro dello sviluppo Flavio Zanonato a Radio24. «O un commissario unico o l’azienda continua a gestirsi e il governo decide di farsi il risanamento con un commissario ad acta. Bisogna vedere qual’è la soluzione che funziona meglio», ha aggiunto il ministro, sottolineando che «si tratta di affrontare problemi che hanno un carattere di unicità» e quindi «occorre una norma legislativa, cioè un decreto che diventerà legge. Si sta ragionando su questo, a me interessa una soluzione che funzioni».

Il ministro ha ribadito la necessità che «a pagare deve essere chi ha inquinato». «L’Ilva per produrre acciaio adesso è un’azienda che funziona. Ma nel tempo ha inquinato e continua ad avere degli standard nella produzione che creano dei problemi ed è su questo che bisogna agire», ha spiegato Zanonato, ricordando che i campi minerari si estendono su 70 ettari, quasi come 100 campi da calcio, «una tettoia che copra tutto è un’opera unica, un’opera immensa». Zanonato ha quindi ricordato che domani dopo il cdm c’è un tavolo, già fissato da tempo, al Ministero sulla siderurgia. «Non è un’intenzione del Governo aumentare l’Ilva, è una cosa decisa dal precedente Governo e per disattivarla servono 4 miliardi o di nuove entrate o di tagli o di una miscela delle due. Su questo Saccomanni sta lavorando, cercando di costruire una proposta», ha aggiunto Zanonato, esprimendo l’auspicio che ci riesca: «spero di sì».

La petizione.
Gli operai della ‘Cellula di Rifondazione Comunista’ dell’Ilva di Taranto, con la federazione tarantina di Rifondazione Comunista, intanto hanno deciso di avviare una raccolta di firme per chiedere la nazionalizzazione dell’azienda, il risanamento dello stabilimento di Taranto, la difesa dei livelli occupazionali, il controllo da parte dei lavoratori e della società civile sul processo di riqualificazione degli impianti e di bonifica del territorio e il potenziamento dei presidi sanitari locali.

Giovedì 30 Maggio 2013 – 12:54
Ultimo aggiornamento: 17:59
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Lega Nord nella bufera dopo la batosta. Bossi: “Maroni faccia un passo indietro”

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fonte immagine briccones.myblog.it

Lega Nord nella bufera dopo la batosta.
Bossi: “Maroni faccia un passo indietro”

Il Senatur attacca il numero uno del partito dopo la delusione alle amministrative: “Vuole fare tutto, i comizi e tanto altro”. L’autocritica di Salvini: “Non faccio come Grillo, la colpa è evidentemente nostra”

Lega Nord nella bufera dopo la batosta. Bossi: "Maroni faccia un passo indietro"
Umberto Bossi

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Lega Nord del caos dopo la débâcle al primo turno della amministrative. Il nervosismo è tanto e Umberto Bossi rompe la tregua con il segretario. “Roberto Maroni vuole fare tutto, vuole fare i comizi e tanto altro. Deve fare un passo indietro”, attacca il Senatur uscendo dalla Camera. “Abbiamo dato l’immagine di una Lega divisa. Quando c’ero io si era tutti uniti”. Ma cosa deve fare Maroni? “Non deve espellere più nessuno”, risponde Bossi. E a chi chiede se si è sentito mai tradito, risponde: “Sì, io sono stato tradito dalla Lega”. E da Maroni? “Meno che dalla Lega…”.

Ma non è solo questione di numeri: per la Lega si profila soprattutto una crisi di identità. A leggere le analisi formulate in ordine sparso da vari dirigenti, pare emergere proprio questo timore, benché una discussione collegiale sia in programma soltanto al consiglio federale di venerdì 31 maggio. Dalle urne è uscita una Lega che vorrebbe nascondere elmo e cornamuse, ma che anche in giacca e cravatta non riesce a decollare. E questo genera preoccupazione, anche se Maroni assicura i militanti che la Lega non morirà mai.

Flavio Tosi, sindaco di Verona, segretario veneto e vice di Maroni, è il leghista additato come il dirigente con le maggiori ambizioni ‘oltre’ la Lega. Intervistato dalla Stampa, Tosi ha sostenuto che il risultato delle comunali “è un disastro”, ha aggiunto che la strada è ormai quella delle liste civiche (su cui si mostra freddo il sindaco di Varese, Attilio Fontana) e ha usato poca diplomazia: “Siamo andati avanti anni a parlare di federalismo, riforme, cambiamento e abbiamo portato a casa un’ostrega”. L’altro vice di Maroni, il lombardo Matteo Salvini, si è rivolto ai militanti con un video chiedendo di crederci e assumendosi le sue responsabiità: “Non faccio come Beppe Grillo, che dice che è colpa di chi vota. La colpa è evidentemente nostra, che non ci spieghiamo abbastanza bene. Chiediamoci dove abbiamo sbagliato”. E Bossi chiosa anche stavolta senza mezzi termini: fra Tosi e Salvini “preferisco Salvini”.

Il governatore Luca Zaia, altra anima della galassia leghista veneta, sul tema dell’identità è andato oltre. In un’intervista al Gazzettino ha osservato che “siamo al big bang nella storia del Nord: il leghismo non è più una questione di partito, da destra a sinistra i veneti riconoscono che la questione del nord è cogente”. Come dire che se la Lega è in crisi, ma le istanze leghiste no. Ed è su questo che l’ex deputata espulsa Paola Goisis ha aperto una polemica, sostenendo che “gli elettori si stanno volatilizzando”da quando Tosi guida il partito. Polemica che Tosi stesso ha chiuso rinfacciandole che alle sfortunate elezioni di un anno fa c’erano i “suoi amici del cerchio magico” e non lui.

A dare qualche suggerimento, su Radio Padania, ci ha provato l’ex ministro Roberto Castelli, affermando che bisogna “fare sintesi fra l’anima dura e pura e il futuro” ma “non sparare addosso alle liste civiche”, utili per uscire da uno zoccolo duro che non supera ormai “il milione, milione e trecentomila voti”. Impressioni, giudizi, preoccupazioni a cui si aggiunge la contemporanea pubblicazione su alcuni quotidiani di stralci di verbali dell’ex tesoriere Francesco Belsito, convinto che i dirigenti della Lega sapessero in anticipo delle perquisizioni di un anno fa. Si attendono adesso le mosse di Maroni, che ha scelto Twitter per minimizzare: “Leggo sui giornali l’eccitazione di molti nel dare la Lega ormai morta – ha scritto il governatore della Lombardia – Da vent’anni è così, porta bene, la Lega sopravvive a tutte le gufate”. (29 maggio 2013)

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fonte milano.repubblica.it

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Legge elettorale, scontro nel Pd sul Mattarellum. La Camera boccia la mozione

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fonte immagine antonioriccipv.com

Legge elettorale, scontro nel Pd sul Mattarellum. La Camera boccia la mozione

Il deputato renziano Giachetti presenta una mozione, firmata da un centinaio di colleghi di partito, che chiede il ritorno al sistema maggioritario. Finocchiaro attacca: “Intempestivo”. Gasparri e Brunetta: il testo va “contro l’esecutivo” guidato da Letta. Il movimento 5 stelle: “Non voteremo il testo di Giachetti, preferiamo nostro correttivo”

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di | 29 maggio 2013

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La “mozione Giachetti” sulla legge elettorale, che avrebbe ripristinato il Mattarellum, è stata bocciata dalla Camera.  La proposta del deputato renziano Roberto Giachetti, vicepresidente della Camera, di tornare al “Mattarellum”, cioè al sistema maggioritario in vigore prima dell’avvento del “Porcellum” nel 2005 è stata firmata da un centinaio di colleghi democratici, ma ha visto lo stop dell’Aula di Montecitorio con 400 “no”, 139 “sì” e 5 astenuti. La prima bocciatura da parte dell’esecutivo è arrivata proprio dal presidente del consiglio Enrico Letta che a Montecitorio aveva anticipato che avrebbe invitato “al ritiro” della proposta.  ”In caso contrario darò parere contrario a quelle mozioni che entrano troppo nel merito” del percorso istituzionale. Il deputato, però, aveva ribadito di fronte all’assemblea del gruppo Pd alla Camera che non avrebbe ritirato la mozione. E anche verso Letta aveva usato toni duri: “Me lo ha chiesto in Aula in modo dialogico e io in maniera altrettanto dialogica dico che non la ritirerò”.

SCONTRO NEL PD La mozione ha soprattutto infiammato lo scontro all’interno del Pd. A guidare la fronda anti Mattarellum, Roberto Speranza, che ha commentato l’esito del voto esprimendo soddisfazione per “il voto unitario del Pd, un gruppo che discute, ragiona e poi sa rispettare le scelte”. Durante la riunione dei deputati democratici il capogruppo del Pd aveva chiesto il ritiro della mozione di Giachetti. “In caso contrario il Pd voterà contro”, ha aggiunto il deputato. “Una mozione intempestiva”, gli ha fatto eco Anna Finocchiaro, presidente Pd della commissione affari costituzionali del Senato.

GIACHETTI: “MOZIONE BIPARTISAN, FIRMATA DA 100 DEPUTATI” Giachetti si è difeso dalle critiche e ha spiegato a Speranza che di non poter ritirare il documento che era stato firmato non solo da deputati del Pd, tanto che la dichiarazione di voto in aula sarebbe stata fatta da Antonio Martino del Pdl. E il depuato ha poi aggiunto di aver avuto un approccio “di grande umiltà”. “L’ho mandata a 630 deputati, l’hanno firmata in 100” e non solo del Pd. “Prepotente – ha detto Giachetti richiamando le parole di Anna Finocchiaro – sarebbe ritirarla ora. Non è una mozione di partito, di gruppo, nè tantomeno di corrente”. Nel dibattito è intervenuto anche il segretario Pd Guglielmo Epifani: ”E’ il tempo del cambiamento. Dico qui con chiarezza che tutto il Pd non vuole più tornare a votare con questa legge elettorale. E’ un impegno di serietà e lo dobbiamo al Paese”.

MOLTI DEMOCRATICI HANNO RITIRATO LA FIRMA La mozione ha visto anche molti dietrofront.  Lo stesso vicepresidente della Camera, alla fine della seduta a Montecitorio ha annunciato “che i deputati Marco Fedi, Simona Flavia Malpezzi, Alessandro Bratti, Irene Manzi, Caterina Bini, Floriana Casellato, Ezio Primo Casati, Manfred Schullian, Umberto D’Ottavio, Maria Luisa Gnecchi, Marco Carra e Maria Amato, hanno ritirato la propria firma dalla mozione Giachetti ed altri”. E, durante la riunione del gruppo Pd, si sono sganciati anche Walter Verini e Fulvio Bonavitacola. Favorevoli, invece, trentaquattro deputati – tutti i renziani, Pippo Civati e due prodiani –  che hanno votato contro la relazione del capogruppo Roberto Speranza che chiedeva a Roberto Giachetti di ritirare la mozione. Ci sono stati cinque astenuti tra i veltroniani. L’appoggio al deputato era arrivato anche da Sel. “Siamo a favore della mozione Giachetti, di cui anche io sono firmatario, perchè questa porta alla cancellazione dell’attuale legge elettorale – afferma Gennaro Migliore (Sel) intervendo nell’aula della Camera – e rappresenta un risarcimento rispetto a un elettorato che ha dovuto subire tre volte la condanna di andare votare con il porcellum”.

GASPARRI (PDL): “GOVERNO LETTA A RISCHIO” E la proposta ha agitato anche le acque delle larghe intese. Sul fronte opposto, Maurizio Gasparri ha avvertito che, ancora una volta, l’esecutivo capitanato da Enrico Letta è stato in pericolo: “Ogni iniziativa che crea confusione mette a rischio il governo“, ha affermato il vicepresidente Pdl del Senato. “E’ tempo di riforme, si deve ripartire dal presidenzialismo: mettere prima la legge elettorale è un errore”. Ancora più esplicito il capogruppo alla Camera Renato Brunetta: “La mozione Giachetti è una mozione contro Letta. Siamo molto amareggiati. Noi volevamo che venisse ritirata. Il Pd ci sta provando. Noi”, ha continuato l’ex ministro Pdl, “siamo leali a Letta, al governo e alla maggioranza, ma con un Pd di lotta e di governo non si può andare avanti. E’ una dicotomia che mette in difficoltà il governo e lo sottopone ad un continuo stress. E’ il momento invece adesso di pensare ai problemi concreti”.

Toni molto più morbidi e nessun riferimento diretto allo scontro interno nel partito, invece, nelle parole del premier, che è tornato al Senato per le repliche prima del voto sulle mozioni. Il presidente del Consiglio ha prima sottolineato gli appelli del Quirinale: ”Oggi siamo qui a dare immediato seguito e applicazione all’impegno preso nel momento in cui si è chiesto a Napolitano di essere rieletto”. Poi ha tracciato la rotta indicata dalla risoluzione di maggioranza, che prevede 18 mesi di tempo per le riforme costituzionali. “Abbiamo la Costituzione più bella del mondo”, ha detto Letta, ma “oggi bisogna adeguare la seconda parte del testo per dare piena attuazione ai principi contenuti nella prima parte”.

Il presidente del Consiglio ha commentato il risultato elettorale legando il dato sull’astensione alla necessità della politica di dare risposte al “drammatico distacco dalla politica”.

M5S: “LA LEGGE PORCATA SALVA GRAZIE A INCIUCIO” “La legge elettorale porcata si salva ancora una volta grazie al perpetuarsi dell’inciucioPd-Pdl”, è il commento del Movimento 5 Stelle dopo il voto in aula sulle mozioni relative al percorso di riforma della Costituzione. A rincarare la dose Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera: “E’ uno scandalo, il Pd ha salvato il Porcellum e lasciato solo Giachetti, compresi i renziani e i giovani turchi. La mozione Giachetti poteva finalmente liberarci dal Porcellum. Se questa è la tenuta dei renziani alla Camera, io non vedo che piena continuità con il vecchio Pd”.

Il testo Giachetti era finito al centro di un fitto scambio di mail tra i deputati del Movimento 5 Stelle. Al centro della discussione la linea da tenere: se sostenere o meno la richiesta di ritorno al Mattarellum. A chi faceva notare che il via libera alla mozione avrebbe rischiato di mettere in difficoltà il governo, il deputato Walter Rizzetto ha risposto ironico: “Allora sì, votiamola. Questa è musica per le mie orecchie”. Alla fine, però il movimento ha scelto di non convergere sul testo del deputato renziano e di rimanere sul proprio. “Abbiamo valutato la proposta – ha spiegato Riccardo Fraccaro alle agenzie – ma preferiamo il correttivo del Porcellum da noi proposto”, con preferenze, limite di due mandati e incandidabilità dei condannati. “Crediamo – ha aggiunto – si tratti di una proposta più rappresentativa della volontà popolare. In Aula vedremo se astenerci o votare contro” la mozione Giachetti, “di certo non l’appoggeremo. Voteremo la nostra mozione”.

E la mozione di cui hanno parlato è quella che i deputati hanno presentato alla Camera. Il testo presenta “correzioni immediate” da apportare alla legge elettorale. I ritocchi proposti dai M5S non si discostano molto da quelli già ipotizzati per la clausola di salvaguardia che è stata cancellata dalla mozione di maggioranza sulle riforme (introduzione di una soglia al premio di maggioranza e ripristino delle preferenze). “Ora non possono non votare la nostra risoluzione – ha detto il deputato Riccardo Nuti – Ammetterebbero che non vogliono fare nulla”.

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fonte ilfattoquotidiano.it

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Cambio della guardia nel M5S: via Lombardi e Crimi, dentro Nuti e (forse) Orellana

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Cambio della guardia nel M5S: via Lombardi e Crimi, dentro Nuti e (forse) Orellana

Come anticipato ad inizio legislatura, nei prossimi giorni ci sarà il “cambio” ai vertici dei gruppi parlamentari di Camera e Senato. Al posto della Lombardi sicuro l’ingresso di Nuti, al Senato favorito Orellana

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Manca solo l’ufficialità, ma non sembrano esserci dubbi sul fatto che nei prossimi giorni Vito Crimi e Roberta Lombardi non saranno più i capigruppo del Movimento 5 Stelle alle Camere. La conferma è arrivata dalla stessa Lombardi in una intervista a Nove in Punto, su Radio 24: “Ai primi di giugno ruotiamo. Questo fa sì che i cittadini continuino a seguire il progetto del Movimento 5 Stelle e non si affezionino alle persone che in quel momento ne sono i portavoce e hanno la maggiore visibilità“. Del resto, si tratta di un passaggio più volte annunciato e in linea con le indicazioni “pre – elettorali” che prevedevano un’alternanza al vertice dei gruppi parlamentari di Camera e Senato.

Si chiuderà così la reggenza di Vito Crimi e Roberta Lombardi, che hanno traghettato gli eletti a 5 stelle nel periodo più complesso e insidioso. E che hanno subito il peso di critiche e apprezzamenti, di un’attenzione mediatica senza precedenti alla quale non sempre hanno reagito nella maniera più opportuna, come confessa la stessa Lombardi: “Non eravamo, forse, abbastanza preparati psicologicamente all’impatto che c’è stato, forse anche per il risultato elettorale in bilico“. Un compito che ha avuto come momenti centrali le due “consultazioni in streaming” con Bersani e Letta, con lunghe code polemiche anche all’interno del Movimento che in qualche modo hanno indebolito le loro figure. Certo è che per loro ora si apre una fase nuova, con Crimi che resta nome su cui puntare anche nelle prossime attività del gruppo (anche se dovesse saltare l’ipotesi Copasir), mentre la Lombardi potrebbe comunque affiancare il suo successore al vertice del gruppo.

C’è ovviamente grande attesa per conoscere i nomi dei successori, anche se la stessa capogruppo alla Camera ha anticipato che a sostituirla dovrebbe essere il suo vice, il palermitano Riccardo Nuti. Al Senato resta qualche dubbio da sciogliere, ma i favoriti d’obbligo sono Luis Alberto Orellana (anche se si tratterebbe di un altro eletto in Lombardia), le senatrici dell’Emilia Romagna Bulgarelli e Montevecchi e la toscana Alessandra Bencini.

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fonte fanpage.it

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Amministrative, Grillo contesta flop M5S: “Ecco le cifre del crollo dei partiti, sono morti”

Amministrative, Grillo contesta flop M5S: "Ecco le cifre del crollo dei partiti, sono morti"
Beppe Grillo con Marcello De Vito, il deludente candidato a sindaco di Roma (imagoec)

Amministrative, Grillo contesta flop M5S:
“Ecco le cifre del crollo dei partiti, sono morti”

Il leader cerca di frenare il malcontento del movimento raffrontando i risultati del Pd e del Pdl tra 2008 e 2013 e dà la colpa ai media: “Questi sono i dati che non vi mostrano”. Poi detta la linea sui ballottaggi: “Non appoggeremo la destra e tanto meno la sinistra”. Nuovo avvertimento ai parlamentari “scontenti”: “Chi pensa ad accordo con il Pd è fuori”

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ROMA – E’ ‘il crollo degli altri’ il senso del post fatto di numeri che Beppe Grillo mette in bella evidenza sul suo blog per dimostrare che se crollo c’è stato è stato quello dei partiti tradizionali. E allora ecco “i dati che non vi mostrano”, ennesima implicita critica ai media, per dare conto del -48% del Pd a Roma, del -65% del Pdl, sempre nella Capitale e sempre nel raffronto 2008-2013, e il +22% di M5S. Anche per Siena, Ancona e Avellino, segni meno per Pd e Pdl e positivi per M5S. Sintesi? “I partiti sono morti”.

In testa alla colonna di cifre pubblicata dal leader del Movimento Cinque Stelle, i numeri delle elezioni nella capitale. Nel 2008 a Roma il Pd raccolse 521.880 voti che alle amministrative di domenica e lunedì scorsi sono diventati 267.605 (-254.275 voti, con un calo percentuale del 48%). Nello stesso confronto il Pdl è passato da 559.559 voti a 195.749 (-363.810 voti, con un calo percentuale del 65%). Il M5S, che nel 2008 muoveva i suoi primi passi, nella corsa per il Campidoglio ottenne 40.473 voti, cresciuti ora a 130.635 (+90.162 voti e + 222%). Andamento che è poi ripetuto più o meno simile anche dai numeri di Ancona, Siena ed Avellino.

Il post di Grillo è un’evidente risposta al malcontento crescente nel movimento dopo il deludente risultato elettorale. Se è vero, infatti, come sottolinea il leader, che i numeri rispetto agli esordi di 5 anni fa sono in crescita, è altrettanto vero (e politicamente più allarmante) il fatto che i consensi si sono dimezzati quasi ovunque rispetto al boom ottenuto alle politiche di appena tre mesi fa.

In un secondo intervento sul suo sito, dal titolo ‘Non abbiamo fretta’ , l’ex comico ribadisce però di vedere le cose diversamente. “Dopo le elezioni politiche e l’affermazione del M5S, Casaleggio disse che per lui ‘era un giorno come un altro’. Valeva anche per me. Nel senso che era la tappa di un percorso. Non abbiamo fretta. Anche ieri, dopo le comunali è stato un giorno come un altro. Nessun trionfo a febbraio, nessun tonfo a maggio”.  Grillo ripete quindi che “l’obiettivo del M5S è di cambiare il sistema, le regole del gioco, di introdurre nella costituzione strumenti di democrazia diretta, oggi totalmente assenti o disattesi. Non abbiamo fretta”.

Guardando ai prossimi ballottaggi, il leader quindi avverte: “Ogni tanto è bene ribadire che il Movimento non è un partito, non fa alleanze con i partiti, né inciuci. Questo vale per i prossimi ballottaggi dove non appoggeremo la destra e tanto meno la sinistra, tra loro non c’è alcuna differenza”. “Forse – concede, a modo suo – la destra ti prende un po’ meno per il culo”. “Chi si è candidato per il M5S al Parlamento e vuole un accordo con il pdmenoelle scordandosi degli impegni elettorali e della sua funzione di portavoce per realizzare il nostro programma – avverte ancora rivolto alle voci critiche che si vanno moltiplicando tra deputati e senatori M5S – è pregato di avviarsi alla porta. E’ meglio buttarsi nel vuoto da soli che essere spinti. C’è più controllo”.

(29 maggio 2013)

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APPROFONDIMENTI

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fonte repubblica.it

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M5S: web in rivolta contro Grillo, “caro Beppe, non hai capito niente”

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fonte immagine tg24.sky.it

M5S: web in rivolta contro Grillo, “caro Beppe, non hai capito niente”

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07:24 29 MAG 2013

(AGI) – Roma, 29 mag. – “L’Autunno Freddo e’ vicino e forse, per allora, l’Italia ‘A’ capira’ che votando chi li rassicura, ma in realta’ ha distrutto il Paese, si sta condannando a una via senza ritorno”. Cosi’ Beppe Grillo chiude il suo post di commento alle elezioni amministrative che ha visto un forte calo di consenso per il Movimento 5 stelle. Grillo mescola sarcasmo e autocritica, e attacca chi ha votato per Pd e Pdl, quella ‘Italia A’ che contrappone alla ‘Italia B’ che invece ringrazia per aver “rischiato” votando M5S. Ed e’ comunque a quella Italia la cui bandiera e’, incalza, il “teniamo famiglia” che Grillo rivolge un sarcastico “vi capisco, avete fatto bene”.
“Ringrazio tutti coloro che hanno ‘rischiato’ dando il loro voto al M5S che avra’ a seguito di queste elezioni dove si presenta in 199 comuni, in quasi tutti per la prima volta, circa 3/400 nuovi consiglieri, raddoppiando quelli attuali”, scrive, in un post scriptum, Grillo. Nel post, aveva ammesso che “il M5S ha commesso errori, chissa’ quanti” ma evidenziando allo stesso tempo che “e’ stato l’unico a restituire, nella storia della Repubblica, 42 milioni di euro allo Stato, a tagliare lo stipendio dei parlamentari e a destinare i tre quarti di quello dei consiglieri regionali siciliani alla microimpresa”.

L’IRA DEI ‘GRILLINI’: “CARO BEPPE, NON HAI CAPITO UN BENEMERITO!”

I candidati non erano all’altezza, il Movimento 5 stelle deve rivedere il metodo. Non sono passate nemmeno due ore e la base sul web si e’ scatenata con oltre 1000 commenti al post di Grillo ‘Vi capisco’. Quello dove il comico genovese con sarcasmo aveva contestato chi alle elezioni amministrative ha votato di nuovo per Pd e Pdl per mantenere lo status quo – accusa Grillo – e condannare “il paese ad una via senza ritorno”. Ma la Rete si divide tra chi: la maggior parte, critica il metodo usato fin qui, vedi Alessio che, facendo il verso al titolo del post di Grillo, scrive: “Vi capisco, vi capisco. Mi sa tanto, caro Beppe, che a ‘sto giro non hai capito proprio un benemerito”. E pero’ c’e’ anche chi sprona Grillo ad andare avanti “senza guardare in faccia nessuno”. – “Basta Beppe – scrive un irritato Massimiliano da Roma – sinceramente hai stancato. La colpa e’ sempre di qualcun’altro, dei giornali, delle televisioni, di Bersani, di Berlusconi, del tempo, del sole. Hai avuto la possibilita’ di fare un governo, di avere il coltello dalla parte del manico, di avere i numeri per “ricattare” Bersani e l’hai buttata al vento. Hai buttato 9 milioni di voti relegando questo branco di 163 incapaci all’opposizione senza avere il potere di fare nulla”.

Bisignani, Grillo? Usa lo ‘accompagnano’ come fecero con Di Pietro

E GRILLO NEGA L’EVIDENZA: “MACCHE’ CROLLO! SONO I PARTITI I VERI SCONFITTI” “Si attacca il M5S, ossia l’unica forza politica che e’ riuscita nel tentativo di riportare i cittadini alla partecipazione politica, all’interesse per la cosa pubblica. Un italiano su due non e’ andato a votare: questa e’ la crisi, sempre piu’ profonda, della partitocrazia, e non il ‘crollo’ del M5S”. Ecco l’analisi del voto amministrativo che, almeno per ora, il blog di Beppe Grillo affida alle parole di Paolo Becchi. E’ di ieri il post del politologo di riferimento del Movimento, rilanciato su Fb dallo stesso Grillo, in cui si rileva che “si e’ tanto spesso parlato di ‘societa’ liquida’.
Ebbene, la nostra e’ una democrazia liquida, ma liquida va inteso come liquefatta. Lo sconfitto e’ il sistema dei partiti.
Lo sconfitto e’ un sistema politico che non funziona piu'”.
“‘Crollo del M5S’ e’ un titolo banale”, argomenta Becchi perche’ “tutti sapevano, per primi gli elettori e gli attivisti del MoVimento, che nelle elezioni comunali il M5S non avrebbe certo ripetuto il risultato delle politiche. Del resto, tra persone sincere questo fatto non sarebbe neppure oggetto di discussione: non c’e’ nessun rapporto tra le consultazioni politiche nazionali e le elezioni locali”. “Il problema, pero’, e’ un altro, ben piu’ profondo: perche’ dovremmo essere felici, ed esultare, di fronte al ‘crollo’ del M5S? Hanno forse vinto il Pd o il Pdl? I ‘partiti’ hanno riacquistato la fiducia dei cittadini? Di cosa dovremmo essere felici? Del fatto che un romano su due non e’ andato a votare? Di un grado di astensione che non ha precedenti? E’ sorprendente vedere come si possono leggere le notizie, come la stampa possa presentarle. Possibile che non capiscano il dato reale? Ossia – conclude – che la crisi della democrazia rappresentativa continua ad acuirsi, a farsi sempre piu’ grave”.

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fonte agi.it

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Don Gallo e la rovina del Pd

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don Gallo e l’ex segretario del Pd Pierluigi Bersani – fonte immagine ilsecoloxix.it

Don Gallo e la rovina del Pd

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di | 27 maggio 2013

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Adesso ho capito, quelle 6000 persone che erano a Genova e le molte altre che da lontano hanno salutato per l’ultima volta Don Gallo non c’entrano nulla col Pd. Ecco il dramma della sinistra in Italia. Un patrimonio umano, ideale, politico immenso e ricchissimo che una volta trovava espressione nel Pci di Enrico Berlinguer, ora è rimasto solo, senza che nessun partito riesca veramente a rappresentarlo. Il presidente della Regione Burlando era presente ma non ha parlato, nessuno del partito ha detto qualcosa, quella società, quelle persone che hanno un’anima, un sentimento, dei valori in cui credono e che si chiamano giustizia sociale, verità, onestà, libertà sembrano lontani dalla cultura politica del Pd, anzi la cosidetta società civile fa paura, è pericolosa, a D’Alema addirittura “fa orrore”. D’altra parte potreste immaginare un D’Alema al funerale di don Gallo? Spesso don Gallo si è trovato il Pd dall’altra parte delle barricate: contro il Tav in Val di Susa, contro l’insediamento militare americano a Vicenza, contro il finanziamento delle cosidette guerre umanitarie, contro l’acquisto dei caccia bombardieri, contro il G8 di Genova (l’allora capo della polizia De Gennaro è sempre stato difeso dal Pd), a favore del referendum per mantenere l’acqua pubblica (il Pd ha cambiato posizione all’ultimo), a favore dei lavoratori della Fiom contro Marchionne, e l’elenco potrebbe continuare. Non entro nel merito delle singole questioni, non stiamo parlando di errori, ma di scelte. Il Pd ha scelto di stare dalla parte del denaro, di chi ha i soldi, di chi ha il potere, è vestito bene, parla bene, sta bene, mangia bene, veste bene, non grida, non dà fastidio. Scusate la brutalità ma è così. Alla tavola dei poveri il Pd non si siede da decenni. Dispiace vedere camminare il sindaco di Torino Fassino per il Salone del libro circondato dalla scorta, mentre fa piacere vedere il sindaco di Genova, Marco Doria, alla veglia per Gallo, cittadino tra altri cittadini. La trans Valentina ha detto molto giustamente, con un sorprendente rovesciamento di prospettiva, che adesso chi va aiutato è chi sta in alto perché chi è in alto è solo, senza sentimenti e l’unica forza che ha è quella del potere (si riferiva anche al cardinale Bagnasco che avrebbe dovuto l’indomani darle la comunione).

Pensate. Se gli scorsi decenni il Pd avesse fatto una politica di sinistra vera, cioè si fosse battuto allora per l’ineggibilità di Berlusconi (ora è fuori tempo massimo), contro il libero mercato, contro la crescita senza qualità, contro la corruzione e i costi della politica, contro la rovina dell’ambiente, e per un’economia a misura d’uomo, ora avrebbe praterie davanti a disposizione. Ora che anche i capitalisti più testardi hanno capito che il modello che hanno difeso per decenni fa acqua da tutte le parti. Ci sarebbe in Italia un’alternativa forte, credibile, temprata da anni di battaglie e democratica, estremista non nei comportamenti ma nelle idee, quindi spendibile anche all’estero. Invece no. E la colpa non è solo del Pd ma anche di tanti intellettuali, giornalisti, accademici, professionisti che dopo anni di battaglie e di delusioni (il terrorismo ha azzerato la spinta ideale degli anni settanta) hanno preferito chiudersi e mettere in soffitta sentimenti e principi. Tutto in nome del mercato e del potere. Come è stata possibile questa distrazione generalizzata? La Boccassini non sta processando Ruby e Berlusconi ma lo sputtanamento di una intera classe dirigente che si è venduto al migliore offerente. Il Pd in quanto partito di sinistra non c’è e non c’entra nulla coi principi ispiratori del vecchio Pci che invece permangono in una parte della società, la stessa che era a Genova ai funerali di don Gallo e che in lui si riconosce. Una riserva ideale buttata via e che imbarazza il Pd perché rappresenta proprio quello che una volta era il partito di Berlinguer: la coscienza civile del paese (di questo ribaltamento di valori se ne ha conferma nel libro di Fassino, Per passione, scritto quando il sindaco, allora segretario dei Ds, fece l’elogio di Craxi prendendo le distanze da Berlinguer) e, inaspettamente, anche una riserva di voti che oggi sarebbero decisivi per dare un’impronta diversa al paese. Se questa non c’è stata non possiamo imputarlo a Berlusconi ma proprio al Pd. La responsabilità storica dei Veltroni , D’Alema, Fassino, Violante, Bersani è enorme.

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fonte ilfattoquotidiano.it

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A Roma sfida Marino-Alemanno Flop di Grillini, vola l’astensione

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A Roma sfida Marino-Alemanno Flop di Grillini, vola l’astensione

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07:51 28 MAG 2013

(AGI) – Roma, 28 mag. – Gianni Alemanno e Ignazio Marino vanno al ballottaggio in una Roma che ha perso meta’ dell’elettorato. Ignazio Marino e la sua coalizione al 42,6% hanno vinto nettamente la sfida contro il primo cittadino uscente Gianni Alemanno al 30,27%. Ma e’ rimasto lontano dalla soglia del 50% che gli avrebbe garantito la vittoria al primo turno.
Roma quindi non avra’ un nuovo sindaco, perlomeno per le prossime due settimane. Entrambi i candidati per vincere sanno che dovranno conquistare l’elettorato in fuga dalle urne.

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La vittoria per il futuro sindaco di Roma si giochera’ su quelle numerosissime schede, perche’ come sottolinea Gianni Alemanno “nessuno vuole essere il sindaco del 50% dei romani”, e quindi ha spiegato il sindaco uscente “mi auguro che in questi 15 giorni si riesca a fare un dibattito serio su quello che serve a questa citta’”. Secondo Alemanno, “la prima fondamentale riflessione da fare e’ relativa al capire perche’ la meta’ dei romani non e’ andata a votare”, individuando tra le ragioni anche “lo scarso appeal che la politica riesce a esercitare in questo momento”. Marino si e’ detto soddisfatto. “C’e’ bosogno di far rinascere questa citta’ e un sindaco deve dare una visione e indicare in che direzione vuole andare” ha detto.

Flop di Cinque Stelle, “non commentiamo”

In attesa dei risultati definitivi, un dato e’ gia’ chiaro fin da ieri: queste elezioni segneranno il trionfo dell’astensionismo. La giornata di ieri ha fatto registrare un’astensione record: meno della meta’ degli aventi diritto si e’ recata alle urne, per l’esattezza il 44,66%.
Un calo di quasi 16 punti (-15,34%) rispetto alle precedenti consultazioni.

I dati delle comunali 2013 sono ancora parziali, ma si delinea un risultato insoddisfacente per il Movimento 5 Stelle che, allo stato, e’ escluso da tutti i ballottaggi nei comuni capoluogo di provincia. Nel 2012 i grillini conquistarono Parma. Il Pdl e’ fuori dal Consiglio regionale della Valle d’Aosta e, al momento, anche dal ballottaggio di Avellino dove ci sara’ uno scontro fra i candidati di centrosinistra e Udc.

Il centrosinistra potrebbe confermare al primo turno i sindaci di Vicenza, Pisa, Massa. In tutti gli altri comuni capoluogo il centrosinistra parte in vantaggio ai ballottaggi contro il centrodestra. Solo a Brescia si registra una sostanziale parita’: il candidato di Pd-civiche-Verdi ha il 38,2%, quello di Pdl-Lega-Fdi-Udc-civiche ha il 37,9%.
A Roma in testa Ignazio Marino con il 42,8% contro il 30,2% del sindaco uscente Gianni Alemanno. Interessante il dato di Treviso, dove lo ‘sceriffo’ leghista Giancarlo Gentilini ottiene il 34,6% dei voti contro il 43% del candidato del centrosinistra Giovanni Manildo. A Siena si andra’ probabilmente al ballottaggio.

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fonte agi.it

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Carceri, Corte europea rigetta ricorso dell’Italia. Un anno per la soluzione al sovraffollamento

Carceri, Corte europea rigetta ricorso dell'Italia. Un anno per la soluzione al sovraffollamento (ansa)

Carceri, Corte europea rigetta ricorso dell’Italia.
Un anno per la soluzione al sovraffollamento

La condanna è per trattamento inumano e degradante di sette detenuti nel carcere di Busto Arsizio e in quello di Piacenza. Il nostro Paese dovrà pagare ai sette detenuti 100 mila euro per danni morali e ha un anno di tempo per rimediare alla situazione carceraria

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STRASBURGO – La Corte europea dei diritti dell’uomo rigetta il ricorso dell’Italia: in base alla sentenza emessa lo scorso 8 gennaio dai giudici di Strasburgo, divenuta oggi definitiva, l’Italia ha un anno di tempo per trovare una soluzione al sovraffollamento carcerario e introdurre una procedura per risarcire i detenuti che ne sono stati vittime.

Secondo la Corte europea, l’Italia avrebbe violato i diritti dei detenuti tenendoli in celle dove hanno a disposizione meno di tre metri quadrati. La condanna è per trattamento inumano e degradante di sette  detenuti nel carcere di Busto Arsizio e in quello di Piacenza. Il nostro Paese dovrà pagare loro un ammontare totale di 100 mila euro per danni morali.

Non è la prima volta che l’Italia viene condannata per aver tenuto i reclusi in celle troppo piccole. La prima condanna risale al luglio del 2009 e riguardava un detenuto nel carcere di Rebibbia di Roma. Dopo questa prima sentenza l’Italia ha messo a punto il “piano carceri” che prevede la costruzione di nuovi penitenziari e l’ampliamento di quelli esistenti oltre che il ricorso a pene alternative.

La situazione nei penitenziari è disastrosa non solo per i detenuti, ma anche per la polizia penitenziaria. Costretta a dover vigilare su un numero enorme di carcerati. Stamattina trenta agenti si sono incatenati davanti al penitenziario di Poggioreale, con dietro uno striscione che lancia un grido d’allarme a Napolitano: “Il Sappe si appella al Capo dello Stato. Più rispetto per la polizia penitenziaria”.

“Protestiamo – spiega Donato Capece, segretario generale del sindacato – contro la disattenzione della politica e lo facciamo davanti a un carcere simbolo, il più sovraffollato d’Europa con 2.900 detenuti e solo 600 poliziotti, una vera polveriera. Gli agenti sono stremati, con abnegazione svolgono il servizio ma dicono basta. C’è bisogno di misure alternative e di una rivisitazione del sistema penitenziario con riforme strutturali, senza pannicelli caldi come l’indulto e l’amnistia ma un sistema sanzionatorio diverso”. E minaccia, in assenza di risposte, uno sciopero bianco: “Seguiremo alla lettera tutti i protocolli con grande fiscalità, in modo da rallentare servizi come il trasporto dei detenuti in tribunale o le visite dei parenti. Ci spiace per loro che ne subiranno le conseguenze ma vogliamo risposte”.

Sulla questione è intervenuta negli ultimi giorni anche Annamaria Cancellieri. “Le nostre carceri non sono degne di un paese civile”, ha detto il ministro della Giustizia alla commemorazione della strage di Capaci il 23 maggio scorso. A suo avviso, “per risolvere il problema non bastano nuove carceri, ma bisogna ripensare il sistema delle pene”. O forme detentive alternative come l’Isola dell’amore fraterno: un villone nell’agro romano, sull’Ardeatina, dove detenuti in attesa di giudizio vivono in maniera più umana la restrizione della libertà. “Un’esperienza da replicare” ha commentato il ministro durante la visita alla struttura (video). (27 maggio 2013)

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fonte repubblica.it

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