Archivio | luglio 2010

PDL – Casini: “Nessuno di noi andrà con Silvio”. Bossi avverte: no al governo tecnico, in 20 milioni pronti a battersi con la Lega

Bossi avverte: no al governo tecnico, in 20 milioni pronti a battersi con la Lega

Il Pdl minaccia elezioni anticipate. Casini: nessuno dei miei passerà con Berlusconi. Il Pd: la maggioranza non esiste più

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ROMA (31 luglio) – Maggioranza a rischio dopo la nascita del nuovo gruppo finiano Futuro e libertà per l’Italia. Intanto, mentre il Pdl intanto minaccia il voto anticipato, Umberto Bossi ribadisce la fedeltà al premier Silvio Berlusconi, attacca Gianfranco Fini e dice no a un governo di transizione.

«A settembre cercheranno di dare la sfiducia a Berlusconi»: ha detto Bossi che questa sera ha inaugurato una nuova sede della Lega Nord a Colico (Lecco) dicendo un forte no all’ipotesi di un governo tecnico. «La Lega fortunatamente ha qualcosa come 20 milioni di uomini pronti a battersi fino alla fine. Se non c’è democrazia nel Paese, la portiamo noi».

Per il momento non c’è il rischio di elezioni anticipate, secondo il leader della Lega Nord. «Il presidente della Repubblica, che è la chiave di volta non manda adesso a elezioni. Il problema si pone a settembre, magari». Secondo il ministro delle Riforme, «bisogna vedere cosa avviene a settembre. A settembre cercheranno di dare la sfiducia a Berlusconi, non staranno fermi e cercheranno di puntare su un governo tecnico». E questo «per fare leggi – ha aggiunto – che non interessano a tutti, ma alla sinistra».

E’ il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto ad avvertire i finiani. «Vedremo ora come si comporteranno in Parlamento questi nuovi gruppi nati da parlamentari eletti con la maggioranza – ha detto a Sky Tg24 – Di certo né il presidente del Consiglio né il Pdl sono disponibili a farsi cuocere a fuoco lento facendosi condizionare di volta in volta su ogni provvedimento. Se così fosse, si dovrebbe subito tornare a votare».

«Quattro provvedimenti contro tante chiacchiere. Nel corso di quest’ultima settimana il governo ha ulteriormente rafforzato il proprio profilo riformatore – dice intanto una nota il premier – E’ stata approvata la manovra economica, che ha messo al riparo l’Italia dalle conseguenze più gravi della crisi economica e ha posto le condizioni dello sviluppo. Con la manovra sono state approvate, tra l’altro, le norme che consentono, a chi vuole intraprendere, di farlo senza dover ottenere le molteplici autorizzazioni preventive, ora necessarie, che vengono sostituite da una sola autorizzazione successiva».

«Il Senato – continua – ha approvato, anche con il concorso di una parte dell’opposizione, una riforma fondamentale della nostra università sulla base del merito e dell’ingresso di giovani docenti e ricercatori. Il governo ha approvato poi un disegno di legge innovativo e liberale in materia cinematografica che permetterà di ridurre l’intervento esclusivo dello Stato, di incentivare l’apporto dei privati e di favorire perciò un maggiore grado di autonomia e di libertà della cultura. Il governo ha infine approvato il nuovo Codice della strada entrato in vigore già ieri, che consentirà di diminuire il numero degli incidenti e della mortalità sulle nostre strade».

«Si è aperto il grande show del berlusconismo senza “contrappesi finiani”», scrive Flavia Perina sul giornale online Post. «Sarà interessante vedere l’action movie di questa nuova fase – prosegue il direttore del Secolo d’Italia – dove la quintessenziale natura del centralismo carismatico non dovrà più temere l’inquinamento di elementi estranei». Perina arriva poi all’accusa più secca, relativa alla cosiddetta “campagna acquisti” in atto da parte di Berlusconi: «L’incremento della delegazione femminile al governo con la nomina di 4 nuove sottosegretarie. In pole position Paola Pelino, Nunzia De Girolamo, Daniela Melchiorre, Annamaria Bernini».

«Le presenze in Aula dovranno essere maggiormente monitorate, i ministri e sottosegretari dovranno essere più presenti in Parlamento quando si vota», aveva avvertito ieri Berlusconi nel corso della cena con alcune parlamentari del Pdl, confermando più volte l’intenzione di dedicarsi alla riorganizzazione del partito e all’attività parlamentare, intensificando le riunioni con deputati e senatori.

«Intercettare deputati Udc e Api». «Ci sono deputati dell’Udc e dell’Api di Francesco Rutelli, ma anche del gruppo misto pronti a sostenerci, vanno intercettati», ha poi detto il premier nel corso della cena.

Casini: non cerco fidanzamenti. «Io sono coniugato stabilmente e non cerco fidanzamenti – risponde il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, circa la possibile “campagna acquisti” di Berlusconi nelle file dell’Udc – Sono sicuro che nessuno dei miei passerà con Silvio, siamo blindati. Sono gli altri a bussare alla nostra porta».

«Mai al governo con Berlusconi».
«Il Paese avrebbe bisogno di un governo che governa, invece questo governo tira a campare – ha detto ancora Casini – Forse la maggioranza si rappattumerà, ma non è questo il problema. Quando si arriva con cento deputati di maggioranza alla contabilità sui numeri, siamo alla frutta». Casini ha assicurato che non entrerà nel governo Berlusconi: «Io sono una persona seria e rispetto gli impegni presi con i miei elettori che mi hanno collocato all’opposizione. Io ho chiesto alla luce del sole, nelle cene private come in Parlamento, a Berlusconi di aprire una fase nuova. Serve all’Italia un governo di responsabilità nazionale che affronti il capitolo delle grandi riforme, perché così si campicchia e noi non possiamo permettercelo».

Il no di Rutelli. «Nessuno pensi di spendere il nome di un movimento politico che è nato in modo coraggioso, nuotando controcorrente per operazioni balneari. Detto in cinque parole, non c’è trippa per gatti». È quanto si sottolinea negli ambienti vicini al leader dell’Api, Francesco Rutelli, commentando la possibilità che il premier possa fare una “campagna acquisti” tra le file dei parlamentari del gruppo dell’ex leader di Pd, Verdi e radicali per rimpolpare la maggioranza di centrodestra.

«La maggioranza non c’è più, perciò il voto anticipato è un atto doveroso», ha commentato Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei Valori, che ha lanciato un «appello a Fini e Bersani non per costruire una nuova coalizione ma una maggioranza parlamentare che valga per un solo voto: quello della sfiducia al governo. Poi alle elezioni ognuno andrà per la propria strada. Ora chiedo un patto straordinario che duri il battito d’ali di una farfalla: quello di votare la sfiducia a questo esecutivo. Un patto che può avere una prova generale già tra martedì e mercoledì, votando la sfiducia individuale al sottosegretario alla Giustizia Caliendo. In quella sede, verificheremo anche se la compagine finiana vuole davvero prendere le distanze dalla cricca».

Il Pd: Berlusconi non ha più i numeri. «Berlusconi non ha i numeri in Parlamento e quindi non può andare avanti – ha detto il vicesegretario del Pd, Enrico Letta – La maggioranza eletta nel 2008 si è sgretolata, non esiste più».

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fonte:  http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=112966&sez=HOME_INITALIA

FIAT – Federmeccanica: “Aprire subito un tavolo”. Fiom: “E’ la fine del contratto nazionale”

FIAT

Federmeccanica: “Aprire subito un tavolo”
Fiom: “E’ la fine del contratto nazionale”

Il presidente degli industriali del settore, Ceccardi, ipotizza un incontro già la prossima settimana. Disponibili Fim, Uilm, Fismic e Ugl. L’organizzazione della Cgil: “Strada pericolosissima”

Federmeccanica: "Aprire subito un tavolo" Fiom: "E' la fine del contratto nazionale"

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TORINO – Federmeccanica propone a Fim, Uilm e Fismic di aprire al più presto il tavolo per definire rapidamente una nuova normativa per il settore auto. E i sindacati chiamati in causa apprezzano l’impegno, mentre la Fiom ribadisce la sua posizione di netto rifiuto verso qualsiasi ipotesi che possa minare il contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici. Uno scontro che si gioca su tempi strettissimi, quelli dettati dalla necessità di dare risposte ai problemi di produttività e ispetto degli accordi posti dalla Fiat evitando la disdetta del contratto nazionale.

In un’intervista al Sole 24 ore,
il presidente di Federmeccanica, Pier Luigi Ceccardi, prospetta un incontro già la prossima settimana e spiega che una commissione ad hoc è al lavoro “per adattare il contratto nazionale alle innovazioni introdotte con la riforma della contrattazione firmata ad inizio 2009”. “La Fiat – afferma – è la nostra principale associata, vogliamo individuare tutti gli strumenti necessari per garantire l’efficienza delle fabbriche e renderle più competitive. Abbiamo lavorato in questi giorni in perfetta sintonia con la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, e con il suo staff per trovare una soluzione ai problemi posti dal gruppo torinese”.

I sindacati sono divisi anche sull’iniziativa di Federmeccanica. “Le altre organizzazioni sindacali hanno perso il senso della misura. E’ la fine del contratto nazionale. E’ necessario che se ne rendano conto e si fermino perché questa strada sarebbe pericolosissima”, commenta Enzo Masini, responsabile auto della Fiom. “Il tentativo di fare saltare il contratto – replica il numero uno della Fim, Giuseppe Farina – lo ha fatto la Fiat e sarebbe stato un atto destabilizzante. Sono state Fim e Uilm a fermarlo opponendosi in modo drastico e costringendo la Fiat a fare un passo indietro. Non è stato certo merito della Fiom”.

Alle parole di Ceccardi plaude il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella: “Siamo disponibili a incontrarci e a trovare soluzioni pur di lasciare inalterata la funzione del contratto nazionale. Faremo tutti gli sforzi necessari perchè le deroghe servano per Pomigliano e si salvi il contratto nazionale”. “Siamo pronti a discutere la modifica della normativa contrattuale che oggi è troppo estesa, comprende troppe categorie fra loro diverse e non permette di premiare realmente le professionalità e di distribuire gli utili ai lavoratori”, aggiunge Roberto Di Maulo, segretario generale Fismic. Anche l’Ugl apprezza l’impegno di Federmeccanica e spera che Fiat si convinca a mantenere la newco nel sistema confindustriale.

La posizione della Fiom viene ribadita dal segretario generale Maurizio Landini: se si “accettano le condizioni di Fiat” e quindi se si crea, attraverso deroghe, un contratto ad hoc il settore auto, “si cancella del tutto il contratto nazionale”. “Fare cose di questo genere – aggiunge il numero uno della Fiom – vuol dire cancellare semplicemente il contratto nazionale di lavoro. Per noi c’è ed è quello del 2008 che è ancora in vigore ed è stato stipulato unitariamente da tutti”. Per Landini fare “deroghe o contratti di settore significa cancellare il contratto nazionale: se poi questa richiesta nasce per dare una legittimità alle deroghe contrattuali, legislative e alla violazione della Costituzione che è contenuta nella cosiddetta intesa di Pomigliano noi, che non abbiamo firmato quell’intesa, non abbiamo certo intenzione di firmare addirittura deroghe di quella natura a livello nazionale”. La Fiom ribadisce anche che “i problemi di utilizzo degli impianti di produttività e di più efficiente gestione delle imprese si possono risolvere applicando il contratto nazionale in vigore, le leggi e la Costituzione”.

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31 luglio 2010

fonte:  http://www.repubblica.it/economia/2010/07/31/news/federmeccanica-sindacati_aprire_subito_un_tavolo_ok_dei_sindacati_fiom_e_la_fine_del_contrattone_della_fiom-5989128/?rss

Il cinema è in lutto: Addio alla grande Suso Cecchi D’Amico

Il cinema è in lutto

Addio alla grande Suso Cecchi D’Amico

La sceneggiatrice si è spenta a Roma a 96 anni. Con lei se ne va la “regina”, la collaboratrice prediletta di Luchino Visconti, la sceneggiatrice più raffinata del cinema italiano

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ROMA, 31 luglio 2010 – Il cinema italiano è in lutto: è morta a Roma, dopo una malattia, Suso Cecchi D’amico. La  famosa sceneggiatrice aveva 96 anni.

L’annuncio è stato dato dai figli della grande sceneggiatrice.  Con Suso Cecchi d’Amico se ne va la “regina”, la collaboratrice prediletta di Luchino Visconti, la sceneggiatrice più raffinata che al cinema portò in dote una cultura multiforme, frutto di una grande famiglia d’artisti.
Giovanna Cecchi, figlia del letterato Emilio, era nata a Roma nel 1914 e fin dall’inizio della sua carriera – esordì come giornalista – volle aggiungere alla sua firma il cognome materno, segno di una grande tradizione teatrale.

La sua firma, cui si aggiunge il nomignolo “Suso”, com’era chiamata in famiglia, compareper la prima volta al cinema in calce al film di Renato Castellani “Mio figlio professore”, nel 1946.
Comincia poi la sua grande stagione neorealista a fianco di maestri come Luigi Zampa, Ennio Flaiano, Cesare Zavattini.


Suso poi lavora con Antonioni, Rosi, Blasetti
. Ma l’amore artistico scoppia per Luchino Visconti che la vuole al suo fianco nel 1950 per “Bellissima”, che ne fara’ poi il suo fedele ‘doppio’ narrativo per tutta la carriera fino al progetto mai realizzato della Recherche di Proust. Suso diviene una garanzia internazionale per i copioni piu’ impegnativi anche in tv. Nel 1994 la Mostra di Venezia le assegna un leone d’oro alla carriera.

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fonte:  http://qn.quotidiano.net/spettacoli/cinema/2010/07/31/364279-cinema_lutto.shtml

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“Suso Cecchi d’Amico” “L. Visconti” “A. Magnani”


“Suso Cecchi d’Amico” intervistata dalla nipotina Margherita ci parla di Luchino Visconti e Anna Magnani

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Mario Monicelli – I Compagni 1963.avi

per vedere il film  (per intero!) andate qui

Gaza, migliaia di aquiloni in volo: è record

Gaza, migliaia di aquiloni in volo: è record

Gaza, migliaia di aquiloni in volo: è record

Migliaia di aquiloni in volo contemporaneamente. 6200 bambini di Gaza hanno battuto il record mondiale che già era stato il loro precedentemente, con quasi 4mila aquiloni in aria. Il concorso è stato organizzato dall’Agenzia per i rifugiati dell’ONU, già ispiratrice di un altro primato

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fonte:  http://www.repubblica.it/esteri/2010/07/31/foto/gaza_7200_aquiloni_in_volo_record-5975664/1/?rss

Strage di Bologna, per il trentennale commemorazione senza ministri / Bologna, ancora depistaggi 30 anni dopo la strage del 2 agosto

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Il governo sarà rappresentato dal prefetto Angelo Tranfaglia

Strage di Bologna, per il trentennale commemorazione senza ministri

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Il presidente dell’associazione dei familiari delle vittime: «Come da Borsellino, il governo evita i momenti delicati»

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BOLOGNA – Sarà il prefetto di Bologna, Angelo Tranfaglia, a rappresentare lunedì 2 agosto il governo alla commemorazione per i 30 anni della strage di Bologna. Al posto dei politici, due ragazze nate nel 1980 saliranno sul palco allestito davanti all’ingresso principale della stazione, per commemorare le 85 vittime. Per la prima volta non ci sarà quindi nessun rappresentante dell’esecutivo in veste ufficiale alla cerimonia. Tranfaglia parlerà alle 8,30 ai parenti delle vittime nella sala del consiglio comunale prima della partenza del corteo. Lo ha confermato il commissario Anna Maria Cancellieri, che da alcuni mesi svolge le funzioni di sindaco a Bologna, spiegando che la comunicazione ufficiale è arrivata venerdì sera in prefettura.

STRATEGIA – Il presidente dell’associazione dei familiari delle vittime, Paolo Bolognesi, che da anni si batte per l’abolizione del segreto di Stato e per conoscere la vera dinamica della strage, aveva chiesto di abbassare i toni delle contestazioni ai rappresentanti dei governi che accompagnano da molti anni la celebrazione della strage. «Avevamo fatto di tutto per avere risposte dal governo sul segreto di Stato e sui risarcimenti, così invece non ce ne saranno. Anche per la commemorazione di Borsellino non c’era nessuno: non vorrei che fosse una nuova strategia governativa quella di evitare i momenti delicati», ha commentato Bolognesi.

IDV: SCHIAFFO A VITTIME – «Il governo dà uno schiaffo alla memoria delle 85 vittime della strage di Bologna e ai loro familiari», ha commentato in una nota il portavoce di Italia dei valori, Leoluca Orlando. «È ignobile il fatto che nessun ministro e vice ministro sarà presente a Bologna. In trent’anni non è mai accaduto. Continuiamo a batterci per demolire questo muro di gomma che impedisce di accertare tutte le responsabilità per una strage che ha provocato moltissime vittime innocenti».

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Redazione online
31 luglio 2010

fonte:  http://www.corriere.it/cronache/10_luglio_31/strage-bologna-prefetto_9a6118c4-9c9f-11df-80c5-00144f02aabe.shtml

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Bologna, ancora depistaggi 30 anni dopo la strage del 2 agosto

Lunedì prossimo l’anniversario. Parla Valter Bielli: “Nè Kram, nè palestinesi”

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di Giovanni Vignali
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Ormai ci siamo, lunedì prossimo sarà il trentennale della strage alla stazione di Bologna (2 agosto 1980: 85 i morti e oltre 200 i feriti). Anche quest’anno segnato dalle polemiche. Stavolta per la riproposizione della tesi innocentista per i condannati Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini e per  l’idea – soprattutto di alcuni – che la verità sia da ricercare altrove.
Molte di queste istanze, però, sono la rimasticatura del lavoro svolto dalla Commissione parlamentare Mitrokhin, istituita fra il 2001 ed il 2006, durante il secondo Governo Berlusconi. In primis la pista sul presunto coinvolgimento del tedesco Thomas Kram, presente nella città emiliana il giorno dell’esplosione.
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L’intervista a Valter Bielli, ex Commissione Mitrokhin

Per la prima volta parla l’onorevole Valter Bielli, capogruppo dei Ds proprio nella Mitrokhin, che su queste tesi (e molto altro) ha lavorato a lungo presentando, al termine delle sessioni del gruppo presieduto da Paolo Guzzanti, la relazione del centrosinistra sulle 261 schede redatte dall’ex archivista del Kgb che vennero consegnate ai servizi italiani e che costituirono il corpo centrale dell’opera della Commissione.

Valter Bielli: come nasce il presunto coinvolgimento del tedesco Kram nella strage di Bologna?
Venne sollevato dall’onorevole Raisi (parlamentare del Pdl, ndr), a seguito di una ricerca di alcuni consulenti, in particolare Pellizzaro, che su questo aveva scritto molto su una rivista di centrodestra. Mi preme sottolineare però che è una vicenda che al momento dell’inchiesta giudiziaria fu seguita e non portò a nulla. Non è nata adesso, era già stata monitorata. Non che non fosse nota: diciamo che ora viene ripresentata, enfatizzata.

Adesso però anche il giudice Rosario Priore apre spiragli, quasi a dire: la verità processuale sulla colpevolezza di Fioravanti, Mambro e Ciavardini non è tutto.
Mah… Il giudice parla di stragi dalla “matrice incerta”, includendo anche Bologna.
Fa una riflessione sul contesto internazionale. La cosa che mi sorprende è che sembra che Priore non conosca gli atti processuali di quel periodo. Come se non avesse avuto la possibilità di leggere quello che era stato riscontrato. Eppure di tutto ciò in Commissione Mitrokhin abbiamo parlato. Abbiamo approfondito e dato delle risposte.

Quali?
Primo: Kram non risulta agli atti – e nei documenti che noi abbiamo acquisito – fosse per certo all’interno dell’organizzazione diretta dal terrorista Carlos, per ordine del quale – secondo qualcuno – avrebbe avuto una parte nella strage.
Kram era un’altra cosa: faceva parte delle Cellule rivoluzionarie. Una formazione criminale che in Germania non faceva certo dello stragismo la sua ragion d’essere. Al contrario: puntavano su operazioni mirate per non inimicarsi l’opinione pubblica.
Poi la cellula di cui faceva parte il tedesco, presente a Bologna il giorno della strage di Bologna, si divide e una parte sola va con Carlos. Viene documentato un unico incontro a Budapest fra i due, ma è un summit molto aleatorio.

Eppure lo ha detto anche lei: Kram il 2 agosto 1980 era a Bologna.
Ma è proprio questo che non torna. Nel 1980 non risultava fra i terroristi, ma era già persona attenzionata dalle forze dell’ordine.
Erano state fatte indagini su Kram, al punto tale che venne controllato alla frontiera e venne riconosciuto.
Ci sono pezze d’appoggio a testimoniarlo. Il tedesco presentò regolare patente, e con essa soggiornò a Bologna. Qualcuno ha un minimo di cognizione di chi fosse all’epoca Kram?
Era un falsificatore provetto, in particolare di passaporti. Era talmente bravo a fare questo lavoro che non solo procurava documenti alle Cellule rivoluzionarie, ma addirittura era riuscito a finanziarle con una gigantesca truffa, l’operazione “libretti postali” condotta in Germania.
Ricapitolando: un uomo che può viaggiare il mondo senza essere riconosciuto, che costituisce uno dei canali di approvvigionamento economico della sua organizzazione, viene a compiere una strage – non si sa con quali competenze di esplosivo – decidendo di usare la sua patente, facendosi riconoscere più volte.
A livello logico zoppica un po’ come ricostruzione, non trova?

In molti ribattono: Fioravanti, Mambro e Ciavardini erano ragazzi. Non erano in grado di portare a termine una simile mattanza.
Sono stati cinque gradi di giudizio, durati 15 anni, a stabilire chi furono i responsabili: Valerio Fioravanti e Francesca Mambro.
E anche dal processo a Luigi Ciavardini, si attesta tutto questo. Inoltre, per chi lo dimenticasse, ci sono state condanne anche per quella parte dei servizi segreti deviati legati alla P2. Insomma, c’era un contesto politico più grande.
Il 2 agosto possono avere operato entità che avevano interesse a far sì che ci realizzasse una situazione di quel tipo.

Quale interesse?
A Bologna registriamo gli attentati a treni, gli episodi degli anni ‘70, non dimentichiamo mai l’omicidio di Marco Biagi.
Colpire il capoluogo emiliano ha un grande effetto nell’opinione pubblica. Bologna è un simbolo per la sinistra. La bomba crea le condizioni perché si chieda più ordine, più sicurezza. Chi vuole conservare lo status quo può utilizzare anche lo stragismo.

Altra pista alternativa della quale si discute molto è quella palestinese. Ne ha parlato il Presidente Emerito della Repubblica Francesco Cossiga. L’idea che la detonazione sia dovuta a un carico di esplosivo che le organizzazioni palestinesi stavano trasportando e che scoppiò nel capoluogo emiliano.
Sì, e penso se ne discuterà ancora a lungo, nei prossimi mesi.
Anche su questo, così come su Kram, va fatta una precisazione: i magistrati approfondirono lo spunto già all’epoca, non si tratta di una novità.
E non si approdò a nulla.
Qual è il punto vero: dal ’73 al giugno dell’81 in Italia si è verificato un accordo voluto da Aldo Moro teso a permettere ai palestinesi il transito delle armi, e qualche copertura rispetto alle loro organizzazioni più democratiche, in ragione del fatto che nel nostro paese non ci fossero attentati.
Questo sta scritto nella relazione di cui sono primo firmatario, alla Commissione Mitrokhin. E’ un fatto provato e c’è di mezzo il colonnello Giovannone (ex ufficiale del Sismi, responsabile dei servizi segreti italiani in Libano, ndr).
Sto parlando di atti parlamentari con regolare documentazione a supporto, è chiaro? E nessuno li ha mai contestati.

Dunque ciò che ipotizza Cossiga è possibile?
Come detto le investigazioni ci sono state e non hanno portato risultati. Non solo: un’esplosione del genere avrebbe causato un danno enorme ai palestinesi, avrebbe reso di fatto impossibile il lavoro del nostro governo a favore della loro causa.

In conclusione: che bilancio trae della Commissione Mitrokhin, e perché alcune piste che sviluppò ritornano, ciclicamente, a distanza di anni?

Fu una Commissione nata con uno scopo più politico che di documentazione storica.
Il fatto che il Presidente Guzzanti abbia voluto al suo fianco come consulente questo Mario Scaramella, che ha intrattenuto rapporti con uomini dei servizi esteri, è un fatto sul quale non s’è riflettuto a fondo.
Io penso che si dovrebbe, eccome. Soprattutto perché poi Guzzanti scrive un libro: “Il mio agente Sasha”. Vi sembra così normale questo linguaggio per il Presidente di una Commissione del Parlamento italiano? Il mio agente Sasha? Con riferimento a Litvinenko (ex esponente dell’intelligence russa, poi dissidente, morto a Londra nel 2006 per intossicazione da polonio)? C’è stata, come minimo, più di una forzatura”.

Tutti da buttare, allora, i risultati partoriti da quel gruppo di approfondimento sulle schede dell’ex archivista del Kgb?
No, al contrario, ci fu molto lavoro utile.
L’elemento col quale abbiamo fatto i conti nella Mitrokhin è che le vicende nazionali devono essere sempre inquadrate in un contesto internazionale. Est e ovest, in verità, su quel periodo italiano hanno agito per obiettivi comuni, rispetto al fatto che il mondo di Yalta andava bene ad entrambi.
E, aggiungo, ne abbiamo dedotto che i servizi segreti dell’Est e dell’Ovest – con responsabilità diverse – hanno sempre avuto cognizione di quello che stava accadendo nel nostro paese e che in molti casi hanno, se non favorito, lasciato fare.

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31 luglio 2010

fonte:  http://www.ilsalvagente.it/Sezione.jsp?titolo=Bologna,%20ancora%20depistaggi%2030%20anni%20dopo%20la%20strage%20del%202%20agosto&idSezione=7796

LE MOTIVAZIONI DELLA CORTE D’APPELLO: “G8, i vertici della polizia coprirono la vergognosa condotta dei poliziotti”

LE MOTIVAZIONI DELLA CORTE D’APPELLO

“G8, i vertici della polizia coprirono la vergognosa condotta dei poliziotti”

Due dei più importanti poliziotti italiani, “preso atto del fallimentare esito della perquisizione, si sono attivamente adoperati … concorrendo a predisporre una serie di false rappresentazioni della realtà a costo di arrestare e accusare ingiustamente i presenti nella scuola”

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di MARCO PREVE

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"G8, i vertici della polizia coprirono la vergognosa condotta dei poliziotti"

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Gli alti funzionari della polizia presenti alla irruzione alla scuola Diaz di Genova durante il G8 sono stati condannati dalla Corte d’Appello in base all’articolo 40 del codice penale, perché avevano l’obbligo di impedire le violenze e non lo hanno fatto. E’ quanto emerge dalle motivazioni della sentenza depositate oggi dalla Corte d’Appello di Genova, presieduta da Salvatore Sinagra. Ribaltando la sentenza di primo grado, i giudici avevano condannato il 18 maggio scorso 25 imputati, tra i quali il capo dell’anticrimine Francesco Gratteri (4 anni), l’ex comandante del primo reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini (5 ani), Giovanni Luperi (4 anni), Spartaco Mortola (3 anni e 8 mesi) Gilberto Caldarozzi (3 anni e 8 mesi).

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DOCUMENTI Il testo delle motivazioni (.pdf)
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Luperi e Gratteri, dirigente il primo dell’intelligence e il secondo dell’antiterrorismo, due dei più importanti poliziotti italiani: “preso atto del fallimentare esito della perquisizione, si sono attivamente adoperati per nascondere la vergognosa condotta dei poliziotti violenti concorrendo a predisporre una serie di false rappresentazioni della realtà a costo di arrestare e accusare ingiustamente i presenti nella scuola”. Parole pesantissime e non sono le sole quelle contenute nelle 313 pagine delle motivazioni della sentenza con cui la Corte d’Appello di Genova ha condannato questa primavera, poliziotti e funzionari che effettuarono, coordinarono e gestirono la sanguinosa irruzione nella scuola Diaz trasformata in dormitorio dei no global durante il G8 del 2001 a Genova.

I giudici analizzano poi l’origine del blitz e di nuovo le considerazioni sono inquetanti: “L’esortazione ad eseguire arresti, di per sé considerata, anche fosse indicativa di rimprovero implicito per precedente colposa inerzia, sarebbe stata comunque superflua, essendo in ogni caso gli operatori di polizia giudiziaria tenuti ad eseguire gli arresti nella ricorrenza dei presupposti di legge dettati nel codice di rito…. Ma anche per procedere alla perquisizione non è sufficiente un sollecito da parte del Capo della Polizia, bensì occorre pur sempre il sospetto della presenza di armi illegalmente detenute”. Ancora su Luperi e Gratteri: “Entrambi hanno cercato di sminuire i loro rispettivi ruoli e funzioni nella vicenda in esame, ma sono stati smentiti dalle molteplici circostanze di segno contrario emerse nel processo”.

Le motivazioni della sentenza di secondo grado, contenute in 310 pagine, sono state depositate con anticipo sulla scadenza del 16 agosto che era stata annunciata. Rispetto alla sentenza di primo grado, la novità della condanna in Appello è la responsabilità dei vertici per le violenze e per i falsi atti, come le bottiglie molotov portate dentro la scuola dai poliziotti e poi fatte risultare come prova del possesso di armi da parte degli occupanti. Secondo la Corte d’Appello di Genova, del falso documentale sono responsabili infatti anche i vertici della polizia presenti, non solo i loro sottoposti. Mentre per il Tribunale, unico responsabile risultò Pietro Troiani, la Corte d’Appello ha stabilito che i filmati sono inequivocabili, perchè indicano un conciliabolo tra alti dirigenti della polizia nel cortile della scuola con le bottiglie in mano, e ha stabilito che non potevano perciò non sapere nulla.

Per quanto riguarda le violenze commesse dalle forze dell’ ordine durante l’irruzione, la Corte spiega che Gratteri, Canterini e Luperi erano stati mandati a Genova da Roma per gestire l’ordine pubblico ed erano i più alti funzionari presenti in loco. Erano presenti all’operazione e hanno visto quello che accadeva e poichè erano gerarchicamente sovraordinati potevano intervenire per impedire le violenze. Ma non lo fecero.
E’ questo il passaggio mancato nella sentenza del Tribunale. La Corte, come detto, ha applicato l’articolo 40 del codice penale: non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo.

Dalle motivazioni emerge inoltre che le attenuanti generiche non sono state concesse a molti imputati, come Francesco Gratteri, Vincenzo Canterini e Giovanni Luperi, per la gravità dei fatti commessi da alti funzionari dello Stato che hanno giurato fedeltà e lealtà alle leggi. L’unico ad ottenerle è stato Michelangelo Fournier, ex vice dirigente del reparto mobile di Roma, che ha un certo punto, sebbene con ritardo dice la sentenza, disse basta alle violenze temendo che potesse accadere qualcosa di irreparabile.

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31 luglio 2010

fonte:  http://genova.repubblica.it/cronaca/2010/07/31/news/g8_appello-5978391/?rss

L’AQUILA DAY – IL 31 LUGLIO DIPINGI DI NERO VERDE LA TUA VITA

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L’Aquila, Casa dello Studente

L’AQUILA DAY – IL 31 LUGLIO DIPINGI DI NERO VERDE LA TUA VITA

Draquila L’Italia che trema

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IO NON RIDO E NON DIMENTICO

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Abbiamo sofferto con loro, abbiamo pianto di fronte a quelle piccole bare bianche distanti centinaia di chilometri dai nostri punti di vista, abbiamo sentito la terra tremare sotto i nostri piedi come fossimo stati lì in quei giorni, in quelle ore, in quegli istanti impossibili da dimenticare.
Le immagini delle tv riprendevano solo polvere, detriti, mattoni, pietre e quelle residue tracce di una civiltà sepolta sotto le macerie. E di fronte a quelle immagini devastanti gli occhi di un intero paese si facevano istantaneamente lucidi.
Abbiamo imparato a condividere i lutti di chi è stato costretto a fare i conti con la peggiore perdita: quella di un figlio, di un genitore, di un marito o di una moglie.

Lo sconcerto ed il dolore di un’intera nazione dimostravano quanto fosse impossibile per un’intera popolazione di decine di milioni di persone essere preparati ad una tragedia simile. Figurarsi per una popolazione di alcune decine di migliaia di abitanti racchiusa in una valle nel cuore dell’Abruzzo, quella terra mai avara di gioie e dolori.

Il dramma collettivo di quelle ore si è sposato con una intensissima campagna di copertura giornalistica dell’evento; la scomparsa inaccettabile e prematura di 308 civili non poteva produrre nulla di diverso. All’interesse spasmodico della stampa nazionale si è accompagnata, come spesso accade in questi casi, la sua stessa degenerazione: lo sciacallaggio giornalistico, la tv del dolore, l’apologia dello share della sofferenza. Un pesantissimo prezzo da pagare per poter mantenere viva l’attenzione sulla lenta agonia di una terra desiderosa di rinascere come prima.

Poi l’inesorabile passare del tempo. E con esso, il disinteresse e, in alcuni casi, l’intolleranza verso quelle popolazioni un tempo generatrici di indici d’ascolto entusiasmanti. Appena un anno fa la popolazione dell’Aquila viveva quotidianamente sotto i riflettori, rincuorata giornalmente dalle passerelle di tante autorità prodighe di promesse e desiderose di visibilità. Oggi la popolazione dell’Aquila vive di nuovo sola, sistematasi da sé in alloggi di fortuna. E l’unico segno di attenzione restano il dolore e le cicatrici lasciate sulla testa degli sfollati da un manganello vibrato con forza da un agente di polizia o un soldato dell’Arma o delle Fiamme Gialle in assetto anti-sommossa lungo le vie della capitale.

A Roma si è visto ciò che una nazione civile non dovrebbe mai poter neppure pensare: un popolo di terremotati, coccolati oltre ogni buon senso mesi addietro, abbandonati al proprio destino da parte di autorità politiche e militari pronte ad accoglierle con una ben determinata violenza. E non stiamo parlando solo di quella fisica.

Nella capitale abbiamo assistito a sindaci, deputati ed agenti di polizia aquilani maltrattati, spintonati e colpiti da un cordone di soldati pronti ad eseguire ordini insopportabili. Poliziotti contro poliziotti, politici contro politici, cittadini contro cittadini.
Cittadini colpevoli di aver gridato senza la dovuta ossequiosità che a L’Aquila ancoradecine di migliaia di persone vivono senza un tetto sulla propria testa, che quel “tutti i cittadini hanno avuto una casa in cui abitare” va tradotto come “18 mila cittadini”, che a differenza dei terremotati umbri i cittadini aquilani tornano a pagare i tributi allo stato con 8 anni d’anticipo, che “costruzione” non significa “ricostruzione”, che il costo degli appalti delle “CASE” di Berlusconi e Bertolaso è risultato essere ben superiore al valore commerciale degli stessi, che il “comodato d’uso” è ben differente dal concetto di “regalo” e che la città dell’Aquila allo stato attuale è perfettamente identica alla città che tutti gli italiani hanno osservato in lacrime oltre un anno fa.

La ricostruzione è ferma, le attività stentano a ripartire, molte altre falliscono con il passare del tempo, la disoccupazione è dilagante, centinaia di famiglie restano assiepate negli alberghi della costa abruzzese, gli stessi alberghi sono costretti a sfrattare i corregionali sfrattati perché oramai privi di rimborsi da parte delle autorità commissariali (portando diversi sfollati a divenire ulteriormente “senza tetto”) e la voglia di rinascere, il desiderio di far tornare L’Aquila a volare come un tempo, si scontra bruscamente contro l’assenza di fondi e l’insostenibile lentezza della macchina operativa.

A tutto questo si accompagna il silenzio di chi è chiamato ad offrire soluzioni consistenti seppure impegnative, la concessione di diritti richiesti dalla popolazione a lungo e con ogni mezzo possibile come fosse la magnanima elargizione di un favore non dovuto, il bieco stravolgimento della realtà da parte di una fetta d’informazione pronta ad eseguire i compiti richiesti: l’etichettatura “antagonisti” e “no global” ai manifestanti in quel di Roma, la surreale attribuzione della responsabilità degli scontri agli stessi (“i manifestanti hanno aggredito le forze dell’ordine”), la celebrazione di un miracolo a L’Aquila che non c’è e non c’è mai stato, la capacità di trasformare i doveri fondamentali di un governo (l’attenzione ai problemi di una terra colpita da una grave calamità) in una straordinaria opera di carità da parte di chi non era tenuto ad occuparsi di nulla.

La manifestazione del 7 luglio, e le violenze subite dai manifestanti, hanno riaperto i battenti di un portone che sembrava quasi blindato. La popolazione dell’Aquila ha dichiarato di non essere pronta ad accettare a capo chino ogni decisione, ma che è pronta a lottare fin quando sarà necessario per ottenere ciò che è da ritenersi a tutti gli effetti “un diritto” e non “un privilegio”.

Il 31 luglio L’Aquila, e con essa il resto d’Italia, celebrerà il cosiddetto “L’Aquila Day”, una giornata finalizzata a riportare l’attenzione sulle due tragedie dimenticate, quella del sisma e quella del post-sisma. A L’Aquila si terrà una manifestazione nazionale alle ore 15 a Piazza D’Armi. Nel resto d’Italia a dimostrazione della solidarietà e dell’adesione all’evento è stata richiesta l’esposizione dei colori dell’Aquila, il nero ed il verde.

La quantità di colore che popolerà le vie, gli spazi in rete, i fogli di giornale e i pizel sugli schermi potrà essere determinante e segnare il confine tra una vicenda da cronaca locale ed una questione di rilevanza nazionale. Il futuro dell’Aquila oggi è anche nelle mani dei cittadini non terremotati.
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fonte: http://alessandrotauro.blogspot.com/

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P3 – “Scusi, il detenuto Balducci?” “In piscina”

Ecco il detenuto Balducci

Il capo della cricca è agli arresti domiciliari. Sapete dove? Nella sua megavilla con piscina di Montepulciano. Quella che secondo i pm è la prova della corruzione. Ristrutturata gratis dall’imprenditore Anemone

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di Gianluca Di Feo

29 luglio 2010

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Ci sono privilegi che sembrano resistere a tutto, come se fossero indistruttibili. E finora non si era mai visto un detenuto che si gode il corpo del reato. Non un recluso qualsiasi, ma Angelo Balducci: l’uomo accusato di avere creato e diretto la cricca che per un decennio ha pilotato tutti i grandi appalti d’Italia, dal Giubileo al G8. Quelle che vedete qui sono le foto degli arresti domiciliari di Balducci. Il tribunale di Roma lo ha scarcerato il 12 luglio, concedendogli di restare in custodia cautelare nella sua dimora di Montepulciano.

Lì l’ingegnere sessantaduenne trascorre le giornate tra tuffi in piscina, relax all’ombra, ginnastica nei viali e bagni di sole. Ma soprattutto, caso unico nella storia giudiziaria italiana, se la spassa grazie a quello che i magistrati ritengono sia frutto della corruzione. Nel mandato di cattura a Balducci vengono contestati proprio i lavori di quella villa: ottenuti senza pagarli dal costruttore che lui aveva reso ricco con i contratti delle grandi opere e della Protezione civile. Per i giudici quella terrazza in cui si abbronza e altre sale della tenuta toscana sono in realtà tangenti, strumenti di corruzione elargiti da Diego Anemone per foraggiare il potente protettore che lo colmava di appalti.

Di quella dimora Anemone curava ogni aspetto e risolveva qualunque problema. L’aveva in parte ristrutturata; pagava lo stipendio della coppia di custodi romeni; aveva speso 28 mila euro per uno dei macchinari del parco, aveva regalato parecchi mobili; si occupava persino di riparare l’ormai celebre sciacquone che tormentava la signora Balducci: “Perde acqua e a me è venuta una bolletta spaventosa, una bolletta dell’acqua da 1.200 euro…”. Un rapporto così stretto che l’operaio incaricato da mister Anemone di consegnare un divano e due poltrone la chiamava al telefono “la casa del capo”.

E proprio in quella magione incastonata in uno degli scorci più belli della campagna toscana, a pochi chilometri dal borgo di Montepulciano, circondata dalle dolci colline che fanno da sfondo ai capolavori della pittura rinascimentale, Balducci ha ottenuto di proseguire i suoi arresti. Se mai venisse riconosciuto colpevole, ognuna delle giornate passate in piscina varrà come un giorno di carcere già scontato: tecnicamente si chiama “presofferto”, anche se quella villa sembra tutto tranne un luogo di sofferenza.

La detenzione non dovrebbe esserlo mai. La Costituzione non prevede che il carcere sia una punizione, ma un luogo di rieducazione per reinserire nella società chi ha violato le leggi. Invece la situazione dei penitenziari italiani è disastrosa: migliaia di persone sono costrette a vivere in condizioni disumane, indegne di un paese civile. Sovraffollamento, igiene trascurata, assenza di servizi, impossibilità di svolgere qualunque attività hanno reso le prigioni del nostro paese una vergogna che distrugge ogni speranza: dall’inizio del 2010 già 39 reclusi si sono uccisi.

La maggioranza dei detenuti in Italia è in attesa di giudizio: non ha ancora subito una condanna definitiva. E una parte rilevante della popolazione che vive queste settimane nell’afa di carceri spesso vecchie di secoli è in “custodia cautelare”, come Angelo Balducci. Per loro gli arresti dovrebbero essere soltanto uno strumento preventivo: un modo di impedire che depistino le indagini, fuggano all’estero o compiano nuovi reati. Vanno isolati dai complici, per evitare che si mettano d’accordo e inquinino le prove, e bisogna che siano tenuti sotto controllo perché non si diano alla latitanza.

Soprattutto nel caso dei reati tipici dei colletti bianchi, come la corruzione e la turbativa d’asta, si tende a concedere in fretta gli arresti domiciliari. E Balducci ha potuto lasciare il carcere dopo quattro lunghi mesi di cella. Ma la decisione del Tribunale del Riesame di Roma, a cui la Cassazione ha assegnato l’inchiesta sulla cricca togliendola ai magistrati di Firenze, sorprende per i modi.
In passato le vicende di detenuti eccellenti mandati ai domiciliari in tenute hollywoodiane avevano provocato polemiche serrate.

Ai tempi di Mani Pulite e delle retate quotidiane molti imprenditori avevano preso la residenza in riva al mare o in fazende bucoliche proprio per dirottarvi eventuali arresti.

Nel luglio 1994 quando la scoperta delle mazzette ai finanzieri aveva scatenato un’operazione con oltre cento top manager e magnati immediatamente trasferiti alla custodia in casa, più d’uno cercò di farsi sistemare nel modo migliore possibile. Paolo Berlusconi, ad esempio, ottenne i domiciliari nella villa di Porto Rotondo, non lontano da quella del fratello presidente del Consiglio. Le polemiche provocarono lo spostamento in altra sede lombarda, non meno lussuosa ma di sicuro più calda. Anche un altro celebre fratello, Antonino Ligresti, che possedeva cliniche e hotel, ottenne di restare in una fattoria con maneggio nelle colline laziali. La questione della detenzione in villa si è riproposta poi nell’agosto 2008 con Danilo Coppola. Il furbetto del quartierino era passato da Rebibbia alla casa della madre, nella borgata Finocchio annegata tra i palazzoni della periferia capitolina. Poi i magistrati di Roma gli permisero di andarsene a Punta Volpe, l’angolo più in di Porto Rotondo, ospite di un gioiello affittato (pare a 100 mila euro il mese) dall’ex numero uno della Volkswagen. All’epoca questa destinazione molto esclusiva era stata concessa per permettere al presunto bancarottiere di trascorrere un periodo con i tre figli piccoli: motivazione nobile, che però aveva provocato proteste e petizioni popolari Web perché accolta come un privilegio.

Ma la vacanza agli arresti di Balducci non ha nulla a che vedere con le polemiche del passato. A colpire non è il fatto che un detenuto ottenga di scontare i domiciliari nel lusso.

La villa di Montepulciano conta 13 vani e una superficie catastale dichiarata di 289 metri quadrati. Ma al complesso principale bisogna aggiungere altre due dependance, che portano a 24 i locali a disposizione. C’è tutto quello che serve per passare momenti di grande relax: la piscina, con la terrazzona verandata e il salone con il biliardo. Il parco con le querce e il lungo viale che unisce alla strada principale. E dalle intercettazioni sembra che di spazi ne abbia molti altri ricavati dalla trasformazione di ambienti di servizio: come il cantinone, “la vecchia cantina dove mangiavano, dove abbiamo fatto la ristrutturazione davanti al camino”.

A parlare è Diego Anemone, realizzatore di quegli interventi che non risultano mai essere stati pagati. Ecco, questo è lo snodo: non il fasto della villa, ma il fatto che essa stessa sia frutto del reato per cui Balducci si trova agli arresti domiciliari. L’ordine di custodia firmato dal gip fiorentino Rosario Lupo le definisce “utilità ricevute per compiere atti contrari ai propri doveri d’ufficio” ed elenca proprio lavori e manutenzione della magione di Montepulciano, le forniture di mobili fatte consegnare lì, la coppia di custodi romeni assunti e stipendiati. Custodi che poi vengono cacciati “perché la signora Balducci è scontenta e io lì devo mettere uno che mi fa l’interessi nostri”, come urla Anemone al telefono.

Eppure l’ex numero uno di tutti gli appalti riesce a scontare la sua detenzione proprio lì. Come se a un ladro d’auto venisse permesso di girare con la vettura che ha rubato o a un rapinatore di spendere i soldi del bottino. Un privilegio unico.

Sin dal momento dell’arresto Balducci ha sempre respinto le contestazioni. Alla lista iniziale di accuse (che comprende automobili per tutta la sua famiglia, ristrutturazione e arredi della casa del figlio, lavori nella sua residenza romana, gite e voli inclusa una trasferta in idrovolante a Capri) ha replicato che comunque lui era ricco e non aveva bisogno di doni. In effetti l’ingegnere ha denunciato redditi annuali per 2 milioni e mezzo di euro: solo 175 mila provengono dallo stipendio, il resto sono soprattutto compensi per collaudi delle grandi opere, ossia degli appalti che in qualche modo influenzava.

Il risultato di una carriera nei lavori pubblici cominciata proprio a Siena nel lontano 1978, ottenendo la guida del genio civile in una provincia che non era ancora diventata il paradiso delle vacanze di charme. C’è rimasto sette anni, prima di scalare gli uffici che arbitrano gli appalti: provveditore alle opere pubbliche in Piemonte, poi in Lombardia e nel Lazio. Negli anni Novanta dal ministero tesse una ragnatela di potere che unisce tutti gli apparati statali e i costruttori, con anche la benedizione vaticana che lo vede insignire del titolo di Gentiluomo di Sua Santità. Balducci è apprezzato a destra e sinistra, è quello che nel labirinto delle procedure burocratiche per concorsi e cantieri riesce sempre a trovare una strada: lo descrivono come una sorta di garante, che sa mantenere la parola data e fa in modo che nessuno resti scontento.

Il suo trionfo arriva nel 1999, quando il sindaco di Roma Francesco Rutelli gli affida il completamento dei progetti per il Giubileo. Lui risolve tutto e apre una stagione d’oro di commissariati straordinari: il bengodi, che permette di affidare le opere senza gare e spesso senza limiti di spesa. Una pratica fuori controllo che ha riempito l’Italia di edifici inutili o infrastrutture senza senso, fino al capolavoro della Maddalena rimessa a nuovo per il vertice del G8 che non ha mai ospitato: mezzo miliardo di euro buttati via. È il sistema creato da Balducci e gestito nell’ultimo decennio dalla Protezione civile di Guido Bertolaso. All’ombra del quale, come protestava uno dei palazzinari esclusi, si era arricchita “una cricca di banditi”.

L’inchiesta della Procura di Firenze e dei carabinieri del Ros ha mostrato il volto della cricca: mazzette, case, automobili, viaggi e persino prostitute concesse per impadronirsi di contratti milionari. Le intercettazioni hanno fatto emergere una rete di corruzione capace di condizionare le nomine dei funzionari chiave e manovrare gli appalti in tutta Italia, distribuendo soldi e favori alla classe politica o entrando in affari con alcuni parlamentari, come Denis Verdini, coordinatore Pdl ma anche banchiere fiorentino.

Di tutta la storia della cricca la vicenda più sorprendente è quella della coppia Balducci-Anemone, che ha permesso allo sconosciuto impresario edile e falegname di Settebagni di diventare una delle persone più importanti della capitale, capace di essere ricevuto in tutti gli uffici che contano e pronto a rimettere a posto o sovvenzionare appartamenti e studi dei potenti, dal ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi alla casa di Claudio Scajola con vista sul Colosseo.

Quando si presentava a generali, prefetti e sottosegretari, Diego Anemone esordiva sempre con la frase “Balducci le fa sapere che sta bene”. Per il costruttore, l’ingegnere era “il capo” a cui non far mancare mai nulla. Persino la “mortazza che era bbona”, ossia la mortadella consegnata nella villa di Montepulciano e consumata nel cantinone da lui ristrutturato. Quel cantinone e gli altri 22 vani dove adesso “il capo” è al fresco, come si diceva giocando a guardie e ladri: al fresco come nessun altro detenuto italiano è mai potuto stare.

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29 luglio 2010

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fonte:  http://espresso.repubblica.it/dettaglio/ecco-il-detenuto-balducci/2131660

Contro B. Fini può vincere / Povero Pdl, che brutta Fini

Contro B. Fini può vincere

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https://i0.wp.com/www.ilfattoquotidiano.it/wp-content/themes/ilfatto/img/autori/PDarcais-thumb.jpgPaolo Flores d’Arcais
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Ai suoi “alleati” Berlusconi chiede solo tre cose: credere, obbedire, combattere. Il vero fascista è lui. Per Berlusconi non esistono alleati: o sei un servitore o sei un nemico. Per Berlusconi non esistono lo Stato e le sue istituzioni: esistono solo le sue proprietà, governo compreso.

Il paradosso è che contro Berlusconi oggi sono schierate – speriamo sempre più efficacemente – persone che nel Msi stavano all’estrema destra, con Rauti, mentre l’ex-Pci sta a cuccia sotto le ali dell’ex-giovane di bottega di Forlani (ricordate il Caf?), Pierferdinando Casini. E quattro chiacchiere di quattro Serracchiani non cambieranno un bel nulla, fino a che non si trasformano in opposizione-rottura nei confronti dei D’Alema e Veltroni (e relative controfigure).

Contro Berlusconi Fini può perfino vincere. Se davvero manterrà la promessa intransigenza sulla legalità. Perché allora si presenteranno a bizzeffe i provvedimenti berlusconiani che della legalità fanno strame, su cui sarà costretto a far cadere il governo. A quel punto dovrà scegliere tra governissimo, cioè mega-inciucio, e governo di lealtà costituzionale, che tolga a Berlusconi il maltolto, l’etere televisivo che è di tutti e che Berlusconi grazie a Craxi ha espropriato annettendolo a Villa Certosa. Speriamo che Fini non si faccia consigliare da D’Alema, e segua solo la logica. Ho detto “speriamo”: non è una previsione, è una possibilità, che l’azione della società civile democratica – se riprenderà le lotte – può rendere meno improbabile.

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30 luglio 2010

fonte:  http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/07/30/contro-b-fini-puo-vincere/45972/

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lettera al direttore de l’Espresso

Povero Pdl, che brutta Fini

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Cara Rossini,

il mese di agosto è solitamente inteso anche politicamente “balneare”, nel senso che buttandoci tutti a mare si dimenticano i problemi del Paese e da noi si usa dire “Crà se pens” (domani si pensa). Ma questa volta, proprio alla vigilia del periodo balneare si è scatenato un uragano politico che ci costringerà a nuotare in acque agitate con la bandiera rossa che sVendola su tutte le spiagge.
Dunque, è successo che m’ero comprato un bel pantaloncino da mare per farmi lunghe nuotate, ma a quanto vedo, la situazione è alquanto burrascosa. Io vorrei un po’ soffermarmi su ciò che ha combinato Berlusconi. Possibile che un furbacchione come lui non abbia valutato attentamente ciò che ha deciso di fare ?

Quel marpione di Silvio ha scompaginato ogni cosa per evitare che tutta l’estate si parlasse di Scajola, Brancher, Verdini, Cosentino e cricca bella. Adesso tutti metteranno da parte questi nomi, dimenticandoseli (ci siamo già dimenticati di Bertolaso), e cominceranno a dedicarsi al nuovo quadro politico. In particolare si parlerà di chi entrerà in “Futuro e Libertà”, se nel movimento avrà un ruolo importante anche Montezemolo e se Di Pietro e Casini daranno una mano a Fini ad amalgamarsi con loro. Su Francesco Spacca-Rutelli non so’ esprimermi, essendo lui di provenienza radicale non mi meraviglierei se prendesse il posto di Capezzone il quale prenderebbe il posto di Taradash, il quale …
La questione più interessante sarebbe l’isolamento di Bossi circondato soltanto da nemici. Tolto Berlusconi che gli è amico per interesse, non ce ne sono altri nemmeno all’interno del PdL. Il Federalismo lo si può tranquillamente archiviare insieme alla legge-bavaglio. Il povero Bossi, dopo aver sollevato entrambi “i diti” medi, dovrà alzare bandiera bianca al posto della verde. Se avesse continuato a rispettare il tricolore, avrebbe avuto una maggiore gamma di colori per dipingere il quadro politico.

Se dovessimo andare a nuove elezioni mi dispiacerebbe non vedere più la faccia di Schifani sagomata a mo’ di frate Cionfoli. Don Renato tornerebbe di nuovo ad indossare i panni di Sandokan per difendere a spada tratta il suo Silvio. E Ciquit ? Ciquit lo vedo proprio male, e ciò, già da diverse settimane, a stare dietro a Berlusconi ha perso parecchi capelli e quelli rimasti sono sempre spettinati come se uscisse ogni volta da bara-onde furiose. Il povero Bondi dopo aver preparato la relazione-filippica contro l’epurazione della banda Fini dovrà vedersela con la sua vita privata, non vede il figlio dodicenne da mesi ma è il figlio che non vuol vedere lui. Bondi non è come Bossi, Bossi i figli se li porta sempre appresso mentre Bondi appresso si porta i problemi di Berlusconi. E che dire di Rotondi che si è fatto un culo quadrato per tenere tutti uniti ed alla fine si è ritrovato con un pugno di mosche in mano. Di chi fossero quelle mosche non si sa, si sa solo che dopo la riunione dell’epurazione di Fini e camerati, Berlusconi ed altri si sono recati ad una sua festa (di compleanno ?) e dopo aver mangiato e bevuto tutti se ne sono andati senza sapere quale fosse l’oggetto della festa.

Gasparri e La Russa sono spariti dalla circolazione. I due sono contenti di non dover più avere a che fare con Fini, ormai il loro idolo è Berlusconi e lo seguiranno sino alla sua capitolazione, loro sono bravi a ricapitalizzarsi, basta ancorarsi a qualche buon partito (non a partito buono) che assicuri loro di tirare bene a campare. Sono infine preoccupato per Lupi. A settembre riprendono Anno Zero e Ballarò e da solo sarà costretto a metterci la faccia per giustificare tutti i furti e gli intrallazzi della cricca. Eravamo rimasti a Scajola e in quell’occasione Lupi si appoggiò al fatto che il buon Claudio si era comunque dimesso per difendere la sua credibilità. Ma Verdini non ne vuol sapere di dimettersi.

Povero PdL, chi l’avrebbe detto che avrebbe fatto questa brutta Fini.

Salva Tores

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fonte:  http://lettere-e-risposte.blogautore.espresso.repubblica.it/2010/07/30/povero-pdl-che-brutta-fini/


UMBRIA – Sovvenzione regionale di 100.000 euro agli oratori cattolici

Sovvenzioni regionali agli oratori. Buconi: “interventi fuori luogo, si pensi piuttosto alle famiglie”

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“In un periodo di pesanti tagli ai trasferimenti operati dal Governo centrale con la legge finanziaria e di fronte alla eccezionale crisi economica, occupazionale e sociale che sta interessando anche la nostra Regione, appare del tutto fuori luogo la possibile elargizione – da parte della Regione dell’Umbria – di un contributo di 100.000 euro in favore degli oratori cattolici sparsi sul territorio.”

E’ questa la posizione espressa da Danilo Buconi, consigliere comunale di Monteleone d’Orvieto, capogruppo “Alleanza di Cittadini per Monteleone” in merito alla possibilità di finanziamenti destinati agli oratori della Regione.

“Operando in tal senso, – continua Buconi, – non solo si offendono i principi di laicità dello Stato contenuti nella Costituzione della Repubblica Italiana ma, peggio ancora, si offendono tutte quelle famiglie umbre costrette a far fronte quotidianamente a problemi occupazionali, sociali ed economici, a beneficio delle quali si sarebbero potuti meglio investire i 100.000 euro destinati agli oratori. Mi auguro che tutte quelle forze politiche che hanno a cuore la laicità dello Stato e il sostegno sociale vero e che sono presenti in Consiglio regionale, sappiano esprimere tutto il proprio dissenso verso questa iniziativa della Giunta regionale, anche attraverso la presentazione di un apposito atto di indirizzo, di contrarietà e per la sospensione della Delibera di Giunta in questione, da sottoporre al voto dell’intera assise regionale.”

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30 luglio 2010

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fonte:  http://www.orvietonews.it/index.php?page=notizie&id=25205&data=1280507400