Archivio | agosto 2009

ASCOLI PICENO – Non è ancora settembre, ma per Manuli è già chiusura / Manuli, cani antisommossa per chiudere la fabbrica “in pace”

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Primo giorno di lavoro, impiegati convocati per le 8 e operai alle 14, ma i cancelli della fabbrica restano chiusi, perché la produzione non riprenderà. È successo oggi nello stabilimento di Ascoli Piceno della Manuli Rubbers Industries (tubi idraulici), che il 3 agosto scorso aveva messo in mobilità tutti i 375 dipendenti.

A comunicare al vice prefetto che l’azienda non intende riprendere l’attività è stato l’amministratore delegato. La chiusura però, nelle intenzioni dell’azienda che il 3 agosto ha messo in mobilità 375 dipendenti, è destinata ad essere definitiva. In un incontro in prefettura, convocato dalle istituzioni locali, il responsabile del personale del gruppo Roberto Grandi ha ribadito al presidente della Provincia Piero Celani, al sindaco Guido Castelli e ai delegati della Rsu che la Manuli entro ottobre chiuderà l’intero settore dei tubi idraulici, mantenendo solo quello Oil Marine per i tubi destinati alla conduzione del petrolio e che occupa una quarantina di dipendenti.

Il taglio riguarda i 375 operai della fabbrica ascolana, ma fa parte di una politica complessiva di ridimensionamento dei 32 stabilimenti della Manuli nel mondo che porteranno la forza lavoro del gruppo da 3.000 a 1.600 unità. Un ridimensionamento dovuto alla crisi mondiale che riguarda un settore privo di commesse in Europa.

Unico spiraglio, «la più ampia disponibilità» dell’azienda ad utilizzare gli ammortizzatori sociali. Grandi ha prospettato la cassa integrazione straordinaria, il presidente della Provincia ha suggerito quella ordinaria per due anni. «Purtroppo siamo davanti ad una freddissima, ma puntuale analisi economica» ha commentato il vice prefetto Marisa Marchetti. Se ne saprà di più nell’incontro del 4 settembre a Roma, presso la Confindustria nazionale: un appuntamento che servirà «a riallacciare i rapporti sindacali e vedere come gestire la drammatica situazione» ha osservato Filippo Quaglietti, delegato dell’Ugl nella Rsu.

Dall’annuncio della mobilità, infatti, ricorda Giuseppe Tomassini, della Cgil, «non ci sono stati più contatti con l’azienda, neppure la comunicazione che oggi la fabbrica non avrebbe riaperto». Intanto, nel pomeriggio è proseguito il sit in dei dipendenti davanti allo stabilimento.

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31 agosto 2009

fonte:  http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2009/08/Manuli_Rubbers_chiusura.shtml?uuid=6dc8b2ba-964f-11de-aa29-2fda52825f06&DocRulesView=Libero

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Manuli, cani antisommossa per chiudere la fabbrica “in pace”

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di Anna Maria Bruni

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Lunedì 31 Agosto 2009 18:05

Nessun rientro per i 375 dipendenti in presidio dal 2 agosto. Oggi, primo giorno di lavoro senza aver ricevuto alcuna comunicazione, hanno trovato i cancelli chiusi. Soltanto un cartello affisso sui cancelli, che avvisa della presenza di “unità cinofile” all’interno

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ROMA – “Oggi 28 agosto 2009 alle 6:00 i bodyguards all’interno dello stabilimento hanno introdotto dei cani antisommossa.

Il fatto è accaduto a soli 3 giorni della riapertura prevista per lunedì 31 agosto dello stabilimento. Hanno anche affisso dei cartelli (vedi foto) che informano della presenza degli stessi. Qual è lo scopo dell’azienda? A meno di qualche colpo di testa, sicuramente prima di lunedì non ci sarà la “temuta occupazione”!!! Di cosa hanno paura? Oppure è in programma la NON riapertura? In mattinata, poi, gli addetti alla mensa hanno rifornito i frigoriferi con alimenti necessari almeno per preparare pasti per lunedì, inoltre è giunta voce che una ditta esterna è attesa per le ore 8:00 del 31 agosto per reinstallare le valvole del vapore che erano state tolte per manutenzione. Ancora atteggiamenti discordanti che portano a mille diverse conclusioni….” firmato, “Presidio Manuli”.

Questo è l’ultimo inserimento nel blog dei lavoratori del presidio della Manuli (http://presidiomanuli.blogspot.com/) l’azienda di Ascoli Piceno che il 2 agosto scorso ha aperto la procedura di mobilità per i 375 dipendenti. A fianco al comunicato, un sondaggio: “Secondo voi la Manuli  il 31 agosto riapre?” Risposte: 37 sì, 68 no. Che questa mattina hanno trovato conferma nei cancelli chiusi. La fabbrica non ha riaperto. Senza dare alcun avviso, se non quel cartello di cui parla il comunicato, che dice “Attenzione, area protetta da unità cinofile”. Dall’esperienza Innse imparano anche i padroni, evidentemente. Sapendo quel che stavano per fare, hanno pensato bene di mettere le mani avanti. Sconcertante dover constatare che i lavoratori sono messi nelle condizioni di tentare di dedurre quel che succederà dalle “manovre” intorno alla fabbrica, o dalle voci, privati delle informazioni necessarie sul loro futuro, e messi in condizione di “non nuocere”.

Giunti al primo giorno di lavoro dopo le “ferie”, che i lavoratori hanno trascorso in presidio permanente davanti alla fabbrica, operai e impiegati hanno trovato i cancelli chiusi, e hanno saputo che la produzione non riprenderà. Dopo la secca comunicazione che l’amministratore delegato ha dato al vice-prefetto, si è svolto un incontro con i sindacati e le Rsu, convocato dalle istituzioni locali, nel corso del quale il responsabile del personale del gruppo Roberto Grandi ha ribadito al presidente della Provincia Piero Celani, al sindaco Guido Castelli e ai delegati della Rsu che la Manuli entro ottobre chiuderà l’intero settore dei tubi idraulici, mantenendo solo quello “Oil Marine” per i tubi destinati alla conduzione del petrolio e che occupa una quarantina di dipendenti. Il taglio riguarda i 375 operai della fabbrica ascolana, ma fa parte di una politica complessiva di ridimensionamento dei 32 stabilimenti della Manuli nel mondo che porteranno la forza lavoro del gruppo da 3.000 a 1.600 unità. Un ridimensionamento dovuto alla crisi mondiale che riguarda un settore privo di commesse in Europa, secondo l’azienda. Di diverso parere la Filcem Cgil. Secondo il segretario Ubaldo Falciani, “Non si può dire di dismettere lo stabilimento di Ascoli perché il mercato non c’è più. La concorrenza sta soffrendo la crisi molto più di Manuli – afferma Falciani – quindi se si tiene botta ora, l’impresa può diventare leader mondiale dopo”.

Attestati sulla risoluzione dell’azienda sembrano invece le istituzioni locali. “Purtroppo  – sostiene il vice prefetto Marisa Marchetta – siamo davanti ad una freddissima, ma puntuale analisi economica”. Che in realtà non riguarda il mercato, ma il costo del lavoro se, come chiarisce il “piano industriale”, l’azienda vuole delocalizzare in Cina.

Al momento comunque la discussione è sulla cassa integrazione. Grandi prospetta la cig straordinaria, mentre il presidente della Provincia propone quella ordinaria per due anni. Nel frattempo è stato convocato un tavolo per il 4 settembre presso la sede nazionale di Confindustria. Intanto, prosegue il presidio dei lavoratori davanti allo stabilimento.

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fonte:  http://www.dazebao.org/news/index.php?option=com_content&view=article&id=6331:manuli-cani-antisommossa-per-chiudere-la-fabbrica-in-pace&catid=54:lavoro&Itemid=176

Ancora sul tetto le insegnanti precarie. E a Napoli occupato l’Ufficio scolastico

Continua il presidio delle sette docenti precarie di Benevento, con almeno 10 anni di insegnamento alle spalle, mentre la protesta dilaga

L’ex ministro Fioroni: “Docenti trattati come parcheggiatori abusivi”

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La protesta delle prof precarie di Benevento (Ansa)BENEVENTO, 31 agosto – E’ andata avanti anche stanotte  la protesta delle sette professoresse precarie che da sabato sono salite sul tetto dell’Ufficio scolastico  di Benevento per protestare contro i tagli nella scuola previsti dal decreto Gelmini.
Le manifestanti hanno ricevuto molti attestati di solidarietà da sindacati e no-global, che appoggiano la protesta. ‘’La forma di protesta delle sette precarie avrebbe meritato di piu’ – afferma la Cgil – Dove sono i 500 precari senza lavoro? Dove sono le famiglie di questi lavoratori? Dove sono i Sindacati che dicono di sostenere le lotte dei precari? Dove sono i Dirigenti scolastici che per i tagli rischiano di non aprire le scuole?”, chiede polemicamente il sindacato.

PROTESTE ANCHE A NAPOLI

Proteste anche a Napoli, dove un gruppo di una cinquantina di docenti precari a Napoli ha occupato la sala d’attesa dell’Ufficio scolastico regionale in via Ponte della Maddalena.
I precari facevano parte di un corteo di prostesta estemporaneo organizzato anche dai Cobas per i tagli al personale docente e amministrativo che in Campania tocca oltre 8mila posti di lavoro. Bloccate da oltre un’ora le attività di immissione in ruolo dei docenti. Una donna, tra le persone in attesa dei decreti di immissione in ruolo, ha avuto un leggero malore per il caldo. Sul posto la polizia.

La Digos ha anche identificato diversi manifestanti. Al momento, i precari continuano a protestare all’esterno della struttura.

L’ATTACCO DELL’EX MINISTRO FIORONI

I precari non sono parcheggiatori o esercenti abusivi di una professione, ma docenti che per anni hanno istruito i nostri figli. Così Giuseppe Fioroni, responsabile Educazione del Pd, ha rilanciato sul tema insegnanti precari intervenendo alle Feste del Pd. “La Gelmini ha applicato una parte della delega votata dal Parlamento con il governo Prodi che mira alla riforma del sistema di formazione degli insegnanti e insieme del sistema di reclutamento – ha aggiunto Fioroni – Peccato però che noi avevamo posto una premessa che era anche una pregiudiziale, di cui si è persa traccia, e cioè che per voltare pagina nella scuola occorre innanzitutto dare una risposta definitiva ai precari, a chi da decenni aspetta in quelle terribili liste”.

Sempre con il precedente governo, «avevamo previsto nel libro bianco di dare una risposta a chi era in quelle liste entro il 2013 e, contemporaneamente, di dare il via ad una seria riforma del reclutamento che bandisse dalle scuole il precariato chiudendo le graduatorie permanenti e aprendo quelle ad esaurimento – ha proseguito Fioroni – È inutile, oltre che dannoso fare solo un abbozzo dei sistema della formazione senza risolvere il problema delle graduatorie permanenti e soprattutto senza una riforma del sistema di reclutamento».

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fonte:  http://quotidianonet.ilsole24ore.com/2009/08/31/224841-ancora_tetto_insegnanti_precarie.shtml

Liste di baby-escort nelle scuole milanesi: Il proprio corpo in cambio di un iPod

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Elenchi di numeri che circolano via internet o sui cellulari di qualche ragazzo, che ne contatta una via sms e le dà appuntamento in un angolo appartato della scuola

Lì, poi, avviene lo scambio di atti sessuali con oggetti di pregio

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Milano, 31 agosto 2009 – Concedere il proprio corpo a 15 anni per avere l’ultimo modello dell’iPod o dell’iPhone. Succede nelle scuole milanesi, senza distinzione tra i prestigiosi licei del centro e gli istituti professionali della periferia, tra le scuole pubbliche e quelle private.

Ci sono le liste di baby-escort che circolano via internet o sui cellulari dei ragazzi, il ragazzino ne contatta una via sms e le dà appuntamento in un angolo appartato della scuola. Rigorosamente al di fuori dell’intervallo quando l’attenzione di docenti e personale scolastico è più alta.

E’ più o meno questa la prassi diffusa nelle scuole del territorio milanese su cui ha fatto scattare l’allarme l’ambulatorio per le vittime del bullismo del Fatebenefratelli, il primo esempio in Italia di osservatorio pubblico sul mondo giovanile.

La prima segnalazione si è avuta nel 2008, ma è nel corso di quest’anno che il fenomeno ha assunto una rilevanza preoccupante con 12 segnalazioni giunte dagli adolescenti in cura presso la struttura milanese.

“Quasi mai un adolescente viene da noi per denunciare questi episodi – spiega il professor Luca Bernardo responsabile dell’ambulatorio – noi abbiamo avuto notizie di questi episodi attraverso alcuni adolescenti che volevano uscire da storie di bullismo e alcol. E’ molto difficile che a quell’età parlino di sessualità”.

Finora, dalle testimonianze raccolte tra gli adolescenti, non si sono scoperti episodi di sesso in cambio di denaro, mentre è prassi ‘ricambiare’ la prestazione con oggetti di valore come può essere un lettore mp3.

“Si tratta – racconta il professor Bernardo – di uno scambio di atti sessuali tra ragazzi in cambio di oggetti di pregio che una volta sono l’i-pod un’altra un capo di abbigliamento firmato. Per ora non ci sono segnali di giri di denaro: stanno molto attenti a non entrare nell’illegalità”.

E non si provi a relegare il sesso a scuola, ennesima espressione del disagio giovanile, come un fenomeno di degrado sociale. Perchè dalle testimonianze raccolte dall’ambulatorio milanese emerge l’analisi di un fenomeno socialmente trasversale: le segnalazioni riguardano tanto i prestigiosi licei del centro quanto gli istituti più periferici, nè c’è distinzione tra la scuola pubblica e quella privata.

“Lo fanno per noia, per apparire, per voler essere sempre più oggetto del desiderio – prosegue il medico – di sicuro non sono storie di degrado. E nessuna scuola può chiamarsi fuori”.

Per questo è necessario uno sforzo corale da parte di istituzioni, scuole e famiglia per affrontare con gli adolescenti un tema come quello della sessualità. In particolare le “famiglie hanno il compito primo di parlare con i figli di questi argomenti – dice Bernardo – non è facile: spesso le ragazzine hanno un doppio abbigliamento, riescono a tenere nascosti ai genitori indumenti intimi piuttosto che scarpe molto vistose. Certo i segnali ci sono: magari abbandonano lo sport, o cominciano ad avere disturbi legati all’alimentazione”.

Il problema è che in alcuni casi i genitori preferiscono chiudere un occhio, fiduciosi che una volta superata l’adolescenza il problema svanisca. “Noi abbiamo parlato con i genitori – spiega ancora il medico – alcune famiglie avevano avvertito qualcosa, ma molte altre non volevano crederci o ci sono apparse addirittura infastidite come nel caso di una famiglia della Milano bene che ci ha chiesto esplicitamente di stare fuori dalla loro vita privata. Noi ci sentiamo solo di dire che quando si hanno delle avvisaglie è fondamentale parlare con i ragazzi e non soprassedere”.

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fonte:  http://quotidianonet.ilsole24ore.com/2009/08/31/224984-liste_baby_escort_nelle_scuole_milanesi.shtml

INCREDIBILE MA VERO – Torna in classifica Vera Lynn, star della seconda guerra mondiale / We’ll Meet Again Vera Lynn

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La novantaduenne cantante inglese scalza Eminem e U2 dalla hit parade

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LONDRA
Era «la ragazza dei soldati»,
viaggiava chilometri, magari rischiando la vita, per rallegrare i giovani britannici e non solo, impegnati al fronte durante la seconda guerra mondiale. Oggi a 92 anni, dopo più di 50 anni di assenza, Vera Lynn ritorna in classifica, diventando la cantante vivente più anziana a entrare nella top 20 degli album britannici più venduti.

“We’ll meet again – The very Best of Vera Lynn”, che ripercorre il meglio della sua carriera, è in uscito in questi giorni per celebrare il 70/o anniversario dall’entrata in guerra della Gran Bretagna contro la Germania. L’album è balzato tra i primi 20, scalzando Eminem e gli U2, dimostrando che i britannici ricordano ancora il calore della voce di Dame Vera. Quando ha saputo la notizia, la signora Lynn si è detta felice di essere di nuovo in classifica dopo tanti anni. «Le mie canzoni ricordavano ai ragazzi quello per cui stavano davvero combattendo – ha detto Lynn in un’intervista qualche mese fa – Non solo ideali, ma quello che di prezioso avevano nella loro vita personale. Li avvicinavo un pò a casa».

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31 agosto 2009

fonte:  http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/spettacoli/200908articoli/46854girata.asp

We’ll Meet Again Vera Lynn



Vecchie lampadine addio: Da domani in vendita solo quelle a basso consumo

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Da domani primo settembre via dagli scaffali le lampadine tradizionali, quelle che fino a oggi hanno accompagnato ogni momento della nostra vita quotidiana. Entra infatti in vigore una direttiva dell’Unione Europea che mette al bando le lampadine a incandescenza, ritenute poco efficienti e molto inquinanti. Al loro posto lampade alogene e a basso consumo, viceversa a meno emissioni di CO2 e a maggior rendimento energetico.

La sostituzione a livello mondiale – secondo uno studio del Centro di Ricerca & Sviluppo di Philips – delle lampade ad incandescenza per uso domestico con tecnologie di ultima generazione (risparmio energetico e Led) porterà ad un risparmio di 46 miliardi di euro in elettricità e 239 milioni di tonnellate di CO2, pari alla produzione di 228 centrali elettriche o a 685 milioni di barili di petrolio in un anno. A livello europeo il risparmio in elettricità sarebbe pari a 10 miliardi di euro e la riduzione di CO2 di 38 milioni di tonnellate, pari alla produzione di 52 centrali elettriche o a 156 milioni di barili di petrolio in un anno.

In Italia, annualmente, si vendono, nel canale della grande distribuzione, oltre 3.000.000 di lampade ad incandescenza da 100 Watt e per il momento solo 1.500.000 di lampade a risparmio energetico da 18 e 20 Watt corrispondenti ad una 100 Watt ad incandescenza
L’illuminazione in generale copre circa il 19% dell’uso di elettricità nel mondo e si basa per quasi tre quarti su soluzioni antiquate e energeticamente inefficienti. La lampada a incandescenza, ora al bando, venne inventata nel 1854 da Heinrich Goebel, un orologiaio tedesco emigrato in America. Il modello però era ancora troppo rudimentale e Goebel non riuscì a perfezionarlo.

Edison: la luce è nelle case

Nel 1878 viene costruito un modello sufficientemente durevole: a realizzarlo Thomas Alva Edison. Nella lampada ad incandescenza la luce viene prodotta dal riscaldamento di un filamento di tungsteno, attraverso cui passa la corrente elettrica. Il filamento è racchiuso in un bulbo di vetro, contenente argon. Durante il funzionamento il filamento raggiunge temperature fino a 2.700 Gradi kelvin (circa 2.427 gradi centigradi) e il tungsteno evapora: via via che la lampadina è accesa, il filamento diventa sempre più sottile, e dopo circa 1.000 Ore di funzionamento il filamento si spezza e la lampada esaurisce il suo ciclo di vita.
Questo tipo di lampada produce soprattutto calore, e solo il 5-10% dell’energia prodotta viene convertita in luce. A causa del suo carso rendimento inizierà a essere ritirata dal mercato.

Ecco, qui di seguito, i nuovi tipi di lampadine che andranno a sostituire, gradualmente, quelle tradizionali:

Lampada alogena
– è una variante di quella a incandescenza tradizionale. E’ così detta perché nel bulbo, oltre all’argon, contiene iodio, elemento classificato come ‘alogeno’ (insieme a fluoro, cloro, bromo, astato), e kripton, gas nobile. A volte la lampada è anche a base di xeno, altro gas nobile. Questo tipo di lampadina raggiunge un’incandescenza maggiore (fino a 3.000 Gradi kelvin, circa 2.727 Gradi centigradi), sprigionando quindi più energia. Nelle lampade alogene le molecole di tungsteno rilasciate dal filamento per via delle elevate temperature, si combinano con lo iodio dando vita ad un sale, l’alogenuro di tungesteno. Questo composto chimico entra a sua volta in reazione con il filamento incandescente: l’alta temperatura spezza il legame che unisce l’alogenuro, il tungsteno viene rilasciato e ridepositato sul filamento stesso, e questo ‘gioco’ di reazioni ricomincia. Si genera così il ‘ciclo alogeno’, una sorta di vera e propria autoalimentazione della lampadina, che ha un periodo di vita doppio rispetto a quello tradizionale (2.000 Ore). Inoltre il rendimento luminoso di una lampada alogena, è del 50-100% superiore rispetto a quella tradizionale, e può funzionare dalle 2.000 Alle 6.000 Ore (cioè da due a sei volte di più della lampada a incandescenza).

Lampadine a basso consumo energetico
– rappresentano la versione compatta delle lampade al neon. Sono formate da uno o più tubi di vetro contenenti vapori di mercurio, con un elettrodo posto all’estremità di ciascun tubo. All’accensione della lampadina, la corrente attraversa gli elettrodi provocando una scarica di gas: i vapori di mercurio emettono un raggio ultravioletto che viene trasformato in luce dalla polvere fluorescente che ricopre la parete interna del bulbo. Queste lampade costano di più di quelle tradizionali, ma consumano molta meno energia perché hanno migliori rendimenti luminosi. Inoltre, hanno una durata di vita più lunga. A differenza dei modelli a incandescenza, quelli a basso consumo energetico non sviluppano subito la loro massima intensità luminosa: per avere luce ‘iena bisogna attendere qualche decina di secondi, a volte qualche minuto dall’accensione. In generale, le lampadine a basso consumo energetico si illuminano ancora più lentamente in ambienti freddi, dove fanno maggiormente fatica a sviluppare tutta la loro luminosità.

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31 agosto 2009

fonte:  http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2009/08/lampadine-1-settembre-basso-consumo-alogene.shtml?uuid=58d313fe-961e-11de-b368-3ae385f6b35f&DocRulesView=Libero

TORMENTONI – La leggenda dei tappi è diventata realtà

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30 agosto 2009

| Claudio Paglieri

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DICONO che, quando è cominciata, era in realtà una leggenda urbana: metti via i tappi delle bottigliette di plastica, ti sentivi ripetere, servono per costruire le carrozzelle per i disabili. Pareva quasi che i tappi di polietilene, molto resistenti, sarebbero andati fisicamente a formare una carrozzella, e nella tradizione orale non manca la vicenda drammatica del disabile che aveva stipato nel suo appartamento cinque quintali di tappini, ma alla fine non aveva trovato nessuno che sapesse cosa farne.

Col tempo la raccolta dei tappi di plastica è diventata una realtà e ha assunto dimensioni mostruose. A scuola, in gita, sul posto di lavoro non puoi permetterti di buttare in un cesto della spazzatura il prezioso tappino senza che qualcuno si metta a urlare come se avessi commesso un reato. Sacchetti pieni di tappi affollano i cassetti delle cucine, gli armadietti delle palestre, i ripostigli delle scuole, le canoniche delle chiese. Se chiedi cosa ne faranno, molti non sanno dirlo con precisione. Ma intanto accumulano.

Curiosamente, questo sembra un caso in cui la leggenda è diventata realtà. In Francia l’associazione “Bouchons d’amour”, la più organizzata, ha cominciato davvero a raccogliere tappi, destinando il ricavato alla Federazione Handisport. Che lo usa per manifestazioni e acquisto di materiali, comprese le carrozzine (in lega però). Tappino su tappino i francesi sono arrivati a mettere insieme cifre di tutto rispetto, come i 122 mila euro donati alla Federazione tra giugno 2007 e giugno 2008.

In Italia, la prima a credere che la leggenda potesse diventare realtà è stata la Caritas di Livorno, grazie anche alla vicinanza di un’azienda, la Galletti E. CO. Service, che ricicla molti materiali tra cui il poliestere dei tappi. E ha pensato che in un virtuoso contrappasso l’abbondanza di acqua del Primo Mondo potesse portare acqua al Terzo Mondo assetato, per esempio scavando pozzi nella regione di Dodoma, in Tanzania, dove gli abitanti erano costretti a bere acqua inquinata da batteri fecali o a percorrere lunghissime distanze per raggiungere fonti pulite.

Detto fatto: per ogni quintale di tappi l’azienda paga 16 euro, ma prima di esalttarvi pensate che ci vogliono 40 mila tappi per fare un quintale; per visualizzare fisicamente una tonnellata, immaginate ottanta grandi sacchi della spazzatura, di quelli da 100-120 litri, tutti pieni di tappi fino all’orlo. E siamo ancora lontani dall’obiettivo: dovrete infatti mettere insieme quasi 19 tonnellate per ricavare i tremila euro necessari per un pozzo. Servono la mobilitazione di migliaia di persone, stanze dove accumulare i tappi, container per stiparli, camion per trasportarli. E tutti devono lavorare gratis altrimenti i margini di guadagno, già esigui, scompaiono.

Decisamente scoraggiante. E però, tappo dopo tappo, la Caritas di Livorno e quella di Reggio Emilia sono riuscite nel 2008 a scavare otto pozzi in Africa, e a fare molto altro. Ora i 35 mila abitanti dei distretti di Chamwino, Mpwapwa, Konda e Bahi hanno acqua potabile e chi si è sbattuto per mettere via i tappi delle sue bottigliette da mezzo litro può sentirsi soddisfatto.

Fatica inutile? Non si farebbe prima a donare un euro a testa e scavare questo benedetto pozzo? Forse sì. Ma naturalmente lo scopo del “gioco” è sensibilizzare i bambini – molte raccolte si fanno a scuola – al riciclo come sistema di vita. Bisogna poi tenere presente che i tappi non riciclati finirebbero nella spazzatura indifferenziata e da lì nelle discariche oppure peggio ancora in mare, dove vanno ad alimentare l’ormai celebre “Pacific Trash Vortex”, il vortice di spazzatura dell’Oceano Pacifico composto all’80% di plastica che ha un diametro di circa 2.500 chilometri e uno spessore di 30 metri. Basta un tappo ingerito per sbaglio a uccidere una tartaruga.

E tuttavia, detto che il riciclaggio dei tappi di plastica è attività nobilissima, viene da chiedersi se non sarebbe meglio affrontare il problema – letteralmente – alla fonte. Ovvero: è proprio così necessario consumare milioni di bottigliette di acqua naturale dal costo di 1 euro l’una, ovvero 2 euro (quattromila vecchie lire) al litro? Forse la scelta davvero ecologica sarebbe comperare una bottiglietta, e una volta bevuta riciclarla di nuovo infinite volte riempiendola con l’acqua del rubinetto, che in molte città (Genova compresa) non ha niente da invidiare a quelle vendute a caro prezzo.

E destinando in beneficenza il 10% di quello che risparmiamo, il pozzo per la Tanzania si scaverebbe molto più in fretta.

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fonte:  http://ilsecoloxix.ilsole24ore.com/p/italia/2009/08/30/AMW48OsC-realta_leggenda_diventata.shtml

L’appello dei migranti somali: “Non rimandateci in Libia”

Raccolto dalla Bbc

“Siamo stremati, alcuni di noi stanno male. Vediamo da lontano le case di una città e temiamo che ci costringano a sbarcare. Vi prego aiutateci”. E’ il disperato appello lanciato telefonicamente con un satellitare da uno dei 75 migranti che si trovano a bordo del Pattugliatore della Guardia di Finanza diretto al porto libico di Al Zuwarah.

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Roma, 31-08-2009

“Abbiamo chiesto ai militari italiani – ha aggiunto al telefono l’immigrato – l’intenzione di fare richiesta d’asilo e li abbiamo pregati di non consegnarci ai libici perché temiamo di finire in carcere, ma non hanno voluto sentire ragioni”.

“L`ennesimo respingimento di migranti verso le coste della Libia è l`ennesimo atto criminale che il governo italiano compie in plateale violazione della Convenzione di Ginevra, in particolare per quel che riguarda la concessione del diritto d`asilo, che anche il nostro Paese ha sottoscritto”, denuncia il deputato europeo di IdV Sonia Alfano. “I respingimenti devono essere effettuati nel rispetto del diritto del mare, della legislazione italiana e soprattutto della legislazione europea in materia di diritto di asilo”, fa eco l’eurodeputato Rita Borsellino (Pd).

Il premier Silvio Berlusconi, ieri a Tripoli dove ha celebrato con Gheddafi il primo anniversario dell’accordo italo-libico, dice che “serve rigore”, e incassa il plauso della Lega Nord.

L’Unione europea
ha promesso per mercoledi’ prossimo un piano di ripartizione dei rifugiati fra tutti i Paesi europei.
La Commissione europea intanto fa sapere che invierà a breve una lettera alle autorita’ italiane e maltesi per avere informazioni sull’ultimo episodio di respingimento a largo della Libia. Dennis Abbott, uno dei portavoce della Commissione, ricorda che Bruxelles aspetta una risposta a una lettera inviata la scorsa settimana di fronte alla tragedia degli eritrei annegati in mare. La Commissione, ha proseguito il portavoce, “sottolinea il diritto di ogni essere umano a chiedere protezione e asilo. La Commissione è in questo sulla stessa linea della Corte europea dei diritti umani”. A luglio il commissario alla Giustizia Jacques Barrot aveva risposto a un’interrogazione parlamentare di alcuni eurodeputati italiani spiegando che Bruxelles è contraria alla politica dei respingimenti.

“Siamo stremati, alcuni di noi stanno male. Vediamo da lontano le case di una città e temiamo che ci costringano a sbarcare. Vi prego aiutateci”. E’ il disperato appello lanciato telefonicamente con un satellitare da uno dei 75 migranti che si trovano a bordo del Pattugliatore della Guardia di Finanza diretto al porto libico di Al Zuwarah. La richiesta è stata raccolta da un giornalista, di origini somale, che lavora in Italia per conto del servizio africano della Bbc.

I profughi, che sarebbero tutti somali, hanno detto che dieci di loro, tra cui sette donne e tre minori, sono in precarie condizioni di salute. Quattro di loro, soccorsi da una motovedetta maltese, erano già stati ricoverati ieri nell’ospedale “Mater Dei” de La Valletta; un quinto, con forti contusioni alle costole, era stato trasferito sempre ieri a Pozzallo (Ragusa) con una motovedetta della Guardia Costiera.

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fonte:  http://www.rainews24.it/it/news.php?newsid=130441

CONGO – Katanga Business, il film denuncia

Minacce e intimidazioni contro il cineasta

Un regista belga ha raccontato la situazione in Congo, considerato una cassaforte per le sue risorse minerarie

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Thierry Michel
Thierry Michel

Il film è uno di quelli che colpiscono come un pugno nello stomaco. Sembra un thriller politico economico, ma non si tratta di un parto della fantasia. Tutte le riprese sono vere, girate in Katanga, la provincia del Congo-Kinshasa, così ricca di risorse minerarie da poter essere considerata la cassaforte del pianeta. Ma anche così famosa per i massacri, le carneficine, le rivolte degli anni ’60, come quelle descritte allora nel film Africa Addio, di Gualtiero Jacopetti (1966).

In quella terra martoriata, dove il rosso del sangue si continua troppo spesso a mescolare con il verde dei giacimenti di rame, Therry Michel, regista belga famoso per i suoi film sull’ex dittatore Mobutu Sese Seko (Mobutu, re dello Zaire) e sul fiume Congo (Congo River), ha girato Katanga Business, una denuncia sullo sfruttamento delle risorse minerarie della provincia. In Katanga scorrono miliardi di dollari ma la popolazione locale è ridotta a una povertà estrema. La pellicola è uscita in aprile in Belgio. Non si sa bene se potremo mai vederla in Italia. Durante le riprese, durate due anni, il regista e la sua troupe sono stati intimiditi e minacciati. Vivono ancora nella paura i suoi assistenti congolesi. Quelli che gli hanno fatto da apriporta in quel mondo di violenza, traffici illeciti, affarismo, speculazione dove gli abusi sulle popolazioni locali sono intensi, quotidiani e spesso disumani.

Minacce incessanti sono rivolte al cineasta Guy Kabeya Muya, ben conosciuto negli ambienti cinematografici africani e per aver lavorato con organizzazione non governative italiane del settore. Guy che riceve quotidianamente telefonate e messaggi intimidatori è costretto a una fuga ininterrotta. «Cambio residenza in continuazione – ha detto al telefono con il Corriere -. Per fortuna ho tanti amici che mi ospitano ma non posso continuare così». Il film è una denuncia chiara contro lo sfruttamento delle risorse minerarie del Katanga. I protagonisti ci sono tutti. I cinesi – nuovi attori sul palcoscenico del saccheggio -, i canadesi, gli australiani, i sudafricani, gli indiani, gli israeliani, i libanesi, gli americani. E poi le comparse; quelli che soffrono, che lavorano come bestie nelle miniere e che si vedono sfilare sotto il naso tanta ricchezza. Appartiene a loro, ma finisce lontano, in altre tasche, in altri conti bancari.

Una fortuna che non li sfiora neppure, anzi, paradossalmente è portatrice di dolori e sofferenze. Decine di migliaia di minatori abusivi che sopravvivono con i pochi dollari che guadagnano con il loro lavoro svolto in condizioni miserabili, o loro “colleghi” assunti dalle multinazionali straniere che lottano per migliorare le loro condizioni di vita. La minaccia più grave contro la troupe è avvenuta quando è stato scoperto un traffico illecito di uranio. Allora ci si è messo anche un ministro del governo centrale a questionare sul film, ad accusare regista e assistenti di spionaggio.

E’ dovuto intervenire l’energico governatore del Katanga, un quarantenne meticcio mezzo italiano, Moise Katumbi Chapwe, un uomo nuovo, un ricchissimo uomo d’affari riciclatosi come politico. Ma diverso dai tradizionali leader africani sempre pronti a farsi corrompere e a vendere per pochi denari intere popolazioni. Un uomo – così appare – che guarda al colonialismo con spirito critico – ma non pregiudizialmente ostile – e accusa il vecchio dittatore Mubutu Seke Seko di cleptomania e tradimento verso il Paese. Katanga Business non è solo un film che mostra e spiega la guerra economica (ma anche sociale) in corso in questa provincia sud-orientale della Repubblica Democratica del Congo. In realtà vuole essere una parabola sulla globalizzazione. “Ecco cosa succederà – vuol dire Thierry – se le relazioni mondiali proseguiranno in questa direzione”. E i primi a farne le spese potrebbero essere proprio i suoi assistenti congolesi, quelli come Guy Kabeya Muya, i più deboli su cui potrebbe abbattersi la vendetta di coloro che il film mostra con le mani nella marmellata.

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Massimo A. Alberizzi
31 agosto 2009

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fonte:  http://www.corriere.it/esteri/09_agosto_31/katanga_alberizzi_4e0d5932-95f3-11de-8f5e-00144f02aabc.shtml

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https://i0.wp.com/www.missioni-africane.org/images/pagine/muse/cinema/katanga-business1.JPG

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Influenza A, colpito il Presidente colombiano

Il capo dello Stato, 57 anni, ha cominciato a sentirsi male venerdì mentre partecipava a una riunione dei dirigenti sudamericani a Bariloche, in Argentina

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Bogotà, 31 agosto 2009 – Il ministro della protezione sociale ha annunciato che il presidente colombiano Alvaro Uribe è affetto dalla “nuova influenza” A/H1N1. Il capo dello Stato è ammalato da venerdì scorso, ma non è in condizioni gravi.

Gli esami medici hanno confermato sabato che Uribe, 57 anni, è stato contagiato dal virus, ha riferito il ministro Diego Palacio in una conferenza stampa a Bogotà.

Il presidente “non presenta alcun fattore di rischio” che potrebbe aggravare l’influenza e il suo stato di salute “evolve in modo soddisfacente” ha aggiunto il ministro. Uribe è curato nella sua residenza presidenziale.

Alvaro Uribe ha cominciato a sentirsi male venerdì mentre partecipava a una riunione dei dirigenti sudamericani a Bariloche, in Argentina. le autorità colombiane stanno contattando le persone che Uribe ha potuto incontrare nell’occasione.

La Colombia ha censito 621 casi confermati di influenza A/H1N1, 29 dei quali hanno portato alla morte del malato, secondo le autorità sanitarie.

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fonte:  http://quotidianonet.ilsole24ore.com/2009/08/31/224842-influenza_colpito_presidente_colombiano.shtml

Gli affitti non diminuiranno. In dieci anni aumenti fino al 70%

Dai dati sull’inflazione dovrebbe scattare un ribasso. Allarme sfratti

Oltre il 60% dei provvedimenti riguarda licenziati, precari o cassintegrati

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di ROSA SERRANO

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Gli affitti non diminuiranno in dieci anni aumenti fino al 70%
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ROMA – L’inflazione va sotto zero ma gli affitti non diminuiranno. L’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati relativo al mese di luglio (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di giovedì scorso) segna una riduzione dello 0,1% rispetto allo stesso mese del 2008. Gli inquilini che hanno stipulato un contratto di locazione nel settembre degli anni passati dovrebbero ricevere dal locatore la classica raccomandata che contiene l’importo dell’aumento dell’affitto dovuto per l’incremento dei prezzi. Solo che l’inflazione registra segno negativo. Quindi per un affitto campione di mille euro mensili, se l’indicizzazione è pari al 75% del dato Istat la riduzione “teorica” è pari allo 0,075 per cento e cioè 0,75 centesimi. Mentre all’inquilino che ha visto includere nel contratto l’indicizzazione al 100% spetterebbe uno “sconto” di un euro al mese. Riduzione che rischia di rimanere sulla carta. Confedilizia, con una circolare indirizzata alle associazioni territoriali, esclude la possibilità che il dato Istat negativo possa causare la diminuzione dei canoni.
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Resta, però, il problema dell’eccessiva onerosità di molte locazioni. Secondo Scenari immobiliari, nell’ultimo decennio gli affitti nelle grandi città sono aumentati mediamente del 60-70%. Senza dimenticare l’esplosione del fenomeno della morosità da parte degli inquilini sempre più in difficoltà nel pagamento. Basta dare un’occhiata ai dati del Viminale. Nel 2004, le sentenze di sfratto per morosità furono 32.578. A fine 2008 sono balzate a quota 40.681 (+19,8%). Aumenta anche la loro incidenza sul totale degli sfratti emessi che è passata dal 77,4% del 2007 al 79,1% del 2008.
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Le cause del fenomeno sono state analizzate in un’indagine di Sunia-Cgil su un campione di mille famiglie sfrattate su tutto il territorio nazionale. Il 78% delle famiglie con sfratto per morosità sono italiane e il 22% sono straniere. Parte dei problemi degli inquilini sfrattati per morosità derivano da mutate condizioni lavorative, decesso del coniuge, separazioni soprattutto per donne con diminuzione di reddito. Nel secondo semestre dello scorso anno su più di 20 mila sfratti emessi il 24% riguardano nuclei in cui l’inquilino ha perso il posto di lavoro, il 22% riguardano lavoratori precari e il 21% cassaintegrati.
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A conferma, quindi, che la crisi economica aggrava il fenomeno degli sfratti per morosità. Molte famiglie pur di trovare una soluzione abitativa stipulano contratti con affitti difficilmente sostenibili che, dopo qualche mese, non sono più in grado di pagare. Un incentivo a calmierare le locazioni potrebbe arrivare dall’introduzione della cedolare secca del 20% sui canoni, da anni sollecitata da Confedilizia.
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Attualmente l’affitto va ad aggiungersi al reddito del locatore. Ad esempio, se il proprietario incassa un affitto mensile di mille euro deve dichiarare 10.200 euro (12mila euro meno 15% per detrazioni forfetarie). Nel caso abbia avuto un reddito di 30mila euro vedrà il canone di locazione tassato con l’aliquota Irpef del 38%. In pratica dovrà versare 3.876 euro. Con il varo della cedolare secca del 20% dovrebbe al fisco 2.040 euro per un risparmio, quindi, di 1.836 euro. Il costo fiscale dell’operazione verrebbe in buona parte coperto dall’emersione degli affitti “in nero”. E in questo senso non guasterebbe una detrazione fiscale a favore dell’inquilino, che avrebbe tutto l’interesse a richiedere al locatore la ricevuta dell’affitto pagato.
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31 agosto 2009
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