Archivio | agosto 2011

Lettera di un ergastolano ad Alfonso Papa, deputato PDL in carcere a Poggioreale

“Potrebbe capitare prima o poi anche a loro”

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 Ho visto cose che voi umani non potreste nemmeno immaginare (dal film Blade Runner)

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Alfonso Papa – fonte immagine

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Leggo sul Corriere di domenica 21 agosto 2011 che Alfonso Papa, deputato  del PDL indagato nell’ ambito dell’inchiesta sulla P4 e detenuto nel carcere di Poggioreale,  in una lettera pubblicata dal quotidiano “Il Mattino” lamenta:

“In questi luoghi vi è un’umanità sovraffollata che sposta tavoli e letti a castello anche a tre per fare attività (…) ventidue ore al giorno chiusi in cella sono una forma di tortura  (…) nelle perigliose e imprevedibili onde della vita, un tale approdo potrebbe capitare prima o poi anche a loro.”

Innanzitutto tengo a trasmettere la mia personale e collettiva solidarietà, da parte degli ergastolani ostativi di Spoleto in lotta per la vita, all’uomo  Alfonso Papa.

Al deputato Alfonso Papa invece ci viene spontaneo chiedere: dov’era quando lei e la sua maggioranza, per soli scopi elettorali, approvavano leggi liberticide, cancerogene, forcaiole e di parte,  per riempire le carceri di barboni, extracomunitari e tossicodipendenti?

Come mai solo ora si accorge di quello che accade nelle nostre patrie galere?

Non poteva visitare le nostre carceri come parlamentare e non come ospite?

E perché solo ora si accorge che le carceri in Italia sono luoghi spaventosi, pieni di squallore, sporcizia e disperazione?

Spero che l’uomo e deputato Alfonso Papa lasci presto il carcere e che dopo ricordi al suo partito e al  Parlamento che noi non siamo solo detenuti, siamo anche persone con sentimenti e pensieri.

E che per avere una società migliore bisogna iniziare prima ad avere carceri costituzionalmente legali e legittimi.

Spero che l’uomo e deputato Alfonso Papa, una volta fuori, ricordi alla società, cosiddetta civile, che l’ Assassino dei Sogni (come io chiamo  il carcere) è molto più meschino, criminale e violento dei suoi prigionieri.

E che nella stragrande maggioranza dei casi oggi in carcere ci sono poveri, migranti, tossicodipendenti e sofferenti psichici.

I veri criminali, quelli che contano, quelli veri,  lo sappiamo tutti dove sono e dove stanno: liberi felici e potenti, l’importante è che ogni tanto ricordino che  “Potrebbe capitare prima o poi anche a loro”.

Carmelo Musumeci

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Carcere Spoleto, agosto  2011

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fonte:  e-mail, Carmelo Musumeci


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Papa, lettera dal carcere: altro che albergo
Solo un onorevole imbecille può dire così

Il deputato arrestato nell’ambito dell’inchiesta P4, scrive da Poggioreale: «La custodia cautelare è una forma
vera di tortura, un’espiazione anticipata»

Alfonso Papa

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NAPOLI – Anche la P4 ora ha le sue «lettere dal carcere», ma Gramsci non c’entra niente. A scriverne una, in pieno agosto, è stato Alfonso Papa, il deputato del Pdl indagato nell’ambito dell’inchiesta Bisignani, detenuto nel carcere di Poggioreale (Napoli). L’incipt della missiva spedita al «Mattino» è politico-concetrazionario: «Può un Paese consentirsi di tenere per anni decina di migliaia di persone in galera senza che queste abbiano avuto un solo giudizio di condanna?».

SPAZI SOVRAFFOLLATI – «Un collega parlamentare imbecille (anche nella ‘casta gli imbecilli dilagano’) ha definito il luogo della mia detenzione un albergo a 5 stelle – scrive poi Papa – questo signore non ha solo offeso i miei compagni di cella, i detenuti e gli operatori tutti. Ha dimostrato di non sapere che in questi luoghi vi è una umanità sovraffollata che sposta tavoli e letti a castello anche a tre per fare attività fisica in spazi angusti e dove lo sforzo più grande ed encomiabile lo fanno proprio direzione ed agenti penitenziari». Dopo aver sottolineato di aver aderito il 14 agosto scorso come parlamentare «alla giornata di sciopero della fame e della sete indetto per sensibilizzare Parlamento, istituzioni e pubblica opinione sul problema del sovraffollamento delle carceri», papa rileva: «Lo avrei fatto comunque. Ma il destino ha voluto che lo abbia fatto come primo parlamentare consegnato da presunto innocente, in stato di custodia cautelare, per fatti non di sangue, alle patrie galere».

«PER ME UN’INCOMPARABILE ESPERIENZA UMANA» – Il deputato del PdL evidenzia «l’incomparabile esperienza umana» che sta vivendo «nel Padiglione Firenze del carcere di Poggioreale». «Mi stimola – dice – una riflessione che nasce dalla unica esperienza di solidale condivisione cristiana della reciproca sofferenza che trasuda dalle mura sorde di questo luogo dove le sbarre sembrano ricordare a tutti che oltre quel muro vi è comunque un cielo azzurro nel quale specchiarsi».

CUSTODIA CAUTELARE, ESPIAZIONE ANTICIPATA» – Parlando della custodia cautelare, Papa afferma: «Le ventidue ore al giorno chiusi in cella sono solo una forma di tortura, neppure velata per l’innocente. Esse sono poi un’espiazione anticipata per il colpevole. Ma la domanda è allora se sia giusto per uno Stato carente nell’eseguire le sentenze di condanna per i colpevoli passati in giudicato pretendere, con i tempi che attualmente ha il processo penale, che il presunto innocente debba invece espiare preventivamente in carcere».

«ANCHE GLI IMBECILLI CHE PENSANO SIA UN ALBERGO POTREBBERO FINIRCI» – Conclude Papa: «In questa situazione è allora auspicabile un intervento del Parlamento e della politica, fortunatamente fatta non solo da quegli imbecilli che ci definiscono un albergo a cinque stelle ed ai quali cristianamente auguriamo di non soggiornare mai in alberghi come questo, consapevoli come siamo che, nelle perigliose e imprevedibili onde della vita, un tale approdo potrebbe capitare prima o poi anche a loro».

Redazione online


PERCORSI SBARRATI-”   Video sull’ergastolo ostativo, prodotto dagli ergastolani:

http://www.youtube.com/watch?v=pZnUuSfe7Yg

 

http://www.informacarcere.it/informacarcere.php

Daryl Hannah: Manette alla sirena ambientalista

L’attrice è nei guai

Manette alla sirena ambientalista


fonte immagine

31 agosto 2011

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Daryl Hannah portata via in manette

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Genova – La replicante più sexy della storia del cinema (e della robotica) a cinquant’anni non ha perso la grinta che esibiva in “Blade Runner” ed è riuscita farsi arrestare mentre manifestava davanti alla Casa Bianca per protestare contro la costruzione di un oleodotto. Ai poliziotti che l’ammanettavano e ai fotografi che immortalavano l’evento, Daryl Hannah ha regalato un luminoso sorriso, degno di quello esibito ancora nel 2004 su Playboy.

L’attrice è stata fermata ieri a Washington insieme ad altre decine di persone scese in piazza per tentare di bloccare l’ampliamento dell’oleodotto Keystone XL che dovrebbe estendersi dal Canada al Golfo. «Qualche volta è necessario sacrificare la propria libertà per una libertà più grande», ha detto l’attrice prima di essere portata via «e noi vogliamo essere liberi dalla terribile morte e distruzione che provocano i combustibili fossili, e avere invece un futuro con l’energia pulita».

La Hannah è da sempre ambientalista convinta: vegana dall’età di 11 anni, la sua casa è costruita esclusivamente con materiali ecosostenibili e funziona solo con energia solare, mentre la sua macchina va a biodiesel. Non è la prima volta che viene arrestata: nel 2006 perché si era schierata al fianco di trecento contadini contro l’abbattimento delle loro case da parte del nuovo proprietario del terreno su cui sorgevano. Nel 2009 è stata nuovamente fermata durante una protesta contro la distruzione della cima di una montagna in West Virginia per facilitare l’accesso ai suoi giacimenti di carbone. Nata a Chicago, dopo aver frequentato la scuola di recitazione, esordisce giovanissima, 1978, nell’horror “Fury” di Brian De Palma. Arriva poi la parte della replicante Pris in “Blade Runner” di Ridley Scott. Abbandonati i ruoli drammatici opta per un cinema più soft interpretando soprattutto ruoli al limite del fiabesco: “Splash. Una sirena a Manhattan” di Ron Howard; “High Spirits. Fantasmi da legare” di Neil Jordan e “Avventure di un uomo invisibile” di John Carpenter rientrano in questo filone.

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Daryl Hannah mentre viene ammanettata

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In televisione partecipa allo sceneggiato “Una donna in ‘crescendo”del 1993, di cui è anche coproduttrice. Dopo aver preso parte, tra gli altri, a “Wall Street” di Oliver Stone e a “Two Much” di Fernando Trueba, viene scelta da Quentin Tarantino per i due “Kill Bill” in cui interpreta con grande intensità la killer Elle Driver. Nella vita è stata la compagna di John Fitzgerald Kennedy Jr, figlio del presidente ucciso a Dallas e del cantante Jackson Browne. Il rapporto tra Hollywood e la politica è sempre stato molto forte. Con le star schierate spesso su fronti opposti. Su quello repubblicano e conservatore basta citare il presidente Ronald Reagan, il governatore Arnold Schwarzenneger o Charlton Heston, strenuo difensore dell’industria delle armi.

Ma è probabilmente l’area democratica quella che conta i più grandi divi. Storiche le manifestazioni a Washington con Humphrey Bogart, Lauren Baccall e Robert Mitchum contro il maccartismo, o Marlon Brando che difende diritti dei nativi america disertando la premiazione degli Oscar. Per non parlare della vera e propria icona radical Robert Redford.

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fonte:  http://www.ilsecoloxix.it/p/mondo/2011/08/31/AOuaj6z-manette_ambientalista_sirena.shtml

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Manovra, salta la norma sulle pensioni. Berlusconi: aumento Iva extrema ratio

Manovra, salta la norma sulle pensioni
Berlusconi: aumento Iva extrema ratio

Fonti Pdl: anche il carcere per evasori fiscali. Bersani: è caos, governo vada a casa. Casini: insulto agli italiani, sono in confusione. Ue: ora misure per la crescita. Fli: mancano 7 miliardi. Cgil: totale iniquità

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ROMA – Retromarcia del governo sulle pensioni. Nonostante le dichiazioni di ieri del premier Silvio Berlusconi («sono molto, molto soddisfatto perché adesso la manovra correttiva è stata migliorata, senza modificarne i saldi» ed ora è più «equa e sostenibile»), il provvedimento cambia di nuovo, anche sull’onda della marea montante di proteste per gli interventi sulla previdenza. Il Pd: maggioranza nel caos, governo via.

La norma che prevede l’intervento sulle pensioni, dunque, è saltata. È quanto ha deciso il governo al lavoro sul testo della manovra. In particolare, si apprende da fonti di maggioranza, si starebbe valutando la costituzionalità del provvedimento che riguarda il mancato computo ai fini del calcolo dell’anzianità degli anni di università e del servizio militare. La questione potrebbe essere affrontata «collegialmente» domani, probabilmente a margine della riunione del Consiglio dei ministri.

Berlusconi: «Tranne le pensioni, accordo ok. Iva extrema ratio». «L’accordo di Arcore, ad eccezione delle misure relative alle pensioni che saranno stralciate, resta valido in tutti i suoi punti, compresa l’abolizione del contributo di solidarietà»: così Silvio Berlusconi, secondo autorevoli fonti del Pdl, ha commentato con diversi interlocutori gli ultimi sviluppi sulla manovra. Il capo del governo ha anche rassicurato tutti sul fatto che le coperture per le modifiche decise nel vertice di maggioranza ci sono e che al limite, ma come extrema ratio, è sempre possibile ricorrere alla “scorta” di un possibile aumento dell’Iva.

«Nessun dissidio con Tremonti». Il premier avrebbe ribadito a diversi interlocutori che il ministero dell’Economia sta reperendo le risorse necessarie a coprire tutti i punti dell’intesa di Arcore. Nel ribadire che la coalizione è salda, il capo del governo ha inoltre smentito qualsiasi ipotesi di nuovi dissidi fra lui e Tremonti o altri ministri. È vero, la misura sulle pensioni era sbagliata, ma da un punto di vista del gettito non avrebbe dato, soprattutto nel breve periodo, grandi risorse, ha argomentato il Cavaliere. Ad ogni modo, ha sottolineato Berlusconi, anche qualora le risorse necessarie a finanziare le modifiche alla manovra non risultassero sufficienti vi sarebbe sempre la “scorta” dell’aumento dell’Iva di 1-1,5 punti percentuali. Il capo del governo non è intenzionato a rientrare a Roma a causa di quelle che ha definito piccole modifiche necessarie all’accordo di Arcore, dopo che l’intervento sulle pensioni si è rivelato non realizzabile: non serve un nuovo vertice di maggioranza, se quella misura era sbagliata i fondi necessari si troveranno da altre parti, ha sostenuto Berlusconi. Il premier ha infine sottolineato che gli altri punti dell’accordo di Arcore restano validi, a cominciare dall’abolizione del contributo di solidarietà.

Un inasprimento delle sanzioni contro l’evasione fiscale, fino al ricorso del «deterrente penale» per chi si macchia di gravi reati fiscali. È l’ipotesi a cui, secondo fonti del Pdl, starebbe lavorando il governo in vista delle modifiche alla manovra. «I dettagli ancora non sono definiti, ma si dovrebbe intervenire anche sul versante della deterrenza penale» nel contrasto all’evasione fiscale, spiega un autorevole fonte del Pdl. L’inasprimento delle sanzioni e delle pene, spiega un altra fonte della maggioranza, potrebbe arrivare fino al carcere per chi si macchi di reati particolarmente gravi. Tuttavia, altre fonti parlamentari della maggioranza sottolineano come in merito il premier, Silvio Berlusconi, nutrirebbe qualche perplessità, anche in considerazione dell’estrema complessità del sistema fiscale, Il fatto che si lavori anche sul fronte penale, riferisce un’altra fonte della maggioranza, sarebbe confermato anche dalla presenza del ministro della Giustizia, Nitto Palma, all’incontro che si dovrebbe tenere domani a margine della riunione del Consiglio dei ministri, in cui il governo – alla presenza di Tremonti – dovrebbe mettere nero su bianco gli emendamenti alla manovra. Sempre sul fronte della lotta all’evasione, al Tesoro sarebbero al lavoro su un mix di misure che comprenderebbero controlli più efficaci, con un nuovo redditometro sui beni di lusso e, in caso di evasione, un sorta di concordato che agevoli il rientro delle somme dovute al fisco.

La perdita del gettito di circa 1,5 miliardi (500 milioni nel 2013 e 1 miliardo nel 2014) derivante dalla non adozione della norma sulle pensioni, che avrebbe interessato una platea di 665.000 persone, verrà compensata da un’aumento della lotta all’evasione fiscale, con provvedimenti già allo studio. E che dovrebbero prevedere un inasprimento delle norme ed un coinvolgimento dei Comuni. È quanto si apprende da fonti di maggioranza.

I saldi, dopo le modifiche stabilite l’altro ieri ad Arcore, non sarebbero in ogni caso – come denuncia l’opposizione – garantiti mancando all’appello tra i 4 e i 5 miliardi di euro. E per ottenere il pareggio di bilancio lo stesso governo e la maggioranza stanno vagliando nuove ipotesi, fra cui di nuovo c’è anche l’aumento dell’Iva.

Dopo le furibonde polemiche scatenate dagli interventi sulle pensioni, stamani al ministero dell’Economia (assente il titolare Giulio Tremonti) c’è stato un incontro tra il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, quello della Semplificazione, Roberto Calderoli, e i tecnici di via XX settembre sulla manovra. Al centro del confronto proprio il nodo che riguarda il riscatto degli anni dell’università e del servizio militare.

«Manovra in discussione». Era stato questo il titolo di apertura scelto per oggi da La Padania, l’house organ della Lega, che ammette anche che «la manovra partorita dal vertice di Arcore avrà bisogno di un’ulteriore riflessione», in particolare per approfondirne l’impatto sociale e finanziario» degli interventi sulle pensioni.

«Da molto tempo – dice Pier Luigi Bersani, segretario del Pddiciamo che maggioranza e Governo non sono in grado di portarci fuori dai pericoli, ma solo di aggravarli. Una conferma inequivocabile viene dal caos di questi giorni, che espone il nostro Paese a rischi davvero seri. A questo punto, il Parlamento prenda in mano la situazione con un’assunzione di responsabilità alla quale, pur dall’opposizione, ci rendiamo disponibili con le nostre proposte. Poi, il Governo prenda finalmente atto della sua condizione e passi la mano».

«Quello che sta avvenendo sulla manovra sfiora la farsa ma rimane comunque scandaloso. C’è da gioire per la cancellazione di una norma ingiusta e incostituzionale come quella sulle pensioni ma ora ci troviamo di fronte a una manovra che non esiste», afferma Anna Finocchiaro, presidente del gruppo Pd al Senato. «Siamo di fronte a un esecutivo incapace. Visto che resistono norme come quella sul tfr e la tredicesima, chiedo di sapere quando hanno intenzione di rompere il patto che hanno evidentemente stretto con evasori e privilegiati».

«Ci troviamo di fronte a un governo totalmente imbambolato, rincretinito, nel pallone, smentito dalla sua stessa maggioranza che ha presentato 600 emendamenti e che ancora non riesce a presentare una manovra che sia credibile». Così il leader dell’Italia dei valori Antonio Di Pietro, parlando con i cronisti a Montecitorio. «Insomma, abbiamo un governo incapace di intendere e di volere. L’unica soluzione è mandarlo a casa. Questo Parlamento non ci riesce, i cittadini sono pregati di farlo al più presto», aggiunge Di Pietro.

«Il governo cambia idea ogni giorno, è veramente un insulto agli italiani che avrebbero bisogno prima di tutto di serietà». A dirlo il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini che bolla come «ormai senza padri e senza madri e senza copertura
finanziaria» la manovra. Il governo, ha aggiunto, «è in stato confusionale e ha già cambiato opinione quattro volte nel giro di 15 giorni: sulle Province, sul contributo di solidarietà e oggi sulle pensioni. E per fortuna, perchè era un’ulteriore baggianata». Casini
ha quindi aggiunto: «Noi vogliamo collaborare, ma su che cosa?», si è chiesto, spiegando che «questa manovra cambia testo ogni minuto».

«Berlusconi ha poco da brindare davanti a una manovra come questa, che è ancora senza numeri e introduce inaccettabili discriminazioni tra i cittadini, come quella clamorosa sulle pensioni. La realtà è che questa maggioranza è in stato confusionale e si prepara all’ennesimo cambio di rotta», dice il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa in una nota.

«L’inevitabile retromarcia sulle pensioni è l’ennesima brutta figura di una maggioranza ormai allo sbando, con la conseguenza che il buco passa da cinque a sette miliardi, obbligando il governo o all’aumento dell’Iva o a un’ulteriore manovra entro la fine dell’anno». Lo dichiara in una nota il vicepresidente di Fli, Italo Bocchino. «Si conferma quindi – sottolinea Bocchino – il nostro giudizio negativo su un impianto che non dà alcuna garanzia sui saldi e che non coinvolge l’opposizione, in particolare chi, come Fli e il Terzo Polo, ha avanzato proposte ragionevoli e condivisibili».

La Ue: attenzione a misure per la crescita. Nell’analizzare i contenuti della manovra italiana, la Commissione europea dedicherà «particolare attenzione» alle «misure strutturali» destinate «ad agevolare e sostenere» la crescita per verificare che esse rispettino i «parametri» fissati nelle raccomandazioni rivolte dall’Ue all’Italia lo scorso giugno. Lo ha sottolineato oggi Amadeu Altafaj, portavoce del commissario europeo per gli affari economici e monetari Olli Rehn precisando che Bruxelles «segue con attenzione» il dibattito in corso sulla composizione della manovra.

«La manovra è costruita in modo tale che chi ha di più non paga che chi evade continua ad evadere, che i lavoratori pubblici sono quelli direttamente penalizzati. Non si fa nessuna operazione che guardi agli investimenti, alla crescita e all’occupazione, in particolare dei giovani». Lo ribadisce la leader della Cgil, Susanna Camusso. «Il segno di questa manovra – prosegue – è chiaro. Poi ci sono i guastatori all’opera che si riuniscono nelle ville e riescono a peggiorare ulteriormente – sottolinea – una manovra che aveva già un segno di totale iniquità». «Ci si inventa poi – spiega – l’idea, ad esempio con l’intervento sulle pensioni, che bisogna convincere i cittadini di questo Paese che non bisogna fidarsi dello Stato».

«Mi dispiace per la Camusso e per la Cgil che con lo stralcio delle norme sulle pensioni ottenuto grazie alla pressione in queste ore di Cisl e Uil, vede scomparire l’assist per fare uno sciopero generale, peraltro già discutibile e dannoso in questo momento per la situazione economica del paese», ha detto il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni in un passaggio del suo intervento al comitato esecutivo della Cisl, in corso a Roma, commentando le dichiarazioni del segretario della Cgil che aveva bollato con un «bentornati tra di noi a Cisl e Uil», la notizia della mobilitazione delle due confederazioni.

«Ecco come si vince anche senza fare scioperi»: è quanto afferma il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti. «Il Governo ha ascoltato le nostre ragioni – afferma – e ha cancellato quell’assurda norma sulle pensioni. Le nostre pressioni e le nostre argomentazioni hanno avuto buon gioco. Siamo riusciti a convincere senza costringere i lavoratori a perdere soldi con astensioni dal lavoro di dubbia efficacia. Ora la nostra mobilitazione prosegue, a partire dal presidio di domani davanti al Senato, per ottenere ulteriori miglioramenti della manovra».

«Il rischio è che, stavolta, la toppa crei un buco. Nella “quantità” della manovra-bis d’agosto e per la “qualità” di alcune abbozzate correzioni». Lo denuncia il quotidiano della Cei Avvenire in un editoriale di oggi. «Il cosidetto patto di Arcore, che ha ridisegnato l’intervento di finanza pubblica, infatti, pare aver convinto pochi, scontentato tanti e allarmato ed esacerbato ancora più italiani», rileva il quotidiano dei Vescovi. Avvenire registra ancora che «soprattutto nel Paese si è subito levata un’ondata di protesta per le modifiche al regime pensionistico e tra i lavoratori pubblici anche per la persistenza del contributo di solidarietà e delle altre misure che mettono a rischio la tredicesime e i salari». Avvenire fa notare che «anzichè riformare l’età pensionabile in maniera graduale (come pure sarebbe necessario e naturale, visto l’allungamento della vita media) si è operato – in emergenza e, a quanto si intuisce, senza valutare a pieno le conseguenze – per “tappare” il buco creato dalla cancellazione del contributo di solidarietà inizialmente previsto a carico dei contribuenti sopra i 90 o i 150 mila euro di reddito». Insomma, «la preoccupazione di non “mettere le mani nelle tasche degli italiani” in modo diretto si sta rivelando una consigliera infida – osserva il qutodiano della Cei -. Le mani si possono mettere in modo obliquo. E il risultato, come si vede, non è ancora equo ed è altrettanto pesante».

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Mercoledì 31 Agosto 2011 – 09:42    Ultimo aggiornamento: 22:50
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OPPORTUNITA’ DI LAVORO, O CANTONATA GIORNALISTICA? – Abruzzo, cercansi fornai disperatamente – I commenti dei lettori

L’ALLARME DELL’ASSOCIAZIONE DI CATEGORIA


Pane con le patate, tipico dell’Abruzzo – fonte immagine

Abruzzo, cercansi fornai disperatamente

Mancano oltre cento panificatori, settore a rischio

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Il forno di un panettiere
Il forno di un panettiere

MILANO – Fornai introvabili in Abruzzo. Ne servirebbero almeno cento, ma in pochissimi rispondono all’appello. Eppure un panettiere arriva a guadagnare anche tremila euro al mese. A lanciare l’allarme è Vinceslao Ruccolo, presidente dell’associazione panificatori abruzzesi, aderente alla Confesercenti. Ruccolo fa il fornaio da 35 anni. È titolare di una piccola ditta che, nella località balneare di San Vito Chietino, poco più di cinquemila anime, impasta circa un quintale e mezzo di farina al giorno e produce una ventina di tipi di pane. Una realtà come ce ne sono tantissime in Italia dove, sempre secondo i dati dell’associazione panificatori, ci sarebbe posto (se solo lo volessero) per quattromila aspiranti fornai.

IL PANE TIPICO ABRUZZESE – Le preoccupazioni di Ruccolo nascono dalla necessità di difendere il «pane tipico regionale, basato su grani autoctoni e famoso per la sua bontà (rinomato per le sue caratteristiche ad esempio è il pane casereccio dell’Aquila, ndr)), che ora rischia di scomparire. Messo in crisi dalla mancanza di manodopera qualificata e dalla concorrenza della grande distribuzione». Lo stato dell’arte dei panettieri, in Abruzzo, è una medaglia a due facce: da una parte indica che mancano figure professionali in grado di preparare panini, dolci, torte e grissini e, soprattutto, disponibili a lavorare di notte, dall’altra evidenzia le difficoltà dei piccoli esercizi a contrastare l’avanzata degli iper investendo in tecnologia o in marketing. «Come facciamo – s’interroga Ruccolo – a combattere chi garantisce aperture domenicali e vende a prezzi ribassati il pane o addirittura se lo fa venire precotto dalla Puglia? Le istituzioni dovrebbero sostenerci maggiormente». E intanto i piccoli panificatori si ingegnano come possono, cercando di realizzare nuovi prodotti e pani speciali. Come fa appunto Ruccolo: con le noci, con le olive, con la zucca, con le fibre…

I PROBLEMI DELLA CATEGORIA – La carenza di personale, tuttavia, resta la vera spina nel fianco delle ditte del settore: «In Abruzzo – prosegue il presidente dell’assopanificatori – sono tanti i forni artigianali che non trovano manodopera e il problema, che esiste da anni, ora si è accentuato. Un fornaio con la qualifica ottiene circa 2.500 euro netti al mese in busta paga. Uno stipendio che, con gli straordinari e la produttività, arriva facilmente a tremila. È vero che si lavora nelle ore notturne, di solito da mezzanotte alle otto, ma c’è anche chi finisce prima e inizia prima. Quasi sempre, invece, rispondono alle offerte di lavoro solo gli extracomunitari e, ultimamente, neanche quelli». L’appello dei panificatori abruzzesi è raccolto idealmente dall’assessore regionale alle Politiche del Lavoro Paolo Gatti, 35 anni, avvocato, che della difesa dei mestieri tradizionali (o introvabili) ha fatto una specie di battaglia personale: «È un retaggio del dopoguerra – sostiene – il fatto che i figli debbano essere per forza tutti diplomati o laureati e impiegati, possibilmente nella pubblica amministrazione. Bisogna superare i pregiudizi culturali legati a professioni considerate poco qualificanti. È vero, quello del fornaio è un mestiere duro ma, come accade anche per altre figure molto richieste, consentirebbe di avere uno sbocco lavorativo immediato e sicuro e uno stipendio non trascurabile».
(Per contatti con l’assopanificatori è possibile utilizzare gli indirizzi e-mail fiesa@confesercenti.it, a livello nazionale, e info@confesercentiabruzzo.it, a livello regionale.)

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Nicola Catenaro
31 agosto 2011 17:17

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un giornale serio e la sua cattiva gestione

31.08|19:48
aliosciakaramazov

mi associo a quanti sino ad ora si sono interrogati su come si possa pubblicare articoli di questo genere. Ma dove 3000 euro? Tutto il mondo del precariato, dei call center, degli stagionali per la vita…dei disoccupati… se non proprio tutti quasi andrebbero volentieri a guadagnarsi questi pochi spiccioli, anche la notte. Purtroppo se la politica da ormai molto tempo è degenerata, se è venuto meno il senso etico e civile a tutti i livelli, naturale che anche il mondo del giornalismo ne risenta e l’informazione, anche quella del Corrierone, diventi quello che è diventata. Almeno rispetto e decenza. Direttore, salvi il Corriere, si dimetta

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Vergogna!

31.08|19:48
pacionet

Il Corriere e il giornalista, dopo che sono stati abbondandemente smentiti da chi ha contattato i panifici, dovrebbero avere almeno la decenza di rimuovere l’articolo e/o correggerlo.

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Articoli degni di Studio Aperto

31.08|19:48
G Pepe

Capisco che d’estate non si sa cosa scrivere, ma sparare certe bufale è ridicolo (per il Corriere non è la prima volta). Il sig. Catenaro che ha firmato il pezzo provi a informarsi su quali requisiti, che età, che esperienza e che tipo di contratto viene offerto. Forse scoprirà il motivo reale di tanta carenza di manodopera. Sarà forse anche colpa dei fornai….

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x alberto B e latitante e chi come loro

31.08|19:47
evvivalinformazione

Pregasi di astenersi dallo scrivere determinate cazzate . Esistono si i bamboccioni, ma quelli esistono in tutti gli stati al mondo, Ho 24 anni lavoro da quando ne ho 18 , mi sono trasferito a londra un anno per fare il lavapiatti ho studiato all’università Per MIA cultura personale mentre facevo servizio civile e lavori saltuari e tutt’ora lavoro sabato e domeniche incluse, spesso senza orari. La voglia di lavorare molti ragazzi ce l’hanno, ma tra uno straniero che viene pagato 500 euro mensili e un italiano che giustamente vuole che il suo lavoro venga riconosciuto, chissa perchè scelgono sempre i primi, lasciando perdere tutti i datori di lavoro che chiedono 25 enni con 20 anni di esperienza alle spalle

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forse…

31.08|19:42
aarrrghhh

… chi ha scritto l’articolo dovrebbe darsi alla panificazione piuttosto che al giornalismo e forse guadagnerebbe anche di piu’, visti i cifroni che ha menzionato. Nicola, gia’ che hai cambiato il titolo dell’articolo per rispetto alla grammatica, potevi anche darci qualche indirizzo o dritta su dove inviare le domande per essere assunti in abruzzo come fornai.

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fonte:  http://www.corriere.it/cronache/11_agosto_31/fornai-abruzzo_d1272364-d3ab-11e0-85ce-5b24304f1c1c.shtml

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fonte:  http://www.alimentipedia.it/Pane/Pane_Abruzzo.html

SCANDALO IN FRANCIA – Giudice accusa: “Sarkozy prese mazzette”. Eliseo nella bufera, Aubry: “Ora un’inchiesta”

Giudice accusa: “Sarkozy prese mazzette”
Eliseo nella bufera, Aubry: “Ora un’inchiesta”

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fonte immagine

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Si allarga l’affaire Bettencourt. In un libro anticipato dalla stampa, il magistrato che indagò sul caso che ha scosso la Francia sostiene di aver saputo da un testimone che il presidente ricevette contanti dalla miliardaria accusata di finanziamento illecito ai partiti e frode. La presidenza smentisce: accuse false ed infondate. E i socialisti chiedono chiarezza

Giudice accusa: "Sarkozy prese mazzette" Eliseo nella bufera, Aubry: "Ora un'inchiesta"

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PARIGI – Poco prima delle elezioni presidenziali del 2007, il presidente Nicolas Sarkozy avrebbe preso denaro contante da parte di Liliane Bettencourt, miliardaria francese erede dell’impero L’Oréal nel mirino della giustizia francese per frode fiscale e finanziamento illecito della campagna elettorale di Sarkozy 1. Le accuse shock vengono dal giudice istruttore Isabelle Prévost-Desprez, in passato titolare di uno dei dossier dell’affaire Bettencourt 2, che cita un testimone che avrebbe visto Sarkozy intascare la bustarella a casa della miliardaria.

Lo rivela oggi il quotidiano della gauche Libération, che ha pubblicato alcuni estratti del libro in uscita domani “Sarko m’a tuer” scritto dai due giornalisti di Le Monde Gerard Davet e Fabrice Lhomme. L’informazione non sarebbe uscita durante il processo verbale perché i testimoni, ha spiegato il giudice, avevano paura di parlare di Sarkozy. “Una tempesta politica senza precedenti nella storia della repubblica”, secondo l’editoriale del quotidiano di sinistra, “che vede per la prima volta un giudice chiamare in causa direttamente un presidente in carica”. Immediata e categorica la smentita dell’Eliseo, secondo cui le accuse sono “infondate, menzognere e scandalose”.

Nel libro il magistrato di Nanterre racconta di essere rimasta “colpita” dalla “paura (dei testimoni) nel parlare durante il pv (il processo verbale) a proposito di Nicolas Sarkozy”. “Uno di loro ha detto di aver visto la consegna di denaro in contanti a Sarkozy”, prosegue il magistrato, che precisa: “l’infermiera di Liliane Bettencourt, ha confidato alla mia cancelliera, dopo l’audizione con me: ‘ho visto consegnare il denaro in contanti a Sarkozy, ma non potevo dirlo al processo verbale”.

L’istruttoria del caso Bettencourt è stata tolta nell’autunno 2010 alla procura di Nanterre e affidata a quella di Bordeaux, il cui procuratore, Philippe Courroye è ritenuto vicino a Sarkozy.

Le anticipazioni della stampa stanno provocando una bufera: il segretario dei socialisti francesi e candidata alla primarie, Martine Aubry, ha chiesto immediatamente l’apertura di un’inchiesta che faccia luce sulle dichiarazioni del giudice: “Non capisco perché la Prevot-Deprez non abbia parlato durante l’interrogatorio – ha detto la Aubry facendo riferimento a possibili ‘pressioni’ – ma penso e spero che una nuova inchiesta venga aperta”.

Intanto, Eliseo e Ump serrano i ranghi intorno al presidente. La presidenza della Repubblica ha parlato di accuse “false e infondate” mentre il segretario del partito di destra Jean-Francois Cope si è detto “sconvolto” dalla testimonianza del magistrato evocando anche una manipolazione politica a otto mesi dalle elezioni presidenziali. La portavoce del governo Valérie Pecresse ha quindi evocato “un timing un po’ sospetto” delle dichiarazioni.

Lo scandalo Bettencourt era iniziato nella primavera del 2010 quando la figlia della miliardaria, Françoise Meyers-Bettencout, aveva fatto causa al fotografo François-Marie Banier accusandolo di aver sottratto grandi quantità di denaro a sua madre. All’epoca il quotidiano online Mediapart decise di pubblicare le registrazioni clandestine effettuate tra il 2009 e il 2010 da Pascal Bonnefoy, maggiordomo di Liliane Bettencourt, prima azionista del gruppo L’Oréal. La miliardaria francese è sospettata di frode fiscale e di essere in possesso di conti bancari all’estero, oltre che di finanziamento illecito alla campagna elettorale di Nicolas Sarkozy. L’affaire aveva poi travolto anche l’ex ministro del Lavoro Eric Woerth 3, membro chiave del gabinetto Sarkozy, poi allontanato, la cui moglie ai tempi lavorava per la Bettencourt.

La contabile della famiglia Bettencourt, Claire Thibout 4, ha detto di essere stato al corrente di finanziamenti al ministro Erich Woerth. Ha poi evocato numerose “bustarelle” di cui avrebbero beneficiato diversi personaggi politici, fra cui lo stesso Sarkozy, senza però averne diretta testimonianza.

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31 agosto 2011

fonte:  http://www.repubblica.it/esteri/2011/08/31/news/sarkozy_finanziamenti_bettencourt-21083471/?rss

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L’ITALIA E LE MEMORIA CORTA – In Libia, 41 anni fa il colpo di Stato di Gheddafi. Con l’aiuto dei nostri servizi segreti

History of Libya

Caricato da in data 18/mar/2011

This is a short documentary film of some of the key events in Libyan history between the years 1911 — 1969.

http://mohammedelsenussi.org/
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Who’s Gaddafi??..Gaddafi’s History CNN.. تاريخ القذافي

Caricato da in data 28/mar/2011

Who’s Gaddafi??..Gaddafi’s History CNN..

Gheddafi, colpe di Stato

Quarantuno anni fa, il golpe di Gheddafi. Il piano della presa del potere fu perfezionato in Italia, con l’aiuto dei nostri servizi segreti

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di Cora Ranci

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Il colpo di Stato con cui, esattamente 41 anni fa, un gruppo di militari rovesciò la monarchia dell’ottantenne re Idris di Libia, consegnando il Paese nelle mani del colonnello Gheddafi e di un gruppo di ufficiali dell’esercito, è stato preparato in Italia con l’aiuto dei nostri servizi segreti. Giova ricordarlo, oggi, nell’anniversario del golpe, consumato nella notte tra il 31 agosto e il primo settembre 1969, per renderci conto con più consapevolezza della profondità dell’intreccio che ha legato – e, a quanto pare, continuerà a legare – l’Italia e la sua ex-colonia. E dell’ipocrisia politica in cui un Paese incappa quando non è in grado di sviluppare una politica estera coerente ed autonoma proprio nel Mediterraneo, di cui è al centro.

Quando all’inizio di agosto 1969 re Idris, ormai ottantenne, comunicò al governo libico l’intenzione di abdicare a favore del principe ereditario, i membri delle famiglie libiche decisero di preparare in segreto un’evoluzione politica diversa e a loro più conveniente. I tempi erano stretti e la posta in gioco troppo alta per essere persa. Il complotto venne architettato sotto la regia di Abdulaziz el-Sheli, uomo di fiducia del re. Un cambiamento di governo in un Paese strategicamente così importante come la Libia non poteva avere successo senza il consenso delle potenze che in quel momento “contavano” nello scacchiere mediterraneo, in primis la Francia.

Ma anche l’Italia, se pur non certo una grande potenza, per lo meno nei rapporti con Tripoli aveva il suo peso politico ed economico non secondario. In Libia, l’Eni era già presente dal 1959, anno in cui l’Agip ottenne la prima concessione nel deserto del Sahara orientale. Altri importanti accordi vennero stretti tra la monarchia libica e il “cane a sei zampe” tra il 1965 e il 1967. Il destino della Libia era, come lo è oggi, di importanza centrale per Roma.

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L’Operazione Gerusalemme, nome in codice con cui venne chiamato il colpo di Stato contro re Idris, venne perfezionata negli ultimi dettagli proprio in Italia. Nel Grand Hotel di Abano Terme, in Veneto, si tenne una riunione dei servizi italiani in cui vennero assegnati i più importanti incarichi del futuro governo di Gheddafi, all’epoca solo 27enne. Alla vigilia del golpe, il 28 agosto 1969, colui che a breve sarebbe diventato il ministro degli Esteri libico, Sala Bouissir, si spostò a Roma: in caso di successo del piano, avrebbe preso possesso dell’ambasciata. Pare che Gheddafi stesso sia stato addestrato militarmente per un breve periodo in Italia.

Il resto della storia, lo conosciamo. L’Italia divenne negli anni il partner commerciale privilegiato della Jamahiriya libica. Nel 1980, secondo uno degli scenari più accreditati di quanto successo la sera del 27 giugno, furono ancora i nostri servizi a salvare Gheddafi da un attentato francese, avvisandolo che il suo aereo sarebbe stato bersaglio di un missile. Il colonnello, in volo da Tripoli verso la Polonia, avrebbe fatto in tempo ad invertire la rotta all’altezza di Malta. E ad essere abbattuto, per errore – questo è certo – fu un aereo civile italiano con a bordo 81 persone, all’altezza dell’isola di Ustica. Uno degli esiti più grotteschi della doppia fedeltà di Roma nel campo degli affari internazionali.

L’amicizia con la Libia di Gheddafi ha fatto comodo a Roma anche quando è cominciata l’emergenza delle forti migrazioni dall’Africa. Non si fecero scrupoli, i governi di entrambe le parti, ad includere nei trattati con Tripoli la regolazione del flusso migratorio. Cominciò il governo Prodi nel 1997, fino ad arrivare all’ultimo accordo siglato da Berlusconi nel 2009. Non si è tornati indietro quando si è venuti a conoscenza del cruento trattamento che le autorità libiche riservavano ai migranti. Conveniva così.

Fedele alla tradizione, l’Italia è stato l’unico Paese occidentale a non prendere subito una precisa scelta di campo quando si è capito che la primavera araba avrebbe contagiato anche la Libia. Si è spinto il limite sin che si è potuto, per poi lasciare spazio all’opportunismo economico, anch’esso senza dubbio parte dell’arte diplomatica. L’Eni ha già inviato il proprio amministratore delegato a Bengasi e un accordo con il Cnt per le forniture di petrolio è già stato firmato. Ancora non si sa che fine abbia fatto Gheddafi, ma oggi, nell’anniversario del suo colpo di Stato, non dimentichiamoci da dove è venuto.

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30 agosto 2011

fonte:  http://it.peacereporter.net/articolo/30191/Gheddafi%2C+colpe+di+Stato

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DATI EUROSTAT – Ue, oltre 5 milioni di giovani senza lavoro

Nei dati Eurostat la conferma della jobless recovery. La Spagna il paese peggiore

Ue, oltre 5 milioni di giovani senza lavoro

Livello dei prezzi stabile in Eurolandia, ma in Italia l’inflazione sale al 2,8%, il massimo dal 2008


fonte immagine

Prezzi in ascesa in Italia, trainati dagli energetici
Prezzi in ascesa in Italia, trainati dagli energetici

MILANO – Nel mese di luglio la disoccupazione dei giovani con meno di 25 anni nella zona dell’euro è stata pari al 20,5% e nell’Unione europea al 20,7%. In tutta l’Ue sono 5 milioni e 115 mila i giovani senza lavoro di cui 3,143 milioni in Eurolandia. A comunicarlo Eurostat, l’ufficio europeo di statistica. La Spagna con il 46,2% resta il paese con il tasso più elevato, seguito dalla Grecia (38,5% nel primo trimestre 2011). Per l’Italia Eurostat indica un tasso del 27,6%. Il tasso più basso di giovani disoccupati è stato osservato invece in Olanda (7,5%) e in Austria (7,8%).

INFLAZIONE – Stabile ad agosto invece il tasso di inflazione annuale nell’eurozona. Secondo la stima flash diffusa da Eurostat (e poi confermata dall’Istat), per il mese che sta per concludersi l’aumento dei prezzi sarà del 2,5%, invariato rispetto al dato di luglio. La crescita dell’inflazione ad agosto (+2,8% i prezzi a fronte del 2,7% di luglio) è stata trainata dall’andamento dei beni energetici non regolamentati e dai servizi relativi ai trasporti. I prezzi dei beni energetici non regolamentati (carburanti e gasolio per riscaldamento) sono cresciuti dello 0,9% su luglio e del 15,5% su agosto 2010. La benzina in particolare ad agosto è aumentata dell’1,1% congiunturale e del 16% rispetto ad agosto 2010. Un impatto significativo sull’andamento complessivo dei prezzi è stato dato anche dai servizi relativi ai trasporti con un aumento dei prezzi del 2,5% rispetto a luglio e del 5,7% rispetto ad agosto 2010.

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Redazione Online
31 agosto 2011 12:30

fonte:  http://www.corriere.it/economia/11_agosto_31/disoccupazione-inflazione-eurostat_c73454ba-d3b7-11e0-85ce-5b24304f1c1c.shtml

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AVETE FIRMATO? BRAVI! – Fiat, Mirafiori “perde” il Suv “, che verrà prodotto negli USA. Torino produrra una city-car”. Forse

General Holiefield and Sergio Marchionne - Chrysler CEO, Michigan Political Leaders Visit Assembly Plant In Detroit
“Tranquillo, paisà. Ccà nisciune è fess!!” – fonte immagine
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Lo andiamo sostenendo da tempo. In sintesi: all’Italia i debiti, in USA il lavoro. Marchionne è un ‘magliaro’, che prima di tutto guarda ai ‘suoi’ interessi; che non coincidono e mai coincideranno con quelli dei lavoratori italiani.

mauro

Fiat, Mirafiori “perde” il Suv
“Torino produrra una city-car”

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Marchionne ha confermato: stiamo valutando la sostenibilità della produzione in Italia dei veicoli Jeep e Alfa Romeo. Ma dalle ultime indiscrezioni il trasferimento negli Usa sembra molto più che un’ipotesi. Gli appelli dei sindacati. Domani la riunione del board congiunto

Fiat, Mirafiori "perde" il Suv "Torino produrra una city-car" Un operaio alle carrozzerie di Mirafiori

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ROMA – La Fiat starebbe già progettando lo spostamento della produzione dei suv Jeep ed Alfa Romeo (280mila veicoli a partire dal quarto trimestre 2012) da Mirafiori agli Stati Uniti. Allo stabilimento italiano sarebbe, invece, destinata la costruzione di una piccola citycar. Lo riporta l’agenzia Bloomberg, citando una fonte vicina all’azienda ed aggiungendo che le valutazioni sono in corso.

Il Lingotto aveva lasciato intendere pochi giorni fa che, pur confermando gli investimenti italiani, stava ricalcolando la convenienza, alla luce del cambio euro-dollaro, del produrre in Italia un veicolo destinato ai mercati americano ed extraeuropeo. L’avvio della nuova valutazione è stato confermato personalmente dall’ad Sergio Marchionne nell’incontro con il presidente della Regione 1 Piemonte, Roberto Cota.

Le nuove voci sembrano però confermare i timori  peggiori dei sindacati sul fatto che lo spostamento della produzione dei Suv negli Usa sia molto più che un’ipotesi allo studio. Il segretario generale della Cgil, parlando oggi a Torino a un’assemblea di delegati in vista dello sciopero del 6 settembre, ha sottolineato l’esigenza che si faccia chiarezza sulle intenzioni reali della Fiat: “Bisogna smettere di fidarsi delle telefonate, degli annunci, delle dichiarazioni. Se questo governo ha ancora un minimo di autorevolezza – ha detto Susanna Camusso – faccia quello che non ha fatto in questi due anni e avrebbe dovuto fare: convochi un tavolo e faccia chiarezza sul piano degli investimenti per Mirafiori, Grugliasco, Pomigliano e per tutto il paese”.

Dal canto loro, Fim, Uilm, Fismic, Associazione Quadri e Ugl chiedono in una lettera un incontro a Fiat Group Automobiles su Mirafiori “per chiarire la situazione determinatasi dopo l’incontro tra l’amministratore delegato, Sergio Marchionne e il presidente della Regione”. Con il fiato sospeso sono soprattutto i 5mila operai di Mirafiori; nello stabilimento, fra l’altro, il ricorso alla cassa integrazione ha fatto sì che da marzo abbia lavorato solo un operaio su tre 2.

Decisivo, ai fini della scelta finale, è l’apprezzamento dell’euro sul dollaro, che rende già sulla carta più costoso l’intero progetto. Se i suv saranno prodotti negli Usa, che fine farà l’investimento su Mirafiori? Sarà sempre dell’entità di un miliardo come annunciato da Marchionne nel novembre scorso – quando l’euro valeva il 9% in meno rispetto al dollaro Usa – o sarà ridimensionato? Sono le domande che si pongono anche i sindacati. Qualche risposta sul modello di auto da produrre a Mirafiori potrebbe venire domani dal primo vertice congiunto dei board Fiat e Chrysler dai tempi della fusione fra le due aziende.

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31 agosto 2011

fonte:  http://www.repubblica.it/economia/2011/08/31/news/fiat_mirafiori_perde_il_suv-21079686/?rss

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RIPENSAMENTI – Il blocco del riscatto degli studi potrebbe valere per il futuro

Il blocco del riscatto degli studi potrebbe valere per il futuro

Il ripensamento nella maggioranza sul conteggio dei 40 anni di contributi

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ROMA- Un pasticcio. Difficile definire altrimenti la manovra del governo sul riscatto del corso di laurea e del servizio militare ai fini della pensione. Per venirne fuori si incontreranno questa mattina il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, quello della Semplificazione, Roberto Calderoli, con i loro tecnici e quelli del ministero dell’Economia. Sul tavolo la controversa norma sui riscatti appunto, e più in generale il capitolo previdenza. Ma vediamo come si è arrivati a questo punto.

La mannaia sui 40 anni di contributi
L’altro ieri, al termine del vertice di maggioranza presieduto da Silvio Berlusconi, il presidente del Consiglio ha diffuso un comunicato che, dando conto delle decisioni prese circa le correzioni da fare al decreto legge del 13 agosto, per quanto riguarda la previdenza diceva testualmente: «Mantenimento dell’attuale regime già previsto per coloro che abbiano maturato quarant’anni di contributi con esclusione dei periodi relativi al percorso di laurea e al servizio militare che rimangono comunque utili ai fini del calcolo della pensione». Il ministero del Lavoro spiegava che, dal 2012, per andare in pensione d’anzianità a prescindere dall’età anagrafica non sarebbero bastati più 40 anni di contributi comunque realizzati e quindi anche con eventuali riscatti della laurea e del militare, ma sarebbero serviti 40 anni di lavoro effettivo. Gli eventuali anni riscattati conterebbero quindi non più per lasciare prima il lavoro ma solo per avere una pensione più alta. Per chi va in pensione d’anzianità col sistema delle quote (età anagrafica più contributi), precisavano infine al Lavoro, non sarebbe cambiato nulla. Fin qui gli annunci, perché, come dice lo stesso comunicato di Palazzo Chigi, la traduzione dell’intesa politica in norme è affidata agli emendamenti alla manovra che verranno presentati dal relatore di maggioranza, Antonio Azzollini (Pdl), forse questa sera.

Salvi i diritti acquisiti
Ieri mattina è montata però la protesta. Non solo la Cgil e le opposizioni, ma anche la Cisl e la Uil, che ha addirittura minacciato lo sciopero generale. Poi è intervenuto lo stesso Azzollini con una dichiarazione che ha cambiato le prospettive. Il relatore ha infatti annunciato una «norma transitoria» per escludere dalle nuove regole chi ha già presentato la domanda di riscatto. Se così è, a maggior ragione verrebbero esclusi coloro che hanno già riscattato la laurea o il militare. E quindi la stretta si applicherebbe solo a chi volesse riscattare dal 2012 in poi: potrebbe farlo ma ai soli fini di avere una pensione più ricca e non più per raggiungere i 40 anni di contributi e lasciare il lavoro.

E i risparmi previsti?
Se l’emendamento si muoverà in questo senso, salterà però parte dei risparmi annunciati dallo stesso governo l’altro ieri: 500 milioni di euro nel 2013, un miliardo nel 2014 e ancora di più nel 2015. Stime elaborate su una previsione di circa 70-80 mila pensionamenti con 40 anni di contributi grazie a un anno di riscatto del militare più altri 10-11 mila pensionamenti grazie al riscatto del corso di laurea. In pratica, la stretta avrebbe colpito una platea potenziale di circa 90 mila lavoratori, costretti a rinviare il pensionamento di un anno (nel caso del riscatto solo del militare) o di più anni. Se invece venissero salvati i diritti acquisiti, forse resterebbero impigliati nella rete solo una parte di coloro che riscattano il militare. Infatti, essendo questo un accredito di contributi gratuito e non a pagamento come quello del corso di laurea, molti vi ricorrono un minuto prima di presentare la domanda di pensione e quindi verrebbero colpiti da una eventuale norma che stabilisse appunto che da ora in poi si può andare in pensione indipendentemente dall’età solo con 40 anni di lavoro effettivo. Questi lavoratori, in sostanza, dovrebbero rimandare il pensionamento di un anno.

Troppi problemi aperti
Il ripensamento in atto, che farebbe salvi tutti i riscatti già effettuati o in corso, è maturato anche perché ci si è resi conto dei molti problemi che si sarebbero aperti. Se la norma non venisse aggiustata rispetto agli annunci iniziali, ci sarebbero per esempio decine di migliaia di lavoratori coinvolti nelle ristrutturazioni aziendali, attualmente in mobilità, che attendono di andare in pensione anche grazie al riscatto e che rischierebbero di restare senza pensione e senza sussidio nel caso di impossibilità di far valere il corso di laurea o il servizio militare. C’è inoltre la questione dei lavoratori che avevano più di 18 anni di contributi nel 1995 e che vanno in pensione col sistema retributivo che calcola l’assegno fino a un massimo di 40 anni di contributi, i quali non potrebbero giocarsi il riscatto per avere una pensione più alta.

Messaggi contrastanti
Ma c’è anche un’altra considerazione che non può non esser fatta. Negli ultimi anni il governo e l’Inps si sono spesi in una massiccia campagna pro-riscatto, rivolta in particolare ai giovani per convincerli a riscattare subito il periodo di laurea al fine di avere una pensione più ricca. L’iniziativa è stata supportata dalla decisione di agevolare fiscalmente il riscatto, che infatti è pagabile a rate in 10 anni e deducibile dall’imponibile. Tutta questa operazione è stata fatta per vincere ogni diffidenza nei confronti del riscatto (ne vale la pena? Riuscirò davvero ad andare in pensione prima? Avrò un assegno più alto?). Ora questa fiducia, che a fatica si stava cercando di costruire, improvvisamente è stata tradita da un annuncio che ha gettato nel panico tantissimi lavoratori, alcuni dei quali, come i medici riescono, con le norme attuali, a riscattare anche 12 anni, sommando il corso di laurea e quello di specializzazione. Adesso tutto torna in discussione. Ne parleranno questa mattina Sacconi e Calderoli. Sul tavolo potrebbero spuntare altre ipotesi. Tornare in ballo l’accelerazione delle quote per le pensioni di anzianità e l’anticipo dell’aumento dell’età pensionabile delle donne. Se si riapre la discussione, nulla può essere escluso. Ma è forte la volontà anche di chiudere presto e con meno danni possibili una partita che al governo sta procurando solo crescenti proteste.

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Enrico Marro
31 agosto 2011 07:49

fonte:  http://www.corriere.it/economia/11_agosto_31/il-blocco-del-riscatto-degli-studi-potrebbe-valere-per-il-futuro-enrico-marro_99e6797e-d390-11e0-85ce-5b24304f1c1c.shtml

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USA – ‘9-11 Cospirazione e propaganda’, le prime 3 puntate dell’inchiesta

29/08/2011

9-11 Cospirazione e propaganda (1)

Dieci anni dopo gli attentati dell’11 settembre, un’inchiesta per ripercorrere la genesi del mito, le storie degli scettici e la diffusione del dubbio di massa

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Erano trascorsi pochi secondi dal crollo della seconda torre del World Trade Center, l’11 settembre di dieci anni fa. Una gigantesca nuvola piroclastica percorreva come una valanga le strade di Manhattan e inghiottiva centinaia di persone in fuga a piedi, incredule e sconvolte. Una patina di cemento polverizzato ricopriva quelle sagome e ogni altra cosa attorno.
Quel velo di polvere bianca sembrava attutire lo strazio delle sirene e delle urla, ma la skyline di New York era squarciata, il cuore della finanza mondiale in fiamme. A Manhattan andava in scena il reality show dell’apocalisse e tutti gli schermi del globo erano già sintonizzati. I solidi orizzonti di milioni di persone sembravano improvvisamente vacillare.

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L’afasia dello stupore, però, dura poco, i guru del marketing mediatico lo sanno bene. I momenti in cui crollano le certezze sono preziosi per i manipolatori, ma solo a patto che riescano a fornire a caldo una spiegazione rassicurante degli eventi. Così, pochi secondi dopo il crollo della seconda torre del World Trade Center, l’11 settembre di dieci anni fa, era già il momento di rivelare l’arcano.
In diretta su Fox News, le parole di un sedicente testimone: “E poi ho visto crollare le torri, perlopiù a causa di un cedimento strutturale causato dalla grande intensità delle fiamme” (1).
E poco dopo, la voce dell’ex capo del dipartimento di New York per la gestione delle emergenze, Jerome Hauer, su Abc e Cbs, che escludeva la possibilità che a provocare i crolli potessero essere esplosivi piazzati nelle Torri Gemelle, per poi sostenere che un simile attentato “presenta di certo l’impronta digitale di Bin Laden” (2).

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L’indagine sugli attentati era già conclusa il 13 settembre, con l’allora direttore dell’Fbi Robert Mueller che mostrava le fotografie di 19 dirottatori sauditi (3), e prefigurava la doverosa ritorsione contro il mandante degli attacchi, un altro saudita: l’invasione dell’Afghanistan.
Ma la cosiddetta versione ufficiale degli eventi dell’11 settembre è emersa solo quattro anni dopo, al termine dell’inchiesta della Commissione governativa, i cui atti e conclusioni sono stati divulgati in un libro di 571 pagine, che ben poche persone hanno letto. E del resto, il mondo era ormai irrimediabilmente cambiato; “L’America è stata attaccata da fondamentalisti islamici che odiano la nostra libertà” aveva detto l’allora presidente George W. Bush dal pulpito della National Cathedral di Washington DC, il 15 settembre 2001 (4). Quattro giorni dopo gli attacchi il mito era servito e, dato il luogo, consacrato. Da quel momento, mettere in discussione il dogma sarebbe stato un atto sacrilego.

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Dieci anni dopo, la fiducia nell’infallibilità del mito resiste ostinatamente sui grandi media, che persistono a ignorare le domande sollevate dalla ricostruzione ufficiale, trovando nella categoria del “complottismo” una facile esca di dissuasione dal pensiero autonomo. Tuttavia, le voci critiche marginalizzate dall’informazione generalista hanno trovato spazi e pubblico sempre crescenti su internet, dove le verità ufficiali possono essere messe in discussione, e i miti, anziché decostruirsi, si riproducono. Lo spazio vuoto di Ground Zero, anti-icona contemporanea, è diventato un’arena dove competono identità e storiografie ormai inconciliabili, basate sulla condivisione più o meno critica dei miti. E’ diventato un paradossale monumento alla memoria in cui, assieme allo spirito delle vittime, aleggiano migliaia di domande a cui nessuno ha mai dovuto rispondere.

Si trovano tutte su internet le questioni lasciate aperte dalla Commissione d’inchiesta sugli eventi dell’11 settembre 2001. Lasciando da parte i miti e le teorie, se si seguono le domande ci si imbatte nel Truth movement (5), il movimento per la verità sull’11 settembre.
Non si tratta di un’associazione con un quartier generale e un direttivo, ma di una rete che unisce diversi gruppi di professionisti: di ingegneri e architetti, docenti, giuristi, piloti (6), ufficiali delle agenzie di intelligence, politici, veterani e molti altri, ciascuno a modo suo impegnato nell’indagine su quegli eventi e nella divulgazione del dubbio di massa. Senza il loro contributo, non ci sarebbero state una commissione d’inchiesta e nemmeno una ricostruzione ufficiale.

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Il Truth movement nasce dall’esperienza di quattro donne che non avrebbero mai immaginato di essere coinvolte in eventi incommensurabilmente più grandi di loro. Mentre l’America brancolava nel trauma collettivo per la violazione del suolo nativo, mentre la macchina dell’imperialismo Neocon scaldava i motori per quella che Cheney & Co. definirono un’occasione da sfruttare, Lorie, Mindy, Patty e Kristen si recavano a Washington in cerca di risposte concrete su come fossero morti i loro mariti, caduti l’11 settembre nelle torri del World Trade Center. La stampa le soprannominò Jersey Girls (7), e la loro vicenda è diventata un pezzo di storia americana, dell’America del terzo millenio.
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Naoki Tomasini

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Note:
1. “And then I witnessed the towers collapse, mostly due to structural failure because the fire was too intense”.
http://www.youtube.com/watch?v=A0wHeekgPqk

2. “This is something that certanly has the fingerprint of Bin Laden”.
http://www.youtube.com/watch?v=Dj0Rz9ZsDAg
3. http://www.youtube.com/watch?v=K7wT2cU-bOI
4. http://wn.com/Washington_National_Cathedral
5. http://www.911truth.org/
6. http://pilotsfor911truth.org/
http://www.youtube.com/watch?v=uUbVbmpblFk

7. http://www.msmagazine.com/winter2004/womenoftheyear.asp
http://www.commondreams.org/headlines04/0513-05.htm

http://www.911pressfortruth.com/

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PeaceReporter - la rete della pace. Quotidiano online e agenzia di servizi editoriali. Storie, dossier, interviste, reportage, schede conflitto, schede paese e buone notizie da tutto il mondo

fonte:  http://it.peacereporter.net/articolo/30129/9-11+Cospirazione+e+propaganda+%281%29%0D%0A%26nbsp%3B

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30/08/2011

9-11 Cospirazione e propaganda (2)

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Se lo si guarda in modo analitico, l’11 settembre è stato un intrico di eventi. Una catena più o meno causale di fatti, così vasta che la mente non riesce a ordinare. A questo serve il mito, una narrazione semplificata che renda gestibile la magnitudine di un giorno senza precedenti, perché la gente possa voltare pagina e continuare a vivere una vita normale. E d’altro canto, a questo servono le Commissioni d’inchiesta: per consegnare alla storia i fatti nudi e crudi, i numeri, i nomi. E anche le domande senza risposta, così che altri possano continuare a cercare.

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Durante le loro prime indagini, Lorie, Mindy, Patty e Kristen, le Jersey Girls, scoprirono il lavoro di un ricercatore indipendente, Paul Thompson (8), che aveva prodotto una cronologia dei fatti dell’11 settembre, secondo per secondo, basandosi sulle notizie pubblicate dai media Usa e internazionali. Era uno strumento prezioso per le quattro donne che, d’un tratto, s’erano trovate faccia a faccia con qualcosa di enorme, senza gli strumenti per capire, ma senza la possibilità di voltare pagina. Lo racconta una di loro, Kristen Breitweiser, che aveva votato per Bush, nel suo libro: Educazione politica di una vedova dell’11 settembre. Cercare informazioni era come una terapia per lenire il dolore, articolo dopo articolo, notti insonni trascorse tra pile di documenti e su internet, fino a produrre una lista, un lungo elenco di domande. L’amministrazione Bush, però, non era interessata a dare risposte: “un’inchiesta non deve interferire con lo sforzo per impedire il prossimo attentato” dichiarò tra gli altri Dick Cheney. Ma molti altri parenti delle vittime e comuni cittadini sì. Nel giugno del 2002, davanti al Campidoglio a Washington, c’era un piccolo palco con scritto davanti: “3000 vittime, 3milioni di domande”. Quando parlarono da quel pulpito, di fronte ai media e a decine di altri familiari delle vittime del 9/11, le Jersey Girls non erano più sole.

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Fu la pressione popolare a spingere il governo Bush ad autorizzare una Commissione d’inchiesta (9). 421 giorni dopo gli attentati, con un budget iniziale di 3 milioni di dollari, a fronte dei 40 spesi per investigare l’affaire Lewinsky. Alla guida venne inizialmente nominato Henry Kissinger ma, di nuovo, l’indignazione delle vittime nei confronti di un veterano delle operazioni sotto copertura, pupillo di Rockefeller e, per giunta, in affari con la famiglia Bin Laden, ottenne un risultato concreto: Kissinger rinunciò all’incarico (10) e al suo posto vennero chiamati Thomas Kean e Lee Hamilton. Nel marzo 2003, quando la Commissione iniziò le udienze, in platea non c’erano solo quattro donne, ma decine di persone armate di taccuini e registratori che si definirono Citizens’ Watch, embrione di quello che si sarebbe chiamato Truth Movement.
Per rispondere ad alcune delle loro domande la Commissione richiese centinaia di documenti alla Casa Bianca, all’Fbi, alla Cia, alla difesa aerea e all’aviazione civile. L’esecutivo aveva promesso piena collaborazione anche da parte delle agenzie di intelligence, ma le cose non andarono come dichiarato. “Ricordo che il presidente disse che solo una minoranza dei commissari poteva visionare una minoranza dei documenti, e che costoro dovevano poi concordare con la Casa Bianca che cosa avrebbero detto al resto della Commissione” (11) raccontò il senatore Max Clealand, uno dei membri della Commissione.

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Tra la frustrazione di alcuni commissari e delle famiglie delle vittime, indispettiti dalla scarsa trasparenza dell’amministrazione e delle agenzie di intelligence, le udienze proseguirono senza clamore. Fino al 24 marzo 2004, quando Richard Clarke, il principale consigliere anti-terrorismo dell’amministrazione Bush (in precedenza per Clinton e Bush Sr.) testimoniò davanti alla Commissione e disse: “Ai parenti delle vittime del 9/11, a quelli che sono presenti in questa stanza e a quelli che ci seguono in televisione, il vostro governo ha fallito. Coloro che dovevano proteggervi hanno tradito la vostra fiducia, e anche io vi ho deluso” (12).
Le scuse pubbliche di Clarke, riprese dalla Cbs, costrinsero il presidente e il suo staff a testimoniare, anche se a porte chiuse, senza registrazione e non sotto giuramento. Bush pretese di comparire insieme a Cheney.

Uno dei documenti richiesti dalla Commissione e mai desecretati interamente era il Presidential Memo del 6 agosto 2001. Avvertiva della presenza in America di potenziali attentatori intenzionati a dirottare aerei e colpire edifici federali a Washington e New York. L’allora Segretario di Stato Condoleeza Rice, interrogata nel merito dalla Commissione, ripose che si trattava di “informazioni storiche basate su vecchi rapporti. Non c’erano notizie di nuove minacce, e non avvertiva di alcun impellente attacco sul suolo statunitense” (13). Il titolo del Memo era “Bin Laden intenzionato a colpire dentro gli Usa” (14).

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Ma quello non fu un caso isolato. Le informazioni preventive su possibili attentati e in particolare sugli attentatori già presenti negli Usa erano numerose e impellenti. In quest’ambito, il caso più clamoroso fu la testimonianza del Lt. Col. Anthony Shaffer (15), che operava in un progetto del Comando Operazioni Speciali (Socom), chiamato Able Danger. Shaffer rivelò alla Commissione che Mohamed Atta e almeno altri tre attentatori erano noti al suo ufficio almeno un anno prima degli attacchi. Le rivelazioni di Shaffer furono confermate da un altro ufficiale, il Maggiore Eric Kleinsmith capo dell’intelligence del Liwa (Land Intelligence Warfare Activity), che raccontò alla Commissione di avere ricevuto l’ordine di distruggere 2,5 terabyte di files del progetto Able Danger. La commissione rifiutò di prendere in esame le rivelazioni per mancanza di prove, screditando la lealtà di due ufficiali che avevano messo a rischio la propria carriera. Tra coloro che presero le difese di Shaffer, ci fu il Senatore Kurt Weldon, vicedirettore del House Homeland Security Committee, che riferendosi all’atteggiamento della Commissione dichiarò (in un’intervista alla Fox news): “Sta succedendo qualcosa di molto sinistro che mi turba profondamente” (16). Anni dopo, il direttore esecutivo della Commissione Philip Zelikov sostenne che quella pista non era stata seguita per “Mancanza di tempo e risorse”.
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Naoki Tomasini

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Note:
8. http://www.historycommons.org/project.jsp?project=911_project
9. http://govinfo.library.unt.edu/911/archive/index.htm#hearings
10. http://archives.cnn.com/2002/ALLPOLITICS/12/13/kissinger.resigns/
11. “I remember, the president have said that only a minority of the commissioners can see a minority of the documents, and then they have to clear what they are going to say to the rest of the commission, to the White House”.
12. “To the loved ones of the victims of 9/11, to them who are here in this room, to those who are watching on television, your government failed you. Those entrusted with protecting you failed you. And I failed you”.
http://en.wikipedia.org/wiki/Richard_A._Clarke
13. “Historical informations based on old reportings. There was no new threat information, and did not in fact warn of any coming attack inside the United States”.
14. “Bin Laden determined to strike in US”.
15. http://en.wikipedia.org/wiki/Anthony_Shaffer_%28intelligence_officer%29
16. “There is something very sinister going on that really troubles me”
http://www.democracynow.org/2004/3/23/the_white_house_has_played_cover
http://dir.salon.com/story/news/feature/2003/11/21/cleland/index.html?pn=1

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31/08/2011

9-11 Cospirazione e propaganda (3)

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Il dubbio, quanto sapeva l’amministrazione Bush prima degli attacchi e cosa fece per prevenirli, non trova risposte nel rapporto ufficiale della Commissione, dato alle stampe nel luglio 2004.
E nemmeno l’altra grande domanda che il comitato dei cittadini poneva con insistenza: chi pagò le spese per realizzare gli attentati? Il 9 ottobre del 2001 il Times of India scrisse che, secondo le indagini dell’Fbi su Mohamed Atta, il presunto capo degli attentatori ricevette centomila dollari da parte del capo dei servizi segreti pakistani, il Generale Mahmoud Ahmed. Lo stesso generale Ahmed che la mattina dell’11 settembre faceva colazione a Washingon, insieme a Porter Goss e Bob Graham, presidenti dei comitati per l’intelligence del Senato (17). Nel rapporto finale della Commissione, però, la questione del finanziamento degli attacchi viene definita “di scarsa rilevanza pratica” (18).

Durante le udienze della Commissione, l’allora ministro dei Trasporti Norman Mineta testimoniò di essere stato presente nel bunker della Casa Bianca insieme a Dick Cheney, mentre il Vice Presidente veniva informato del velivolo in avvicinamento al Pentagono, chilometro dopo chilometro, senza ordinare l’evacuazione dell’edificio. La sua testimonianza venne però omessa dal rapporto finale, in cui si legge che “non ci si accorse dell’aereo in avvicinamento al Pentagono fino all’ultimo momento” (19). E si sostiene che Cheney non fosse presente al momento dell’impatto.

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Proprio la mancata difesa aerea fu uno dei campi che la Commissione faticò maggiormente ad indagare. L’infallibile sistema di difesa aerospaziale Usa (Norad) che normalmente è in grado di intercettare qualsiasi aereo sospetto in circa dieci minuti, quel giorno fallì nell’intercettare tutti e quattro i velivoli dirottati. Gli ufficiali del Norad fornirono alla Commissione tre diverse versioni della sequenza di eventi, che furono considerate ricostruzioni ufficiali fino alla pubblicazione del rapporto finale. Questo però, contraddiceva la cronologia fornita dai militari, e puntava il dito sul ritardo nella comunicazione dei dirottamenti da parte dell’aviazione civile. Nessuno dei responsabili della mancata difesa aerea venne indagato, né per gli errori né per la false testimonianze davanti alla Commissione. La maggior parte dei protagonisti in negativo della sequenza di eventi che secondo le conclusioni della Commissione “furono sfruttati dagli attentatori”, ricevette una promozione.

La vedova Kleinberg espresse così la sua delusione davanti alla Commissione: “I terroristi dell’11 settembre non ebbero solo un colpo di fortuna, furono fortunati più e più volte. Ma quando si osserva un simile modello ripetuto di protocolli infranti, leggi violate e mancate comunicazioni non la si più più chiamare fortuna. A questo punto, se non cerchiamo di individuare gli individui responsabili per non aver svolto adeguatamente il proprio lavoro, come possiamo aspettarci che i terroristi non siano ancora fortunati?” (20).
In realtà, le conclusioni della Commissione sembravano confermare le critiche della Jersey Girl, secondo cui l’11 settembre sarebbe stato possibile grazie a una serie di incompetenze ed errori, o da parte dell’aviazione civile o da quella militare. Tuttavia, c’è almeno un altro spinoso filone di indagine che la Commissione non ha voluto, o potuto, seguire.

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Il 17 giugno 2004, durante l’interrogatorio del Generale Richard Myers, il principale consigliere militare di Bush, il Commissario Jamie Gorelick si apprestava a porre una domanda quando un giovane gridò dalla platea: “Domandagli delle esercitazioni militari pianificate per l’11 settembre!” (21). Il disturbatore venne allontanato dalla polizia e la domanda non venne posta. Quella però, nelle udienze della Commissione, fu l’unica volta in cui vennero nominate le esercitazioni militari – almeno quattro – in corso l’11 settembre. In effetti, lo stesso Gen. Myers ammise nel 2006 davanti al House Armed Services Committee che le quattro esercitazioni non erano congetture. Già nell’agosto 2001 l’Associated Press rivelava che l’11 settembre era in corso una simulazione dello schianto di un aereo civile contro il quartier generale del National Reconnaissance Office in Virginia. E lo stesso giorno, scrisse nel dicembre 2001 il Toronto Star, era in corso anche l’operazione Northern Vigilance, che tra le altre cose prevedeva l’immissione di falsi segnali di aerei dirottati sui radar civili e militari (22). E’ possibile che tali esercitazioni abbiano contribuito alla disfatta della difesa aerea l’11 settembre? Il testo finale della Commissione non ne fa nemmeno menzione.
(Domani la quarta puntata)

Naoki Tomasini

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Note:
17. http://www.atimes.com/atimes/Front_Page/FD08Aa01.html
18. “Of little practical significance”.
19. “There was no knowledge that an aircraft was approaching the Pentagon until the last minute or so”.
http://www.youtube.com/watch?v=bDfdOwt2v3Y
http://archives.cnn.com/2002/ALLPOLITICS/09/11/ar911.king.cheney/
20. “The 9/11 terrorists were not just lucky ones, they were lucky over and over again. When you have this repeated pattern of broken protocols, broken laws, broken communications one cannot still call it luck. If at some point, we don’t look to hold the individuals accountable for not doing their jobs properly, then how can we ever expect for terrorists to not get lucky again?”
21. “Ask about the war games that were planned for 9/11!”
22. http://www.usatoday.com/news/washington/2004-04-18-norad_x.htm
http://911research.wtc7.net/cache/planes/defense/torontostar_russiangame.html
http://www.boston.com/news/packages/sept11/anniversary/wire_stories/0903_plane_exercise.htm
http://www.historycommons.org/context.jsp?item=a96oemtrains#a96oemtrains

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