Archivio | agosto 2008

SONOHRA: MOTHER & DAUGHTER…

Ve la ricordate quella canzone di Cat Stevens: “Father and Son”? Ecco, oggi proviamo a fare lo stesso al femminile. Su un tema molto più banale se vogliamo – quale può essere la partecipazione ad un concerto – ma chissà… magari offrirà qualche spunto interessante al confronto generazionale…

Madre: Penso sia successo a parecchi della mia generazione (ma non solo…) di pensare “quando sarò genitore io, con i miei figli non mi comporterò certo così…” be’, io ci sto provando. E capisco adesso quanto NON SIA FACILE! Ma andiamo con ordine: mia figlia, massì la Yaris o Testarossa che dir si voglia, s’è invaghita dei Sonohra… ed è dalla loro comparsa al festival di Sanremo che mi assilla con ogni possibile richiesta – dal lasciarle libero il computer perché deve scaricare le foto e partecipare ai vari forum, allo spararmi nelle orecchie il loro – unico, peraltro – CD (notare che, in teoria, se lo sente solo lei mentre fa la doccia, con tre porte chiuse e l’acqua che scroscia… in pratica potrei citarlo a memoria, ma vabbè…) al voler andare ai loro concerti… cui ovviamente non la mando da sola. Non perché non mi fidi di lei… ma di galletti dementi purtroppo è ancora pieno il mondo – e l’ho visto pure ieri sera.

Ma, come dicevo, non voglio riproporre metodi educativi su cui ho dissentito quando li ho subiti. Quindi… a metà giugno, dopo un vero e proprio venerdì da leoni in ufficio, ci siamo caricati in macchina per raggiungere la prima manifestazione canora dei medesimi, abbastanza vicina da essere preda della febbre da volontà di presenza della fanciullina. Ero stanca, irritabile e proprio l’idea di essere circondata da una torma di ragazzine scatenate ed ululanti non era la massima aspirazione… Be’, Rho è stato un fiasco. Siamo rimasti due ore in attesa sotto un cielo che prima era solo nuvolo, poi s’è messa a cadere una pioggerellina che non faceva presagire nulla di buono… infatti, dopo un’ora buona è scoppiato un violento temporale. Ci siamo riparati sotto i tendoni provvidenziali di un bar (ma tra uno e l’altro c’era lo spazio per far filtrare nella schiena degli improvvidi genitori una malefica doccia non voluta… dei genitori, certo. Perché le pargole schiamazzanti – la mia compresa, ovvio! – nel frattempo si erano assiepate sotto la finestra del luogo in cui i due ineffabili miti erano nascosti… Loro belli e tranquilli all’asciutto, le pecorelle a sgolarsi sotto l’acqua per elemosinare un sorriso o un saluto… pietoso) quando finalmente, dopo un altro po’, qualcuno dell’organizzazione ha preso il microfono e dal palco ci ha avvertiti che pioveva (ma va’?) e che quindi avevano deciso di aspettare ancora un po’ per vedere se il tempo fosse migliorato. QUANTO significa, “ancora un po’” per un gruppo di ragazzine infradiciate tra cui alcune (ad esempio la mia) con gli esami alle porte???

Sono una madre “tollerante” (qualcuno potrebbe dire pazza), ma non del tutto scriteriata… quindi l’ho lasciata a strillare ancora un po’ sotto l’acqua, poi l’ho chiamata, me la sono caricata in macchina e l’ho riportata a casa. Congratulandomi con lei perché non ha protestato e ha capito senza bisogno di spiegazioni che non era il caso di rischiare una polmonite per due che FORSE sarebbero apparsi… Poteva essere finita qui? No, certo… però adesso inizia il contraddittorio! 🙂

Figlia: Dunque. Inizio con il dire che per trovare il luogo del concerto di Rho abbiamo cercato notizie ovunque, naturalmente tutte contraddittorie. Poi finalmente ci arriviamo (ore 19:30 circa, e io non avevo la minima fame…). Stava piovendo a catinelle, e noi ci eravamo rifugiati nel bar per prendere io un gelato (sì, avete capito bene, un gelato nonostante la pioggia e il freddo) e mamma un tè caldo (più normale). A un certo punto un paio di ragazzine dentro con me esclamano: “Ma… quella è la testa di Diego!” e io, infischiandomene del fatto che avevano tipo quattro anni meno di me mi metto a urlare: “Dove? Dove?” (Per la serie: la talpa…) e loro: “Eccola là!”. Ma potevo restare dentro? Ovvio che no! Allora sono schizzata fuori sotto l’acqua e mi sono appostata sotto al loro balcone. Lì sotto c’erano una decina di ragazze e io ero l’unica scema senza ombrello (che avevo rigorosamente lasciato a casa, tanto vuoi che piova!?!). Ci mettiamo a urlare un po’ di tutto, “Luca”, “Diego”, “Sonohra”… E indovinate un po’? Si AFFACCIA Luca. Noi in delirio. Allora ci mettiamo a urlare “Diego” per far uscire anche lui. Subito accontentate. Ci rivolge un sorriso meraviglioso con quella sua espressione così dolce (ok, basta ai deliri da fan…)… Poi entra e il fratello esce di nuovo e ci manda un bacio. Ovviamente noi urliamo come pazze. Alla fine mia madre mi viene a recuperare e mi dice: “Dai, tanto hanno detto che non li fanno suonare e tu tra quattro giorni hai un esame”. E io cosa faccio? Ovviamente la seguo senza fiatare (ma non senza essermi voltata un’ultima volta…). Immaginatevi la mia rabbia quando ho scoperto che poi hanno suonato dieci minuti (e ripeto DIECI MINUTI) dopo che ce ne siamo andati. Vabbè. Alla fine ho convinto mio padre a portarmi a Carugate l’11 luglio. Ha piovuto anche lì, ma io non mi sono schiodata da dov’ero (tra l’altro, c’era anche la mia migliore amica e io mi ero portata il K-Way…). Meno male che non me ne sono andata! Hanno suonato per circa mezz’ora e poi si sono fermati a fare autografi. E’ stata la serata migliore della mia vita. Fino a quel momento, almeno. Già, perché potevo accontentarmi di mezz’ora? NO!!! Ma adesso lascio la parola a mia madre…

Madre: Come diceva la dolce pargoletta, poteva bastare un concerto? Certo che no… e infatti, mi ha sfrugugliato l’anima finché la mia capacità di sopportazione ha ceduto e… ho comprato due biglietti per il concerto del 30 agosto. Me tapina… ovviamente ho passato tutto il tempo mancante a compiangermi sulla triste sorte che mi attendeva. Però l’onore è una cosa seria… e mica si può predicare bene e razzolare male, no? Quindi ci vuole coerenza. Vuoi essere diversa dalle madri tutte “ai miei tempi…” o che sbuffano di indulgente superiorità per le intemperanze delle figlie? Ecco, allora vai al concerto e ti butti nella mischia! Infatti… sono ancora qui a cercare di rientrare in possesso dei miei poveri timpani… Be’, insomma. Arriviamo in mezzo alle scalmanate (e noto con piacere che altri genitori, anche di puledrine più giovani della mia, sono in fila per entrare… mal comune…!) e facciamo la fila, attente a non danneggiare i capolavori striscioneschi altrui (ma ‘ste ragazzine non c’hanno altro da fare??? Io quando scatenavo la mia modesta arte grafica era sempre per scopi più alti: per la scuola, contro il governo… non per un duo di aspiranti menestrelli…)

Figlia: Dopo una giornata tutta fuori casa (così han deciso…) troviamo il posto. Lì vicino c’era anche un ristorante dove si mangia benissimo (l’unica cosa che è piaciuta a mia madre di ‘sta serata…). Poi per trovare l’entrata sono partiti 10 minuti. Ci mettiamo in fila e mia madre comincia: “Lo sai che soffro di claustrofobia?” e io: “Sì”.

“Ecco, quando mi pressano troppo mi metto a vomitare”. Effetto immediato: dieci centimetri di raggio tra lei e gli altri… Entriamo, ci sediamo, e aspettiamo. Io con il mio bel cartellone, la macchina fotografica digitale (altrimenti nota come “Giorgina”) e il cellulare come ultima spiaggia per “documentare il mitico evento”. Prima c’è una tipa dell’organizzazione che ripete la solita manfrina: “Durante l’esibizione, che durerà circa un’ora e quaranta (“aaargh!”, esclamò allora la mamma sull’orlo di una crisi di nervi…), è severamente vietato salire sul palco (a noi veramente non era nemmeno venuto in mente, ma grazie dell’idea!!!)”. I musicisti che li accompagnavano iniziano a suonare. Sbuffo di fumo (modello: “drago con il raffreddore). Escono. Si dirigono verso i microfoni. Iniziano a cantare l’inconfondibile Love Show. Le ragazzine come me iniziano a urlare a più non posso (ora infatti sono QUASI senza voce…) e a cantare con loro. Finiscono il pezzo, salutano, e ne cominciano un altro. Mia madre che si copriva la faccia con il mio cartellone (così però almeno lo vedevano…) io che filmavo (8 min e 10 sec possibili… In pratica nulla!) con la Giorgina e intanto mi sgolavo. Durante un pezzo (So La Donna Che Sei, per chi volesse saperlo…) hanno fatto le presentazioni. Mia madre negherà il tutto, ma io tanto lo dico lo stesso: Diego ha fatto un assolo di chitarra che era la fine del mondo. Oltre alle canzoni del loro CD hanno fatto anche alcune cover, tra cui Sultans of Swing dei Dire Straits, che secondo me hanno fatto bene ma che a mia madre ha fatto schifo (oggi ho sentito l’originale, e il pezzo di chitarra era fatto davvero BENISSIMO – checché ne possa dire chiunque altro – e la voce di Diego era molto più bella… Ma questi sono gusti). Mi sono divertita da matti, e alla fine Diego mi ha QUASI (purtroppo c’è il quasi) toccato le mani. Avevo anche una missione da compiere, ma questo ve lo dirò in seguito…

Madre: La storia della claustrofobia e conseguenti crisi di rigetto però è vera… risale probabilmente ad un inverno ormai perso nella notte dei tempi, quando con mia madre stavo tornando da chissà dove e sul mezzo ultra-affollato ho rischiato di soffocare nel loden di un passeggero. Già adesso mi sono conservata piccolina, allora poi ero davvero microscopica… ma mica era colpa mia! E comunque, se sono sopravvissuta, evidentemente ero destinata ad altre imprese… tipo quella di ieri appunto. In ogni caso, non credo di essere l’unica che custodisce gelosamente il proprio spazio vitale (che, ho notato in altre occasioni, quasi tutti tendono a rubarmi: sempre tutti addosso a me, anche se a far la coda alla posta non è che sono quei dieci centimetri che ti fanno arrivare prima… o sì?) e comunque il fine, che è buono oltre che legittimo, giustifica i mezzi. Ho detto.

Ma torniamo al concerto. Non è che abbia prestato particolare attenzione ai tipi sul palco (tantomeno alle loro canzoni, di cui – vuoi per l’acustica, vuoi per il volume o perché hanno sviluppato la strana tendenza a voler inghiottire i microfoni… vai a sapere!). Piuttosto ho provato ad adottare lo spirito dello scienziato in fase di osservazione di un universo straniero. E’ vero: il cartello di mia figlia serviva a nascondermi la faccia… non perché, come le ho detto, almeno non mi si vedeva nelle riprese. Piuttosto perché mi sono calata nei panni di quei due poverini: se avessero visto la mia espressione tra l’obbrobrio ed il raccapriccio, magari avrebbero stonato… e non ne avevano bisogno!

Sui loro pezzi, e sui testi, torno dopo. Adesso mi preme concludere il discorso Dire Straits. Va indubbiamente a loro merito (dei Sonohra, sic!) l’aver cercato di far conoscere un pezzo di rock (ma hanno fatto anche un Rythm&Blues, che per me è quello che usa anche Guccini al termine dei suoi concerti, quando è mezzo ubriaco e balla come un orso… tutt’altro stile, devo dire. Ma sono gusti…) a una massa di caprette ignoranti (senza offesa: ignoranti etimologicamente, perché sono giovani ed il rock invece è più vecchio di me… e non so quanti genitori abbiano avuto la brillante idea di inculcare nelle menti virginali – nel senso di <intonse, pure… “rase” > – delle loro pargolette qualche pezzo di musica “vera”: dalla classica al rock, di tutto: purché fatto bene… prima che le suddette scoprissero autonomamente i loro gusti (qui ci sarebbe da aprire ben altro che una parentesi sulle mode, sul branco e quant’altro… ma sorvolo) e/o decidessero – in modo generazionalmente corretto e scontato – che i genitori sono portatori di una cultura vecchia e, quindi, trascurabile.

Ho sentito commenti molto più pesanti dei miei sull’interpretazione (lo strazio???) che i Sonohra hanno dato del mitico pezzo di cui sopra. In fondo io mi sono limitata a dire che l’originale mi piaceva decisamente di più e che è un vero peccato che le caprette dovessero essere indotte a pensare che il rock è quello lì… ma come dice la saggia figlia, è questione di gusti. Quanto alla fine del mondo per l’assolo di Diego, fortunatamente Dio non l’ha pensata come la pargola (questa volta siamo dalla stessa parte, incredibile!) e siamo ancora tutti vivi… se la Testarossa mi lascia in vita dopo aver letto questo pezzo (e non ho ancora terminato…) lascio a lei la parola, per ora.

Figlia: No, ora l’ammazzo. Giuro. Le faccio finire il pezzo solo perché il mondo sappia che madri sciagurate ci sono in giro e poi l’ammazzo. In più che le faccio sentire finalmente qualcosa di moderno e non quelle solite robe da vecchi (a parte quelle che piacciono anche a me… Tipo gli Eagles, Cat Stevens, David Bowie, solo per citarne qualcuno… Ma anche… – no, scusate, il maanchismo no! – ma pure i già citati Dire Straits, perché no?) cosa fa? Pianta grane. Ma io dico, non puoi almeno FAR FINTA di divertirti??? Oltretutto sono così gentili a fare una canzone dei tuoi tempi e tu continui a mugugnare: “che schifo! Loro la fanno meglio!” Ma va’? Se l’avessero fatta uguale o si sarebbero chiamati Dire Straits e non Sonohra oppure sarebbero stati in playback!!! Vabbè. Tornando alla mia missione. Io e la mia migliore amica abbiamo deciso di commissionare (a mio nonno) una nota musicale di legno con una porticina in cui mettere un messaggio e di regalargliela il 30 (cioè ieri…) se si fossero fermati per gli autografi, cosa che ahimè non è successa. Poi i suoi genitori non l’hanno lasciata venire, ma questo è un altro discorso. Io ce l’ho messa tutta, mi sono appostata anche di fianco alla loro macchina, ma niente. E pensare che ero appiccicata al vetro e dietro c’era il mio adorato Dieghino!!! E sul sedile accanto c’era Luca… E oltretutto hanno anche fatto un bis e la versione inglese de L’Amore!!! Faccio finire la mia sciagurata madre…

Madre: Le ultime affermazioni di Yaris, se prese alla lettera, fanno di me una fallita. Ma come, io predico il dialogo ed il confronto e lei, alla prima occasione, passa alle vie di fatto? Per fortuna – mia, non necessariamente vostra… – la conosco abbastanza e so che in fondo (molto in fondo questa volta, temo) mi vuole bene e non mi ammazzerà. Del progetto folle suo e della sua amica non dico nulla – ognuno deve scontrarsi con i suoi demoni… – e torno al discorso-testi, prima solo accennato. Non mi piacciono i discorsi che iniziano con “ai miei tempi..” ma ormai faccio parte di chi li può nominare (i suoi tempi) come qualcosa di passato – trapassato remoto? – quindi… Lasciamo perdere tutto il discorso che riguarda la musica straniera – anglofona perlopiù – che ha nutrito i miei giovani anni: più che i testi, di cui ben pochi capivano il senso (almeno inizialmente: infatti certi testi fanno… diciamo “rabbrividire” e sono giustificati dal fatto che nessuno li capiva. Penso a me: da brava e convinta stalinista, MAI avrei potuto canticchiare Cocaine di Jimi Hendrix, ad esempio! Ma l’ho fatto… ops!), l’elemento di novità e di rottura era la musica… tanto di cappello a quei SIGNORI musicisti di cui questi, a voler essere benigni, sono solo pallide imitazioni (il mito della caverna di Platone???). Restiamo quindi in Italia. Anche allora morivano dei ragazzi in incidenti stradali… vi ricordate Canzone per un’amica di Guccini? Be’, non riesco a fare confronti con Salvami ma sicuramente ciò è dovuto all’età. Però io mi scaldavo con il Venditti di “compagno di scuola”, con Guccini (tutto, Opera buffa compresa), con gli Stormy Six o con il Banco, con De André e Gaber – solo per citarne alcuni.

Non mi lancerò in dotte disquisizioni sull’uso e sulla conoscenza dell’italiano degli idoli di mia figlia… certo è che i testi dei nostri beniamini a confronto sono… decisamente non paragonabili. Diciamo “notevolmente diversi per spessore” e finiamola qui.

Però mi resta un dubbio: se il sindaco di Verona dice di loro che “… è un onore ospitare… questi due talentuosi artisti che sono rappresentativi di tanti bravi ragazzi veronesi” e che “per la città di Verona è un vanto che si somma, nel giro di pochi mesi, al trionfo di un’altra brava ragazza veronese, Silvia Battisti, eletta Miss Italia 2007”, quali onori avrebbero dovuto essere tributati ai cantautori “dei miei tempi” (che in realtà sono – quasi tutti – “sempreverdi”), che, oltre alla capacità di aggregare giovani, in qualche modo cercavano di far passare il messaggio – scomodo, difficile ed inviso ai più – di ragionare con la propria testa? Nessuno… Infatti. Perché i bravi ragazzi, così come il potere li concepisce, sono quelli che strimpellano motivetti orecchiabili e non troppo impegnati (sono buona…) o che partecipano – e vincono – a Miss Italia…

Figlia: Ma insomma! Non si può continuare a fare paragoni con quelli che piacciono a te, perché tanto SICURAMENTE qualche cavolata in qualche remota canzone che quasi nessuno sa l’hanno sparata anche loro! E poi ok, i testi secondo mia madre non vogliono dire una cicca, ma per me hanno un senso. E non mi potete venire a dire che non sanno suonare. Questo proprio non si può dire. Sono Musicisti che secondo me si meritano il successo e che sono davvero un vanto per Verona, dove ultimamente sono successe parecchie cose spiacevoli. Almeno qualcosa di positivo c’è. E poi, come se già questo non bastasse, hanno delle voci meravigliose. E nessuno può dire nulla a riguardo.

Oltretutto sono due ragazzi davvero semplicissimi, che non se la tirano affatto, e che non si stufano di noi fan… Anche perché altrimenti non si spiegherebbe come mai continuano a ringraziarci del sostegno! Qualcun altro (e ho già in mente un paio di nomi) non lo farebbe. Loro invece sì!!! E non venitemi a dire che è solo per “salvare le apparenze”, perché non è così. E quanto alla facilità dei loro pezzi, vi dico: provateci voi! Tanto non ci riuscirete…

Comunque, tornando al concerto, sono stati troppo forti, da morire dal ridere e dall’emozione. Anche perché Diego saltava su e giù come un matto e ha sbagliato un paio di parole e Luca alla fine della canzone dove ha cantato solo lui portandosi in giro per il palco l’asta del microfono poi ha esclamato: “Ragazzi, ho rotto l’asta del microfono…”!

E, cara mammina, avresti forse preferito se ti avessi portata a un concerto di (solo per citare alcuni gruppi) quei dementi dei Dari o quegli psicolabili dei Tokio Hotel (che non sanno nemmeno come si scrive “Tokyo”) una cui canzone inizia con “Fisso una porta rotta”? Quella avrà un senso… Come (senza andare a prendere gruppi da voi – per fortuna – mai sentiti) “Yellow Submarine”. “Noi viviamo tutti nel sottomarino giallo”, eh, certo, ma loro sono i Beatles e possono permetterselo. I Sonohra invece non possono sbagliare. Sono esseri umani anche loro!!! Quindi non polemizziamo troppo… Le parole per me hanno un senso, le loro voci sono davvero meravigliose e la musica è eccezionale. Questo è come la penso io. Poi tanto voi darete ragione a mia madre, ma io ce la metto tutta per difenderli, da tutto, da tutti e a qualunque costo.

Vabbè, non stiamo qui a litigare, tanto non cambio idea su di loro… E certo che ti voglio bene, basta che non insinui nulla di male sul conto dei miei angioletti canterini… Luca & Diego.

Madre: Persuasiva la fanciullina… la dialettica non le difetta certo (e meno male, perché mi sa che ne avrà bisogno, anche al di là di questa diatriba…).

Non voglio proseguire la polemica; faccio solo notare che, forse, è meglio che evitiamo discorsi impegnativi su musicalità e purezza delle voci – lasciamo il giudizio agli esperti, se vorranno.

Quanto al resto… la storia forse si degnerà di dare una risposta. I miei cantautori sono sopravvissuti al passare delle stagioni, i Sonohra… chissà!

Figlia: Grazie! Ok, lasciamo il tutto nelle mani degli esperti che, se non tutti almeno alcuni, hanno confermato quanto da me sopra accennato. Concludo col dire che è stata una serata indimenticabile… Unica, magica e piena di emozioni! W I SONOHRA 4ever!!!

Tempo impiegato da entrambe per scrivere il pezzo: tutto il giorno! XDXDXD

FASCISMO – Milano, “Cuore Nero” ci riprova

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Ultimamente in quanto a razzismo ed a rigurgiti fascisti non c’è che l’imbarazzo della scelta.
Sicuramente le manifestazioni più spettacolari del “nuovo ordine” che sta strisciando per l’Italia sono sotto gli occhi di tutti immediatamente evidenti per chi avesse anche solo la voglia di guardare; di certo non servono capacità soprannaturali per capire che il clima è dei peggiori e che i peggiori ne approfitteranno.
Nonostante scismi, divisioni e, fortunatamente, proteste la vicenda della prossima riapertura di “cuore nero” riassume molto bene quello che sta succedendo in Italia in questo periodo.
I vari cuori neri sparsi per l’Italia costituiscono il livello immediatamente osservabile di una serie di fenomeni che per larga parte rimangono sommersi o, come nel caso delle assurde ordinanze (leghiste o non), vengono abilmente nascosti sotto gli occhi di tutti.
Il neofascismo esplicito, visibilmente organizzato è una malapianta che necessita di cure continue e di un adeguato humus istituzionale fatto di revisionismo, connivenza ed emergenze mobilitate quando fanno comodo.

In questo senso parlare di un singolo cuore nero non ha senso perché i centri di produzione del fenomeno sono molteplici.
Per restare sul concreto basti ricordare l’ appoggio para-ististuzionale fornito dalle amministrazioni di Rho e Milano in occasione di concerti neonazisti, oppure la disponibilità di industriali, finanzieri o politici neri a creare lobbies oppure a fornire spazi o capitali per rinverdire i fasti del neofascismo lombardo.
Eppure anche qui, a questo livello, si rischia di non cogliere appieno la gravità del fenomeno i cui centri di produzione sono molto più diffusi e non tutti di matrice esplicitamente fascista, restano annidati nelle amministrazioni e in quella infame pratica del controllo metropolitiano che sposa perfettamente gli interessi di chi specula, di chi accoltella e di chi governa.

Allora sgomberi e vilipendio della memoria storica diventano funzionali alla pacificazione urbana necessaria perché si possa utilizzare la città e i suoi abitanti come “materia prima” per palazzinari.
Il colore dell’amministrazione c’entra relativamente poco poiché pratiche simili trovano le loro radici nell asfissiante Milano e nella defunta Bologna, nel razzismo nazi-padano cosi come sotto la maschera capitolina dell’ “equidistanza” veltroniana poi superata in coerenza ideologica dal suo successore.
Proprio gli atteggiamenti di “equidistanza” mantenuti in spregio ai valori della repubblica fondata sulla resistenza costituiscono un altra tessera del mosaico: a roma dove è stata permessa la creazione dei primi semi del network di “casa pound”, un altro dei piccoli motori dell’ estrema destra italiana, che ha recentemente dato vita all’occupazione, di breve durata, di un cascinale nella campagna bresciana; o nella vergogna di vedere un comune di una città medaglia d’oro per la resistenza costituirsi parte civile in un processo contro degli antifascisti.

Forse questo ultimo atto spiega piu di mille parole dove nasca l’ onda lunga del neofascismo italiano, non solo dalle curve nere o dai covi nazisti ma dall’ interno delle stesse istituzioni per cui democrazia e memoria storica sono diventate soltanto un ingombro.

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fonte: http://lombardia.indymedia.org/?q=node/8259

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SABATO 6 SETTEMBRE APRE A MILANO LA NUOVA SEDE DI CUORE NERO AL POSTO DEL NEGOZIO IL SOGNO DI ROHAN. CHI SONO I FINANZIATORI. IL NUOVO ASSE TRA FORZA NUOVA E GLI HAMMER. È preannunciata per sabato 6 … more →

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A Roma i “camerati” sfondano nelle elezioni nei licei e nelle università
Al Nord si alleano con gli ultras da stadio e i reduci dell’estremismo anni ’70

Il cuore nero dei giovani d’Italia
Viaggio alla scoperta dell’ultradestra

Tra nuovi slogan e vecchi ideali, identikit del “balilla” del 2008

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di CONCITA DE GREGORIO

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<B>Il cuore nero dei giovani d'Italia<br>Viaggio alla scoperta dell'ultradestra</B>
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ROMA – I balilla che governano la “Cosa nera”, parlamento delle scuole romane, non si riconoscono dalla divisa: non ce l’hanno. Nemmeno quella diffusa sui giornali da foto d’archivio: ray-ban a goccia specchiati e bomber di pelle, capelli cortissimi. Non si usa più: sono i più grandi semmai a bardarsi ancora così, gli ultra ventenni e Cesare Previti quando si veste da giovane, la domenica mattina. I ragazzini di 15-17 anni eletti in liste di destra che gestiscono gli 80mila euro della Consulta provinciale studentesca insieme alla gloria di aver defenestrato la sinistra da sempre al potere sono indistinguibili da migliaia di loro simili.

Andrea Moi, 17, presidente della Consulta, è un adolescente con la voce ancora sottile, secondo di tre figli cresciuto in mezzo a due sorelle, vive a Roma Sud – Colli Albani – e va a scuola al Terzo istituto d’arte, fermata della Metro Giulio Agricola. Milita in Azione giovani da quando aveva 13 anni, è in consulta da quando ne aveva 14. Dice che “un tempo a scuola in assemblea si parlava solo di temi difficili e lontani dagli interessi dei ragazzi tipo l’Europa, gli anni Settanta. Ora finalmente di discute di cose che interessano a loro: il caro cd, il caro libri”. Va così e attenzione a sottovalutare o liquidare con spallucce la portata dell’onda.

Le battaglie sono per utilizzare l’aula di informatica, mettere i pannelli solari sul tetto, fare più ore di educazione fisica e più gite “a contatto con la natura”, possibilmente senza telefonino perché “lo spirito se ne giova”. Per avere libri di testo non obbligatori, insomma non studiare la storia solo sul Villari, ma almeno affiancarlo, dice Moi, a “un libro che mi dica che la Rivoluzione francese è stata anche una carneficina e che non liquidi in tre righe la rivolta di Vandea”.

A Roma otto anni fa gli studenti di destra eletti nel Parlamento dei ragazzi erano 20 su 400. Oggi sono la maggioranza assoluta, più di 200. Decuplicati. Marco Perissa, 25 anni, responsabile scuola per Roma di An: c’era allora e c’è adesso. Nel ’99 era uno dei consiglieri della Consulta, “facemmo il libro bianco sull’edilizia scolastica”. Dice: “Ha vinto la destra perché ha perso la sinistra. Ci siamo inseriti nell’antipolitica e abbiamo rubato voti alla sinistra ideologica. Le abbiamo opposto una destra pragmatica: non tutti gli studenti che ci votano sono di destra, anzi. Ci votano perché facciamo le cose. Perché gli anni Settanta sono lontani e non si può restare lì, perché pensiamo all’oggi”.

Dunque vediamo, oggi. Oggi al Tufello, periferia romana, c’è qualche centinaio di studenti di sinistra che sfila in mezzo ad una impressionante saracinesca di polizia: ricordano Valerio Verbano, studente dell’Archimede ucciso dai fascisti nell’80, sua madre apre il corteo. Esprimono solidarietà a Simone, ex studente dell’Aristofane di Vigne Nuove picchiato qualche giorno fa da una spedizione punitiva del Blocco studentesco, falange scolastica della Fiamma.

Il Blocco – sede principale a Casa Pound, centro sociale di destra – ha conquistato quest’anno 55 rappresentanti alla Consulta. Uno di loro è Giorgio Evangelisti, 17 anni, studente del Convitto nazionale fin da quando era in terza elementare. Il Convitto è la scuola della classe dirigente, fama di rigore estremo. Giorgio dice che “è l’ora di finirla con questa storia che siamo violenti e razzisti. Al corteo per le foibe c’erano quattro ragazzi di colore, uno di loro è attivista nella sezione di Roma Nord. Picchiare ci si picchia, ogni tanto, succede da sempre. Però quando noi abbiamo fatto volantinaggio davanti al Tasso due mesi fa sono venuti a menarci con caschi e bastoni, una cosa organizzata, non dico bugie, e non ne ha parlato nessuno. Fa notizia, la violenza, solo quando fa comodo a sinistra”. Non è proprio così, questa è una versione di Giorgio, parte in causa.

Dice anche che è una bugia che la destra cresca solo in periferia e la sinistra mantenga le roccaforti del centro storico. Vediamo la mappa delle scuole, come è cambiata. Fortino del Blocco è il Farnesina, scientifico di Vigna Clara: è lì che è cominciata la prima occupazione della Destra “perché non se ne poteva più di far lezione nei container, ci pioveva dentro”. Due del Blocco sono eletti al liceo classico Visconti, piazza del Collegio romano, la sede del processo a Galilei. Al Righi, lo scientifico più rinomato della città, il rappresentante di istituto è di Azione studentesca, braccio nella scuola di Azione giovani. Il Giulio Cesare, un tempo classico di destra, ha oggi un esponente di sinistra e uno cattolico. Restano “rossi” il Mamiani, il Virgilio, il Tasso.

La destra va fortissimo allo scientifico dei Parioli, l’Azzarita, dove il Blocco raccoglie firme per far intitolare l’aula magna a Nanni De Angelis. “Sa chi è? – domanda Evangelisti – un ragazzo degli anni Settanta”. Due consiglieri di destra sono stati eletti al classico Nomentano, uno allo scientifico Benedetto da Norcia, due al tecnico Armellini di San Paolo fuori le mura. Non si parla solo di Ostia, dunque. Andrea Moi cita il coraggio del giovane eletto con As al Machiavelli di via dè Volsci, quartiere San Lorenzo, roccaforte storica della sinistra radicale, Radio popolare e controcultura militante. “Però non lo nomini per favore perché magari a scuola non lo sanno che è di destra”. Ecco, magari non lo sanno.

La novità è che il 65 per cento degli studenti romani ha votato a destra ma magari, una parte almeno, non lo sa. Azione studentesca ha uno slogan che dice “Contro lezioni tristi e grigi professori, per una scuola capace di divertire e unire”: un programma capace di raccogliere l’unanimità dei consensi. Quando il Blocco chiede “più ore di ginnastica” non lo fa esponendo un manifesto di prestanza fisica neomussoliniana, sui manifesti delle elezioni scolastiche ci sono gli eroi del film western e Bart Simpson quello dei cartoni animati, e poi fare più ginnastica vuol sempre dire fare meno greco e estimo. Per arrivare allo scacco del due a uno (la Cosa nera vede 15 consiglieri alla destra, 10 alla sinistra) le due liste romane di destra, fra i quattordicenni, hanno fatto “propaganda sulle cose”.

Aule più belle, libri e cd meno cari, più ginnastica e più gite. L’anticomunismo un sottile sottofondo, scenario per ora marginale. Intanto stare meglio, divertirsi di più. Poi è alle manifestazioni politiche che tornano fuori i simboli, le croci runiche e le aquile. Arrivano i venti e anche trentenni, lì. Sono loro che menano la danza. L’8 febbraio era previsto un convegno della Consulta al teatro Brancaccio. Tema: “Istria, Slovenia, Dalmazia: anche le pietre parlano italiano”. Dopo tanti convegni sulla Resistenza, dicono i balilla, ora che il vento è cambiato finalmente uno sulle foibe.

Perissa, il responsabile scuola: “Purtroppo 15 attivisti del collettivo del Virgilio hanno tirato un fumogeno nel teatro, Costanzo ha ritirato la disponibilità della sala, duemila studenti pacifici sono rimasti per strada. La riprova questo che non è un paese libero”. Le cronache di quel giorno raccontano una storia diversa. Scontri violenti in via Nomentana fra adulti neofascisti e studenti delle scuole del centro. Nel blog di Casa Pound però c’è scritto che non bisogna leggerli i giornali. La verità è nella “forza dell’azione”. La rivoluzione è la nostra: “Sveglia bastardi, la ricreazione è finita”. Marx, ha stancato: “Dopo Marx, aprile”. Una nuova primavera invisibile, per alcuni inconsapevole. Ma si sa che la coscienza politica si forgia con costanza: a tredici anni voti per la gita in Abruzzo, a sedici per i computer nuovi in aula d’informatica. Le foibe dopo, c’è tempo.

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23 febbraio 2008

fonte: http://www.repubblica.it/2008/02/sezioni/scuola_e_universita/servizi/giovani-fascisti-scuole/giovani-fascisti-scuole/giovani-fascisti-scuole.html

Raid fascista a Roma, le famiglie: per noi non c’è giustizia

il corteo di denuncia dell'aggressione al centro sociale Pirateria, foto Omniroma

il corteo di sabato
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Non hanno ancora sporto denuncia i tre ragazzi aggrediti a Roma nella notte tra venerdì e sabato al ritorno da una manifestazione in ricordo dell’uccisione di Renato Biagetti, ucciso da un gruppetto di fascisti all’uscita da una discoteca a Focene. Al centro sociale Pirateria di Porta, dove l’aggressione di venerdì scorso è avvenuta, c’è una grande scritta che ricorda proprio Renato. Ed è lì che i tre amici dopo la commemorazione si erano fermati a bere un bicchiere e parlare prima di tornare a casa. È lì che hanno rischiao di subire la stessa sorte. Aggrediti da dei fascistelli.

F.B., 28 anni, il ragazzo ricoverato con uno squarcio di 15 centimetri in una gamba, risultato di una delle tre coltellate ricevute, non è in grado ancora di ricordare bene l’accaduto. «Sta meglio ma non riesce a dormire quindi deve prendere qualche sedativo», spiega la madre che attende lunedì per avere conferma della prognosi dai medici.

L’aggressione, hanno raccontato anche i suoi compagni di quella notte, è durata pochi minuti, su una strada quasi buia e quasi deserta attorno alle quattro del mattino. F. B. ha raccontato di essere stato aggredito alle spalle: una botta in testa e poi di essersi trovato circondato da una decina di giovani che li apostrofavano come «zecche di merda». Erano coetanei, a viso scoperto, ma non è riuscito a riconoscere le facce tra le foto che i carabinieri gli hanno mostrato. E così nessuno dei tre ragazzi aggrediti finora ha sporto denuncia. «Non so perché hanno deciso per il momento almeno di non presentare denuncia – dice la madre – ma tanto credo che sia uguale, quando mai vengono presi questi qua? Forse che li hanno presi gli assassini di renato?».

Forse F. B. e gli altri sono ancora sotto choc, tra paura di esporsi e di rimetterci ancora e sfiducia nella giustizia. Nel frattempo sabato sera le famiglie degli aggrediti insieme ai giovani dei centri sociali della zona sud di Roma hanno voluto subito scendere in piazza, con un corteo. «Dovevamo rispondere subito – dice la madre di F. B. – per far capire qual è il problema a Roma». Secondo la rete di centri sociali e genitori che si occupa di queste aggressioni in un anno sono state 130 nella capitale le violenze fasciste. E del resto anche l’omicidio di Nicola Tommasoli a Verona pochi mesi fa, ucciso da neonazisti a pedate si è detto «per una sigaretta non data», non ha avuto -secondo le ricostruzioni ufficiali – un movente politico.

«Con l’aggressione di venerdì hanno firmato anche l’uccisione di mio figlio», ne è convinta Stefania Zuccari, la madre di Renato Biagetti ucciso due anni fa a Focene da due estremisti di destra, un delitto che però è stato rubricato con l’unica aggravante «per futili motivi», non un omicidio politico. Così come non politico ad una prima ricostruzione è stato descritto l’omicidio di Dax a Milano nella notte del 17 marzo del 2003. «Hanno voluto dimostrare di poter colpire in qualsiasi momento, perfino dopo un concerto come quello di ieri sera in cui non c’era odio».

La madre di Renato ha partecipato anche lei al «Corteo di comunicazione» organizzato dai centri sociali sabato sera per denunciare la matrice fascista dell’aggressione avvenuta fuori dal centro sociale Pirateria di Porta sull’Ostiense, vicino a parco Schuster dove si era tenuta fino a poche ore prima l’iniziativa in ricordo di Renato. Alcune centinaia di militanti dei centri sociali che si sono dati appuntamento di nuovo in piazza Schuster davanti alla Basilica di San Paolo per un corteo di risposta fino a Trastevere. Due gli striscioni di apertura. Uno recita «Pacchetto sicurezza – Sicuri di morire». L’altro «Agosto 06 – Agosto 08 stelle lame stesse trame». Tra i manifestanti anche il consigliere provinciale Gianluca Peciola della Sinistra Arcobaleno. «Chiedo un atteggiamento responsabile da parte della questura per la manifestazione di questa sera» ha detto.

Solidarietà è stata espressa ai tre giovani aggrediti anche dal deputato e coordinatore del Pd romano, Riccardo Milana. «Si tratta dell’ennesimo episodio di matrice neofascista – aggiunge Milana – un susseguirsi di violenze che testimoniano come questi delinquenti si sentano a casa loro, ospiti graditi di una città dove le bande di estrema destra si sentono difese e legittimate a compiere azioni di questa gravità. A nome del Pd di Roma esprimo la mia vicinanza ai giovani aggrediti – continua Milana – e mi auguro che le forze dell’ordine assicurino al più presto i responsabili alla giustizia». Mentre il consigliere comunale del Pd Enzo Foschi si dice «seriamente preoccupato per la violenza squadrista che è tornata a manifestarsi a Roma». «Se gli inquirenti confermeranno che si tratta di un pestaggio per motivi politici sarà ancora più grave, perchè ci riporterebbe ad anni che pensavamo di esserci lasciati alle spalle», ha detto in una nota, il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo.

Anche il sindaco Gianni Alemanno ha condannato l’episodio dicendo che si augura «che gli inquirenti siano in grado di assicurare subito alla giustizia i responsabili di questo gesto criminale, verificando con assoluta certezza se dietro di esso esista una forma organizzata di estremismo di destra. Alle vittime dell’aggressione va la mia piena solidarietà e invito tutte le forze politiche cittadine a vigilare affinchè non si inneschi una nuova spirale di violenza politica in città». Lui quella violenza la conosce bene, fin da tenera età.

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Pubblicato il: 31.08.08
Modificato il: 31.08.08 alle ore 18.53

fonte: http://www.unita.it/view.asp?idContent=78540

Ucraina in fibrillazione dopo la crisi caucasica

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30 agosto 2008

di Piero Sinatti

AP Photo/Sergei Chuzavkov, File

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Il prossimo 2 settembre la Rada Suprema, il parlamento ucraino, riaprendo i propri lavori, affronterà il tema della crisi russo-georgiana e dei suoi riflessi sui rapporti tra Kiev e Mosca.
L’opposizione, costituita attorno al predominante Partito delle Regioni, che rappresenta soprattutto l’elettorato russofono e filorusso delle regioni più industrializzate del sud e dell’est del Paese – metterà in discussione la politica sin qui seguita dal presidente Jushchenko. Con la leadership governativa “arancione” che si regge su soli due voti ed è ormai lacerata dal contrasto tra i due grandi alleati di un tempo: il presidente Viktor Juschenko e la premier Julija Timoshenko. Quest’ultima, già sostenitrice della linea dura contro Mosca, non condivide lo zelo filo-Saakashvili del suo presidente (in calo di consensi negli ultimi sondaggi), che ha ulteriormente inasprito i rapporti tra Kiev e Mosca.
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L’Ucraina e la crisi caucasica

Infatti, Jushchenko è volato a Tbilisi l’11 agosto mentre era ancora in corso il conflitto per portare al collega georgiano il sostegno di Kiev, assieme ai massimi dirigenti baltici e polacchi. Tre giorni dopo ha varato un “ukaz” che limita i movimenti della Flotta Russa del Mar Nero basata nel porto di Sebastopoli, in territorio ucraino, secondo un accordo ventennale tra Russia e Ucraina firmato nel 1997 dagli allora presidenti Eltsin e Kuchma. Quella flotta consta di 25 mila uomini, 338 navi da guerra, 22 jet. La base è affittata a Mosca per 98 milioni di dollari all’anno, che Jushchenko vorrebbe moltiplicare.
Il decreto, emesso dal presidente ucraino per “ragioni di sicurezza nazionale”, una volta entrato in vigore, impone al comando della Flotta russa di comunicare dettagliatamente a ben quattro enti ucraini, tra cui il ministero della Difesa, con un anticipo di 72 ore, i movimenti che le unità militari intendono compiere varcando i confini marittimi ucraini e il loro scopo. Kiev potrà decidere se consentirli o vietarli.
Il decreto è stato sottoscritto soltanto due settimane dopo dalla più prudente Timoshenko, dopo pesanti accuse (“tradimento dello Stato”) e forti pressioni nei suoi confronti da parte degli ambienti presidenziali.
Il presidente Medvedev ha negato qualsiasi validità all’ukaz, affermando tra l’altro che la Flotta russa sul Mar Nero obbedisce solo al suo comandante in capo, cioè al capo di Stato russo.
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Armi e condanna del riconoscimento russo

Inoltre, Kiev ha baldanzosamente confermato la fornitura a Tbilisi di ingenti quantitativi di armi (e specialisti militari) e ha dichiarato che è intenzionata a farlo anche in futuro, partecipando direttamente alla ricostruzione delle FFAA georgiane.
Infine, Jushchenko si è allineato alla condanna occidentale del riconoscimento russo delle repubbliche separatiste di Abkhazia e Ossetia del sud e ha riproposto con forza l’associazione di Kiev e di Tbilisi al MAP (Membership Plan Action) per l’ammissione nella NATO.

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Gli obiettivi dell’opposizione ucraina

Alla Rada l’opposizione si propone l’obiettivo di modificare la politica internazionale di Kiev, e riportare i rapporti tra Mosca e Kiev sui binari previsti dal “Trattato d’amicizia, buon vicinato e cooperazione” sottoscritto nel 1997 da Kuchma e Eltsin. Esso scade nell’aprile 2009 (a dieci anni dalla sua ratifica parlamentare). Tuttavia, con sei mesi di anticipo (cioè nel prossimo ottobre) ciascun firmatario può dichiarare l’intento di non confermarlo.
Il Partito delle Regioni – che non ha condannato la politica georgiana di Mosca – chiederà sia l’interruzione delle forniture di armi ucraine nei “punti caldi” e segnatamente alla Georgia, sia un referendum popolare che decida sull’adesione o meno del Paese alla NATO. Secondo il suo leader Janukovich, il principio del referendum popolare deve essere accettato per determinare lo status di “tutte le repubbliche non riconosciute”.
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A rischio l’integrità ucraina ?

E qui si tocca un punto cruciale, che riguarda l’ “integrità territoriale” dell’Ucraina, Stato unitario con uno status di autonomia concesso alla penisola di Crimea, dove si trova Sebastopoli. Che è l’unica base di cui dispone Mosca, assieme a quella più a est di Novorossijsk, in un Mar Nero che con l’eventuale entrata dell’Ucraina e della Georgia nella NATO diverrebbe un mare quasi interamente controllato da questa alleanza politico-militare (Turchia, Romania, Bulgaria).
Nel Mar Nero nei giorni scorsi hanno fatto rotta verso la Georgia – per portarvi – si è detto – “aiuti umanitari” – navi da guerra della NATO, di cui alcune dotate di missili che possono colpire fino a 2500 chilometri di distanza ed essere dotati di testate nucleari.
La Crimea ha circa due milioni di abitanti, di cui il 65-70% russi e russofoni e 100 mila già provvisti di passaporto russo. Durante il loro rientro a Sebastopoli, alcune navi russe impegnate davanti alle coste georgiane sono state accolte entusiasticamente da migliaia di persone.

La Crimea ha uno status determinato da complesse vicissitudini: nel 1954 passò dalla Repubblica sovietica russa (RSSFR) all’Ucraina, per volontà dell’allora leader del PCUS Khrusciov, nonostante la prevalenza in essa di russi e russofoni. Quanto a Sebastopoli, un decreto sovietico del 1948 – non abrogato dalla cessione del 1954 – l’aveva posta sotto diretta giurisdizione della RSSFR.
Il “Trattato di amicizia, buon vicinato e cooperazione” del 1997 garantisce l’integrità territoriale e i confini di Russia e Ucraina. Una volta che quel Trattato non sia rinnovato da una delle due parti, quella garanzia può cadere. Crimea e Sebastopoli, magari con referendum, potrebbero rivendicare il loro distacco da Kiev. E generare un processo dalle conseguenze imprevedibili, dal momento che in ben nove regioni ucraine prevale la popolazione russa e russofona. Mosca potrebbe appoggiare rivendicazioni separatiste, in caso di entrata di Kiev nella NATO, del resto mai sopite dopo il crollo dell’URSS.
Mentre la riapertura della Rada si preannuncia all’insegna di un duro scontro politico (e di molteplici divisioni), il sorgere di una questione nazionale ucraina, potrebbe generare ulteriori tensioni. Già lo rilevano articoli apparsi in questi giorni su giornali autorevoli, come ad esempio le “Izvestija”.
In questo caso, il teatro del Mar Nero si potrebbe rivelare un nuovo punto caldo dell’area ex-URSS. Ben più pericoloso e critico, per i Paesi e le alleanze che coinvolge, di quanto già si sia rivelato il Caucaso.

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fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Mondo/2008/08/ucraina-russia.shtml?uuid=ec18ba6c-767e-11dd-b5fd-788af8f0e2dc&type=Libero

Ryanair raziona il carburante, ma i piloti non ci stanno: “E’ folle”

Sul Sunday Times la protesta del personale della compagnia low cost
La replica di un portavoce: “Accuse anonime e non verificate”

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"E' folle" LONDRA – I piloti di Ryanair accusano la compagnia di porre in atto “insane” pressioni per costringerli a ridurre le scorte obbligatorie di carburante, una misura che permette agli aerei di volare più “leggeri” e pertanto di consumare meno. Della protesta parla oggi un articolo del Sunday Times, che pubblica inoltre un documento interno della compagnia che conferma indirettamente le accuse dei piloti.

Le norme in vigore in Europa stabiliscono che gli aerei devono viaggiare con a bordo almeno il 5% in più del carburante necessario per la rotta intrapresa. I comandanti hanno inoltre il diritto di chiedere un rifornimento addizionale per far fronte alle più disparate emergenze (venti forti in senso contrario, eventuale necessità di atterrare su un altro aeroporto, etc.).

Al contrario, a fronte dei continui aumenti del carburante, Ryanair ha preferito – secondo i piloti – mettere a repentaglio la sicurezza dei passeggeri. E così, la compagnia aerea li ha informato che la richiesta aggiuntiva di carburante deve diventare “l’eccezione”. Di norma saranno forniti agli aerei impegnati sulle tratte europee non più di 300 chili extra di carburante, pari a una spesa massima di 180 sterline (223 euro), con cui un Boeing 737 come quelli della flotta Ryanair può volare per soli 5 minuti.

Alcuni piloti hanno raccontato in alcune email anonime inviate al sito dell’Ente per la sicurezza del volo britannico (Civil Aviation Authority) che Ryanair è arrivata persino a mandare “lettere di avvertimento” (utilizzabili per future azioni disciplinari) a quanti domandano “senza spiegazioni” una dose extra di carburante.

Accuse che Ryanair ha subito respinto, definendole ‘anonime, non verificate e inaccurate in arrivo dal mondo dei piloti”. Secondo un portavoce della compagnia low cost, inoltre, negli ultimi tre anni un unico aereo della compagnia si è trovato in difficoltà per scarsità di carburante a bordo.

Le cose stanno molto peggio, invece, secondo il Sunday Times. Il domenicale riporta infatti che il numero degli atterraggi di emergenza nei cieli britannici dovuti all’insufficienza di carburanti è raddoppiato in cinque anni. L’anno scorso ce ne sono stati 27, contro gli 11 del 2003. Nello stesso periodo gli Sos per serbatoi a secco sono stati 18.
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31 agosto 2008

fonte: http://www.repubblica.it/2008/08/sezioni/esteri/ryanair-times/ryanair-times/ryanair-times.html?rss

L’Artico può essere circumnavigato è la prima volta in 125mila anni/Gli orsi naufraghi

Scioglimento record della calotta polare: aperti i passaggi di Nord Ovest e di Nord Est
Lo provano le foto dei satelliti. Studiosi: oceano senza ghiacci d’estate entro il 2030

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Un’immagine di pochi giorni fa, con il Passaggio Nord Ovest quasi completamente libero dai ghiacci

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LONDRA – Per la prima volta a memoria d’uomo sarà possibile cirumnavigare l’intero Polo Nord. Foto satellitari scattate due giorni fa mostrano, scrive oggi l’Independent, che lo scioglimento dei ghiacci verificatosi la settimana scorsa ha finalmente aperto contemporaneamente sia il favoleggiato Passaggio a Nord-Ovest che il passaggio a Nord-Est. A dimostrarlo sono immagini scattate da satelliti Nasa. Il Passaggio Nord Ovest, nel territorio canadese, si è aperto nello scorso fine settimana, mentre l’ultima lingua di ghiaccio che ostruiva il Mare di Laptev, in Siberia, si è disciolta qualche giorno dopo.

È un evento clamoroso che, se da un lato corona il sogno secolare di generazioni di esploratori, navigatori e viaggiatori, dall’altro rappresenta un preoccupante segnale dell’accelerarsi del processo del riscaldamento globale. Sul breve periodo, naturalmente, la novità dovrebbe portare soltanto vantaggi alle varie compagnie di navigazione che per la prima volta nella storia potranno tagliare migliaia di miglia marine lungo le rotte tra il nord del Canada e la Russia.

Negli scorsi decenni, in varie occasioni si è verificata la situazione dell’apertura dell’uno o dell’altro passaggio ma mai, come in questi giorni, era accaduto che entrambe le due misteriose porte dell’artico si dischiudessero simultaneamente.

E’ questo solo l’ultimo segnale della crisi dell’intero ecosistema artico. Solo pochi giorni fa, il National snow and ice data center (NSIDC) statunitense ha informato che quest’anno l’estensione globale del ghiaccio artico è prossima a battere il record record negativo, dello scorso anno, di 4,14 milioni di chilometri quadrati: un valore inferiore di oltre un milione di metri cubi al record precedente, fissato nell’estate 2005. In due anni, i ghiacci del Polo Nord si sono ritirati per un’estensione grande quattro volte l’Italia.

Quattro settimane fa, i turisti sono stati fatti evacuare dal Parco Nazionale Auyuittung, nell’Isola di Baffin, la grande isola del Nunavut canadese situata a occidente della Groenlandia, a causa dello scioglimento dei ghiacci: “Auyuittung”, in lingua inuit, significa “terra che non scioglie mai”… E’ di pochi giorni fa la vicenda dei nove orsi polari rimasti senza habitat e visti nuotare in mare aperto, seguita a breve da un immenso crollo nel ghiacciaio Petermann, in Groenlandia, in un’area che si riteneva ancora immune dagli effetti del global warming.

Ma la simultanea apertura
del Passaggio Nord Ovest, intorno al Canada, e del Passaggio Nord Est, intorno alla Russia, a costituire un vero e proprio choc. Non accadeva, secondo i climatologi, da almeno 125mila anni. Dall’inizio dell’ultima era glaciale erano rimasti entrambi bloccati: nel 2005 si era aperto solo il Passaggio Nord Est, l’estate seguente era accaduto il contrario.

“I passaggi sono aperti,
è un evento storico, ma con il quale dovremmo abituarci a convivere nei prossimi anni – ha confermato il professor Mark Serreze, uno specialista di mari ghiacciati del NSIDC, sottolineando però che le autorità marine dei Paesi interessati potrebbero essere riluttanti ad ammetterlo, per evitare di essere citate a giudizio dalle compagnie di navigazione, le cui imbarcazioni dovessero incontrare ghiaccio e subire danni”.

Gli armatori però sono tutt’altro
che disinteressati. Il “Beluga Group” di Brema, ad esempio, ha già fatto sapere che manderà navi dalla Germania al Giappone via Passaggio Nord Est, con un taglio netto di 4000 miglia nautiche, quasi 7.500 km, rispetto alla rotta tradizionale. E il premier canadese Stephen Harper ha già fatto sapere che chiunque volesse attraversare il Passaggio Nord Ovest dovrebbe fare riferimento ad Ottawa: un punto di vista, questo, che non piace agli Usa, che considerano quella parte di Artico acque internazionali.

I climatologi però rimarcano
che simili dispute potrebbero essere irrilevanti, se il ghiaccio continuasse a sciogliersi al ritmo attuale. In tal caso, infatti, sarebbe possibile navigare direttamente attraverso il Polo Nord, completamente liberato dai ghiacci. Evento questo, che fino a poco tempo fa si riteneva possibile che dal 2070. Ora, però, molti studiosi indicano il 2030 come l’anno entro il quale l’Oceano Artico sarà completamente fluido in estate, mentre uno studio del professor Wieslaw Maslowski, della Naval Postgraduate School di Monterey, California, arriva a concludere che già dal 2013 il mare sarà completamente aperto da metà luglio a metà settembre. Il “punto di rottura”, l’evento che ha ulteriormente accelerato il processo di scioglimento, è costituito dalla perdita-record di massa ghiacciata, dello scorso anno: le masse solide sono scese a un livello che non si attendeva fino al 2050, mandando all’aria tutti i calcoli prodotti fino a quel momento.

Quest’anno è andata un po’ meglio, l’inverno è stato più freddo, e per un po’ è sembrato che i ghiacci potessero difendere meglio le loro posizioni. Ma in agosto lo scioglimento ha subito un’improvvisa accelerazione e la scorsa settimana la superficie globale dell’Artico ricoperto di bianco era già al di sotto del livello minimo del 2005. Secondo l’Agenzia spaziale europea (Esa), in qualche settimana anche il record del 2007 sarà battuto. Uno studio recente dell’Università dell’Alberta dimostra che lo spessore dei ghiacci artici si è assottigliato della metà in soli sei anni. Ed è un processo che alimenta se stesso, perché man mano che la superficie bianca viene rimpiazzata dal mare, la superficie di quest’ultimo, più scura, assorbe via via più calore, contribuendo a riscaldare l’oceano e a sciogliere altro ghiaccio.
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31 agosto 2008

fonte: http://www.repubblica.it/2008/06/sezioni/ambiente/polo-nord-ghiacci/artico-isola/artico-isola.html?rss

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Sono nove, nuotano ormai a 600 chilometri dalla calotta polare e alcuni sono già morti
Seguiti da Wwf e Marina Usa tra Alaska e Polo. Si pensa di mandare una nave

Il dramma degli orsi naufraghi
“Il loro iceberg si è sciolto”

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dal corrispondente di Repubblica ENRICO FRANCESCHINI

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La foto di uno dei nove orsi

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LONDRA – L’immenso iceberg su cui si trovavano si è dapprima staccato dalla terraferma e quindi si è gradualmente, completamente sciolto. Così nove orsi polari si sono ritrovati nelle acque gelide del mare d’Alaska, trasportati dalla corrente, costretti a nuotare 24 ore su 24 per sopravivere. La terra più vicina era a una distanza raggiungibile per questi instancabili animali: un centinaio di chilometri più a sud. Ma l’istinto li ha spinti a muoversi in direzione opposta, verso nord, e in quel senso di marcia il primo pezzo di ghiaccio che offrirebbe loro un approdo si trova a seicento chilometri, una distanza quasi certamente insormontabile anche per formidabili nuotatori come loro. Un tempo era più vicino, ma si è ridotto a causa del cambiamento climatico che riscalda il pianeta, facendo ritirare il manto di ghiaccio sempre di più verso il Polo Nord.

L’avventura degli orsi sperduti
tra l’Alaska e il Polo è così presto diventata una tragica odissea per tornare a casa, filmata, fotografata e seguita dagli specialisti del governo americano e delle compagnie petrolifere che operano in quella desolata, inospitale, selvaggia regione del globo. Il gruppo ha percorso finora un centinaio di chilometri. Alcuni degli orsi sono morti, affogando per la stanchezza: i rilevatori che li osservano dall’alto in aereo e in elicottero non sono sicuri di quanti siano ancora in vita. Di certo i superstiti appaiono stremati. Il World Wide Fund for Nature sta considerando di chiedere alle forze armate degli Stati Uniti l’invio di una nave per cercare di salvare gli orsi: anche se il salvataggio sarebbe un’operazione estremamente complicata.

La vicenda è stata raccontata oggi dal Daily Mail di Londra, che ha pubblicato la foto di uno degli orsi nel mare d’Alaska, scattata da distanza ravvicinata da un elicottero. Non è la prima volta che orsi polari finiscono in mare a causa dello scioglimento dei ghiacci. Sempre più spesso capita che arrivino a nuoto, o su piccoli iceberg, fino all’Islanda, dove la popolazione locale peraltro li uccide a fucilate appena raggiungono la riva. La foto di un orso polare su una minuscola piattaforma di ghiaccio ha fatto il giro del mondo qualche mese or sono. “Tutti gli orsi polari sono minacciati dal surriscaldamento del pianeta, rischiano l’estinzione”, dice al Mail il professor Richard Steiner della Università dell’Alaska. Chissà se qualcuno dei nove bestioni dispersi riuscirà a salvare la pelle, completare l’odissea e ritrovare miracolosamente la via di casa.
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30 agosto 2008

fonte: http://www.repubblica.it/2008/06/sezioni/ambiente/polo-nord-ghiacci/orsi-in-mare/orsi-in-mare.html

AUSTRALIA: Pugno di ferro contro la tratta di esseri umani

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di Stephen de Tarczynski

MELBOURNE, 26 agosto 2008 (IPS) – Comincia a prendere corpo un nuovo approccio collaborativo tra governo australiano, polizia e organizzazioni non governative (ONG) per contrastare la piaga del traffico di esseri umani

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“Il traffico di esseri umani è l’equivalente moderno della schiavitù”, ha affermato il ministro per le pari opportunità Tanya Plibersek inaugurando il Forum australiano sulle tratte svoltosi a luglio.

Il meeting riuniva una serie di agenzie statali e non statali per affrontare le complesse questioni del traffico di esseri umani, e ha fatto seguito alla prima Tavola rotonda nazionale sul traffico di esseri umani svoltasi in giugno, alla quale avevano preso parte i principali operatori del settore, tra cui ONG, fornitori di servizi e organizzazioni di sostegno per le vittime del crimine.

“Il traffico di persone è un reato gravissimo e per combatterlo è necessario un approccio collaborativo”, ha affermato il ministro degli interni Bob Debus.

Con Singapore e la Nuova Zelanda, l’Australia è considerata una “destinazione” per gli immigrati clandestini dell’area del Pacifico asiatico. Le altre nazioni della regione tendono a essere viste come un insieme di “origine”, “transito” e “destinazione” per le persone coinvolte nel traffico clandestino.

Da quando l’Australia
ha varato un piano di sostegno per le vittime del traffico di persone nel 2004 – lanciato congiuntamente dall’Ufficio per le Donne e dalla Polizia Federale australiana – circa 107 persone coinvolte nel traffico clandestino hanno ricevuto aiuto. Di queste, il 65 per cento erano di nazionalità thailandese, mentre il 18 per cento proveniva dalla Corea del Sud.

Tuttavia, la scarsità di informazioni attendibili sul traffico di persone in Australia indica che le cifre difficilmente rappresentano il problema in tutta la sua portata.

“Non ci sono dati attendibili, non c’è mai stata una ricerca efficace sull’effettiva dimensione del fenomeno”, dice Jennifer Burn, direttrice dell’Anti-Slavery Project, un’organizzazione comunitaria che si batte contro il traffico di esseri umani.

Il problema della mancanza di dati è stato sollevato anche in un documento diffuso il mese scorso dall’Istituto australiano di criminologia, autorità ufficiale della federazione. Intitolato “La tratta delle donne a scopo sessuale”, il documento sottolineava una serie di motivi per cui le donne oggetto di traffico possono non cercare aiuto, minando pertanto le statistiche disponibili.

Tra i motivi indicati, la paura di ciò che i trafficanti possono fare alle donne o alle loro famiglie, le preoccupazioni per le pressioni economiche, il desiderio di “tirare a campare”, e il non voler essere coinvolte in lunghe e invadenti cause giudiziarie.

Inoltre, il documento rimarcava anche alcuni fattori connessi al background della persona oggetto di traffico clandestino. C’erano probabilmente diverse interpretazioni di cosa costituisse “sfruttamento” e differenti percezioni del debito e degli obblighi familiari a seconda del luogo d’origine della persona.

Un ulteriore motivo era la paura della espulsione. “Dal 2004 è stato stabilito un numero di visti per le persone identificate come oggetto di traffico clandestino in Australia, e questi visti sono destinati alle persone che collaborano con la polizia e la magistratura durante un’indagine e un processo penale”, dice Burn, aggiungendo che l’Anti-Slavery Project sta perorando un sistema di visti più inclusivi.

“Gran parte del nostro lavoro riguarda l’ambito dei visti d’ingresso e abbiamo visto che ci sono state persone oggetto di traffici clandestini – non ci sono dubbi al riguardo, non ci sono dubbi sull’attendibilità delle informazioni – che ancora non hanno diritto alla tutela prevista dal progetto governativo sui visti per i clandestini solo perché, per una serie di ragioni, non possono partecipare a un’indagine penale o a un procedimento giudiziario”, spiega Burn.

Ad aumentare l’errata rappresentazione del fenomeno contribuisce il fatto che le cifre sulle persone coinvolte nel traffico di esseri umani tendono a riferirsi per lo più alle donne che in Australia lavorano nel mercato del sesso. Secondo Burn, sono questi i casi che attirano di più l’attenzione dei media.

Indubbiamente le cose stanno così.
Lo testimonia la saga infinita di Wei Tang, proprietario di un bordello di Melbourne, condannato nel 2006 per riduzione in schiavitù e poi assolto in appello, contro il quale il Procuratore generale ha presentato ricorso all’Alta Corte. C’è poi il caso di una coppia di Sydney, Trevor McIvor e Kanokporn Tanuchit, giudicati colpevoli nel 2007 per aver ridotto in schiavitù quattro donne thailandesi, trovate in una stanza nel sottoscala di un bordello. Entrambi i casi hanno ottenuto ampia copertura sui mezzi d’informazione.

Un recente dossier
di Time Magazine riportava i casi di bambini indiani sottratti ai genitori e venduti clandestinamente in Australia tramite alcune agenzie per le adozioni: il dipartimento immigrazioni ha aperto un’inchiesta, ma questo sta a indicare che il traffico di esseri umani può manifestarsi in forme diverse.

Secondo Burn, il recente forum sul traffico di esseri umani ha fatto registrare un mutamento di prospettiva: se fin qui le persone identificate come oggetto di traffico clandestino tendevano a essere donne che lavorano nel mercato del sesso, adesso “è chiaro che il problema riguarda anche persone che lavorano in altri settori”.

“Tutto il campo dello sfruttamento di manodopera è un settore ancora inesplorato e abbiamo visto persone che lavorano nell’agricoltura e si trovano in una situazione di sfruttamento estremo”, spiega.

Nonostante la complessità del traffico di esseri umani, i problemi connessi all’identificazione di chi ne è coinvolto e la difficoltà di assicurare alla giustizia trafficanti e “padroni di schiavi”, Burn è convinta che questa forma moderna di schiavismo si possa sradicare.

A suo dire, la barriera naturale che isola l’Australia – “a differenza della situazione che esiste in Nordamerica o in Europa, per esempio, dove i confini sono porosi e molto più facili da superare” – fornisce alle autorità ampie opportunità di controllo sui nuovi arrivi agli aeroporti di tutto il paese.

In caso di mancata identificazione all’arrivo, “se riusciamo ad avvertire le persone sulla realtà del traffico di esseri umani, se riusciamo a spiegare alla comunità nel suo insieme come identificare il traffico di esseri umani, allora sarà più facile identificare e proteggere le persone oggetto di questi traffici”, dice Burn.

Burn si augura che la perdita di profitti dei trafficanti dovuta all’interruzione delle tratte – insieme a un’efficace azione penale contro i registi delle operazioni – sia un forte deterrente: “Credo che questo tipo di strategie darà un grande contributo alla progressiva eliminazione del traffico di esseri umani in Australia”, ritiene.

Burn si dice favorevole al nuovo approccio collaborativo volto a raggiungere questo scopo. Per contrastare il fenomeno, “c’è bisogno di forte coordinamento tra tutte le persone che lavorano per debellare il traffico di uomini”, dice.

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fonte: http://ipsnotizie.it/nota.php?idnews=1271

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UNA FIRMETTINA QUI..

lunedì, 04 febbraio 2008

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Dal 1° Febbraio 2008 è entrata in vigore la convenzione del Consiglio Europeo sulla lotta contro la tratta degli esseri umani.
La convenzione, firmata nel 2005, supera il Protocollo di Palermo, che fino a poco tempo fa era l’unico testo europeo sul traffico degli esseri umani.
Il fenomeno della schiavitù è legato alla criminalità organizzata, alla pedopornografia ed alla prostituzione infantile.
Al 2003, secondo l’ONU solo il numero dei bambini trafficati ogni anno nel mondo si aggirerebbe intorno ad 1,2 milioni di individui; i dati Unicef  denunciano che un milione di bambini entrano nel giro della prostituzione ogni anno; oltre l’80 per cento del traffico di esseri umani provenienti dall’Albania consiste in ragazze minorenni; circa 200 mila bambini vengono trafficati ogni anno nell’Africa Occidentale e centrale; circa un terzo del traffico globale di donne e bambini avviene all’interno dell’Asia sud orientale.

In particolare la Convenzione:
– rende obbligatorie le misure di base in materia di assistenza alle vittime, come l’accesso a cure mediche, servizi di traduzione e interpretazione, una rappresentazione giuridica nonché l’accesso all’istruzione per i bambini;
– prevede un termine di almeno 30 giorni di recupero e riflessione per le vittime della tratta, con la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno temporaneo che non dipenda dalla collaborazione spontanea della vittima con le forze dell’ordine;
proibisce di sanzionare le vittime della tratta ed esige che i governi dei paesi di destinazione scoraggino la domanda. Ciò significa che, ad esempio, le autorità devono perseguire coloro che sono consapevoli di pagare per i servizi sessuali di una vittima di tratta, a prescindere dallo status giuridico della prostituzione nel paese;
– rafforza la cooperazione internazionale in merito al perseguimento penale dei trafficanti;
– crea un organo di controllo permanente – il GRETA – nell’ambito del quale i paesi di origine, transito e destinazione potranno lavorare insieme, scambiarsi informazioni, buone prassi ed esercitare pressioni tra pari al fine di consolidare la prevenzione e la repressione della tratta.

La convenzione sara validà in 14 paesi europei: Albania, Austria, Bulgaria, Croazia, Cipro, Danimarca, Georgia, Moldavia, Romania, Slovacchia, mentri in Francia, Norvegia, Malta e Bosnia-Erzegovina l’entrata in vigore è stata spostata al 1°Maggio per problemi di carattere logistico

E in Italia? Non si sa.

L’Italia ancora non ha ratificato l’accordo. Pur essendo stato uno dei primi paesi firmatari, ancora non ha validato la convenzione che rimane al giorno d’oggi estranea al suo diritto.
Se pensiamo che il Protocollo di Palermo è stato ratificato solo nel 2006, sei anni dopo la sua firma, l’attesa potrebbe essere lunga.
Nel frattempo sulle coste italiane il fenomeno dell’immigrazione irregolare si collega sempre di più a quello della compravendita di esseri umani. La criminalità organizzata lucra enormemente sul giro di prostiuzione, continuamente rifornito dagli sbarchi di clandestini sulle coste italiane.
Perchè ancora non è stata ratificata?
Forse perchè i CPT, mai aboliti e mai riformati, non permetterebbero questo sistema di cernita?
Forse perchè l’assistenza alle vittime della tratta sarebbe sin troppo costosa e complicata per il sistema di gestione italiano?
Forse perchè la legge Bossi-FIni prevede l’espulsione immediata del clandestino, contrariamente al divieto di sanzione previsto dalla convenzione, oltra al rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo?

Anche la Francia di Sarkozy, che ha attuato dei tagli notevoli sul flusso immigratorio, ha ratificato l’accordo.

Cosa aspettiamo noi?

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Un Beretta al giorno toglie il morto sul lavoro di torno

DAL BLOG DI BEPPE GRILLO

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Beretta:Morti sul lavoro, in Italia il 50% in itinere
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Maurizio Beretta è un ex giornalista di regime. Maurizio continua a disinformare per conto di Confindustria nel suo nuovo ruolo di direttore generale. I morti sul lavoro trasformati in una guerra di numeri. Un taglio di 374 morti sul lavoro, un confronto falsato con gli altri Stati europei, trasformare i morti in cantiere in incidenti stradali. Un link scomparso dal sito dell’Inail. E il gioco è fatto. Il morto non c’è più e l’Italia è all’avanguardia per la sicurezza sul lavoro. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza Marco Bazzoni risponde a Beretta punto per punto. Menzogna per menzogna.
Leggete il libro “Morti Bianche” di Samanta Di Persio disponibile sul blog a prezzo libero.

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Egregio direttore Generale di Confindustria Maurizio Beretta,
leggendo la notizia di ieri dell’agenzia Asca “INCIDENTI LAVORO: BERETTA, 500 MORTI L’ANNO. MENO DI FRANCIA E GERMANIA”, e guardando il video dell’intervista su YouTube “Beretta:Morti sul lavoro, in Italia il 50% in itinere”,
vorrei dirLe, come ho detto a suo tempo (sempre tramite lettera) al Ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, che non è assolutamente vero che il 50% degli infortuni mortali sul lavoro sono in “itinere”, cioè nel tratto casa/lavoro- lavoro/casa, ma sono molti meno.
Al seguente link era stata pubblicata la tabella con i dati degli ultimi 10 anni sugli infortuni sul lavoro, quindi compresi quelli in itinere (mortali e non):
http://www.inail.it/repository/ContentManagement/node/N670419722/Andamento_storico.pdf
Però adesso, “stranamente”, non è più possibile aprire tale tabella. Sarà un caso?!
Cmq, no problem, io mi ero già ricopiato, a suo tempo, i dati sugli infortuni mortali in itinere:
– anno 1997 (1392, in itinere 104, con una percentuale del 7,5%),
– anno 1998 (1442, in itinere 104, con una percentuale del 7,2 %),
– anno 1999 (1393, in itinere 102, con una percentuale del 7,3 %),
– anno 2000 (1401, in itinere 53, con una percentuale del 3,8%),
– anno 2001 (1546, in itinere 296, con una percentuale del 19,1 %),
– anno 2002 (1478, in itinere 396, con una percentuale del 26,8 %),
– anno 2003 (1445, in itinere 358, con una percentuale del 24,8 %),
– anno 2004 (1328, in itinere 305, con una percentuale del 23 %),
– anno 2005 (1280, in itinere 279, con una percentuale del 21,8 %),
– anno 2006 (1341, in itinere 266, con una percentuale del 19,8%).
Mentre per quanto riguarda i dati per l’anno 2007, gli infortuni mortali sono stati 1210 (dati provvisori quelli in itinere 296, quindi con una percentuale del 24,5%.
Quindi ben lontani dal dato fornito da lei del 50 %.
Inoltre, mi suona nuova la cosa, che le imprese investano 12 miliardi di euro in sicurezza sul lavoro, proprio non la sapevo.
Ritornando agli infortuni mortali in itinere, secondo me è giusto che vengano considerati infortuni mortali sul lavoro, perchè un lavoratore non va a divertirsi, ma va al lavoro o torna dal lavoro.
Sembra quasi che la maggior parte della colpa degli infortuni mortali sul lavoro sia da imputare alle strade e non alle imprese, ma le cose non stanno proprio così caro direttore Beretta.
Inoltre, morire in un cantiere stradale, quello non è un morto sul lavoro?! Infine, come fa a dire 500 morti sul lavoro all’anno, meno che in Francia e Germania?
Basta aprire il rapporto annuale Inail per l’anno 2007. Andare a pagina 12, e leggere cosa c’è scritto nella tabella “Infortuni mortali avvenuti negli anni 2006-2007 per gestione e tipologia di accadimento: nell’anno 2007, c’è scritto; infortuni mortali in occasione di lavoro = 874, e non 500!
Nell’attesa di una sua risposta, La saluto.”Marco Bazzoni – Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Email: bazzoni_m@tin.it

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fonte: http://www.beppegrillo.it/2008/08/un_beretta_al_g.html

“Gustav, arriva la tempesta del secolo”. Ordinata l’evacuazione di New Orleans

Il sindaco: «Lasciate le vostre case, è di gran lunga più potente di Katrina»

MULTIMEDIA

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NEW ORLEANS (USA)
Il sindaco di New Orleans, Ray Nagin,
ha ufficialmente ordinato l’evacuazione della città a partire dalle 8 ora locale (le 15 in Italia), per prepararsi all’arrivo di quello che Nagin definisce «la madre di tutte le tempeste», l’uragano Gustav.

Ad evacuare sarà prima la zona ovest della città, e circa quattro ore dopo quella est. Secondo l’Hurricane center americano, Gustav dovrebbe prendere forza sopra le acque calde di Cuba e arrivare martedì sulle coste della Louisiana, a ovest di New Orleans, con onde alte da cinque a nove metri. È la prima evacuazione obbligatoria da quando l’uragano Katrina allagò la città tre anni fa proprio in questi giorni. «Gustav è la tempesta del secolo», ha avvertito il sindaco Ray Nagin dell’uragano che si sta avvicinando minacciosamente alle coste della Louisiana, dopo aver causato inondazioni e fatto feriti sull’isola cubana della Giovinezza.

Nagin ha detto che Gustav è di gran lunga più potente e pericoloso di Katrina e ha implorato gli abitanti della città di lasciare le proprie case. In migliaia hanno già abbandonato New Orleans, alcuni in treno ma per lo più in macchina. In città risiedono circa 240mila persone. Il sindaco Nagin ha precisato che le forze dell’ordine non verranno mobilitate per costringere ad andarsene chi non vuole, ma questo – ha detto il sindaco – sarebbe «l’errore peggiore che questa gente potrebbe fare in tutta la loro vita». Intanto il candidato repubblicano John McCain e la sua vice Sarah Palin vanno oggi in Mississippi per verificare lo stato di allerta e i preparativi fatti per fronteggiare l’impatto della tempesta. L’invito è arrivato dal governatore repubblicano Haley Barbour.

A distanza l’uragano minaccia anche la Convention repubblicana che dovrebbe aprirsi lunedì in Minnesota. McCain, che oggi è con la vice Palin in Mississippi, ha detto in una intervista alla Fox che i lavori della Convention potrebbero essere abbreviato o sospesi alla luce dell’andamento dell’uragano perchè «non è opportuno festeggiare quando una parte del paese vive una tremenda tragedia». A New Orleans, Nagin ha detto che l’evacuazione ordinata «non è un test». Le forze dell’ordine non obbligheranno nessuno a partire ma chi non lo fa «corre il pericolo peggiore della sua vita», ha detto il sindaco. Gustav ha già ucciso 85 persone nei Caraibi. Dovrebbe abbattersi sulle coste Usa lunedì pomeriggio tra il Texas Occidentale e il Mississippi occidentale. Non è chiaro se New Orleans sarà colpita direttamente.

Gustav è stato promosso dalla Fema, l’agenzia federale dei servizi d’emergenza americani, a categoria cinque – la più alta in assoluto -. Intanto l’uragano Gustav è diventato un tema della campagna elettorale americana, soprattutto perché si è scatenato in concomitanza con il terzo anniversario di Katrina, l’uragano che devastò New Orleans e il sud degli Stati Uniti esattamente tre anni fa. Il senatore dell’Illinois Barack Obama, parlando da Boardman, in Ohio, dove sta facendo campagna con il suo candidato vice, il senatore del Delaware Joe Biden, ha detto di sperare che «la dura lezione impartita da Katrina nel 2005 (quando il ritardo di intervento dell’amministrazione Bush scatenò aspre polemiche) sia stata imparata» e che questo aiuterà a proteggere le coste del paese dall’uragano Gustav.

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fonte: http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200808articoli/36069girata.asp

Strage di Brescia, quelle foto che aiutano la verità

di Massimo Franchi

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brescia strage 30.08.08
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Il primo dei tanti depistaggi sulla strage di piazza Loggia a Brescia lo fece Il Secolo d’Italia. Per il giornale dell’Msi il 28 maggio 1974 in piazza c’era Renato Curcio, fondatore delle Br. «Volevano intorpidire le acque», racconta Manlio Milani, presidente dell’associazione familiari delle vittime, che quella piovosa mattina perse la moglie Livia. «Sapevamo che quella era una strage fascista e decidemmo di fare qualcosa». La reazione della città, ancora affranta dal dolore per gli 8 morti e il centinaio di feriti, fu immediata. «Pensammo che la cosa migliore era fare un appello: portateci foto della strage, riconoscetevi in quegli scatti». E Brescia rispose «con un impegno senza eguali, un impegno che ci fece sentire in dovere di lottare contro i depistaggi e per la verità».
Il “depistaggio Curcio” fu poi subito smentito da Giancarlo Caselli: «Arrivarono sul mio tavolo delle foto che sembravano di Curcio e che, se la memoria non m’inganna, erano di una commemorazione della strage di Brescia. La somiglianza c’era, ma già il profilo la metteva in forse. Riuscimmo poi ad individuare l’uomo e a smentire definitivamente quella versione».
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Più di vent’anni dopo, in una delle migliaia di foto raccolte, un volto sullo sfondo colpì i magistrati Di Martino e Piantoni, che aprirono l’ultima inchiesta nel 1993. Lo scatto immortala lo strazio di Arnaldo Trebeschi. Piange il fratello Alberto, militante del Pci, il cui corpo è coperto alla buona da una bandiera. Dietro di lui, da un improvvisato cordone di sicurezza, spunta il caschetto di uomo. I magistrati ci vedono subito Maurizio Tramonte, la “fonte Tritone” dei servizi segreti, uomo che ha scritto e riscritto il corso delle indagini. Nel 2001 affidano la perizia per il riconoscimento al professor Luigi Capasso, ordinario di Antropologia a Chieti. Attraverso accurati confronti antropometrici, Capasso giunge ad un «un positivo giudizio d’identità».
La perizia fa parte degli atti dell’istruttoria che ha portato al rinvio a giudizio lo scorso maggio dello stesso Tramonte, Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Francesco Delfino, Giovanni Maifredi e Pino Rauti con il via al processo previsto per il prossimo 25 novembre. Un impressionante mare di documenti in cui la verità potrebbe essere stata annegata dai tanti depistaggi. Un mare che la Casa della memoria di Brescia ha ora raccolto. «È stato un lavoro durissimo che ci è costato 45 mila euro. Ora è tutto digitalizzato e consultabile, grazie ai finanziamenti del Comune e della Provincia, co-fondatori con la nostra associazione della Casa della memoria».
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Una Casa piena di foto. «I primi furono i fotografi: lo studio Cinelli e lo studio Eden, da cui è tratta la foto di Tramonte. Entrambi i titolari sono morti. La figlia di Cinelli ci ha donato l’intero documentario. Poi molti cittadini portarono le foto a noi perché della Questura non si fidavano». E facevano bene. A guidare la prima inchiesta fu proprio il generale Francesco Delfino, ora rinviato a giudizio. Fu lui ad accreditare subito la falsa pista del trafficante Buzzi.
«Io vivo a Roma», spiega Lorenzo Pinto, che di Milani nell’associazione delle vittime è il vice e che a Brescia perse il fratello Luigi, «eppure sono sempre colpito dall’impegno della città: qualche anno fa il famoso Ken Damy decise di fotografare tutti coloro che erano in piazza quel giorno e poi ne fece una bellissima mostra».
La perizia sulla foto rafforza le possibilità di arrivare finalmente ad uno straccio di giustizia. «Preferiamo lasciar parlare i fatti e non commentare – conclude Manlio Milani -. In questi 34 anni di delusioni ne abbiamo avute troppe, basta pensare a tutti gli indagati morti o uccisi (Buzzi fu il primo) a pochi giorni dalle deposizioni. La cautela ci deriva dalla storia, ma siamo almeno contenti di aver portato per la prima volta a giudizio ben due uomini dei servizi segreti: Tramonte e Delfino. A testimonianza del fatto che i depistaggi nella storia dello stragismo nero ci sono eccome e sono compravati anche grazie all’impegno civico del popolo della nostra città».

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Pubblicato il: 30.08.08
Modificato il: 30.08.08 alle ore 20.58

fonte: http://www.unita.it/view.asp?idContent=78520