Archivio | luglio 28, 2007

Su Internet la nuova caccia alle streghe

Cassandra Crossing/ Caccia alle streghe

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venerdì 27 luglio 2007

Marco Calamari

Roma – Il generale Agosto avanza a grandi passi e comincia ad occupare, come naturale, le prospettive mentali della maggior parte degli Italici; i pensieri sulla difesa dei diritti civili e della Rete appartengono purtroppo all’esercito dei pensieri messi in rotta dalla sua avanzata. Oddio, non proprio tutti sono preda di sindrome vacanziera; la classe politica è ancora al lavoro, ma l’attenzione e quasi tutto l’impegno dei due Poli sono assorbiti dal futuro Partito Democratico, dai cambi di equilibrio che comporterà, e dall’utilizzo di qualunque avvenimento per i progetti di ribaltone.

In questo panorama, quotidiani e telegiornali devono comunque essere riempiti di notizie, quindi riferiscono anche camei di cronaca “nera” che, letti non superficialmente, sono notizie inquietanti sull’escalation della censura e della limitazione dei diritti civili in Rete. La stampa ha riportato nei dettagli l’uso dell’infrastruttura “cinese” di controllo della Rete italiana contro un sito estero, che a detta di chi l’ha consultato, pur non contenendo immagini pedopornografiche, faceva “apologia” della pedofilia.

È recente la storia del sequestro del blog di Piero Ricca per aver avuto una lunga querelle con Emilio Fede, ed aver diffuso uno spezzone di filmato a lui sgradito. Di questi tempi sembra normale che invece di una denuncia per diffamazione, si tuteli l’onorabilità del più fuoriondato giornalista italiano censurando d’autorità la libera espressione di un cittadino.

È altrettanto recente la notizia che alcune persone, pare ragazzi, siano state accusate di aver pubblicato su un sito documenti Internet che contenevano informazioni sulla costruzione di bombe. Questa notizia non ha avuto la risonanza della precedente, ma è a mio parere ancora più preoccupante.

Dal punto di vista delle libertà in Rete, le tre notizie sembrano forse meno importanti rispetto alla ormai consolidata censura tecnologica dei siti di gioco online sgraditi alle finanze dello Stato Italiano, censura che è divenuta attività rituale e megalomane di chi vuole controllare, o fare il possibile per controllare, la Rete. L’unico obbiettivo propagandato è, come sempre, la tutela del nostro bene; forse il vostro, non il mio. Infatti come altri abitanti della Rete non ritengo di aver bisogno di questo tipo di tutela, anzi la aborrisco. Ma proseguiamo; non amo nemmeno essere preso per i fondelli.

La giustificazione filosofica usata contro i ragazzi che hanno caricato i documenti su come si costruiscono le bombe sul loro sito (peraltro reperibili facilmente tramite Google) è gravissima, ed è la stessa usata contro i videogiochi “violenti”; si devono limitare i diritti dei cittadini normali per difenderli da quello che potrebbero fare elementi mentalmente instabili od aspiranti terroristi se avessero le stesse libertà.

La censura non scatta pero’ solo nei confronti dei “ragazzacci”.
Non puo’ esistere una censura “limitata”, come non esiste una ragazza “limitatamente incinta”; se si censura anche solo un pensiero sgradito ad una società allora esiste la censura, e se questa censura sembra ragionevole alla maggioranza, si tratta perdipiù di una censura “trionfante”.

Una frase attribuita a Voltaire (ma non sua) l’aveva ben enunciato: “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa continuare a dirlo”. In nessun altro campo imbavagliare le persone normali per tutelare malati e violenti, senza oltretutto nessuna prova dell’efficacia dei metodi usati, sarebbe giudicato accettabile. Purtroppo contro i nuovi presunti mostri che popolano la Rete c’è la sospensione della ragionevolezza, e si fa accettare, e si accetta, tutto.

Ma dove stanno i pedofili violenti, i terroristi che fanno saltare in aria la gente; stanno in Rete? Quanti ne sono stati trovati in Rete? E quanti invece popolano le strade che ogni giorno percorriamo, dove possono essere catturati, ahimé troppo di rado? La mancata cattura di terroristi e pedofili veri dovrebbe portare logicamente ad un maggiore impiego di uomini, mezzi ed intelligence. Andreottianamente pensando, il rimedio finisce per essere quello di cercare criminali in Rete, perché sono più facilmente accessibili, anche a costo di inventarli e di scrivere nuove leggi che sostengano questa moderna crociata, che diano vita persino a reati virtuali, in pieno stile kafkiano.

Nulla di nuovo, nulla di originale, è la versione moderna della caccia alle streghe. Le streghe erano innocenti, forse malate mentali, forse in preda ad allucinogeni, forse semplicemente persone sgradite al potere, allora come oggi assai intollerante contro i diversi ed i critici. Ora è sentimento diffuso che siano state capri espiatori, vittime innocenti della Storia.

In altri tempi e paesi è toccato agli ebrei, poi agli anticomunisti, poi ai comunisti, poi…. Essere le moderne streghe da distruggere è il rischio che gli abitanti della Rete corrono, è il modo con cui molta gente “normale”, molti sottosviluppati informatici, molti politici, la maggioranza dei lettori di giornali e dei telespettatori, la maggioranza della popolazione ci vedono.

Trasformare alla prima occasione favorevole una maggioranza di gente tranquilla e “normale” in folla scatenata con torce e forconi è riuscito tante volte nella storia. Non facciamo finta di niente. Non sottostimiamo il rischio. Non sentiamoci tranquilli. Basta trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Non facciamoci fregare.

Marco Calamari

fonte: http://punto-informatico.it/p.aspx?i=2047677

“Prima sono venuti a prendere gli ebrei,
ed io non ho alzato la voce perché non ero ebreo.

Poi sono venuti a prendere i comunisti,
ed io non ho alzato la voce perché non ero comunista,

Poi sono venuti a prendere i sindacalisti,
ed io non ho alzato la voce perché non ero sindacalista.

Poi sono venuti a prendere me,
ma non era rimasto nessuno per alzare la voce in mia difesa.”



Terrorismo a Paperopoli


A Manganè’.. dacce un tajo!!

di Maurizio Blondet

28/07/2007

Il nuovo capo della Polizia Antonio Manganelli


Esiste un accresciuto pericolo di un attentato islamico in Italia.
Ciò a causa dei gruppi salafiti, collegati «in qualche modo ad Al Qaeda».
La cosa è seria, ci assicurano i media: l’ha detto il nuovo capo della polizia Manganelli in una audizione al Senato.
Che dire?
Già avere un capo della polizia che si chiama «Manganelli» implica che viviamo non nella realtà, ma in un cartone animato.
In quelli della Disney c’è il buon commissario Basettoni, che veglia su Paperopoli come può; per fortuna ci sono Qui Quo Qua a risolvere i problemi più ingarbugliati, grazie alla consultazione del manuale delle Giovani Marmotte.
La versione italiana è lievemente più sinistra, visto che il commissario qui non si chiama Basettoni ma Manganelli (il ferro del mestiere preferito dal suo predecessore, l’inquietante De Gennaro) e che il Senato non è quello di Paperopoli, bensì di Cretinopoli.
Ma è pur sempre un fumetto.
Infatti che cosa direbbe un vero capo della polizia nella realtà, parlando ad un vero Senato?

Sette cose:
1) «Le dichiarazioni del nostro ministro degli Esteri D’Alema a favore di Hamas hanno profondamente irritato Israele. Ciò perché Israele ha fatto ogni sforzo per impedire ai Paesi occidentali di dialogare con Hamas, in quanto bollato come ‘terrorista’, e le parole del ministro degli Esteri rompono con la posizione filo-israeliana a cui si attengono tutti gli europei».

2) «Benchè si tratti solo di parole e non di fatti (come sempre nella nostra politica estera), Israele e la comunità ebraica italiana hanno manifestato in molti modi la loro irritazione e, a dirla tutta, ostilità verso D’Alema e la politica italiana.
In questa ostilità ci sono venature parossistiche e irrazionali, che ci fanno temere che possa essere nata in Israele la volontà di ‘punire’ il governo italiano, e insieme di costringerlo a riallinearsi alla politica occidentale di chiusura ermetica verso Hamas».

3) «Ne consegue che il rischio di un attentato terroristico clamoroso nel nostro Paese è effettivamente aumentato.
Come dovreste sapere se non abitaste a Paperopoli, Israele è il Paese più pericoloso del Mediterraneo.
Non solo è super-armato e aggressivo, ma con lunga esperienza e provata capacità di condurre attentati, e atti di sovversione e provocazione, in una vastissima area del mondo.
Secondo alcune ipotesi, ne ha già commessi anche contro il nostro Paese in passato.
Data la delicatezza dell’argomento, vi rimando al dossier di cui avete ricevuto copia e che vi prego di considerare assolutamente riservato.
A buoni intenditori basteranno due parole: ‘Ustica’ e ‘Stazione di Bologna’
».

4) «L’attentato che ci colpirà sarà di evidente matrice ‘islamica’. Sarebbe infatti assurdo aspettarsi che un attentato punitivo portasse la firma del vero mandante, specie se il mandante è uno Stato.
D’altra parte, il Mossad ha una notoria e comprovata capacità, ben nota ai servizi d’intelligence, di compiere attentati ‘false flag’, ossia lasciando tracce che li fanno attribuire ad altri, e talvolta istigando e manipolando, come esecutori materiali, estremisti musulmani.
Se non foste senatori di Paperopoli, persino voi dovreste essere al corrente che il Mossad sapeva in anticipo, per esempio, dell’attentato del 7 luglio 2005 alla metropolitana di Londra
».

5) «Se e quando ciò accadrà anche in Italia, sarà impossibile indicare i veri mandanti del sanguinoso attentato. Tutti i media, tutti i più autorevoli commentatori (alcuni appositamente pagati) strilleranno che c’è la mano di Al Qaeda.
Anche noi poliziotti dovremo far finta di credere a quella che sarà immediatamente consacrata come ‘la tesi ufficiale’; ciò perché lo stesso governo sarà costretto ad aderirvi.
Non sarà possibile dire la verità, altrimenti bisognerebbe trarne una conclusione politicamente impossibile: lo Stato di conflitto con il Paese più armato, atomico e pericoloso del Mediterraneo
».

6) «Perciò vi prego di considerare oggi gli argomenti che sarà impossibile esporre nel malaugurato domani.
Il primo: riflettete che il terrorismo e l’estremismo islamico non hanno mai commesso attentati in Italia nemmeno durante il governo Berlusconi, infinitamente più anti-islamico del governo Prodi. Perché dovrebbero fare ‘oggi’ un attentato in un paese così ufficialmente simpatizzante con Hamas e con la causa palestinese, da irritare Israele?
Ma non sarebbe la prima volta che l’entità che chiamiamo ‘Al Qaeda’ colpisce posizioni che Israele considera ostili.
Il secondo argomento: vivono in Italia molti musulmani, non pochi dei quali estremisti irrazionali. Ma ci abita anche una comunità ebraica fra cui si trovano non pochi ‘sayanim’, ossia collaboratori locali e volontari del Mossad.
Come si dovrebbe sapere anche a Paperopoli, fra questi ‘sayanim’ spiccano squadre di militanti, armati e che hanno ricevuto addestramento bellico in Israele; si tratta di formazioni illegali e pericolose, ma che dobbiamo tollerare per ragioni politiche.
Questi gruppi di intoccabili dediti alla violenza alla luce del sole costituiscono, per usare un termine di criminalità comune, i basisti ideali per operazioni sporche del Mossad.
I ‘sayanim’ nella comunità forniscono infatti copertura, rifugi, finanziamento ed ogni tipo di assistenza – medica ad esempio – ad agenti spediti dall’estero per una missione.
Questo rappresenta un pericolo ben più reale e presente di cellule islamiche da moschea, facilmente controllabili.
Vorrei potervi assicurare che abbiamo sotto controllo le comunicazioni di questi ben identificati individui e ne teniamo d’occhio le mosse: purtroppo non è così.
Non solo perché ciò sarebbe politicamente scorretto, ‘antisemita’ e quindi suicida per la mia stessa carriera, ma perché sono semmai ‘loro’ a intercettare ‘noi’, avendo perfettamente infiltrato, e da lungo tempo, alcune delle nostre compagnie telefoniche con loro ditte israeliane specializzate nelle forme più sofisticate di spionaggio elettronico
».

7) «Perciò, ciechi e sordi, non possiamo far altro che fingere di investigare in qualche moschea di teste calde, mentre aspettiamo passivamente la punizione israeliana, che avverrà come e quando Israele deciderà, e dopo la quale dovremo tutti – voi, noi e i media – gridare al pericolo islamico, e strillare che ‘è stata Al Qaeda’.
Ma oggi, mentre sono ancora in tempo, vi dico, in buon paperopolitano: ‘Accà nisciuno è fesso’. Tanto vi dovevo per la vostra dignità di senatori di un Paese presunto sovrano, e per la mia.
Sì, ho un nome da cartoon: sono il commissario Manganelli, e questo è il Senato di Paperopoli.
Ma non di Cretinopoli
».

Solo a questo punto il commissario Manganelli, capo della Polizia italiana, avrebbe potuto aggiungere quello che ha effettivamente detto ai senatori, a proposito di Al Qaeda: «Non esiste un’organizzazione strutturata come Cosa Nostra che ha le sue filiali ufficiali nei vari Paesi, ma c’é un sistema operativo non meno pericoloso, una sorta di franchising.
C’é il marchio di Al Qaeda, il che non significa che tutto quanto viene fatto viene preventivamente benedetto dal vertice di un’organizzazione, che riteniamo non esistere
».
Affermazione inaudita.
Coraggiosa, anche.
Da vero poliziotto che sa la realtà.
A farla cogliere nel suo significato mancavano le frasi immaginarie sopra riportate.
Così rimane fuori contesto, non vi pare?

Maurizio Blondet

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(pubblicato per gentile consessione dell’Editore)

fonte: http://www.effedieffe.com/
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"Cristoforo Colombo era lombardo"

Si, è solo una una curiosità.. che spiacerà ai Genovesi, ma forse neanche tanto. Chapeaux, comunque, al prode Colombo, che seguendo la rotta (tutta di sua invenzione) ha scoperto l’America. Senza saperlo. Tanto che ci ha pensato poi l’Amerigo, a rimettere le cose a posto.

28 luglio 2007

È una tesi di laurea di una studentessa di Voghera ad aprire un inquietante interrogativo: Cristoforo Colombo è ligure o lombardo?

Il lavoro di Natalia Lugli, 23 anni, per la Facoltà di Scienze Biologiche dell’ Università di Pavia è basato su oltre 100 analisi del Dna tratto dalla saliva di altrettanti uomini – piemontesi, liguri e lombardi – con cognome, appunto, Colombo. La tesi da dimostrare era appunto che il grande navigatore fosse lombardo, in quanto lombarda è l’origine del suo cognome. Un lavoro apparentemente fin troppo facile: basta aprire l’elenco del telefono di Milano e al nome Colombo ci sono quattro pagine di abbonati.

Natalia Lugli, con la supervisione di due esperti in biologia molecolare, ha raccolto e analizzato la saliva di oltre un centinaio di “Colombo” di sesso maschile, piemontesi, lombardi e liguri: ha esaminato il cromosoma Y (che viene ereditato in via paterna) e anche il Dna mitocondriale (ereditato solo dalla madre) e, cercato in essi delle sequenze che permettono di tracciare una “patri-linearita”.

Dall’esame dei risultati – illustrati proprio ieri all’esame di laurea – ha potuto dimostrare scientificamente che il cognome “Colombo” è fondamentalmente di derivazione lombarda, e si sarebbe poi trasferito in Spagna, passando attraverso la Francia.

fonte: http://www.ilsecoloxix.it/genova/view.php?DIR=/genova/documenti/2007/07/28/&CODE=0ab06448-3d23-11dc-8250-0003badbebe4

Svezia: quale Paradiso?

Tra Socialismo ed Eugenetica

di Carlo Lottieri

Da decenni la Svezia è al centro di un’infuocata controversia ideologica, che in più di un’occasione ha finito per celare la realtà di questo Paese, facendone quasi soltanto uno schema astratto. Nei dibattiti contemporanei, la società svedese è spesso esaltata in quanto capace d’essere al tempo stesso efficiente e solidale, moderna e redistributiva, in grado di produrre ricchezza e ridurre le disuguaglianze. Per la sinistra europea, il sistema sociale scandinavo è una specie d’icona: da difendersi ad ogni costo.

In realtà, la Svezia è più complessa di quanto non si creda. Pochi sanno, ad esempio, che negli ultimi trent’anni gli svedesi si sono in parte allontanati dai dogmi dello statalismo di un tempo, avviando un processo di liberalizzazione che fa di questa economia (pur molto tassata) una realtà abbastanza estranea a taluni vizi che caratterizzano la Francia, la Germania e la stessa Italia.

In particolare, la Svezia non conosce quel tipo di politica economica che contraddistingue le socialdemocrazie del continente (non ha un settore pubblico che ricordi l’Iri o i colossi francesi à la Renault); e questo spiega perché l’indice sulle libertà economiche redatto dalla Heritage Foundation le assicuri negli ultimi anni una buona posizione, ben al di sopra di molti altri paesi europei. Lo statalismo svedese, quindi, si concentra sui “servizi alla persona”: in quel mix di paternalismo ed assistenzialismo che caratterizza il modello scandinavo.

È comunque vero che nell’edificare il proprio sistema di welfare la Svezia ha espresso un radicalismo senza paragoni, fino al punto da delineare un’esistenza programmata – dalla culla alla tomba – che non solo riduce gli spazi di responsabilità del singolo (basti ricordare che il tasso di assenteismo, in Svezia, è triplo rispetto all’Italia), ma conosce pure esiti inquietanti. Perché, sebbene per decenni non se ne sia parlato, la socialdemocrazia nordica ha sviluppato programmi eugenetici non privi di punti di contatti con le analoghe politiche naziste.

Per cogliere alcuni aspetti di tale intrigante vicenda – che fu chiusa solo da Olof Palme – è ora disponibile un volume scritto da un giovane studioso italiano, Luca Dotti, che ha esaminato il quarantennio (1934-1975) durante il quale la socialdemocrazia di Stoccolma ha promosso la sua legislazione su castrazione, sterilizzazione e aborto. Risultato di un attento lavoro d’archivio, il volume di Dotti ha soprattutto il merito di documentare: al di là di ogni interpretazione e giudizio. E leggendo queste pagine colpisce l’intreccio tra le “buone intenzioni” (i sussidi per l’alimentazione o l’abbigliamento dei bambini) e la “violenza amministrata”. Basti ricordare che in un paese di non molti milioni di abitanti come la Svezia furono praticati ben 63 mila interventi di sterilizzazione, contro i 300 mila della Germania nazista.

Dai documenti analizzati emerge nettamente la stretta connessione tra le teorie socialiste dell’economista Gunnar Myrdal, premio Nobel nel 1974, e i progetti eugenetici governativi. L’esplicito obiettivo di Dotti è cogliere i paradossi e le difficoltà della “società svedese dagli anni Trenta agli anni Settanta, totalmente rapita dal mito e dal sogno genocratico di una popolazione perfettibile, razionalmente e programmaticamente adatta al Nuovo Mondo del progresso, della serialità, e della grande dimensione”.

Nel pensiero di Myrdal e di sua moglie Alva l’azione coercitiva dello Stato orientata a sterilizzare, castrare, imporre l’aborto e fare tutto il possibile per migliorare la “razza svedese” è parte di una visione collettivista che affida allo Stato l’incarico di prendersi cura della società nel suo insieme. Per le donne, così, è immaginato un sistema di aiuti e servizi che però non rinuncia ad esprimere una dura condanna moralistica nei riguardi del lavoro domestico. Fa una certa impressione, ad esempio, leggere che la casalinga, la quale non partecipa attivamente alla produzione dei beni collettivi, solo per questo può essere accusata – come fanno i Myrdal nel 1934 – di essere svogliata, egoista, chiusa in se stessa.

Sulla base di simili considerazioni (che riguardano le donne, ma anche le minoranze etniche, i marginali e altri gruppi) sono quindi realizzati autentici piani per tutelare la sanità della “razza svedese”.

Così per imporre la sterilizzazione amministrativa di questo o quell’internato basta redigere documenti in cui si fa riferimento al suo basso quoziente intellettivo, ai problemi penali dei parenti, ai figli nati da relazioni extra-coniugali, a problemi fisici (pleurite o altro) e mentali. Poliomielitici, zingari, malati psichici o semplicemente homeless – persone molto povere e per questo non di rado anche analfabete – in tal modo diventano vittime di una macchina spietata, la quale lavora per la collettività e quindi non può avere certo pietà del destino di questi miserabili.

Ma tale collegamento tra socialdemocrazia assistenziale e politiche eugenetiche è da considerarsi puramente occasionale, oppure vi è un legame profondo? La connessione è rilevante, evidente e si colloca a vari livelli.

In primo luogo, il sistema politico socialdemocratico implica la dissoluzione dei diritti individuali, e l’eugenetica può imporsi solo se il corpo sociale è spogliato di ogni capacità di resistenza. In una società in cui i singoli siano considerati soggetti autonomi, proprietari di sé e titolari di diritti originari (al riparo da imposizioni ed espropri), nemmeno la violenza delle sterilizzazioni di Stato potrebbe essere pensabile. Perché l’ombra di Hitler oscuri il Paradiso in terra degli scandinavi è necessario che Locke sia cancellato e si neghi ogni relazione tra proprietà e libertà.

In secondo luogo, la socialdemocrazia implica un indebolimento della famiglia e di ogni altro ambito comunitario naturale, spontaneo, liberamente scelto. Come più di un teorico ha rilevato (a partire da John Rawls), la famiglia è il luogo fondamentale di riproduzione delle differenze e una società egualitaria deve – in un modo o nell’altro – proporsi di depotenziare tale istituzione. Ma una volta che gli individui e soprattutto i soggetti più deboli sono lasciati soli, non bisogna sorprendersi se essi finiscono per subire ogni abuso e violenza da parte dei titolari della forza pubblica.

In terzo luogo, l’ideologia socialdemocratica definisce l’uomo a partire da quei bisogni, più o meno elementari, che gli apparati statali si attribuiscono il compito di soddisfare. Ogni uomo deve disporre di una data salute e di una certa istruzione, deve disporre di un qualche reddito e avere un suo ruolo. In assenza di tutto ciò, la vita non è più dignitosa, né meritevole di essere vissuta. E quando l’azione pubblica non è in grado di assicurare gli standard minimi di qualità della vita, allora tanto vale inibire la nascita di tali soggetti.

Proprio questo gretto materialismo spiega meglio di ogni altra cosa l’universo ottusamente secolarizzato di questa socialdemocrazia scandinava innamorata dell’eugenetica. Il progetto orientato ad impedire (anche grazie a metodi irrispettosi della persona umana) che soggetti malati vengano alla luce è perfettamente coerente con la filosofia della solidarietà di Stato, con l’assistenzialismo coercitivo, con le teorie volte a pianificare la vita sociale.

Il collettivismo socialdemocratico, per giunta, non è privo di tratti ‘produttivistici’. Come rileva Dotti, nella Svezia degli anni Quaranta “i ritardati ineducabili erano considerati un peso, e la loro impossibilità a diventare produttivi permetteva l’assenza di cura ed istruzione”, mentre un trattamento diverso era assicurato ai ritardati in grado di lavorare. Nel 1935 un documento ministeriale ufficiale riportato nel volume arrivò ad affermare che “non risulta di alcun interesse per la società che individui di scarsa qualità fisica e psichica si riproducano”: brano che evidenzia nettamente come l’eugenetica – quale volontà di operare in maniera coercitiva sulla sfera della procreazione – intrattenga un rapporto originario con le logiche socialiste e con l’idea che l’interesse generale faccia premio sui diritti dei singoli.

Sullo sfondo di tutto ciò vi è quella prospettiva grevemente positivista che nel 1922 aveva condotto a creare l’Istituto Statale per la Biologia Razziale, entro un contesto generale che non mancava di esaltare la specificità etnica degli svedesi. Come in Germania e in altri paesi europei, anche nella società scandinava viene elaborato il mito dei contadini, che grazie al loro legame con la terra e i loro limitati rapporti con gli scambi e le città sono individuati quale “razza pura”, sottratta ad ogni meticciamento.

In qualche modo, tutto torna. C’è infatti un filo rosso che congiunge il plumbeo neo-positivismo di Axel Hägerström (noto ai filosofi del diritto per il suo nichilismo dei valori), il collettivismo economico di Myrdal e l’esplicito razzismo di politiche che colpiscono spietatamente – ad esempio – i tattare, insieme di gruppi etnici nomadi tradizionalmente guardati con ostilità dalle popolazioni rurali svedesi.

D’altra parte, non si può pensare che Lager e guLag siano sorti dal nulla. Già in Rousseau e nei testi teorici del primo socialismo s’afferma l’idea che la politica deve assumere una prospettiva demiurgica. Agli occhi dei fautori delle utopie collettiviste, la realtà è sbagliata, corrotta, bisognosa di una palingenesi. Ridistribuire, castrare, pianificare, tassare, incentivare, regolamentare e aiutare sono solo varianti di una medesima logica, che trova nella tremenda hybris del potere statale il suo momento unificante.

da L’Indipendente, 10 luglio 2005

fonte: http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=1789

Prodi: "Sul Welfare niente passi indietro"

e Ferrero promette battaglia in autunno

LA “NOTTE” DELLA SINISTRA. ED ORA TUTTI IN PIAZZA!


ROMA – “Nessun passo indietro, come titola oggi enfaticamente qualche giornale, da parte del presidente Prodi sul protocollo sul welfare”. Il portavoce Sircana torna sull’incontro di Prodi ieri con i quattro ministri della sinistra che contestano il protocollo sul Welfare e che alla fine del pranzo hanno parlato di modifiche da apportare in Parlamento.
Il portavoce di Prodi, invece, afferma: “Il presidente, nel corso dell’incontro di ieri – spiega Sircana – ha confermato quanto già scritto nella lettera al segretario generale della Cgil, resa nota nei giorni scorsi, ribadendo – conclude – la sostanziale non emendabilità del protocollo”.

Sull’incontro torna anche il ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, uno dei quattro “dissidenti”. “A questo punto, prevedo che in autunno ci sarà una grande battaglia politica in Parlamento e anche nel Paese”. “Prendo atto della precisazione di palazzo Chigi – prosegue Ferrero – anche se non è una particolare novità, e non mi fa nemmeno piacere. E’ evidente che l’accordo con Prodi sulle modifiche non c’è”, evidenzia l’esponente di Prc, secondo il quale bisognerà a questo punto che siano le Camere a cambiare il Protocollo: “La mia opinione – aggiunge – è che dovrà essere il Parlamento a introdurre le necessarie modifiche. A settembre si vedrà anche la capacità dei lavoratori e dei giovani precari nel Paese a far sentire la loro voce”.


Promette battaglia anche il capogruppo alla Camera del Pdci, Pino Sgobio. “Il protocollo sul welfare non va per nulla bene. Un governo di centrosinistra dovrebbe avere come ragione sociale primaria la salvaguardia e la promozione di diritti e tutele del mondo del lavoro. Lavoratori e pensionati hanno votato l’Unione perché nel programma era scritto chiaramente che si sarebbe superato il precariato e che sulle pensioni non si sarebbe operato alcun innalzamento. Daremo battaglia in Parlamento per modificare questo pessimo accordo”.

“Noi non vogliamo procurare strappi, interni alla coalizione, il protocollo del 23 luglio va migliorato ma seguendo il programma di governo”, dichiara invece il ministro del’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio. Il capogruppo alla Camera dei Verdi, a sua volta, fa fatica “a comprendere le affermazioni di Sircana perché è ovvio che il Parlamento è sovrano e, se lo riterrà opportuno, potrà migliorare il protocollo sul Welfare”.

“Noi Verdi non intendiamo stravolgere il testo – ha proseguito Bonelli – come abbiamo spiegato a Prodi ieri. Ma un governo di centrosinistra deve pensare a dare un lavoro stabile e certo ai giovani, per consentirgli di programmare il futuro e non arrancare in una condizione di precarietà per troppi anni. Se non lo fa, perde la sua identità”.

(28 luglio 2007)

fonte: http://www.repubblica.it/2007/07/sezioni/economia/pensioni-6/prodi-welfare/prodi-welfare.html

Roma | 28 luglio 2007

Welfare, Damiano: la legge si puo’ scrivere meglio

Il ministro del lavoro Cesare Damiano

Il ministro del lavoro Cesare Damiano

“Un accordo fra Governo e parti sociali è fatto di concertazione e quello è l’accordo. Naturalmente si può scrivere meglio nel momento in cui lo si traduce in legge per dissipare eventuali timori o incomprensioni. Poi il Parlamento è sovrano e potrà decidere autonomamente quali ulteriori valutazioni e modifiche portare ad un accordo”. Lo afferma il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, in una intervista al Tg3.

L’atteggiamento della Cgil mette a rischio la concertazione? “No – risponde Damiano – la Cgil ha una sua discussione interna. La concertazione è stata rilanciata. Adesso si tratta di passare ad un’altra fase: quella della sua gestione perché in autunno ci aspettano molti lavori impegnativi per applicare molte parti di questo protocollo”. Per Damiano “questo protocollo può essere considerato come il migliore accordo sullo stato sociale da 20 anni a questa parte. Verranno redistribuiti allo stato sociale 35 miliardi di euro in 10 anni. Queste risorse andranno alla parte debole del Paese”.

Vedi anche Damiano: utile un ritorno a tre anni per la durata dei contratti

fonte: http://www.rainews24.it/Notizia.asp?NewsId=72383

LA GUERRA TRA FEMMINE


“Di Maria Montessori non conoscevo bene la storia privata.

Che avesse avuto un figlio, sì, forse avevo sentito: una specie di ricordo, come di un inciso nel discorso, un rapido pudico accenno che qualcuno molti anni fa – quando ancora non mi dovette sembrare rilevante – deve aver fatto parlando della luminosa vita della signora della bella educazione e delle mille lire.

Perciò mi perdoneranno gli esperti di storia delle donne se ci torno e un momento qui mi fermo…”

E’ Concita De Gregorio che riflette in “D” del 26.5.2007

“…La “madre” di milioni di bambini non ha potuto essere madre del suo.

L’uomo con cui lo ha concepito l’ha respinta, non le ha trovato un posto nella sua vita (“tu eri troppo per me”, le dirà molti anni dopo, come sempre troppo tardi): non ha voluto lei né suo figlio, non l’ha voluta madre.

Che da quel momento in poi Maria abbia voluto dedicarsi ai bambini degli altri, a tutti i bambini del mondo è un esito possibile, nel suo caso luminoso e pubblico, del dolore privato.

E tuttavia non sufficiente a guarirla dal pensiero perpetuo, profondo e inestinguibile, della perdita dei due affetti più importanti.

Una vita affollatissima eppure segnata dalla solitudine specifica: sola rispetto a quelle persone e non altre, un vuoto che nient’altro riempie.

Questo almeno mi è parso vedendo il film tv in due puntate mandato in onda da Canale 5 in cui Paola Cortellesi – bravissima – dà corpo e anima a una donna che potrebbe essere una di noi, una ragazza di oggi impermeabile allo sguardo ostile degli uomini attorno, diritta e sicura lungo un cammino ancora da aprire e vulnerabile solo quando si tratta di sé.

Nel sospetto che la riduzione tv fosse troppo “libera” ho cercato Maria Montessori, una storia attuale, biografia scritta da Grazia Honegger Fresco.

“Maria Montessori, nata a Chiaravalle nel 1870, nubile. Dottore in medicina e chirurgia e prof. di Scienze naturali”. Comincia così. Vale la pena di leggerlo, davvero.

Per la parte di eredità che la vita di questa donna ha lasciato a tutti ma principalmente per ritrovare nelle pieghe della sua storia personale quei passaggi, quei dolori e quelle rinunce che due secoli dopo ci riguardano come fossero i nostri.

Dunque così poca strada abbiamo fatto? O forse non è un problema di emancipazione ma di “natura femminile”?

È nel destino delle donne nascondere, sacrificare, tagliare via pezzi di sé come moneta di scambio per avere indietro il diritto a un posto?

Marina Terragni, giornalista di Io donna del Corriere della Sera ha scritto La scomparsa delle donne, un bellissimo pamphlet sul “maschile, femminile e altre cose del genere”.

La differenza femminile, dice, rischia di estinguersi.

Un rischio, appunto, non una inevitabile sorte. Parla di mistiche e di ragazze “veri ometti”, di badanti e di filosofe, di madri, di casalinghe, di sante e di modelle.

Da leggere, e poi pensare alle pagine sulla necessità/incapacità di “stare ferme”. A quelle, lo dico in sintesi, sullo straordinario tasso di ostilità reciproca che le donne riescono a generare.

Invidia, rivalità: le categorie non bastano a spiegare.

Lo vedo nella politica, che frequento: donne dello stesso partito animate dal quotidiano desiderio di prevalere una sull’altra. Colleghe, compagne di banco segretamente (non tanto, poi) nemiche. Lo vedo nei giornali. A scuola.

Mio figlio di undici anni mi racconta di come a scuola «le femmine si sono divise in tre gruppi, hanno tre diari segreti e ogni gruppo ha il capo che tiene le chiavi del diario. Si fanno la guerra tutto il tempo». Le insegnanti hanno convocato i genitori: non è solo un gioco, è una dinamica di rapporti che avvelena la convivenza.

Le femmine si fanno la guerra.

Sono anni che lo vedo accadere, a tutte le età, e ancora non so perché invece di ascoltarsi, di incuriosirsi una dell’altra, di trovare risonanze e legami le donne scelgano così spesso di combattersi ciascuna dalla sua privata trincea, da quella di clan.

Lontanissima dal pensiero di una solidarietà di genere, che esiste mi pare solo nelle stanze della reale sofferenza, trovo che questa eterna battaglia fra indiani e cowboy, fra indiane e soldatesse armate sia uno spreco di forze esasperante, a volte ridicolo, sempre deprimente.”

Anche se confessa di non capire il perché, l’autrice fa bene a parlare di questa realtà, che è sotto gli occhi i tutti.

Noi pensiamo che abbia una radice culturale, dovuta alla millenaria storia di sottomissione delle donne nei confronti degli uomini.

Come tutte le sottomissioni, ha generato nelle vittime il complesso dell’autodifesa tramite la competizione con ogni mezzo verso le altre per apparire agli occhi del padrone.

E’ un po’ la stessa storia dei famosi polli di Renzo, moltiplicata per miliardi di volte, non ancora vinta, come dimostra in un paese laico la sconfitta di Ségolène Royal nelle elezioni presidenziali francesi, decretata appunto dal voto femminile riversato sul maschio autoritario e razzista.

E’ anche la causa della scarsa adesione delle donne all’etica della nonviolenza, attratte come sono dal mito del maschio forte e dominante, che le sottomette con la violenza, le fa sue, le protegge, ne riempe la vita, di cui si riappropiano soltanto in vecchiaia, quando il corpo dell’uomo si rivela più fragile del loro e possono sottometterlo curandolo con affetto.

fonte: http://www.cosinrete.it/2007_07/cosinrete3271_02.htm

da leggere..

ESSERE DONNA



“Cosa significa oggi, nel ventunesimo secolo, essere donna?” Domanda banale, forse. Eppure è sempre difficile dare una risposta univoca, senza generare un dibattito lungo e controverso…

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INTRODUZIONE

LA STREGA

UNO SLALOM TRA I SECOLI

UN TABÙ PIÙ VECCHIO DEL MONDO

CONCLUSIONI

A cura di: Emanuela Perri

fonte: http://www.italiadonna.it/societa/soc10.htm


Cocaina al veleno: trovate tracce nel sangue di un bimbo di 1 anno

Tra i 17 ricoverati per la droga tagliata con atropina anche il figlio di una giovane coppia
Fermato un terzo marocchino accusato di aver immesso sul mercato lo stupefacente

Bergamo, in ospedale un bimbo di un anno
Nel sangue tracce di cocaina al veleno

Carabinieri mostrano stupefacenti sequestrati durante un’operazione antidroga


BERGAMO – C’è anche un bambino di un anno tra le persone finite in ospedale a causa della cocaina tagliata con l’atropina. E’ il figlio di una giovane coppia che ieri si è presentata al pronto soccorso dell’ospedale di Seriate in preda ad allucinazioni. Un test sul sangue del bambino ha evidenziato tracce di cocaina nell’organismo. I carabinieri, su disposizione della procura per i minorenni di Brescia, hanno sospeso la potestà genitoriale alla coppia.

Diciassette in ospedale. Salgono così a 17 le persone che hanno dovuto chiedere aiuto ai medici a causa delle allucinazioni e dei problemi cardiaci provocati dalla sostanza che i trafficanti hanno scelto per “potenziare” la partita di cocaina venduta qualche giorno fa a Bergamo.

Fermati tre marocchini. Ieri sera i carabinieri hanno fermato due marocchini di 28 anni, uno a Costa di Mezzate (Valcavallina) e l’altro a Cologno al Serio (Bassa Bergamasca), con l’accusa di spaccio e di tentato omicidio. Sarebbero stati loro a mettere sul mercato la cocaina tagliata con atropina. Un terzo complice è stato fermato stamane: è un clandestino di origini marocchine di 25 anni.

“Chiamate subito il 118”. L’Asl invita chi avesse assunto cocaina a rivolgersi al pronto soccorso: “Chiamate subito il 118”. Il mix cocaina-atropina è pericolosissimo. Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, spiega: “Mescolare cocaina con atropina vuol dire potenziarla notevolmente. I responsabili non hanno idea di quali sostanze potenti abbiano in mano”.

Morte sospetta nel Bresciano. E potrebbe essere stata la droga tagliata con atropina a causare la morte dei una ventenne di origini marocchine residente nella zona del basso lago di Garda, nel Bresciano, e impiegata come commessa in uno dei negozi della zona. La giovane la scorsa notte è stata accompagnata da due amici al pronto soccorso dell’ospedale di Desenzano in stato confusionale e praticamente priva di sensi. I medici hanno immediatamente diagnosticato l’arresto cardiocircolatorio che potrebbe essere stato causato dall’uso della cocaina al veleno.

(28 luglio 2007)

fonte: http://www.repubblica.it/2007/07/sezioni/cronaca/cocaina-tagliata/bimbo-ricoverato/bimbo-ricoverato.html

Da Viterbo a Perugia per drogarsi con i figli in auto
Lui si sente male, lei va a sbattere e lascia i bimbi

PERUGIA (28 luglio) – Sono partiti da Viterbo per arrivare a drogarsi a Perugia e con loro, in auto hanno portato i figli, uno di sei anni e l’altro di 15 mesi. Nel loro delirio forse sarebbe stato un viaggio come un altro, ma questa volta il marito si è sentito male e la moglie, che guidava l’utilitaria, lo ha scaricato sull’asfalto di una via periferica del capoluogo umbro, per poi ripartire, ma la vettura si è schiantata contro un muro. I due bambini sono stati affidati ad una comunità per minori.

È successo la notte scorsa a Madonna Alta, poco prima di mezzanotte. Sono stati dei cittadini della zona a segnalare al 113 che da una vettura era stato buttato a terra un uomo: dall’auto era scesa una donna che, per fare manovra con l’auto, aveva spostato le gambe dell’uomo. La vettura era ripartita a forte velocità, ma aveva finito la sua corsa poco lontano, addosso a un muro. La donna si era quindi allontanata a piedi, barcollando.

Ad accorgersi che in auto c’erano i due figli della coppia erano stati gli agenti della volante ed il personale del 118 intervenuti sul posto. Marito e moglie sono stati prima curati per l’overdose di eroina, poi portati in questura: la donna è stata denunciata per omissione di soccorso e guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Ad entrambi è stato consegnato un foglio di via obbligatorio per tre anni. Messo al corrente della vicenda, il procuratore capo del tribunale di minori di Perugia, Alberto Bellocchi, ha emesso un provvedimento d’urgenza per affidare i due bambini ad una struttura di accoglienza.

fonte: http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=6006&sez=HOME_INITALIA

Bacio gay, la Bindi contro la denuncia


Interrogazione dei radicali

Non si placano le polemiche per la denuncia alla coppia omossessuale denunciata per le “tenerezze” al Colosseo. Giovedì prossimo summit di Arcigay: sarà “bacio pubblico”.

“La denuncia dei due ragazzi che si sono baciati nei pressi del Colosseo è sicuramente da condannare perché si tratta di diritti inviolabili delle persone”. Lo ha detto il ministro per la Famiglia, Rosy Bindi, candidata alla guida del Pd. “Mi auguro – ha spiegato Rosy Bindi a margine di un incontro alla festa de L’Unità di Firenze – che nel nostro paese cresca uno spirito non solo di tolleranza, ma di autentica libertà nei confronti delle persone e di profondo rispetto nei confronti di ogni persona”.

AN. “Una coppia gay che stava consumando un atto sessuale, altro che bacio in bocca, davanti al Colosseo è stata naturalmente denunciata dai carabinieri per atti osceni in luogo pubblico, ai sensi dell’articolo 527 del codice penale. La stessa, identica cosa, ovviamente, sarebbe avvenuta se la coppia in questione fosse stata eterosessuale, perché la legge vale per tutti”. Lo sottolinea in una nota Riccardo Pedrizzi, responsabile nazionale di An per le politiche della famiglia, presidente nazionale della Consulta etico-religiosa e membro dell’esecutivo politico nazionale del partito.

INTERROGAZIONE DEI RADICALI. Una interrogazione urgente dei deputati radicali Sergio D’Elia, Donatella Poretti, Maurizio Turco, Bruno Mellano e Marco Beltrandi sulla vicenda del fermo di due gay davanti al Colosseo a Roma è stata inviata ai Ministri della Difesa, degli Interni, della Giustizia, della Famiglia e delle Pari Opportunità. “I parlamentari radicali – si legge in una nota – chiedono di sapere quali violazioni di legge hanno commesso i due ragazzi che si baciavano davanti al Colosseo; quante coppie eterosessuali che si baciano vengono fermate, arrestate, interrogate e poi denunciate al giudice perché si baciano davanti a un monumento”.

PDCI. “È gravissimo quanto è successo questa mattina al Colosseo. È ormai evidente che nel nostro Paese si è innescato un pericoloso clima da caccia alle streghe, per cui anche un gesto affettuoso come un bacio tra due gay viene trattato alla stregua di un atto criminale”. Lo hanno detto le deputate del Pdci Rosalba Cesini e Katia Belillo.

LA SFIDA DI ARCIGAY. Un bacio in pubblico giovedi prossimo di tutte le coppie lesbiche e gay. L’iniziativa è dell’Arcigay di Roma. “Dopo l’episodio di oggi – afferma Fabrizio Marrazzo, presidente di Arcigay Roma e responsabile di Gay Help Line – abbiamo deciso di inaugurare la pedonalizzazione temporanea della Gay Street del Colosseo, che si terrà giovedì alle 23, in via san Giovanni in Laterano con un bacio di tutte le coppie lesbiche e gay presenti, per ricordare che baciarsi non è un reato”.

28/07/2007 10:09

fonte: http://www.unionesarda.it/DettaglioCategorizzato/?contentId=11475