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Tunisia, una campagna per liberare Amina. “Non mi fermerò, sconfiggeremo il sessismo”

RaiNews24 RaiNews24

Pubblicato in data 19/mag/2013

Amina, la “femen tunisina” che ha pubblicato sue foto a seno nudo in segno di protesta, è stata arrestata a Kairouan in Tunisia. L’intervista alla giovane di Cristina Mastrandrea.

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Tunisia, una campagna per liberare Amina.
“Non mi fermerò, sconfiggeremo il sessismo”

E’ ancora in carcere la giovane attivista femminista protagonista di una clamorosa fuga dalla famiglia che l’aveva punita per le foto a seno nudo. Fermata per “prevenire atti immorali”, ora rischia da 6 mesi a 5 anni di detenzione. Per lei si mobilitano associazioni e in sua difesa scende una famosa avvocatessa militante. Lei, in una nuova intervista per RaiNews24, rilancia il suo appello a rompere i tabù imposti alle donne nel mondo arabo

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di CRISTINA MASTRANDREA

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Amina Tyler è di nuovo reclusa, questa volta in una prigione tunisina. Dopo la pubblicazione delle sue foto a seno nudo, che le erano costate la fatwa dell’Imam Adel Almi, era stata imprigionata dalla famiglia per circa un mese. Il giorno della sua fuga eravamo riusciti ad intervistarla e a farci raccontare il dramma di quel giorno, quando è stata portata vai da un caffè del centro, e rinchiusa in casa dai suo stessi famigliari e sedata con psicofarmaci. Il giorno stesso sono partita nuovamente per Tunisi dove l’ho incontrata e ho realizzato l’intervista che andrà in onda integralmente questa sera alle 20.30 su RAI News 24. Un’intervista in cui racconta la sua esperienza e lancia un appello alle donne, soprattutto alle giovani arabe: “Io non mi fermerò ma voi dovete continuare ad andare avanti. Dobbiamo iniziare questa guerra contro il sessismo, e noi la vinceremo, perché le donne sono forti”.

“La Tunisia è un paese civile dove le donne sono libere” questa è la frase che Amina Tylerm, la Femen tunisina, voleva scrivere su una bandiera il 19 maggio scorso, giorno in cui è stata arrestata a Kairouan. Amina era andata a Kairouan per sfidare i salafiti e portare il suo messaggio al Congresso del movimento salafita estremista, legato Al Qaeda, che doveva aver luogo quel giorno a Kairouan ma che poi il governo tunisino non ha autorizzato.

Amina si trovava davanti alla grande moschea della città, dove su un muretto ha scritto il suo “tag”: “Femen”. Immediatamente un gruppo di abitanti di Kairouan ha iniziato ad inveire contro di lei, urlando: “vattene” vattene tu  no sei musulmana”. La polizia è intervenuta scortandola fino alla camionetta che l’ha portata via. Fino a sera Amina era solo in stato di fermo preventivo, fino a quel momento non era stata accusata di nulla, poi le cose sono precipitate e il Procuratore della Repubblica ha emesso un mandato di arresto a suo carico. “Una decisione politica per alleviare la tensione e contenere la collera degli abitanti di Kairouan” suppongono gli avvocati di Amina.

L’avvocato, Souheib Bahri, sentito ieri al telefono conferma che l’unica accusa a suo carico, al momento, è la detenzione di uno spray antiaggressione paralizzante che la ragazza portava sempre con sé per difendersi dai salafiti e da eventuali altri aggressori. Lo spray, per la legge tunisina rientra nella detenzione di ordigni esplosivi illegali. “Probabilmente un’altra accusa seguirà il giorno dell’udienza”, dice l’avvocato di Amina, “per ora rischia  dai da 6 mesi a 5 anni di carcere”. Souheib Bahri domani presenterà domanda di scarcerazione fino all’udienza fissata per il 30 maggio a Kairouan.

La ragazza al momento si trova nella sezione del carcere di Sousse in un reparto dedicato alle donne, “le sue condizioni di detenzione sono normali”, dice l’avvocato, ma “lei è depressa” e si augura che venga accolta la richiesta di scarcerazione e di essere liberata già domani.

Il Ministro dell’Interno, lo stesso giorno dell’arresto, in un comunicato affermava che “Amina è stata arrestata perché sul punto di fare un gesto immorale”. Affermazione che fa intervenire immediatamente gli avvocati che sottolineano che non si possono punire le persone per delle intenzioni.

Al fianco di Amina si è schierata l’Associazione delle donne democratiche tunisine ( ATFD) ed è pronta a difenderla  in caso violazione dei diritti umani. La famiglia – con cui nel frattempo la giovane ha riallacciato i rapporti – si pone anch’essa in difesa della figlia e ha nominato una nota avvocatessa tunisina, Radhia Nasraoui, militante, femminista e famosa per aver lottato per la difesa dei diritti umani e contro la tortura. Forse qualcosa si sta muovendo anche a livello di società civile e forse l’arresto di Amina farà nuovamente discutere i tunisini anche sui metodi di carcerazione preventiva che fanno ricordare spettri ancora troppo vicini per essere facilmente dimenticati. (26 maggio 2013)

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fonte repubblica.it

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Giornata mondiale contro l’omofobia. Napolitano: “Intollerabili aggressioni a gay”

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Giornata mondiale contro l’omofobia
Napolitano: “Intollerabili aggressioni a gay”

Messaggio del capo dello Stato in occasione della giornata indetta dall’Onu in difesa dei diritti degli omosessuali: “Impegno fermo nella denuncia delle discriminazioni”. La Boldrini: “Riconoscere unioni anche in Italia”. Il ministro Idem: “Serve una legge specifica contro i reati di omofobia”. Grasso: “Lo Stato si attivi non solo per il riconoscimento, ma anche per la concreta protezione dei diritti dei gay”. La Ue: “Un omosessuale su 4 vittima di aggressioni”

Giornata mondiale contro l'omofobia Napolitano: "Intollerabili aggressioni a gay" (imagoec)

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APPROFONDIMENTI

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ROMA“Esprimo la mia vicinanza a quanti sono stati vittime di intollerabili aggressioni e a quanti subiscono episodi di discriminazione che hanno per oggetto il loro orientamento sessuale”. Lo afferma il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in un messaggio in occasione della giornata contro l’omofobia. “La denuncia e il contrasto all’omofobia – ha detto il capo dello Stato – devono costituire un impegno fermo e costante non solo per le istituzioni ma per la società tutta”.
E intervenendo alla cerimonia il presidente della Camera, Laura Boldirini chiede che siano riconosciute giuridicamente agli  omosessuali “le loro unioni anche in Italia”.

VIDEO La campagna: “Siamo tutti vittime”Parole scritte sul corpoIl Docufilm

Nel suo discorso il presidente Napolitano rivolge “un pensiero particolare a quei giovani che per questo hanno subito odiosi atti di bullismo che, oltre ad aggravare le manifestazioni di discriminazione, alimentano pregiudizi e dannosi stereotipi. La cultura del rispetto dei diritti e della dignità della persona ha già trovato significative espressioni sul piano legislativo e deve trovare piena affermazione in primo luogo nella famiglia, nella scuola, nelle varie realtà sociali e in ogni forma di comunicazione. In momenti di difficoltà economica – come quelli che stiamo attraversando – più che mai è necessario vigilare affinchè il disagio sociale non concorra ad acuire fenomeni di esclusione gravemente lesivi dei valori costituzionali di uguaglianza e solidarietà  su cui si deve fondare una convivenza civile”.

INCHIESTA Gay, diritti e persecuzioni nel mondo

La ricerca della Ue. Secondo un rapporto dell’Unione europea diffuso nella Giornata Internazionale contro l’Omofobia, in Europa un omosessuale su quattro ha subito violenze o minacce negli ultimi cinque anni. Inoltre i due terzi della comunità di gay, lesbiche, bisessuali e trasgender (la cosiddetta comunità Lgbt) teme ancora di mostrare la propria sessualità in pubblico e la maggior parte di loro si sente discriminata. “Paura, isolamento e discriminazione sono fenomeni quotidiani per la comunità Lgbt in Europa”, ha denunciato nella relazione Morte Kjaerum, direttore dell’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali (FRA). Il sondaggio, descritto come il più corposo mai realizzato sul tema, ha ‘ascoltato’ 93mila persone nei 27 stati membri dell’Ue, con l’aggiunta della Croazia, prossimo a unirsi al ‘blocco’ nel mese di luglio. Oltre un quarto degli intervistati (il 26%) ha riferito di aver subito qualche aggressione, fisica o verbale, negli ultimi 5 anni.

Per il ministro per le Pari Opportunità, Josefa Idem “la solidarietà alle vittime e la condanna di questi atti vergognosi e inaccettabili non bastano”, è necessario “agire con determinazione affrontando il problema su vari piani”. Idem si è impegnata a sostenere l’adozione di una legge specifica contro i reati di omofobia e transfobia: “mi auguro possa essere approvata presto dal Parlamento con il più ampio sostegno possibile” ha detto.

Sui diritti dei gay è intervenuto anche il presidenti del Senato. “La tutela dei diritti delle persone omosessuali, bisessuali e transessuali rappresenta l’ultima frontiera del lungo percorso storico che ha accompagnato l’affermazione e la protezione dei diritti umani – ha detto il presidente del Senato Pietro Grasso – .Lo Stato si attivi non solo per il riconoscimento, ma anche per la concreta protezione dei diritti degli omosessuali”. “Gli omofobi sono cittadini meno uguali degli altri”. Secondo Grasso “sono chiusi nel loro guscio, si frequentano tra loro, non allargano i loro orizzonti né il loro cerchio di amicizie. Temono i viaggi all’estero, le feste, gli studentati all’università e gli spogliatoi delle palestre”. Con un messaggio su twitter, interviene anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno: “‘L’omofobia è una stupida discriminazione. Roma ci insegna quotidianamente il rispetto verso il prossimo. Odio la parola omofobia. Non è una fobia. Non sei spaventato. Sei un cretino”.

Proposta di legge. Alla Camera c’è una proposta di legge, a firma del Pd Ivan Scalfarotto, che ha già raccolto 221 firme tra esponenti del suo partito, di Sinistra economia e libertà, Movimento 5 stelle e Scelta Civica. In pratica, un terzo del parlamento sarebbe pronto a votare la legge. Si tratta di capire se questo fronte trasversale può ulteriormente allargarsi in commissione e in aula. Il testo Scalfarotto è finalizzato a combattere l’omofobia e la transfobia in tutte le sue forme grazie all’estensione della legge Mancino che già punisce il razzismo basato su etnia, nazionalità e religione. Un analogo disegno di legge sull’omofobia è stato presentato al Senato dal senatore Pd Sergio Lo Giudice, e ha già raccolto le firme un’ottantina di senatori tra Pd, Sel, M5s e Scelta Civicai. Ce n’è poi uno dei senatori del M5S, a prima firma Michela Montevecchi e sottoscritta da suoi 14 colleghi.  (17 maggio 2013)

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fonte repubblica.it

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Pistoia, scritte contro il ministro “Sparare a Kyenge, non ai Cc”

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Pistoia, scritte contro il ministro
“Sparare a Kyenge, non ai Cc”

Apparse stamattina in due zone della città toscana. Il Comune ha ordinato la ripulitura immediata. Una era firmata Forza Nuova ma i militanti negano un coinvolgimento. Ieri il ministro a Firenze: “Questi insulti non mi fermeranno”

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di GERARDO ADINOLFI

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“Sparare al ministro Kyenge e non ai Cc” e “Ministro Kyenge fuori dai c… FN”. Due scritte contro il ministro dell’integrazione Cecile Kyenge sono apparse a Pistoia nel primo mattino. Una è firmata Forza Nuova ma i militanti dell’associazione di estrema destra, rintracciati dalla Digos, hanno smentito un loro coinvolgimento.
Le scritte sono state subito cancellate su disposizione del Comune di Pistoia che ha avvisato le autorità competenti.

Foto: Le scritte

Sono apparse stamattina nella zona del centro commerciale Panorama in via Sestini e nell’area vicina alla Cattedrale Ex Breda in via Pertini. Ieri Forza Nuova aveva affisso uno striscione davanti alla sede Pd di Macerata con la scritta: “Kyenge torna in Congo”. Il ministro, a Firenze per una conferenza sullo stato dell’Unione Europea, aveva replicato: “Questi non mi fermeranno”.

Il ministro a Firenze: “Gli insulti non mi fermeranno”

Dura la condanna del sindaco Samuele Bertinelli:  “Sono scritte volgari e spregevoli dettate dalla paura e dall’odio – afferma il primo cittadino – che offendono, insieme al ministro Kyenge, tutta la città di Pistoia che quotidianamente coltiva, nelle sue scuole, nelle numerose associazioni di volontariato, nei suoi circoli e nelle sue parrocchie, il progetto di una comunità ispirata ai principi di solidarietà, eguaglianza, libertà e giustizia. Il ministro Kyenge ha fatto sua una battaglia civile e culturale che viene da lontano: il riconoscimento della cittadinanza ai figli di migranti nati sul territorio italiano. Ad una cultura violenta e prigioniera del passato, che identifica la comunità di appartenenza sulla base del sangue, se ne contrappone un’altra, democratica e rivolta al futuro, che riconosce parte della nazione chiunque contribuisca, solidalmente, alla sua crescita e scelga di condividerne il destino”. (10 maggio 2013)

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fonte firenze.repubblica.it

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La festa delle famiglie arcobaleno, la sinistra ora riparta da qui

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La festa delle famiglie arcobaleno, la sinistra ora riparta da qui

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di Monica Ricci Sargentini

Amnesty International, il Coordinamento Genitori Democratici, Famiglie Arcobaleno e Legambiente, associazioni attive da anni sui temi della famiglia, dell’educazione e dell’ambiente si ritroveranno oggi domenica 5 maggio, per festeggiare la V Festa delle famiglie e la II Giornata Internazionale per l’uguaglianza tra le famiglie.  La Festa delle famiglie si propone di essere un’ occasione di aggregazione tra le realtà più diverse, unite nel condividere una visione aperta, rispettosa e progressiva della famiglia, dell’educazione, dell’ambiente, della società. L’iniziativa coinvolge nove città in Italia (Ferrara, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Roma, Torino e Venezia) e complessivamente 16 paesi di tre continenti. Qui potrete trovare il programma delle iniziative previste in Italia. Per l’occasione abbiamo deciso di ospitare una riflessione sulla famiglia e la sinistra di Tommaso Giartosio, esponente delle Famiglie Arcobaleno e padre di due figli con il suo compagno Franco

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di Tommaso Giartosio

Famiglia e sinistra non vanno d’accordo? Storicamente è stato senz’altro così. Progressismo ha significato per secoli lotta contro lo status quo, cioè contro le tre classiche istituzioni: Dio, Patria, e Famiglia. Le battaglie di libertà hanno preso a bersaglio il potere del patriarca che domina moglie e figli dal suo posto accanto al focolare. Le battaglie politiche hanno puntato sul familismo amorale e sulla tirannide di un’élite endogamica, quasi un’unica stirpe tentacolare.

Certo, i diversi rami del socialismo e del femminismo storico contrapponevano a queste immagini odiose una versione idealizzata e paternalista, per esempio la buona famiglia proletaria del vecchio PCI. Esisteva una mitologia parallela. Ma le cose sono definitivamente cambiate con gli anni Sessanta-Settanta. Sono arrivate le leggi sull’aborto, sul divorzio, sul nuovo diritto di famiglia. È arrivata una nuova cultura libertaria che criticava l’istituto famigliare: una cultura diffusa in cui contava la tardiva assimilazione di Freud e dell’antropologia, più ancora che la critica radicale avanzata da Laing e Bourdieu.

Da allora, il lessico politico della sinistra non ha più trovato spazio per la famiglia. Non è che l’abbia veramente demolita. Per affetto o per impotenza, si è limitato a considerarla con sufficienza. Una vecchia icona nazionalpopolare che si può tranquillamente conservare al suo posto senza prenderla troppo sul serio. Così la sinistra si è impegnata sul tema soprattutto quando l’ha usata come testa di turco contro la destra. Una destra che, bisogna dirlo, non defletteva dai tracciati dell’immaginario tradizionalista più vieto: battendosi ad esempio contro il “divorzio breve”, quell’istituto che in tutto il resto d’Europa già esiste da decenni e si chiama semplicemente “divorzio”.

In che modo la sinistra è riuscita a ignorare così la famiglia? Relegandola al privato (mentre i conservatori ne facevano un simbolo da proiettare nell’arena pubblica con il Family Day). Forse la spinta è stata proprio l’eccessiva politicizzazione del privato avvenuta nei paraggi del ’68. Ma di fatto la famiglia è divenuta ciò di cui si parla meglio tacendo. Alcuni dei più bei film italiani degli ultimi decenni, da La famiglia di Scola a La stanza del figlio di Moretti, sono capolavori dell’emozione trattenuta, della ragione inerme, del silenzio. Tanto che la sovrapposizione di famiglia e privato è divenuta parte di un senso comune.

Eppure non è sempre stato così. Del mito fondativo della Repubblica fanno parte storie straordinarie di famiglie che sono luoghi di elaborazione politica e civile: i Gobetti, i Croce-Craveri, i Ginzburg di Lessico famigliare. Famiglie che non si rannicchiano attorno ai loro affetti – che pure esistono e sono forti – ma fanno del loro legame un’alleanza per ripensare la realtà.

Sembrano esempi molto lontani, certo. Ma forse qualcosa sta cambiando. Pensate per esempio al genere del memoriale famigliare: mai come in questi anni esso è servito a trasmettere valori di impegno civile. Dobbiamo ringraziare i figli delle vittime del terrorismo o della criminalità organizzata: Mario Calabresi, Benedetta Tobagi, Eugenio Occorsio, Maddalena Rostagno, Umberto Ambrosoli, Giovanni Impastato, Giovanni Tizian.

Un altro segnale in controtendenza è la Festa delle Famiglie. Si tratta di un piccolo happening organizzato da diversi anni da Famiglie Arcobaleno, l’associazione dei genitori omosessuali. Essendo uno degli organizzatori posso ammettere francamente che all’inizio non era niente di che, una faccenda di picnic nel parco e sculture di palloncini. Ma ultimamente l’evento sta crescendo in modo inatteso. Nel 2012 si è svolto in sette città italiane, in partnership con Legambiente. Quest’anno, per la V edizione, le città diventano nove (nel contesto di una Giornata Internazionale per l’Uguaglianza tra le Famiglie che prevede eventi in sedici paesi). Ma soprattutto, al rapporto con Legambiente si aggiungono ora quelli con Amnesty International e con il Coordinamento Genitori Democratici, la principale voce dell’associazionismo familiare progressista (tra i fondatori c’è Gianni Rodari). Altri interlocutori si avvicinano in modo per ora estemporaneo, partecipando a singoli eventi: Nati per Leggere, che promuove la lettura ad alta voce ai bambini; e gli scout laici del CNGEI a Milano, i Giovani Genitori a Torino, il Centro per le Famiglie a Ferrara, Famiglie per Mano a Palermo, DueCon a Napoli…

Alcuni di questi nomi diranno poco o niente. La galassia degli organismi che si occupano della promozione culturale, sociale, sanitaria, giuridica delle famiglie reali (e non della difesa d’ufficio della Famiglia Naturale) è frammentata, sfuggente. Un sintomo della vecchia difficoltà di cogliere, in ambito progressista, i confini di un discorso realmente condiviso sulla famiglia. È davvero sorprendente che questa realtà friabile si sia ricompattata attorno alle istanze della comunità gay. Una minoranza che nel nostro Paese ha sempre avuto difficoltà a trovare alleati (e infatti non ha ottenuto quasi nulla sul piano legislativo), e che probabilmente non si aspettava certo di reperirne nel mondo dell’associazionismo famigliare.

Certo, il tema è urgente ed è comprensibile che stimoli all’azione. I bambini con genitori omosessuali sono oggettivamente privi di tutele legali e di sostegno culturale. Occorre far sì che, anche in caso di separazione della coppia gay, entrambi i genitori siano tenuti a garantire la continuità affettiva e economica; occorre che la scuola e la società riconoscano piena dignità alle loro famiglie d’origine o ricostituite. Ma è interessante anche ciò che sta accadendo attorno a questo a problema oggettivo. L’universo progressista era sempre stato diffidente verso la famiglia in quanto costruzione ascritta, necessitata, incatenata ai vincoli di sangue. Le famiglie arcobaleno ora ci ricordano (ma era una strada già aperta dall’adozione e dalle seconde nozze) che questi nuclei possono essere straordinari motori di cambiamento perché sono frutto delle nostre scelte, della nostra capacità creativa, della nostra libera assunzione di responsabilità.

Forse da qui può partire a sinistra una nuova politica delle famiglie. Al plurale.

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fonte lepersoneeladignita.corriere.it

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TUNISIA – Amina: “Sequestrata e drogata dalla mia famiglia”

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‘Pronta a nuove proteste in topless’

Amina: “Sequestrata e drogata dalla mia famiglia”

‘E’ in cura psichiatrica da sei anni, da venerdì è scappata di casa’, dice la madre. La giovane tunisina ha raccontato via Skype al sito Femen.org di essere stata picchiata, segregata e drogata dai suoi familiari dopo la sua protesta su Fb per i diritti delle donne e di essere ora in un luogo sicuro. La madre: è pazza

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Tunisi, 15-04-2013

Sembra ormai un calvario la vita di Amina, la ragazza tunisina che, pubblicando su Facebook alcune sue fotografie in topless cosi’ come fanno le attiviste di Femen, ha scioccato il suo Paese e fatto infuriare i fondamentalisti. Ora, dopo essere stata sequestrata e vessata dai suoi familiari, e’ riuscita a fuggire e non si tira indietro: “Continuero’ la mia battaglia con una nuova protesta in topless”, annuncia. Amina, dopo la fuga venerdi’ scorso dall’abitazione dei genitori, si trova ora in un luogo segreto, da dove via Skype ha raccontato al sito di Femen quanto le e’ accaduto e soprattutto i timori per quel che le potrebbe accadere.

Dopo la pubblicazione delle foto in topless (con la scritta sul seno che rivendica alla donna la “proprieta”‘ del proprio corpo), Amina ha subito un vero e proprio linciaggio mediatico, sostenuto non solo dai siti dell’integralismo islamico – per lei un imam ha ipotizzato la lapidazione, dopo la fustigazione -, ma anche da molti tunisini che da quelle immagini si sono sentiti offesi. Ma gli insulti sono stati solo il primo gradino della vicenda: “Mentre ero in un bar insieme ad alcuni amici – ha raccontato – sono arrivati in macchina mio zio e mio cugino che mi hanno rapita”.

Prima il rapimento, poi il tentativo, andato a vuoto, di farla “curare” da un terapista, quindi l’incessante visita di persone (ne ha contate trecento) che l’hanno bombardata con un solo messaggio: leggi il Corano. Poi ancora il trasferimento in un villaggio dove ogni giorno era obbligatoria una visita all’imam che le leggeva pagine intere delle parole del Profeta, invitandola a fare un passo indietro. Pressioni psicologiche, ma anche somministrazione di farmaci che la inebetivano per tutto il giorno.

“Qualche volta – ha raccontato – sono anche riuscita a scappare, ma nessun automobilista mi ha voluto prendere a bordo perche’ non mi conoscevano. E quindi sono stata ripresa, riportata a casa e li’ e’ ricominciato il solito rituale”. Nei giorni scorsi Amina e’ stata riportata nella casa dei genitori a Tunisi, dove e’ rimasta sino a venerdi’, quando e’ finalmente riuscita a scappare, come denunciato stamattina anche dalla madre. La donna parla della figlia come di una vittima di strumentalizzazioni e forzature a fini politici, e afferma che la ragazza e’ sotto trattamento psichiatrico da sei anni.

E nelle prossime ore, chiedera’ ufficialmente alla Polizia di avviare le ricerche della figlia. Quella stessa Polizia che Amina dice di temere come e piu’ degli islamici che le danno la caccia. Ora la ragazza e’ lontana dalla capitale, in un luogo segreto, ma non intende assolutamente lasciare la Tunisia, come pure qualcuno aveva ipotizzato. “Restero’ qui – ha detto con convinzione – sino a quando non riusciro’ a fare un’altra protesta in topless”.

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fonte rainews24.it

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ORDINARIA (PURTROPPO) INCIVILTA’ – L’ambulanza che blocca il passaggio e le urla della signora con la Porsche

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L’ambulanza che blocca il passaggio
e le urla della signora con la Porsche

Insensibili anche davanti all’emergenza

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di ANDREA KERBAKER

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Milano, una sera della scorsa settimana. Verso le 9, una sirena. È un’ambulanza: corre per alcune piccole vie del centro e si infila in uno stretto passaggio che non porta da nessuna parte, se non a un portone e a un piccolo parcheggio sotterraneo. Le persone a bordo (tutti volontari, ricordiamolo: uomini e donne che, anziché stare tranquillamente a casa con i propri familiari, o andare al cinema con qualche amico, hanno preferito un impegno sociale, capace molte volte di salvare qualche vita) scendono di corsa, tirano fuori una barella, qualche strumento di soccorso e si infilano nel portone. Sono in codice rosso: quando l’emergenza è massima. Nella fretta, lasciano l’ambulanza in mezzo al passaggio; se avessero più tempo, potrebbero magari accostarsi un po’ di più; ma l’urgenza del momento non glielo consente. Cose che possono capitare, nella concitazione di un’operazione di salvataggio.

Mentre i soccorritori spariscono dentro il portone e salgono le scale di gran carriera, capita che un paio di macchine debbano uscire dal parcheggio e si trovino quindi momentaneamente bloccate. Alle nove di sera, magari dopo una lunga e faticosa giornata di lavoro, il disappunto è evidente: ma, purtroppo per gli automobilisti, in assenza degli ambulanzieri non c’è nulla che si possa fare. Succede a tutti, ogni tanto; e di solito ci si dispone ad aspettare. Se c’è un appuntamento che dovrà ritardare, una rapida telefonata aiuta a sistemare ogni cosa. Nel frattempo, per i più sensibili, ci sta pure un pensiero gentile alla persona infortunata; e magari anche un ringraziamento mentale a quei volontari che si stanno adoperando per la sua salute. Così nella normalità. Non per tutti, evidentemente.

Una delle due macchine bloccate è una Porsche, guidata da una signora di mezza età, che non si sa capacitare di questo inconveniente. Come, proprio lei, con la sua bella macchina, bloccata come se fosse una volgare Cinquecento? Non sia mai. La signora scende, controlla, si agita. Si domanda chi siano quegli incivili che, per soccorrere qualcuno, si sono permessi di rubarle minuti preziosi. Ma non può prendersela con nessuno: tutti gli uomini dell’ambulanza sono all’interno, impegnati nella loro operazione di soccorso. Dura poco, per fortuna. Dopo una manciata di minuti, il gruppo degli ambulanzieri scende dalle scale con il malato in barella. Mentre tre di loro si attardano nell’androne, per permettere il trasporto più sicuro, l’autista li precede di qualche istante.

Non l’avesse mai fatto: non appena uscito dal portone, trova la signora che gli intima di spostare il suo ingombrante mezzo di trasporto. L’uomo è talmente sorpreso che risponde soltanto una mezza frase. E allora la signora non ci vede davvero più: con gli occhi fuori dalle orbite, gli dice che lo denuncerà per occupazione di suolo pubblico. Proprio così, come fosse di fronte a una bancarella che vende oggetti di frodo senza permesso. Il volontario la guarda e, con calma educata, la invita a prendere pure nota della targa. Poi va ad aiutare i colleghi, impegnati nella carico del malato a bordo dell’ambulanza. Il mezzo riparte nella notte, le sirene al massimo. E a noi non resta che raccontare, con molta tristezza e malinconia, questo piccolo episodio di ordinaria inciviltà.

10 marzo 2013 | 15:50

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fonte milano.corriere.it

Elezioni: botte al comizio di Ruotolo. Casa Pound “solo una goliardata”

Ah, ecco, le aggressioni fasciste adesso si chiamano ‘goliardate’…

mauro

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Elezioni botte al comizio di Ruotolo Casa Pound  solo una goliardata

Elezioni: botte al comizio di Ruotolo. Casa Pound “solo una goliardata”

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15:34 11 FEB 2013

(AGI) – Roma, 11 feb. – Insulti e sedie sono volati stamattina durante un comizio del candidato di Rivoluzione Civile alla Regione Lazio, Sandro Ruotolo. E’ successo a Civita Castellana dove il candidato governatore ha dovuto interrompere un’incontro in corso con i cittadini per l’irruzione di alcuni giovani dal volto semi coperto venuti in contatto con i presenti, che hanno poi chiamato i carabinieri.

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In una nota Casa Pound parla di “goliardica contestazione all’antidemocratico Sandro Ruotolo” decisa dopo che il candidato governatotre di RC aveva deciso di non stringere la mano all’esponente di CPI, Simone Di Stefano”.
Questi i fatti secondo quanto riferito: nella sala Pablo Neruda di Civita Castellana sta parlando un esponente della formazione politica di Antonio Ingroia, poi tocca a Ruotolo, che ha gia’ visitato l’ospedale cittadino e un’azienda di ceramiche del posto, intervenire.
Ma un gruppo di giovani “di Casa Pound” interrompe la manifestazione, “hanno i volti semicoperti, ma spiega poi lo stesso Ruotolo interpellato dall’Agi, alcuni “vengono riconosciuti dai rappresentanti locali di Rc”.

C’e’ stato un contatto, sono volate sedie e sono stati chiamati i carabinieri. Agli atti ora c’e’ la documentazione fotografica e in mano agli investigatori anche la testimonianza di chi ha riconosciuto gli aggressori. Ascoltato e’ stato lo stesso Ruotolo che ha verbalizzato la sua deposizione “Non c’e’ dialogo con chi offende e insulta e con chi, addirittura, come e’ successo in un’intercettazione, minaccia di violentare una ragazza solo perche’ ebrea” dice Ruotolo che rivendica il gesto dell’8 febbraio scorso, quando non ha voluto stringere la mano del candidato di casa Pound alla regione Lazio.
Verso chi si comporta cosi’ e’ un segno “di civilita’ non di incivilta’”, sottolinea e ribadisce l’orgoglio di essere “antifascista”

INGROIA: IL GOVERNO GARANTISCA I CANDIDATI

“Come presidente di Rivoluzione civile chiedo al ministero dell’Interno che sia garantita a tutti i candidati delle nostre liste la sicurezza e la liberta’ nel partecipare a una campagna elettorale gia’ fin troppo aggressiva e violenta nei toni” afferma in una nota il candidato premier di Rivoluzione Civile, Antonio Ingroia. “E’ gravissimo quel che e’ accaduto oggi a Sandro Ruotolo. Il nostro candidato alla Regione Lazio e’ stato oggetto di insulti e di intimidazioni verbali da parte di alcuni esponenti di Casa Pound che hanno fatto irruzione in sala rovesciando sedie, insultando i presenti, lanciando fumogeni e aggredendo alcuni presenti”.

“Esprimo solidarieta’ personale a Sandro Ruotolo, giornalista coraggioso che non si e’ mai fatto intimidire da mafiosi e camorristi e che, da vero partigiano della Costituzione, non ha mai piegato la schiena ad ogni forma di fascismo. Estendo l’appello anche agli altri leader politici – prosegue Ingroia – affinche’ sia garantito un clima sereno e civile nel proseguo della campagna elettorale.
Dopo la censura, quindi, anche le intimidazioni e gli atti di violenza. Non solo ci oscurano sui media ma vogliono impedirci di parlare ai cittadini minacciando i nostri candidati e interrompendo, com’e’ accaduto oggi, con atti di violenza le nostre manifestazioni Evidentemente Rivoluzione Civile fa paura”.

DI PIETRO, MAGISTRATURA INDIVIDUI RESPONSABILI

“Esprimo a nome mio e dell’Italia dei Valori totale solidarieta’ e vicinanza al nostro candidato, Sandro Ruotolo, vittima di un’aggressione vile e inaccettabile da parte di un gruppo di fascisti di CasaPound. Si tratta di un episodio gravissimo che condanniamo con fermezza e che respingiamo al mittente con forza. Ci auguriamo che la magistratura e le forze dell’ordine possano individuare quanto prima i responsabili di questo atto di violenza. Non ci lasceremo intimidire: Rivoluzione Civile proseguira’ il suo impegno a testa alta e con la schiena dritta” afferma in una nota il leader dell’Italia dei Valori e candidato di Rivoluzione Civile, Antonio Di Pietro, commentando l’aggressione nei confronti di Sandro Ruotolo ad opera di alcuni esponenti di CasaPound, avvenuta questa mattina a Civita Castellana.

ORLANDO, CONTRO RUOTOLO AGGRESSIONE SQUADRISTA

“Quella contro Sandro Ruotolo e’ un’aggressione squadrista che condanniamo fermamente”. afferma il sindaco di Palermo, firmatario del manifesto fondativo di Rivoluzione civile.
“Siamo vicini al nostro candidato al quale esprimiamo solidarieta’. Non e’ tollerabile un simile atteggiamento violento e ci auguriamo che i responsabili di questo grave gesto siano al piu’ presto consegnati alla giustizia”, aggiunge.

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fonte agi.it

DONNE CORAGGIOSE – Tunisi, la pasionaria del Bardo: “Così difendo la Primavera”

Tunisi, la pasionaria del Bardo: "Così difendo la Primavera"
Soumaya Gharshallah

Tunisi, la pasionaria del Bardo: “Così difendo la Primavera”

Parla Soumaya Gharshallah, direttore del Museo, fiore all’occhiello del Paese nordafricano. Espone opere d’arte delle 4 religioni: per questo è nel mirino degli integralisti

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 STEFANIA DI LELLIS, inviata di Repubblica

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Non si vedono neanche gli occhi, coperti da un paio di occhiali anni Ottanta. Solo un velo nero che ondeggia trasportato da ballerine color cuoio tra un atleta romano nudo e una Torah sottovetro. Baya non è l’unica visitatrice di stretta osservanza islamica nei corridoi del Bardo. Il museo fiore all’occhiello della Tunisia, ma anche cruccio della nuova minoranza rumorosa degli ultrà delle fede che assediano il paese, è punteggiato di donne in niqab accompagnate da uomini con barba d’ordinanza. E poi guide velate e studentesse con l’hijab, il copricapo delle musulmane un po’ meno intransigenti. “Vede, per me avere queste donne qui dentro è un successo”, spiega Soumaya Gharshallah. Trentacinque anni, un bambino di tre, è l’unica curatrice di museo della Tunisia e una delle poche nel mondo arabo. La chiamano quella del ‘museo plurale’. Aggettivo che suona quasi blasfemo in un paese dove cresce sempre di più la voce di quelli che a chi reclama democrazia e dialogo rispondono con il pensiero unico di Dio.

La straordinaria collezione di mosaici romani, paleocristiani, ebraici e islamici ha appena riaperto le porte a Tunisi dopo un grande restauro che ha consentito il raddoppio della superficie espositiva e un restyling che ha consegnato il Bardo alla lista dei musei da vivere e non solo da visitare. Ma vivere un’arte che parla di quattro religioni diverse può essere anche una rivoluzione. Ed è questa la battaglia che sta riuscendo a Soumaya.

Direttore, mentre voi inauguravate il nuovo Bardo i salafiti a pochi chilometri da qui, a La Marsa, assaltavano una mostra di arte ‘degenerata’. Avete avuto paura anche voi? Crede che le opere esposte qui dentro possano rischiare il destino dei Buddha di Bamyan distrutti dai Taliban in Afghanistan?
“Per un momento abbiamo avuto paura. Non per la sicurezza qui dentro: accanto c’è l’edificio della Corte costituzionale e non manca lo schieramento di polizia. E neanche per la mia sicurezza personale. Non è questo il punto. La paura è quella di vedere il mio paese trasformarsi in un luogo dove non si ha la coscienza e l’orgoglio del proprio patrimonio nazionale. Se questo avviene è grave”.

Sta succedendo?
“Gli scontri sul velo all’università, gli attacchi agli artisti e ai giornalisti: sono segnali preoccupanti. Ma ci sono anche molti elementi che fanno sperare. Posso citargliene uno? Il 14 gennaio abbiamo celebrato i due anni dalla rivoluzione con una giornata ‘porte aperte’, biglietto di ingresso gratis. Bene: siamo stati letteralmente invasi dai visitatori. Donne velate, i loro mariti. Bambini, ragazzi, vecchi. Guardi che non era scontato. Qui dentro ci sono opere romane, cristiane, giudaiche non solo islamiche”.

Arte pericolosa per i salafiti?

“Anche su questo dobbiamo lavorare. Stiamo organizzando percorsi tematici per le scuole. Leggiamo stupore negli occhi dei ragazzi, dei bambini quando spieghiamo loro che certi valori, certe religioni non vengono solo dall’Occidente ma provengono dalla nostra storia, dalla Tunisia, dall’Africa. Rimangono sorpresi e affascinati. E lo sa che succede? Il giorno dopo tornano con le famiglie. Con le loro mamme velate, con i loro papà religiosi”.

Una rivoluzione?

“Questo più che un museo archeologico è un museo di civiltà. Racconta il passato della Tunisia, che è sempre stato un mélange di culture, da sempre abbiamo vissuto insieme. L’importante è accettare le differenze. Questa è la democrazia e questo va insegnato ai giovani”.

È difficile per una donna, per di più giovane, fare tutto questo?
“Abbiamo rovesciato Ben Ali, abbiamo fatto una rivoluzione per dare fiducia ai giovani. Ci sono ancora diffidenze, difficoltà. Ma credo che le cose andranno meglio quando si saranno risolti problemi pressanti per noi come per tutti i tunisini. Le difficoltà economiche ci strangolano. Difficile per noi muoversi tra le ristrettezze di budget e la burocrazia, difficilissimo vivere per tanti, troppi in questo paese. E la fame può essere una minaccia “.

Che rischi vede?
“La Tunisia sta ancora cercando la via giusta per avanzare. Non siamo abituati a libertà e democrazia e c’è chi vuole approfittarne per il proprio tornaconto. La strada è lunga”.

Lei ha partecipato alle manifestazioni che hanno costretto Ben Ali a dégager, ad andarsene?
“Ognuno fa la rivoluzione a suo modo. Sul web abbiamo manifestato tutti. In piazza alcuni. Io ho deciso di lavorare ogni giorno, freneticamente: cercavo di catalogare più opere possibile perché nessuno potesse approfittare del cambiamento per rubare l’anima del paese, perché si ritrovassero i beni trafugati dal dittatore e dalla famiglia. Anche questo è combattere. Perché il nuovo paese abbia la sua memoria. Perché la memoria può essere rivoluzione”.

Lei non porta il velo. Che direbbe a una donna che accetta o sceglie di coprirsi interamente?
“Rispetto la tua scelta. Consenti anche a me di scegliere”. (04 febbraio 2013)

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fonte repubblica.it

Arabia Saudita, muri nei negozi per separare donne e uomini

Arabia Saudita, muri nei negozi per separare donne e uomini
Un negozio di abbigliamento a Riad (foto Afp)

Arabia Saudita, muri nei negozi per separare donne e uomini

La misura varata dal governo per “proteggere” le commesse e le clienti dagli sguardi dei maschi. Da quasi due anni le saudite possono vendere biancheria intima e cosmetici anche nei centri commerciali, ma il contatto con i colleghi è considerato “a rischio”. Le barriere dovranno essere alte almeno 1,60 metri

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RIADMuri divisori nei negozi per separare donne e uomini. E’ l’ultima misura di segregazione imposta nel regno saudita per “proteggere” commesse e clienti dagli sguardi maschili. La misura verrà applicata nei negozi in cui sono impiegati commessi di sesso diverso. Le barriere dovranno essere alte almeno 1,60 metri. I negozianti hanno 30 giorni di tempo per erigere i “muri” o rischiano di dover pagare delle sanzioni.
La misura, spiega la Reuters, è stata emessa dal ministro del Lavoro Adel Faqih, con l’aiuto di Abdullatif al-Sheikh, capo della Commissione per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio, nota come “Mutawa”, e della polizia religiosa.

Le donne possono lavorare solo in luoghi di sole donne oppure nella vendita di biancheria intima e cosmetici. Questi ultimi due settori di lavoro sono stati approvati nel giugno 2011, quando il governo impose che i commessi (in gran parte uomini di origine asiatica) fossero sostituiti con donne saudite. Un provvedimento che aprì 44mila nuove posizioni di lavoro per donne saudite (il tasso di inoccupazione femminile è del 36%, solo il 7% della popolazione occupata nel privato è composta da donne). Fu una decisione sollecitata dalle stesse saudite che si dicevano a disagio nell’acquistare biancheria intima e cosmetici dagli uomini. Ma l’arrivo di tante donne nei luoghi di lavoro misti – ad esempio i centri commerciali – aveva sollevato problemi diversi, non ultimi molti casi di molestie. La misura adottata per eliminare il problema è, come spesso è capitato nel Paese, drastica e orientata alla segregazione: i muri.

Il cammino di emancipazione delle donne saudite è ancora allo stato embrionale. All’inizio dell’anno alle donne è stato permesso di partecipare al Consiglio consultiva della Shura, e 30 donne ne sono entrate a far parte – anche se per partecipare devono usare ingressi separati. Note ormai le campagne per il diritto di guida (soprattutto grazie alla popolare campagna di disobbedienza civile di Manal al Sharif divenuta popolare sui social network come #womentodrive), mentre il Regno del Golfo è uno dei pochi paesi al mondo che nega il suffragio universale. Le donne devono avere il permesso degli uomini per lavorare, viaggiare o aprire un conto corrente bancario. (29 gennaio 2013)

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fonte repubblica.it

Mali, al rogo i manoscritti di Timbuctù. L’esercito francese libera la città antica / VIDEO: Mali: Islamists Burn Timbuktu Manuscripts – 28th Jan 2013

Mali: Islamists Burn Timbuktu Manuscripts – 28th Jan 2013

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Pubblicato in data 28/gen/2013

Islamic extremists fleeing French forces in Mali have set on fire a library containing rare and ancient manuscripts.A library containing rare and ancient documents has been torched by Islamic militants escaping from French forces in Timbuktu. The Ahmed Baba Institute of Higher Islamic Studies and Research had reportedly been used as a seeping quarters by the Islamists. Speaking from inside the building, Sky’s Alex Crawford, who is embedded with the French forces, said the empty boxes strewn around her had contained thousands of historic manuscripts. “Some of the documents date back to the 13th century,” she said. “The town dates back to the 11th century and this was all the documentation they’d built up over centuries of life in Timbuktu – all either burnt by the Jihadists or they have disappeared.” The city’s mayor, Ousmane Halle, said: “They torched all the important ancient manuscripts. The ancient books of geography and science. It is the history of Timbuktu, of its people. It’s truly alarming that this has happened.” During their rule, the militants systematically destroyed UNESCO World Heritage sites in Timbuktu, long a hub of Islamic learning. Crawford said she had been to the site of tombs that date back centuries which had been razed to the ground. UNESCO says one that was destroyed was the tomb of Sidi hmoudou, a saint who died in 955. A spokesman for the al Qaeda-linked militants has said the tombs of Sufi saints were destroyed because they contravened Islam, encouraging Muslims to venerate saints instead of God. Ground forces backed by French paratroopers and helicopters took control of Timbuktu’s airport and the roads leading to the town in an overnight operation – part of the French-led mission to oust radical Islamists from the northern half of Mali, which they seized more than nine months ago.
Crawford said: “In the centre of the town they are celebrating, they’re going absolutely bonkers with flags, cheering and waving and saying thank you to the French.” The Timbuktu operation comes a day after the French announced they had seized the airport and a key bridge in Gao, a city east of Timbuktu, one of the other northern provincial capitals that had been under the grip of radical Islamists. The French and Malian forces so far have met little resistance from the Islamists, who seized northern Mali in the wake of a military coup in the distant capital of Bamako, in southern Mali.
Timbuktu lies on an ancient caravan route and has entranced travellers for centuries, is some 1,000km (620 miles) northeast of Mali’s capital Bamako.

الإسلاميون حرق مخطوطات تمبكتو
Islamiete brand Timboektoe Manuskripte
Queime islamitas Manuscritos de Timbuktu
اسلامگرایان سوزاندن نسخه های خطی تیمبوکتو

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Ancient manuscripts from Mali, Niger, Ethiopia, Sudan and Nigeria line storage cases at Abdel Kader Haidara’s home, the director of Bibliotheque Mama Haidara De Manuscripts, Timbuktu. These manuscripts are waiting their turn to be cataloged and added to the library collection. Inside them is a history of Africa from the 11th century onwards, with dialogue on Islam, trade, history, the law and so on. Image by Brent Stirton, National Geographic, September 2009 – fonte immagine

28/01/2013 – l’avanzata delle truppe franco-maliane e di quelle africane non trova ostacoli

Mali, al rogo i manoscritti di Timbuctù
L’esercito francese libera la città antica

Nella fuga gli Jihadisti distruggono la biblioteca. Parigi: controlliamo l’aeroporto e gli accessi principali, stiamo vincendo questa battaglia

Un soldato dell’esercito del Mali sulla strada per Timbuctu

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Non sono valsi a nulla gli appelli agli jihadisti che occupavano Timbuctu affinché non scatenassero la loro rabbia per l’imminente sconfitta contro il patrimonio culturale e storico della “porta del Sahara”: prima di lasciare la città-leggenda – da oggi ormai completamente controllata da francesi e maliani – hanno bruciato un edificio che custodiva migliaia di rari manoscritti, andati irrimediabilmente distrutti. Un atto di violenza gratuita che era però era temuto, perché proprio a Timbuctu gli jihadisti hanno dato prova di volere cancellare quello che per loro è un modo errato di onorare Allah e le parole del Profeta. Da quando conquistarono la città, hanno fatto a pezzi le molte statue di Alfarouk, il mitico angelo protettore della città, e poi gran parte dei mausolei di sabbia e legno che ornavano, come pietre preziose, la città per ricordare i suoi ’’333 santi’’, come vengono chiamati religiosi e studiosi musulmani che scelsero per i loro ultimi giorni questo avamposto della cultura e dell’Islam più tollerante.

Timbuctu è stata da sempre una città votata alla cultura (nel Sedicesimo secolo ospitava 2500 studenti che oggi potremmo definire universitari, su una popolazione di 100 mila persone) e la raccolta e la cura dei manoscritti antichi è stato il tratto comune alle famiglie più abbienti, che per generazioni li hanno acquistati e custoditi gelosamente. Ed il paradosso è che ad andare bruciati, nell’incendio appiccato dagli jihadisti, sono stati quei manoscritti ceduti da alcune delle famiglie al centro Ahmed-Baba per essere esposti e studiati. Manoscritti non solo di carattere religioso, ma anche scientifico (molti i trattati di astronomia) in lingua araba, ma anche songhai e tamasheq.

Intanto l’avanzata delle truppe franco-maliane e di quelle africane non sembra trovare ostacoli. «Stiamo vincendo la battaglia», ha annunciato nel pomeriggio Francois Hollande, confermando la riconquista di Gao e Timbuctu, dove un’esplosione di gioia della popolazione – secondo il racconto di testimoni – ha accolto l’ingresso in città dei soldati alleati.

Oggi è stata la volta di Kidal (roccaforte di Ansar Dine) a cadere, ma nelle mani dei tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla), e questa è una variabile che bisognava pure preventivare. Perché i tuareg `laici´, rimasti sino ad oggi – almeno ufficialmente – fuori dalla partita, non potevano assistere a braccia conserte ad una vittoria totale di Bamako, perché questo avrebbe significato la fine del loro sogno di un Azawad (il nord del Mali) indipendente. Presa Kidal, ora potrebbero cercare di rientrare in gioco, anche se appare difficile che il governo maliano possa accettare che i tuareg dell’Mnla, con la conquista della città, abbiano ottenuto il diritto a sedere ad un tavolo di trattativa.

A Gao intanto è caccia agli jihadisti che si sono nascosti nella città. Francesi e maliani stanno ottenendo l’aiuto dei giovani della città – cui gli islamisti avevano imposto una disciplina durissima – che li stanno conducendo nelle case dove gli integralisti che non sono riusciti a fuggire si sono rintanati, con le conseguenze pratiche che questo può significare. Giornata importante anche sul piano politico, anche se con qualche ombra perché – mentre in Italia è polemica sui modi e sugli ostacoli a fornire il richiesto (da Parigi) `supporto logistico´ – l’Unione africana ha deliberato di contribuire alla missione internazionale con 50 milioni di dollari, sul costo complessivo preventivato di 460. Insomma, poca roba.

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fonte lastampa.it