Archivio | gennaio 4, 2009

Gaza, il fallimento dell’Onu. Parte la missione europea

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Al Palazzo di Vetro gli Usa bloccano una risoluzione per far tacere le armi

In Medio Oriente una delegazione con Solana, Repubblica Ceca, Francia, Svezia

Il premier britannico Gordon Brown si smarca dagli Stati Uniti: “Fermate il fuoco”

Il presidente israeliano Peres insiste: “La tregua non è nei nostri programmi”

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ROMA – A Gaza prosegue l’attacco di terra da parte dell’esercito israeliano e l’Europa tenta la carta dell’offensiva diplomatica, dopo il fallimento dell’Onu di trovare un accordo per imporre una tregua. Una missione europea è partita per il Medio Oriente, dopo nove giorni di operazioni militari e cinquecento morti. Obiettivo, fermare l’escalation e consentire l’ingresso agli aiuti umanitari, come ha spiegato il commissario europeo agli Affari esteri, Benita Ferrero-Waldner, nel corso di una conferenza stampa all’aeroporto di Praga (la Repubblica Ceca dal primo gennaio è presidente di turno dell’Unione). Il segretario generale Onu, Ban Ki-moon, ha chiesto lo stop immediato delle operazioni. Il presidente israeliano Shimon Peres insiste: non è nei nostri progetti. L’amministrazione Bush, fedele alla sua posizione fino all’ultimo (“Israele ha diritto di difendersi”), ha bloccato all’Onu una risoluzione presentata dalla Libia, che chiedeva un immediato cessate il fuoco. La riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza si è conclusa così senza un pezzo di carta in cui la comunità internazionale tentasse almeno di avere una posizione comune sulla crisi. Il premier britannico Gordon Brown si smarca dagli Usa: “Fermate il fuoco”. Appello anche da Benedetto XVI: “Fermate la guerra”.

La missione europea. E’ composta dal ministro ceco degli Esteri, Karel Schwarzenerg, e dai suoi omologhi di Francia e Svezia, Bernard Kouchner e Carl Bild, oltre che dall’Alto rappresentante dell’Unione europea per la Politica estera, Javier Solana. Previsti incontri al Cairo, poi a Gerusalemme, Ramallah e ad Amman, in Giordania. Domani in Egitto ci sarà anche il presidente francese Nicolas Sarkozy, prima tappa di un giro in Medio Oriente nel corso del quale incontrerà anche il leader dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen.

Fumata nera al Palazzo di Vetro. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu non è riuscito a trovare un accordo su una risoluzione che chiedesse uno stop alle armi. La Libia, unico Paese arabo presente, aveva presentato un testo in cui esprimeva “seria preoccupazione per l’escalation della situazione” e chiedeva a entrambe le parti di osservare “un cessate il fuoco immediato”. Ma gli Usa non hanno sostenuto il documento perché – hanno spiegato – non faceva alcun riferimento alla natura terroristica delle attività di Hamas. Poiché le risoluzioni vanno approvate all’unanimità, la riunione non ha prodotto alcun documento.

Brown: “Fase molto pericolosa”. Il premier britannico Gordon Brown invita non solo a un immediato cessate il fuoco ma anche a “lavorare più duramente di quanto fatto finora”. L’offensiva di terra, ha aggiunto, ha dato vita a “una fase molto pericolosa” nel conflitto con Hamas. “Gli israliani – ha sottolineato – devono avere l’assicurazione che non ci saranno attacchi con razzi sul loro territorio”. Una posizione, quella britannica, che rispecchia quella francese: “L’escalation militare è pericolosa e complica gli sforzi della comunità internazionale e, in particolare, della Ue e del Quartetto per ottenere un cessate il fuoco nell’area”, ha detto Kouchner.

Il piano della missione Ue. Il ministro ceco degli Esteri, Schwarzenberg, ha spiegato che obiettivo della missione è di deternminare le condizioni per una tregua, pur riconoscendo che “sarà difficile ottenerla”. Una piattaforma precisa ancora non c’è, ha spiegato durante un incontro con la stampa, “dovremo prima deciderla con israele”.

Gli incontri della missione. La delegazione non ha in programma alcun incontro con Hamas, le cui posizioni saranno riferite dal ministro degli Esteri egiziano Ahmed Aboul Ghei, che sta incontrando il movimento. In Israele Schwarzenberg vedrà il presidente Shimon Peres, il premier Ehud Olmert, il ministro della Difesa Ehud Barak e il capo della diplomazia Tzipi Livni. I membri della missione incontreranno anche il ministro delle Finanze palestinese, Salaam Fayad, il ministro degli Esteri Riyad al Malki e il presidente Abu Mazen.

La polemica in Italia. “Particolarmente inadeguato”. Il giudizio di Walter Veltroni sull’operato del ministro degli Esteri Franco Frattini dà la stura a un nuovo scontro tra opposizione e maggioranza, stavolta sull’atteggiamento del governo rispetto alla crisi di Gaza. Il segretario del Pd chiede all’esecutivo di muoversi “per un immediato cessate il fuoco”, per “un aiuto umanitario alle popolazioni civili”, e perché “la parola torni all’iniziativa politica”. Tutto questo mentre l’Europa, “appare divisa e incerta”. E’ qui che arriva la stoccata al titolare della Farnesina. “In questo quadro – è il giudizio di Veltroni – particolarmente inadeguata è la posizione italiana: Frattini aveva detto di aver ricevuto assicurazioni che non vi sarebbe stata un’offensiva di terra, ed è stato smentito. Aveva parlato di un’iniziativa congiunta italo-francese senza che alle parole seguissero i fatti. L’Europa – continua Veltroni – come già Francia e Gran Bretagna che chiedono una tregua immediata, e l’Italia debbono ritrovare una forte presenza sulla scena mediorientale. Nessuno può pensare di affrontare la crisi usando la forza piuttosto che non attraverso una chiamata all’impegno degli organismi internazionali”. Il Pdl fa quadrato attorno a Frattini. Daniele Capezzone definisce “surreale” l’attacco di Veltroni, per Fabrizio Cicchitto il leader del Pd alimenta una polemica “a uso interno del suo partito”.

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4 gennaio 2008

fonte: http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/esteri/medio-oriente-45/attacco-terra-diplomazia/attacco-terra-diplomazia.html

Lo denuncia un rapporto del ‘Capitano Ultimo’: L’ombra delle tangenti sul nuovo palazzo della regione Lombardia

Si ipotizzano false fatturazioni e traffico illecito di rifiuti
La Procura: nessun politico è coinvolto

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La nuova sede della regione che dovrebbe essere pronta per il 2009 ROMA (4 gennaio) – Presunte irregolarità legate ai lavori per la realizzazione della nuova sede della Regione Lombardia – che dovrebbe essere ultimata a Milano, in via Melchiorre Gioia, entro la fine dell’anno – sono state segnalate alla magistratura dai carabinieri per la tutela dell’ambiente, con un rapporto di oltre 50 pagine firmato dal vicecomandante, colonnello Sergio De Caprio (il cosiddetto Capitano Ultimo, noto per aver arrestato il capomafia Totò Riina).

Secondo quanto si è appreso, i militari hanno ipotizzato vari reati – dalla concussione, alla corruzione, dalla turbativa d’asta alla truffa, alle false fatturazioni – a carico di persone già identificate. Tra queste, figurano dirigenti di Infrastrutture Lombarde spa (società appaltante dell’opera, con capitale interamente della Regione Lombardia) e della società Impregilo, che partecipa con una quota superiore al 90 per cento al Consorzio Torre, il quale nell’agosto 2006 si è aggiudicato l’appalto per un importo superiore a 185 milioni.

I fatti – ricostruiti in massima parte attraverso intercettazioni telefoniche – sono emersi nelle indagini preliminari della procura di Potenza sulle estrazioni petrolifere in Basilicata. Il pm potentino Henry John Woodcock ha trasmesso il rapporto dei carabinieri alla Procura di Milano per competenza territoriale; l’ha, inoltre, depositato – mettendolo a disposizione delle parti – a riprova della necessità della misura cautelare richiesta e adottata per l’ imprenditore materano Francesco Rocco Ferrara, arrestato per l’ inchiesta sulle presunte tangenti legate alle estrazioni petrolifere e coinvolto, per i carabinieri, anche nelle presunte irregolarità per la nuova sede della Regione Lombardia. Ferrara si è occupato, infatti, con una delle imprese a lui riconducibili, in subappalto per conto del Consorzio Torre, dei lavori di movimento terra per la costruzione della nuova opera.

Durante gli scavi sarebbero emersi materiali contaminati da idrocarburi, che un’altra ditta dello stesso Ferrara ha provveduto a rimuovere. Per tali lavori – hanno accertato i militari – l’impresa ha presentato un preventivo di spesa di circa otto milioni di euro, giudicato congruo solo per il 50 per cento. Secondo quanto segnalato dai carabinieri alla magistratura, le procedure amministrative seguite, comprese quelle di pagamento, non sarebbero state corrette, al punto da integrare – sempre a parere dei militari – i reati di traffico illecito di rifiuti, truffa e falsa fatturazione.

I carabinieri, inoltre, sempre attraverso intercettazioni telefoniche, hanno rilevato presunti rapporti non lineari – che, ritengono i militari, lascerebbero ipotizzare interessi economici – tra un alto dirigente di Infrastrutture Lombarde Spa e alcuni dirigenti di Impregilo. In questo contesto i militari hanno evidenziato le difficoltà, emerse da intercettazioni telefoniche, dello stesso dirigente di Infrastrutture Lombarde Spa di fronte alle azioni di controllo assiduamente svolte dal presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni per la effettiva conclusioni dei lavori entro il termine previsto di novembre 2009.

I carabinieri, infine,
hanno segnalato alla magistratura una presunta imposizione a Infrastrutture Lombarde di varianti al progetto originario per ampliare in maniera notevole il costo dell’appalto ed hanno evidenziato anche presunte criticità, meritevoli di approfondimento investigativo, di alcuni subappalti, in particolare di quello, da circa otto milioni di euro, per i frangisole da sistemare sugli edifici della nuova sede della Regione Lombardia.

La procura di Milano ha confermato l’apertura dell’ inchiesta informando solo che gli iscritti nel registro degli indagati sono una decina e tra questi «non figura alcun politico». La Direzione generale di Infrastrutture Lombarde spa in serata ha smentito «ogni coinvolgimento nei presunti episodi illeciti relativi a subappalti nei lavori» di costruzione della nuova sede della Regione Lombardia. «Siamo fiduciosi nella magistratura – ha detto il dg Antonio Rognoni – e siamo certi della correttezza e trasparenza dell’operato della società ». Smentito ogni suo coinvolgimento nella vicenda, Rognoni ha aggiunto che qualora dovesse emergere indagini una responsabilità da parte di personale di ILSPA «non esiteremo ad assumere i provvedimenti conseguenti».

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fonte: http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=40699&sez=HOME_INITALIA


Saramago: l’ironia, un blog e l’amore

Incontri L’autore di «Cecità» a 86 anni parla delle sue passioni politiche, del lavoro letterario e dei progetti, compresa una rubrica sul web

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«La mia ricetta per resuscitare»

Uscito dall’ospedale dopo una grave malattia, il Nobel è tornato alla scrittura

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Saramago ha un’aria fragile, ma siede ben diritto sulla poltrona nella sua piccola casa di Lisbona, costruita nel primo dopoguerra, e se ne sta accanto al fuoco del caminetto, al riparo dal vento umido dell’Atlantico. Lo scorso inverno è stato portato d’urgenza in ospedale per problemi respiratori, «Esitavano ad accettarmi perché ero in condizioni piuttosto gravi», ricorda, e aggiunge con un sorrisetto: «Non volevano essere l’ospedale in cui è morto José Saramago». Il suo divertimento per essersi fatto beffe delle attese è probabilmente pari al sollievo per essersi ripreso. «Non lo considero un miracolo», precisa (è ateo), «non avevo, però, molte possibilità di farcela». Forse c’è anche un atteggiamento ironico verso la sua fama tardiva. Prima di dedicarsi alla scrittura, dopo i cinquant’anni, Saramago faceva il meccanico. Quando uscì il suo quarto romanzo, Memoriale del convento (1982), aveva sessant’anni.

Il successo lo ha spinto a scrivere altri quindici romanzi, oltre a racconti, poesie, lavori teatrali, un libro autobiografico e uno di viaggi, Viaggio in Portogallo (1990). Nel 1998 il comitato del Nobel ha lodato le sue «parabole ricche di immaginazione, partecipazione umana e ironia», e il suo «scetticismo moderno»verso le verità ufficiali. Saramago ha compiuto da poco 86 anni e ha ripreso a lavorare a ritmi molto intensi. Il film tratto da Cecità, girato dal regista brasiliano Fernando Meirelles, è uscito di recente. Saramago l’ha visto in anteprima a Lisbona, dove l’elefante rosa sulla copertina del suo ultimo romanzo, Il viaggio dell’elefante, riempie le vetrine delle librerie. Negli ultimi quindici anni Saramago e la moglie Pilar del Rio, giornalista e sua traduttrice in spagnolo, hanno vissuto a Lanzarote, in Spagna. Vi si erano trasferiti quando il governo portoghese, su pressioni del Vaticano, aveva impedito che il suo romanzo Il Vangelo secondo Gesù Cristo (1991) concorresse al Premio Letterario Europeo (per questo Saramago chiese, e in seguito ottenne, pubbliche scuse). Nel Vangelo laico ed «eretico» di Saramago, Gesù, il figlio di Giuseppe, ha una relazione sessuale con Maria Maddalena e sfida Dio, assetato di potere, che gli chiede di sacrificarsi.

Lo scorso anno ha suscitato uno scandalo in Portogallo per aver detto che il paese sarebbe inevitabilmente divenuto una provincia di un’Iberia unita, e alcuni hanno pensato che questa sua affermazione nascesse da vecchi risentimenti, ma lui dice: «Ho lasciato il paese per protestare contro il governo di allora, non contro il Portogallo. Pago le tasse in Portogallo. Quest’anno ci ho passato più di sei mesi». Il trasferimento a Lanzarote ha segnato un cambiamento nella sua narrativa. I suoi ultimi libri, ambientati in paesi non specificati, sono meno visibilmente radicati nella vita e nella storia portoghesi, nelle strade e sotto il cielo tempestoso di Lisbona. L’elemento speculativo è passato in primo piano. «Il mio lavoro è sulla possibilità dell’impossibile. Chiedo al lettore di accettare un patto: anche se l’idea è assurda, l’importante è immaginarne i possibili sviluppi. L’idea è il punto di partenza, ma lo sviluppo è sempre razionale e logico». Saramago è nato nel 1922 ad Azinhaga, un villaggio nella provincia di Ribatejo, a nord est di Lisbona, da una famiglia di contadini. Quando lui aveva due anni la famiglia si trasferì nella capitale, dove il padre José, artigliere nella prima guerra mondiale, trovò lavoro come vigile urbano, mentre la madre faceva la domestica.

In Le piccole memorie descrive le deprimenti condizioni di vita della sua famiglia a Lisbona e accenna alla sottomissione allo slogan fascista «Dio, patria, famiglia» che regnava in casa. A controbilanciare quell’atmosfera c’erano i nonni materni, Jeronimo e Josefa, con i quali Saramago passava le vacanze estive ad Azinhaga. «Erano poveri contadini analfabeti, ma erano brave persone e hanno avuto sulla mia vita un’influenza molto importante. I miei ricordi più belli non sono di Lisbona, ma del villaggio in cui sono nato». Dato che la famiglia non poteva mandarlo al liceo, Saramago ha frequentato una scuola professionale per diventare apprendista meccanico; a quel tempo leggeva libri «a caso» nelle biblioteche pubbliche. Verso la metà degli anni Cinquanta ha lavorato in una casa editrice, poi come giornalista.. Nel 1969 ha aderito al partito comunista clandestino rischiando di essere incarcerato o picchiato. Ma quando la Rivoluzione dei garofani del 1974 ha rovesciato il successore di Salazar, Marcelo Caetano, Saramago è diventato vice direttore del quotidiano rivoluzionario «Diario de Noticias». La sua reputazione di stalinista risale a quel periodo, si dice avesse allontanato dal giornale i non comunisti. Ma nel 1975, quando fu sventato un colpo di stato della sinistra, anche lui fu licenziato.

Saramago è tuttora membro del partito comunista; dice di essere «un comunista ormonale, come gli ormoni che mi fanno crescere la barba tutti i giorni. Non giustifico quel che hanno fatto i regimi comunisti anche la chiesa ha fatto molte cose terribili, mandato la gente al rogo. Ma ho il diritto di avere le mie idee. Non ho trovato nulla di meglio». Dopo essere stato amico personale di Fidel Castro per molti anni, nel 2003 ha scritto però che il leader cubano «ha perso la mia fiducia, ha deluso le mie speranze, tradito i miei sogni». In Saggio sulla lucidità (2004), ambientato nello stesso paese di Cecità, tutta la popolazione vota scheda bianca, per una protesta che porta allo stato d’emergenza. Secondo Saramago la democrazia aveva bisogno di un rinnovamento, perché è il potere economico a determinare quello politico. «Ho dei dubbi sulla democrazia», dice. «La partecipazione alla vita politica è insufficiente. La gente è chiamata alle urne ogni quattro anni e nel frattempo il governo fa quello che vuole. Non è così solo in Portogallo». L’elezione di Barack Obama, però, riempie di speranza anche lui. «È un momento bellissimo, è vera democrazia quando si vedono milioni di persone mobilitate per eleggere un nuovo candidato, e per di più nero. È una specie di rivoluzione».

Il suo nuovo romanzo, Il viaggio dell’elefante, descrive i viaggi di Solomon, un elefante indiano donato dal re Giovanni III all’arciduca Massimiliano II d’Austria. È un libro «di pura invenzione al 99 per cento» dice Saramago. «Ero affascinato dal viaggio dell’elefante come metafora della vita. Sappiamo tutti di dover morire, ma non sappiamo in quali circostanze». Ne aveva scritto una quarantina di pagine quando è stato portato all’ospedale di Lanzarote. Non appena dimesso ha immediatamente ripreso a lavorare. «Quel che trovo sorprendente e strano è che nel libro ci sia molto umorismo, che faccia ridere la gente. Non si può immaginare come mi sentivo allora». A settembre, su consiglio della moglie, lo scrittore ottuagenario ha inaugurato un blog sul sito web della sua fondazione, con una «lettera d’amore» a Lisbona. Una volta scriveva per i giornali, «Ma ora», dice, «scrivo ogni giorno, e il blog è stato visitato da un milione di persone, lo trovo stupefacente».

Gli argomenti che affronta vanno dalla crisi finanziaria ai consigli alle coppie che stanno divorziando su come dividersi i libri. Ha parlato della moglie come della sua «casa» e la definisce «la cosa più importante della mia vita, forse più importante del mio lavoro stesso. Vedo la nostra relazione come una storia d’amore che non ha bisogno di essere trasformata in un romanzo». Hanno celebrato un secondo matrimonio civile lo scorso anno a Castril, città natale della moglie in Andalusia, perché non si erano curati di registrare in Spagna il loro matrimonio, avvenuto nel 1988 a Lisbona. Una situazione stravagante che avrebbe potuto ben figurare in uno dei suoi romanzi.

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Maya Jaggi
(Traduzione di Maria Sepa)
© Guardian News Media 2008

04 gennaio 2009

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fonte: http://www.corriere.it/cultura/09_gennaio_04/saramago_ricetta_per_resuscitare_dfe63b7a-da15-11dd-a7f8-00144f02aabc.shtml

Nell’inferno dei migranti: Sulle orme dei clandestini in Chiapas tra droga e contrabbando di vite umane

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di Ettore Mo

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TAPACHULA (Chiapas, Messico) – Se la politica del governo messicano sul problema emigrazione-immigrazione dovesse continuare a correre sui binari del rigore e dell’inflessibilità, legioni di centro-americani del Guatemala, Honduras, El Salvador e Nicaragua, entrati illegalmente in Messico per raggiungere e varcare la frontiera con gli Stati Uniti, dovrebbero rassegnarsi alla deportazione forzata, com’è avvenuto negli ultimi anni per migliaia di stranieri sprovvisti di visto e senza documenti. «Il Messico – continuano a ripetere fino alla noia i funzionari dell’Ufficio emigrazione – è un Paese di transito. Vi si può accedere senza difficoltà alcuna dal Guatemala. Ma chi intende fermarsi e lavorare lo può fare solo dietro richiesta o invito da parte di una famiglia o azienda messicane: quando non si tratti di lavoratori agricoli stagionali, cui viene solitamente concesso il permesso di soggiorno per la durata di tre mesi. Queste le regole da rispettare, se non si vuol correre il rischio di essere rispediti senza troppe cerimonie al Paese d’origine».

Contrada incantevole, il Messico. Ma le ragioni che spingono dentro i suoi confini fiumane di gente sono molte e non di rado oscure e complesse: una miscela esplosiva alimentata, da una parte dalla disperazione di migliaia di poveracci in cerca di lavoro e di un minimo di benessere (i tre quarti del cocktail) e dall’altra dallo sciroppo dell’illusione (un quarto soltanto) per chi sogna di avvicinarsi all’Eden dell’America del Nord. Secondo l’amara definizione di padre Flor Maria Rigoni, che vive qui da oltre vent’anni e ha fondato quattro Casas del Migrante, il Messico non è solo un Paese di transito ma di «espulsione, rifiuto e deportazione » ed è ormai diventato «un campo minato» e «un cimitero senza croci». Il sacerdote appartiene all’ordine fondato da Giovan Battista Scalabrini che dal 1800 si occupa degli emigranti sparsi in ogni parte del mondo. Inconsueta figura di frate missionario la sua, a 64 anni è agile e quasi sbarazzino, i sandali ai piedi, bianca la tonaca di lino, la barba grigia fluttuante sul petto e su un grosso crocifisso di legno appeso al collo, vivacissimi gli occhi dietro le lenti. Instancabile viaggiatore, si esprime disinvoltamente in sei lingue, arabo incluso. Non si ha neanche il tempo di finire una domanda che si è già travolti dalla sua risposta.

Vita densa di avvenimenti, sempre in salita e tutta di corsa: e raccontata con la stessa rapidità, senza enfasi e ridondanze. Dalla nascita, nell’ottobre del ’44, in un paesetto della Val d’Ossola invaso dai partigiani, all’infanzia in quel di Bergamo, alla giovinezza in seminario fino al giorno dell’ordinazione, che lo vide prete a 25 anni. Ma la tonaca non gli impedisce di imbarcarsi come marinaio-elettricista (mestiere appreso nel porto di Genova) su una motonave della flotta Lauro che lo avrebbe portato fino al largo del Madagascar: e lì c’è il racconto di una rissa scoppiata a bordo, di rimorsi, pentimenti e messaggi che il mare gli ha lanciato ogni giorno durante la circumnavigazione del Sudafrica: un’esperienza, ammette, che lo ha segnato per sempre. «Da un punto di vista profano – scriverà -, segnato dalla mano del destino; da un punto di vista teologico, da quella della Provvidenza».

Quando mette piede in Messico
, il 6 gennaio dell’85, alla funzione del missionario aggiunge quella del medico, professione che era in grado di esercitare dopo il regolare e sudato conseguimento della laurea e che inoltre gli consentiva di entrare nei campi profughi delle Nazioni Unite, dove «il prete non contava niente». E a giustificazione dei suoi continui spostamenti nell’orbe terrarum, aggiunge: «Un missionario, quando si ferma, è come l’acqua stagnante, marcisce». Da tempo, la sua base fissa è Tapachula, frenetica «capitale» dello Stato del Chiapas e città di transito con una popolazione esorbitante e in continuo aumento, grazie alla presenza di vastissime comunità del Centro America, che vi hanno messo le radici. Il timore che i messicani siano stati messi in minoranza non può essere accantonato a cuor leggero, anche se il delegato dell’Ufficio emigrazione, Jeorge Umberto Yzar, ci scherza sopra: «Spesso, quando salgo sull’autobus – dice con un sorriso – mi sembra d’essere in un altro Paese, che so… il Nicaragua, l’Honduras, El Salvador. Ognuno di loro parla spagnolo con accento diverso. Ma a questo punto mi viene in soccorso il fiuto: e fiutandoli uno per uno, riesco a capire se vengono da Managua o da San Pedro Sula o non piuttosto da Santa Ana o da Puerto Barrios. Ciò che hanno in comune è l’azzurro del Mar dei Caraibi».

«Il Chiapas è l’inferno dell’emigrazione»
, sostiene Carmen Fernandez, una dei tanti «volontari» delle organizzazioni non governative scese in campo per fronteggiare un problema che, aggiunge, «è di una gravità e dimensioni allarmanti, mentre le riserve d’acqua a nostra disposizione sono appena sufficienti a contenerne l’espansione ma non a spegnere le fiamme». Alla soluzione del problema non contribuisce certo il fatto che per le autorità come per gran parte della popolazione messicana gli emigranti non sono altro che dei «delinquenti». Definizione estremamente grave, anche se non si può negare che spesso i narcotrafficanti si servono di loro per far transitare oltre frontiera la propria merce: col duplice vantaggio di compensare questi innocui, improvvisati «corrieri» con una manciatina di pesos e di non doversi preoccupare qualora fossero arrestati, dal momento che nessuno correrebbe in loro difesa col rischio di svelare l’identità dei veri capi del vapore, cioè dei leader del business della droga.

Valanghe di denunce accumulate negli appositi uffici di Tapachula, Arriaga, Ciudad Hidalgo e Veracruz la dicono lunga sulle condizioni disumane in cui vive (o meglio, sopravvive) gran parte degli emigranti entrati illegalmente o senza documenti nello stato del Chiapas: storie di poveracci sfruttati, sottoposti ad ogni tipo di abuso, ingaggiati dalla malavita locale per lavori sporchi e poi subito derubati, gente che si schianta dalla fatica come sanno molto bene i lavoratori agricoli guatemaltechi ammassati nelle grandi piantagioni del Sud, cui arride la fama di contadini più sottopagati del mondo. Nel tentativo di respingere quelle accuse, proprietari terrieri e facoltosi rancheros passano al contrattacco definendo sbrigativamente i propri dipendenti – o schiavi – «una massa di fannulloni e scansafatiche». «Ma è assurdo! – è la reazione indignata di padre Rigoni, che per quei «fannulloni » ha sempre pronto un piatto di minestra nella Casa del Migrante a Tapachula -. Sono dei gran lavoratori, io li conosco, è gente coi calli sulle mani. Scansafatiche? Non vanno mica in vacanza queste migliaia di persone che camminano per settimane e mesi o viaggiano per giorni sui tetti di lamiera dei treni-merci: vanno in cerca di lavoro».

Il timore di fermarsi a «marcire»
sprigiona le riserve d’energia del frate bergamasco, che sembra non avere alcuna intenzione, per il momento, di rassegnarsi alla vita mistico-contemplativa. Tuttavia, la sua attività a favore degli emigranti suscita il sospetto e le apprensioni dei governi di Messico e Stati Uniti che in sostanza lo accusano di favorire l’immigrazione illegale dei centro-americani. Altri sacerdoti che gestiscono i loro centri di soccorso (ospitalità per tre giorni, vitto e alloggio) sulla «strada dell’emigrazione» vengono incriminati per lo stesso reato. È toccato a padre Herman Vasquez, che incontro ad Arriaga nel suo rifugio di sapore evangelico che si chiama «Hogar de la Misericordia» e ricorda la parabola dei discepoli di Emmaus. «Inizialmente – ricorda – le autorità messicane erano ostili alle Casas del Migrante perché ci accusavano di agire nell’illegalità. Gli immigrati in Messico non hanno alcun diritto. Io, come altri confratelli, davanti alla legge ero un pollero o un coyote: nomi con cui vengono definiti tutti coloro che aiutano i fuggiaschi a varcare clandestinamente la frontiera. Ho passato i miei guai, amico».

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A padre Alejandro Salalinde Guerra, 63 anni, elegante, vestito di lino bianco, è andata anche peggio. «Nel mio ostello – racconta – passano circa duecento pellegrini al giorno, per una sosta minima di tre giorni. Molti arrivano affranti, sfiniti. Lungo la strada sono stati malmenati e derubati dagli agenti di polizia e dai banditi locali. Io stesso sono finito in prigione per avergli dato ospitalità. Li hanno pestati a sangue e quando gli ho chiesto il perché di tanta barbarie, la risposta è stata: sta’ zitto, stronzo di un cura, se non vuoi finire con un proiettile in testa». Dopo una pausa, nella quale il silenzio è più greve dell’angosciosa testimonianza appena resa, padre Alejandro conclude: «Il Messico non è più quello d’un tempo. La sua religiosità, forte, drammatica e anche eroica nei giorni della Rivoluzione nonostante la persecuzione dei preti, si è illanguidita e spenta: tutto ciò che è rimasto della fede di allora è la sbiadita immagine folcloristica della Madonna di Guadalupe».

Anche Olga Sanchez, una signora cinquantenne che dai primi anni Novanta sta spendendo tutto le sue energie e i pochi soldi di cui dispone nella «catastrofe emigranti» (così la definisce), ha dovuto fare i conti, all’inizio, con le ostilità delle istituzioni. «In sostanza – precisa – mi accusavano di favorire i responsabili dell’emigrazione clandestina. Il mio reato? La mia piccola casa s’era trasformata in una specie di reparto d’emergenza o pronto soccorso per quei poveretti che avevano perso una gamba tentando di salire sulla Bestia, il treno- merci che ogni giorno portava vagonate di disoccupati verso la frontiera settentrionale. Il premio di 20 mila dollari che ho ricevuto per la mia attività l’ho investito nella costruzione della Casa del Migrante. Dal governo ho avuto solo critiche, mai un aiuto. Per chi voglia farsi un’idea delle condizioni sociali della nostra regione basta fare un salto alla discarica comunale: vedrà un sacco di bambini che frugano nelle immondizie».

È sullo sfondo nero di questa miseria
che fiorisce il contrabbando degli uomini, esercitato con guadagni astronomici da coyotes e polleros: un traffico che, secondo le valutazioni degli esperti in materia, frutta qualcosa come 10 miliardi di dollari l’anno e si colloca quindi al secondo posto, dopo il narcotraffico, nella lista dei profitti illeciti del Messico. Per accompagnare una sola persona dal Centro America agli Stati Uniti – 1.500 miglia – un coyote chiede in media cinquemila dollari: in un anno, se il vigore fisico necessario per queste estenuanti camminate non lo abbandoni, il suo guadagno potrebbe assurgere a centomila dollari. Esentasse. Un’avventura, quella del contrabbando umano, attorno a cui sono nate storie e leggende. Padre Rigoni, che ha seguito il cammino dei coyotes fin nella «rotta della morte » (cento chilometri di deserto), si libera delle fiabe romantiche e osserva, amaramente: «Ci sono coyotes in guanti bianchi, c’è l’industria ormai, il coyotismo s’è trasformato in industria. Noi creiamo delle rotte, creiamo i punti d’appoggio, creiamo la logistica e paghiamo già anticipatamente il costo della corruzione».

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Tra i costi da affrontare e pagare quotidianamente c’è pure quello di Mara Salvatrucha, una banda armata di pandillas (giovani, adolescenti, ragazzini di 10, 12 anni) che si potrebbe definire pittorescamente solo per il fatto che i suoi membri sono coperti di tatuaggi dalla testa ai piedi come gli antichi Maya. In lotta contro le istituzioni e contro tutti, il loro mestiere, che compiono col massimo zelo, è ammazzare. Chi ammazza un uomo ha diritto a un tatuaggio speciale sul volto e da soldato semplice diventa immediatamente ufficiale. L’organizzazione, bollata come «criminale» da tutti i governi del Centro America, è nata negli anni Ottanta in California dove il suo primo nucleo composto da immigrati di El Salvador costituì una banda di guerriglieri cui via via si aggregarono altri fuorusciti provenienti da Guatemala, Honduras e Nicaragua. Tremila di questi Maras, equipaggiati al meglio, sarebbero schierati sulla Franja Fronteriza, il confine meridionale, pronti ad entrare in azione: e, manco a dirlo, sono già tutti ufficiali. Ma il loro primo obiettivo è il reclutamento massiccio tra ragazzi della zona: che una volta entrati nell’organizzazione difficilmente potranno uscirne.

E infatti per togliersi la «divisa» e buttarla alle ortiche dovranno raschiar via dalla pelle, uno per uno, tutti gli indelebili tatuaggi. Meglio una fucilata. Nessuno sembra più dubitare, a questo punto, che all’efficienza operativa dei Maras e ai loro successi – se mai ci sono stati – abbiano contribuito i finanziamenti segreti della Cia: il cui scopo è di mantenere nel territorio un clima di terrore per intimorire e allontanare gli emigrati, costringendoli a rinunciare per sempre al progetto di uno sbarco clandestino in Nord America. E alla fine tutti concordano che la politica migratoria messicana non ha alternative alla detenzione e deportazione degli stranieri che non hanno le carte in regola. Per il frate degli emigranti, Flor Maria Rigoni, questo è un dramma personale: e credo voglia viverlo fino in fondo insieme alla sua gente, prima che la barca affondi. Non sembra abbia alcuna intenzione di cercarsi un altro posto. Qui rimane. Anche a costo di marcire.

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gennaio 2009

fonte: http://www.corriere.it/Speciali/Esteri/2008/Mo/index9.shtml

Kosovo, bombe nella città divisa. Ritorna l’incubo delle violenze

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Balcani La cittadina, metà serba e metà albanese, è da sempre l’epicentro delle rivendicazioni etniche

Quindici feriti a Mitrovica. La missione Eulex inizia tra le tensioni

https://i0.wp.com/www.cbc.ca/gfx/images/news/photos/2008/02/19/kosovo-serbs-cp-4373613.jpg

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Due bombe, e l’incubo della violenza che ritorna. Il Kosovo non ha ancora festeggiato il suo primo anno d’indipendenza, e Mitrovica è lì a ricordare al mondo che la pace — dentro il Paese — è tutt’altro che conquistata. Una città divisa in due, Mitrovica: il fiume Ibar a separare i serbi al nord dagli albanesi al sud, il ponte e i soldati della Nato a custodire il dogma delle vite parallele. Finché non c’è un contatto tra le due comunità, o un incidente, e allora scattano le vendette. Venerdì sera la prima bomba è scoppiata in un caffé della zona nord. Nessun ferito, ma i vetri saltati delle macchine in strada scatenano la rabbia serba. Due ore, ed è la rappresaglia. Non c’è il bisogno di superare il fiume, basta arrivare a Bosnjacka Mahala, l’enclave dell’enclave, il quartiere albanese e musulmano nel cuore della Mitrovica serba. Vetrine spaccate, due negozi albanesi bruciati. Arrivano i pompieri, la tv serba Most (Ponte) riprende le fiamme, e scoppia un secondo ordigno.

Quindici i feriti alla fine di questa pazza notte di violenze, compresa una giornalista, il suo cameraman e sette vigili del fuoco, prima che le pattuglie della Nato riportino la calma. Tanta violenza da che cosa nasce? Sono giorni che a Mitrovica c’è tensione, da quando un ragazzo serbo è stato accoltellato. Agli arresti di due albanesi è seguita la ritorsione serba: raid contro le botteghe, caccia alle auto dei «nemici». E torna il ricordo di quell’altro incidente, quattro anni fa, che incendiò Mitrovica e scatenò i pogrom antiserbi. Allora, nel marzo 2004, tre fratellini affogarono nell’Ibar, mentre scappavano — si diffusero incontrollate le voci — da una gang slava. La vendetta fu violenta. E così sistematica che — si ricostruì dopo — doveva essere per forza organizzata: 19 morti, 900 feriti, 4mila profughi serbi, 35 monasteri ortodossi in fiamme.

Dietro le tecniche paramilitari s’intravide lo stile dei guerriglieri «rivoluzionari» dell’Uck, il monito dei duri dell’«armata liberatrice» frustrata alla comunità internazionale: non abbiamo più voglia di aspettare l’indipendenza. Stavolta, nessuno s’aspetta l’escalation. La libertà sotto vigilanza il Kosovo ormai l’ha raggiunta. Restano Mitrovica, la città enfaticamente chiamata la «Berlino dei Balcani», a ricordare quanta strada c’è da fare. Il 9 dicembre anche qui sono entrati i poliziotti di Eulex, la più grande missione di polizia nella storia Ue. Ma i rapporti col premier kosovaro Thaci partono tesi. Solo un mese fa, tre spie tedesche sono state messe in carcere a Pristina, con la fantomatica accusa d’aver piazzato la bomba alla sede della missione Ue. Berlino è riuscita a riportarli a casa, ma le tre spie esposte sui giornali e «bruciate» sono state un pesantissimo colpo a Frau Merkel: la vendetta di Thaci — così l’hanno interpretata i giornali tedeschi — quando ha scoperto di aver il gabinetto infiltrato da informatori dei 007 tedeschi. Gli stessi che da anni ricostruiscono, e denunciano agli altri governi Ue, i loschi traffici (sigarette, prostituzione, auto rubate) che fioriscono all’ombra del governo kosovaro. No, i poliziotti europei a Pristina non sono attesi solo a una (amichevole) parata.

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4 gennaio 2009

fonte: http://www.corriere.it/esteri/09_gennaio_04/kosovo_bombe_mitrovica_5779684c-da16-11dd-a7f8-00144f02aabc.shtml

Donna kamikaze fa strage a Baghdad: Uccisi 35 pellegrini, molti bimbi

Iraq (Ap/LaPresse) Baghdad, 4 gennaio 2008 – Sarebbe una donna la responsabile dell’attentato kamikaze che ha ucciso almeno 35 pellegrini sciiti oggi a Baghdad. “Una donna che portava addosso una bomba ha azionato la sua cintura esplosiva vicino all’entrata di un mausoleo. Dalle prime indicazioni, il bilancio è di 35 morti e 65 feriti, per lo più pellegrini iracheni tra cui donne e bambini”, ha detto il portavoce delle operazioni di sicurezza nella capitale irachena.

L’attacco suicida è avvenuto questa mattina all’entrata del più importante mausoleo sciita della capitale irachena che si trova in un quartiere occidentale della città. L’esplosione è avvenuta verso le 11 (le 9 in Italia) quando la kamikaze ha azionato la sua cintura esplosiva all’entrata del mausoleo del settimo imam dell’islam sciita, Moussa Kadim, nel quartiere di Kazamiyah. La donna è riuscita nella missione nonostante l’entrata dell’edificio fosse dotata di misure di sicurezza e sorvegliata da guardie.

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fonte: http://quotidianonet.ilsole24ore.com/2009/01/04/142255-donna_kamikaze_strage_baghdad.shtml

L’esercito israeliano spara a Gaza City in centro commerciale: «Morti dei civili»

(Afp)

Consiglio di sicurezza Onu: Gli Usa bocciano documento per cessate il fuoco

Hamas: «Rapiti due soldati». Gerusalemme smentisce

I blindati penetrati su più fronti. Peres: «Guerra giusta»

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GAZA – Il giorno dopo l’avvio dell’attacco di terra, l’esercito israeliano è entrato nella città di Gaza attaccando con i carri armati un’area commerciale molto frequentata nel centro e provocando almeno 5 vittime e una quarantina di feriti, mentre la tv Al Jazira ha detto che l’erogazione dell’elettricità è stata sospesa. La stessa emittente ha diffuso la notizia che cinque soldati israeliani sono rimasti uccisi negli scontri, citando come fonte le Brigate Ezzedin Al Qassam, braccio militare di Hamas. Una fonte militare israeliana, sempre citata da Al Jazira, ha parlato di un militare ucciso. Hamas ha inoltre annunciato il rapimento di due militari (notizia smentita dall’esercito). Violenti combattimenti tra i militari israeliani e i miliziani di Hamas sono in corso alla periferia della città di Gaza.

SCONTRI NEL NORD – Intensi i bombardamenti anche nel nord della Striscia, dove le truppe hanno occupato ampie porzioni di territorio, considerato la base di lancio privilegiata dei razzi Qassam: almeno dodici palestinesi sono morti a Beit Lahiya, nel nord di Gaza, per una cannonata. Tra le vittime ci sono almeno due miliziani, ma la maggior parte sono civili, fra cui quattro membri di una famiglia. Altri mezzi sono arrivati nell’ex colonia di Netzarim, evacuata nel 2005, che si trova a tre chilometri a sud da Gaza City. Lì secondo testimoni ci sarebbero almeno cinquanta blindati. L’agenzia di stampa palestinese Maan riferisce che le forze israeliane sono avanzate lungo quattro direttive dividendo il territorio palestinese in diversi segmenti. Secondo fonti mediche palestinesi bilancio complessivo dei nove giorni di offensiva è salito a 480 vittime.

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Gaza, partito l’attacco di terra Gaza, partito l'attacco di terra Gaza, partito l'attacco di terra

Gaza, partito l'attacco di terra Gaza, partito l'attacco di terra Gaza, partito l'attacco di terra Gaza, partito l'attacco di terra Gaza, partito l'attacco di terra

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«TRENTA SOLDATI FERITI» – Nella notte l’aviazione israeliana ha colpito 45 obiettivi fra cui tunnel, depositi di armi, lanciatori di razzi e di mortai. Alle operazioni ha partecipato anche la marina che ha tra l’altro il comando dell’intelligence a Gaza. Sul fronte palestinese, una trentina di razzi e diversi colpi di mortaio sono stati sparati verso diverse località del Neghev, a Ashdod, Netivot, Sderot e presso insediamenti agricoli israeliani vicini alla Striscia di Gaza. Centrata una casa a Sderot, un israeliano è rimasto ferito. Hamas aveva inizialmente annunciato l’uccisione di nove soldati, ma la notizia è stata smentita da Israele. Un portavoce di Tsahal ha detto che trenta militari sono rimasti feriti (due dei quali in gravi condizioni) dall’inizio dell’offensiva terrestre. Decine di miliziani di Hamas sono stati invece uccisi dalle truppe israeliane, secondo il quotidiano Haaretz: almeno una ventina secondo fonti palestinesi.

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Attacco israeliano a Gaza Attacco israeliano a Gaza Attacco israeliano a Gaza

Attacco israeliano a Gaza Attacco israeliano a Gaza Attacco israeliano a Gaza Attacco israeliano a Gaza Attacco israeliano a Gaza

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COMMISSIONE UE – La Commissione Europea ha lanciato un appello ad Israele perché assicuri «uno spazio umanitario» per distribuire gli aiuti nella Striscia di Gaza. L’esecutivo ha anche annunciato un aiuto supplementare di tre milioni di euro per il territorio palestinese. «Impedire l’accesso dei soccorsi alla gente che soffre e muore è una violazione del diritto umanitario» ha detto il commissario allo Sviluppo e agli aiuti umanitari Louis Michel. «Un milione e mezzo di persone sono ammassate in un territorio che rappresenta poco più dell’1% della superficie del Belgio – ricorda Michel in una nota -. Per sopravvivere essi dipendono dagli approvvigionamenti esterni e la loro situazione diventa ogni giorno più esasperata». Il commissario ha definito «inaccettabili» gli attacchi da entrambe le parti destinati a ferire o uccidere civili in modo discriminato. Intanto è partita la missione Ue organizzata dalla nuova presidenza ceca: la delegazione arriverà nel pomeriggio al Cairo dove avrà un incontro con il ministro degli Esteri egiziano. Lunedì sarà in Israele, poi a Ramallah e ad Amman. Lunedì a Gerusalemme è atteso anche il presidente francese Sarkozy. Dall’Italia arriva una nota della Farnesina: «Le notizie che giungono da Gaza destano forte preoccupazione e apprensione per la sorte di tanti civili innocenti. Il governo italiano rivolge un appello accorato agli amici israeliani perché venga fatto tutto il possibile per assicurare la protezione dei civili e l’invio di aiuti umanitari». L’Italia si dice pronta ad adoperarsi in sede G8 per avviare un’ iniziativa per il Medio Oriente e offre «una sede di dialogo» per cercare insieme un «percorso» per isolare il terrorismo.

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Le manifestazioni in Italia e nel mondo Le manifestazioni in Italia e nel mondo Le manifestazioni in Italia e nel mondo

Le manifestazioni in Italia e nel mondo Le manifestazioni in Italia e nel mondo Le manifestazioni in Italia e nel mondo Le manifestazioni in Italia e nel mondo Le manifestazioni in Italia e nel mondo

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PERES: «GUERRA GIUSTA» – L’obiettivo dell’incursione è «distruggere le infrastrutture terroristiche di Hamas nell’area delle operazioni – ha detto la portavoce dell’esercito israeliano Avital Leibovitch -. Prenderemo il controllo delle aree di lancio usate da Hamas. Sarà un’operazione lunga e durerà numerosi giorni». L’offensiva non «sarà semplice o breve, ma siamo determinati» ha aggiunto il ministro della Difesa Ehud Barak, che ha anche autorizzato il richiamo di decine di migliaia di riservisti. Barak ha detto che l’obiettivo dell’operazione è quello di neutralizzare Hamas e di promuovere «un cambiamento significativo» della situazione nel sud di Israele, da otto anni sotto il tiro dei razzi. Alla riunione del Consiglio dei ministri a Tel Aviv ha aggiunto che l’offensiva sarà prolungata ed eventualmente estesa fino a quando sarà necessario e «sulla base delle nostre necessità». Il primo ministro israeliano Ehud Olmert ha sottolineato che Israele non vuole l’apertura di un nuovo fronte di guerra con il Libano, ma ha sottolineato di aver dato istruzione «ai responsabili della Difesa di tenersi pronti nel caso in cui qualcuno (Hezbollah, ndr) dovesse pensare di trarre vantaggio dal fatto che Israele sta operando sul fronte sud». Sabato il ministro Barak aveva detto che Israele è pronto a ogni evenienza nei suoi confini a nord. Incontrando alcuni parenti dei soldati, Olmert ha detto che l’operazione di terra era «inevitabile». Secondo il presidente Shimon Peres quella che Israele sta combattendo contro Hamas «è una guerra necessaria e giusta». Lo ha detto incontrando un gruppo di bambini nel sud di Israele: «Se otterremo la nostra vittoria, ci sarà la pace».

STOP ALL’ONU – Sul fronte diplomatico nella notte c’è stato il nulla di fatto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu sopo che gli Stati Uniti hanno bloccato un documento che chiedeva il cessate il fuoco immediato. La riunione, convocata d’urgenza alle 19 ora locale (l’1 in Italia) dopo l’avvio dell’operazione terrestre contro Hamas, si è conclusa così senza un accordo. La Libia, unico paese arabo rappresentato in Consiglio di sicurezza, aveva presentato una bozza di risoluzione in cui esprimeva seria preoccupazione per l’escalation delle violenze a Gaza e chiedeva a tutte le parti in causa di osservare un immediato cessate il fuoco. Ma gli Stati Uniti hanno deciso di bocciare il documento, che non indicava in Hamas un gruppo terroristico reo, secondo gli Usa, di avere sottratto il potere a Gaza alla legittima autorità nazionale palestinese guidata dal presidente Abu Mazen. Il vice ambasciatore americano all’Onu, Alejandro Wolff, ha spiegato che gli Stati Uniti non vedono l’intenzione di Hamas di rispettare il cessate il fuoco, ponendo fine al lancio di razzi contro Israele. Quindi, dato che i documenti del Consiglio vanno approvati all’unanimità, il testo libico è caduto. Anche una seconda dichiarazione più blanda, che chiedeva una tregua, è stata bocciata dagli Usa.

HAMAS: «FARSA» – Hamas ha definito la riunione del Consiglio di sicurezza «una farsa che mostra l’ampiezza della sovranità sulle sue decisioni esercitata dall’America e dall’occupazione sionista», si legge in un comunicato del portavoce Fawzi Barhoum. Il Consiglio di sicurezza «ha confermato il suo allineamento sulle posizioni dell’occupazione (israeliana, ndr) e gli ha dato la possibilità per proseguire il suo massacro a Gaza» ha aggiunto Barhoum, condannando la posizione della presidenza dell’Unione europea, garantita dalla Repubblica ceca, secondo cui l’operazione è «più difensiva che offensiva». In un secondo momento il primo ministro ceco Mirek Topolanek aveva aggiunto che Israele non ha il diritto di intraprendere azioni militari che «hanno ripercussioni in gran parte sui civili». Poche ore prima della “fumata nera” al Consiglio di sicurezza il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon aveva chiesto, dopo una telefonata con il premier israeliano Olmert, l’immediata cessazione dell’operazione di terra e a Israele di fare tutto il possibile per garantire la protezione dei civili, dicendosi «profondamente preoccupato per il fatto che l’escalation renderà inevitabilmente ancora più grave la già pesante situazione in cui si trova la popolazione». Domenica mattina c’è stato un nuovo appello del premier britannico Gordon Brown, che ha chiesto un immediato cessate il fuoco, spiegando che l’attacco di terra è «una fase molto pericolosa» del conflitto: «Gli israeliani devono avere assicurazioni che non ci saranno attacchi con i razzi sul loro territorio» ha detto in un’intervista alla Bbc.

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4 gennaio 2009

fonte: http://www.corriere.it/esteri/09_gennaio_04/gaza_attacco_terra_israele_onu_b3bdc970-da31-11dd-a7f8-00144f02aabc.shtml

Corteo a Milano contro i bambardamenti israeliani a Gaza. Circa un migliaio di manifestanti, con in testa una folta delegazioni di palestinesi, ha preso il via da porta Venezia per sfilare per le strade del centro gridando slogan contro Israele e gli Stati Uniti.  (Salmoirago)

Corteo a Milano contro i bambardamenti israeliani a Gaza. Circa un migliaio di manifestanti, con in testa una folta delegazioni di palestinesi, ha preso il via da porta Venezia per sfilare per le strade del centro gridando slogan contro Israele e gli Stati Uniti. (Salmoirago)

A Riano al posto di Gesù Bambino è arrivato Erode

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Sequestro a Riano: la voce della verità

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Come in un telefilm poliziesco, sono venuti in squadre, armati, prima dell’alba. Hanno bloccato il passaggio ai condomini che si recavano al lavoro, apostrofandoli: “Dove va Lei? Oggi non si va da nessuna parte!”. Sono entrati in tre in casa mia, turbando il sonno di mia moglie e di mio figlio Martino, di otto anni.

Stropicciandosi gli occhi, Martino ha chiesto: “- Mamma, perché loro hanno le pistole? – Non ti preoccupare, tesoro mio, sono guardie: fa parte dell’uniforme.” Così hanno esordito: “Chi è il proprietario di questa casa? E’ Lei? C’è una denuncia penale nei suoi confronti. Siamo venuti per sequestrarLe la casa.”

Arrivo anch’io, dopo aver lasciato le mie due figlie di 16 e 17 anni all’autobus che le porta a scuola; arrivo incuriosito ma tranquillo, pensando: “Non sono qui per noi. Mica siamo delinquenti!” E domando candidamente: “- Perché siete qui? – E’ Lei Clemente Felice Maria? – Sì. – Anche Lei è proprietario; anche Lei è inquisito.”

Fuori era cominciato a piovigginare e si era alzata la tramontana. La porta di casa restava semi-aperta mentre le guardie entravano ed uscivano intirizzite, lasciando una scia di fango sul pavimento, dall’ingresso al tavolo da pranzo. Due di loro vi si erano accomodati per compilare moduli e dichiarazioni. Ci chiedono i documenti. Noi gli offriamo un caffè. Ma non tardano a mostrare di avere diversi problemi nella corretta compilazione degli atti.

Nel frattempo noi cerchiamo di capirci qualcosa e così apprendiamo che sono del Comando Forestale di Tolfa; sono stati precettati alle quattro del mattino insieme ad altri trecento agenti per una grande operazione di sequestro che interessa 116 fabbricati abitativi del Comune di Riano. “Ma fino a ieri non ne sapevamo niente nemmeno noi: fanno sempre cosi, quando si tratta di missioni importanti.” E noi: “Ma che significa che ci sequestrate la casa?”

Allora ci spiegano che. Non lo sanno bene. Ma, in teoria, dovremmo andar via, poiché vi è un sospetto abuso edilizio in atto e queste case vanno pertanto sigillate e, dicendo di queste enormità, ci imbastiscono lì per lì una teoria di pesci piccoli per arrivare ai pesci grossi! Increduli chiediamo: “Ma noi dove andiamo?! Che facciamo?! Qui abbiamo tutte le nostre cose! Questa è la nostra prima ed unica casa!… I bambini. La scuola.”

Martino, che intanto si è svegliato del tutto,
comincia ad informarsi anche lui: “- Papà, ma è vero che dobbiamo andar via?” – Ma no, Martino. Non se ne parla proprio. La casa è nostra. L’abbiamo regolarmente pagata, anzi, la stiamo ancora pagando! Questa cosa è folle. Vedrai che si aggiusterà. E’ tutto un malinteso.” – Nel mentre, per sdrammatizzare, una delle guardie – un povero diavolo che, anche lui, ha figli piccoli – butta lì qualche domandina al bambino: – “Come ti chiami? Che classe fai?” Poveraccio, vorrebbe tanto portare a termine la sua consegna senza troppe complicazioni.

L’altra guardia invece, scuote la testa,
facendo una faccia lunga e malinconica. Non riesce nemmeno a finire il caffè. Mentre va borbottando: “Non mi era mai capitata una cosa simile! Questa è gente perbene, in buona fede, come facciamo a metterli fuori da casa loro.? Io pensavo che avremmo trovato delle case in costruzione. Ma queste, si vede benissimo che sono abitate da tempo. Comunque dobbiamo aggiungere agli atti che questa è la vostra unica casa e che avete figli minori a carico. State tranquilli: vedrete. In queste condizioni, escludo nella maniera più assoluta che possano mettervi per strada. Anzi – rivolto a un collega di grado inferiore – facciamo chiedere istruzioni circa le modalità del sequestro prima di compilare le schede.”

Inizia così il breve giallo delle telefonate
cellulari, due per l’esattezza, foriere di notizie tanto incontestabili quanto contrastanti fra loro. E’ presto detto: la prima ci viene riferita come segue: “Il Dott. X(P.M. della Procura della Repubblica di Tivoli, nonché geniale ideatore di tutta la manovra) dice che vuole decidere caso per caso chi lasciare entro le mura e chi far sgomberare.” La seconda, dopo solo pochi minuti, è tassativa: “Il Dott. X dice di procedere al sequestro di tutti i villini, indistintamente.”

Ma chi è questo signore che decide lì per lì, al cellulare, le sorti di duecento famiglie; manovrando con un SMS un esercito di trecento guardie forestali?! L’agente sconcertato fa: “Non è possibile. Non si può trattare la gente così! E se io mi rifiutassi. Che mi potrebbero fare?” Ma l’altro risponde a bomba col sorriso di chi la sa lunga: “Se è per questo, ti andrebbe anche peggio che a loro: perderesti l’impiego, subiresti pesanti sanzioni.”.

Dunque, niente. Ancorché con riluttanza tocca procedere (mors tua vita mea) e la penna a biro riprende Kafkianamente a correre sul foglio. Indi per cui abbiamo solo trenta giorni di tempo per fare qualcosa o abbandonare la casa. Quando, chiacchierando, apprendiamo che il motivo di tutto questo delirio è la tutela dell’Ambiente e che il Dott. X è un incallito ambientalista, come non manca di suggerire il ruvido ed indimenticabile cognome, tiriamo fuori le nostre riviste di Lega Ambiente e raccontiamo che le nostre figlie, da anni ormai, partecipano come volontarie ai campi di lavoro indetti da questa organizzazione!

Facciamo notare agli agenti sempre più silenziosi e disorientati come la stessa scelta di andare a cercarci casa fuori Roma sia stata dettata dal nostro amore per la Natura. “E poi, alla fin fine, non siamo anche noi degli organismi viventi, parte del medesimo Ambiente, alla stregua dei panda o dei cinghiali?!” Parole buttate lì così. Quasi uno sfogo. Ironia della Sorte. Sbrigata finalmente la loro sporca pratica, le guardie forestali si apprestano a venir fuori da questo ginepraio, dicendo: “Speriamo che almeno abbiate apprezzato i nostri sforzi per essere il meno invasivi possibile.”

Ma non è finita: devono ancora fare delle foto alla casa e, soprattutto, apporre quel vergognoso maledetto cartello plasticato con su scritto: “Fabbricato sottoposto a sequestro giudiziario ai sensi dell’art. n°321 del c.c.p. E’ fatto divieto a chiunque di introdursi ecc.” Divieto che, per forza di cose, abbiamo già infranto centinaia di volte. Di siffatti cartelli, per stare tranquilli, ne hanno voluti mettere due: uno sul cancelletto di casa e l’altro sulla porta d’ingresso; poi mi hanno nominato loro custode. In più ne hanno fissato un altro in mezzo al cancellone del borgo. E così, in grazia di Dio, sono usciti da casa; ma hanno continuato a presidiare il posto, con una jeep piantata di fronte al giardino, ancora fino al primo pomeriggio.

A ora di pranzo, accendiamo la TV per vedere il Telegiornale Regionale e ci appare un servizio già bell’e montato sull'”Operazione Sequestri”: Qui si mostra la colonna di jeeps della Forestale sulla nostra via; poi un paio di prestanti guardie intente a citofonare, sulla porta di un villino. Eroico il nostro Corpo Forestale! Di grande respiro l’Operazione! Un intero paese abusivo! Trionfi la Giustizia, la Civiltà e la Tutela dell’Ambiente! “Ed ora la parola spetta alle ruspe”- aggiungerà poi l’immancabile esagitato, ambientalista e magari pure vegetariano, ancorché assetato di sangue umano.

Mentre ci calunniano in diretta come furfanti abusivi sulle reti nazionali, stupefatti guardiamo dalla finestra: le jeeps sono ancora lì! Come fanno ad essere già in televisione?! Prodigi della tecnologia? Che scandalo, l’Informazione.

La sera stessa il Condominio si riunisce informalmente in una delle case, per coordinare le idee. Mentre si stila un vero e proprio bollettino di guerra, leccandosi a vicenda le ferite lasciate dalla visita devastante della Forestale (come si può facilmente immaginare, a seguito di un trattamento analogo a quello sopra descritto, in molti si sono sentiti male: tachicardie, mancamenti ecc.) si opta per un’azione legale tempestiva e congiunta, volta, tanto per cominciare, ad ottenere il Dissequestro delle case, presentando Istanza al Tribunale delle Libertà; tanto da poter almeno garantirci un tetto e scongiurare la prossima visita di questo genere, paventata come terminale.

In una successiva seduta con l’avvocato
designato, veniamo tranquillizzati circa le sorti delle case (anche il sindaco, subito consultato si era adoperato per sedare le nostre paure). Lo studio legale raccoglie in fretta e furia tutti i documenti necessari: regolari contatti di compra-vendita controfirmati dal Notaio; ricevute di mutuo e situazioni reddituali di ognuno di noi e poi, permessi, concessioni, accatastamenti ed altre carte di cui poco mi intendo.

E nonostante il periodo strategicamente scelto
dall’arguto P.M., a ridosso delle feste natalizie (sulla grotta del nostro presepe di quest’anno campeggia un fac-simile in scala del cartello di sequestro) il nostro legale riesce a presentare le Istanze nei brevissimi termini consentiti dalla Legge. E’ di ieri la notizia che alcune di dette Istanze vengono rifiutate in blocco, senza neanche aprire gli incartamenti! Che scandalo, la Giustizia! Ma in fondo era prevedibile che il P.M. sapesse bene quello che faceva, visto che la partita si gioca nel suo campo.

Per quanto ci riguarda, il fatto, preso inizialmente sottogamba proprio per il suo carattere alquanto surreale, comincia ora a diventare serio e scottante; visto che i giorni continuano a passare invano e quei maledetti cartelli restano lì! Io sono a capo di un nucleo familiare di cinque persone, tre delle quali minorenni in età scolare. Non posseggo piscine; non navigo nell’oro; non ho precedenti penali ne soldi da parte; l’unico bene in mio possesso è metà di questa casa, essendo cointestata anche a mia moglie. Fu acquistata nel 2002, coi risparmi dei nostri genitori. La comprammo terminata, in perfetta buona fede, scegliendola per la relativa vicinanza alla capitale e per la amena dislocazione.

Sono un musicista e lavoro principalmente alla realizzazione di registrazioni che produco in proprio, in casa mia, grazie ad uno Studio di Registrazione privato, dove tengo tutta la mia strumentazione di lavoro, compresi gli strumenti musicali. Perciò, se mi si leva la casa, mi si toglie anche la postazione di lavoro, facendomi scacco matto con una sola mossa!

Come mi comporterò il giorno 09/01/09,
giorno che per me equivale alla fine del mondo? Come farò ad evitare che la crudezza della situazione turbi l’infanzia e la giovinezza dei miei figli? Dovrei fare finta che si tratta solo di uno strano gioco, proprio come Benigni ne “La Vita è Bella”?! Sì ma quello era solo un film. Questa è realtà e, a mio modo di vedere, assomiglia molto ad una calamità naturale come un terremoto o un’alluvione: una disgrazia di enormi proporzioni condivisa da centinaia di poveri cristi come noi; una calamità sociale assolutamente inconcepibile in un sedicente paese civile.

E, neanche a farlo apposta, proprio il 24 gennaio dovrei partire per una serie di importanti concerti in Ecuador, giusto e tardivo coronamento di una vita di stenti e di serio lavoro. In questi giorni dovrei dunque dedicarmi anima e corpo alla delicata preparazione di tali eventi fondamentali per la mia carriera e per il futuro mio e dei miei cari e invece eccomi qui, in pigiama, a redigere questa brutta storia italiana! Come si fa a continuare a lavorare in simili condizioni?!

Intanto coll’avvicinarsi della scadenza, l’angoscia comincia a disturbarmi anche di notte. Nel dormiveglia mi visualizzo mentre cerco di portar via da casa almeno l’occorrente per poter partire, prima che sigillino le porte, separandoci dalle nostre cose. Martino, dai suoi giochi; le ragazze, dalla loro cameretta. Di giorno comincio a sentirmi strano: mi aggiro per casa mia come uno straniero; come se nulla di quanto mi circonda fosse lì per me. Temo che a breve, se la situazione non si sblocca, oltre alla serenità, anche la salute possa vacillare, rendendomi incapace di reagire. .S.O.S. A.I.U.T.O. Chi di dovere faccia qualcosa!

Felice Maria Clemente
Riano

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3 gennaio 2009

fonte: http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=40609&sez=HOME_MAIL