Archivio | gennaio 23, 2009

Iran, due medici antiAids condannati a tre e sei anni per viaggi negli Usa

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I due fratelli Arash e Kamiar Alai erano stati arrestati nello scorso giugno

L’accusa: «Cooperazione con un paese nemico» L’avvocato: «Hanno partecipato a convegni medici»

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I due fratelli medici Arash e Kamiar Alai
I due fratelli medici Arash e Kamiar Alai

TEHERAN – Due fratelli medici iraniani, impegnati nella lotta all’Aids, che erano stati arrestati nel giugno dell’anno scorso dopo avere avuto contatti e avere viaggiato negli Usa, sono stati condannati rispettivamente a sei e a tre anni di reclusione per «cooperazione con un Paese ostile». La notizia è stata diffusa dal loro avvocato, Massud Shafii. Il legale ha detto che Arash Alai è stato condannato a sei anni e suo fratello Kamiar a tre anni in base all’articolo 508 del codice penale islamico, che punisce appunto la «cooperazione con un Paese ostile».

LA DIFESA: «HANNO PARTECIPATO A CONVEGNI MEDICI» Ora ho 20 giorni per presentare ricorso contro la sentenza – ha aggiunto l’avvocato -, e lo farò chiedendo l’assoluzione». Arash e Kamiar Alai, ha sottolineato il loro difensore, sono impegnati in ricerche sull’Aids e sul trattamento delle tossicodipendenze e hanno viaggiato negli Stati Uniti per intervenire a conferenze mediche, in un ambito di «cooperazione puramente scientifica». Inoltre, ha aggiunto Shafii, in Iran non esiste alcuna legge che definisca gli Usa «Paese ostile». I due fratelli medici figurano in un gruppo di arrestati accusati di aver preso parte ad un complotto degli Usa per promuovere una «rivoluzione di velluto» in Iran. Altre due persone sono finite in carcere con la stessa accusa negli ultimi mesi, ma le loro identità non sono state rese note.

CHIESTA UNA RACCOLTA DI FIRME IN ITALIA «La libertà di ricerca è fondamentale e in quanto tale va preservata da ogni tipo di condanna cieca e fondamentalista». Il prof. Luigi Dolci, Responsabile Settore diagnostico Epatiti ed Hiv dell’OCM di Verona, chiede che si faccia luce su questa vicenda, che a suo avviso va ben oltre i confini iraniani: «La salute non è dello Stato, ma dell’uomo che ha diritto di conservarla al di fuori dei pregiudizi sociali politici e religiosi». Per questo il prof. Dolci propone che il Senatore Tommasini, presidente della 12° Commissione permanente Igiene e Sanità, metta in atto una raccolta firme dei medici di tutta Europa. «Credo che sia giusto chiedere chiarezza al governo di Teharan, in modo che su questo calo non cali il sipario».

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Stefano Rodi
23 gennaio 2009

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fonte: http://www.corriere.it/esteri/09_gennaio_23/iran_medici_aids_46ada27a-e94e-11dd-8250-00144f02aabc.shtml

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Iran Uses AIDS Doctors’ Imprisonment as First Test of Obama Administration


Media Contacts:
Jonathan Hutson
jhutson [at] phrusa [dot] org
Tel: (617) 301-4210
Cell: (857) 919-5130

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(Cambridge, Mass.) – In the wake of President Barack Obama’s inauguration, Iran has signaled that the espionage trial of two world-renowned AIDS doctors is a bellwether for the future of US-Iranian relations.

The Washington Post reported on Jan. 19 that an unnamed Iranian senior counter-intelligence official warned the new Obama administration that the case of Dr. Kamiar Alaei and Dr. Arash Alaei exemplifies a “full fledged intelligence war” between Iran and the US.

“If Kamiar and Arash are engaged in any war, it’s the battle against HIV/AIDS,” said Sarah Kalloch, Director of Outreach for Physicians for Human Rights (PHR). “They traveled the world to share the Iranian model of HIV prevention, and to learn from other countries about innovations in infectious disease treatment. Treating AIDS is not a crime—it is good medicine.”

PHR has learned that despite leaks from Iranian officials over the weekend to the media, the doctors only learned on Jan. 20 that they had been convicted. Kamiar and Arash are sentenced to terms of three and six years respectively. They will serve their sentences in Tehran’s notorious Evin Prison.

“The doctors’ trial did not meet standards of due process under international human rights law or even under the Iranian penal code,” said Jonathan Hutson, JD, Chief Communications Officer at PHR. “The brothers still have not been fully informed of all charges against them. Their attorney did not have the opportunity to examine the accuracy or relevance of certain undisclosed evidence and thus had no opportunity to rebut the case. PHR is concerned that the doctors may have been subjected to coercion during their intensive, six-month interrogation.”

Their attorney plans to file an appeal; he has 20 days to do so. The brothers had been charged with communicating with an enemy government – charges which PHR has labeled illegitimate and politically motivated – as well as with secret charges which have not yet been made public.

Over the past two weeks, more than 2,000 people around the world contacted the Iranian Mission to the United Nations demanding the Alaeis’ release. In addition, more than 3,100 health professionals from 85 countries have signed an online petition demanding their release, which can be viewed at IranFreeTheDocs.org. Leading physicians and public health specialists and numerous medical and scientific organizations have publicly called for the brothers’ release. These include HIV/AIDS and health experts luminaries such as Global Fund Executive Director Professor Michel Kazatchkine; Partners in Health co-founder Dr. Paul Farmer; 2008 MacArthur Foundation Genius Grant recipient Wafaa El-Sadr, MD, MPH; Hossam E. Fadel, MD, of the Islamic Medical Association of North America; 1993 Nobel Laureate in Medicine Sir Richard Roberts PhD, FRS; and Ugandan AIDS pioneer Dr. Peter Mugyenyi.

“PHR and the thousands of medical and public health practitioners from across the globe who support Kamiar and Arash are devastated, dismayed and disgusted by these sentences,” said Kalloch. “Persecuting these doctors for their exemplary public health outreach will put a chilling effect on medical research, science, and public health in Iran, which will ultimately harm the Iranian people.”

Dr. Kamiar Alaei is a doctoral candidate at the SUNY Albany School of Public Health in Albany, New York and was expected to resume his studies there last fall. In 2007, he received a Master’s of Science degree in Population and International Health from the Harvard School of Public Health in Boston. Dr. Arash Alaei is the former director of the International Education and Research Cooperation of the Iranian National Research Institute of Tuberculosis and Lung Disease.

Since 1998, the Drs. Alaei have been carrying out HIV/AIDS treatment and prevention programs, particularly focused on harm reduction for injecting drug users. In addition to their work in Iran, the Alaei brothers have held training courses for Afghan and Tajik medical workers and have worked to encourage regional cooperation among 12 Middle Eastern and Central Asian countries. Their efforts expanded the expertise of doctors in the region, advanced the progress of medical science, and earned Iran recognition as a model of best practice by the World Health Organization.


Physicians for Human Rights (PHR) mobilizes the health professions to advance the health and dignity of all people by protecting human rights. As a founding member of the International Campaign to Ban Landmines, PHR shared the 1997 Nobel Peace Prize.

Date posted: January 20, 2009

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fonte: http://physiciansforhumanrights.org/library/news-2009-1-20.html

Obama, nuova svolta anti Bush: tornano i fondi ai gruppi pro-aborto

Il divieto era stato introdotto da Reagan e revocato da Clinton

Protestano i vescovi Usa e le associazioni pro-life

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Obama, nuova svolta anti Bush tornano i fondi ai gruppi pro-aborto

Barack Obama con la speaker della Camera Nancy Pelosi

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WASHINGTON – La rivoluzione Obama comincia ad abbattere i primi pilastri dell’era Bush. A poche ore dall’insediamento, il presidente democratico sta per siglare lo sblocco dei fondi federali ai gruppi internazionali che promuovono o effettuano l’aborto. Il provvedimento era stato già preannunciato nel programma di Obama come una delle prime misure ad essere varate.

L’attuale legislazione impedisce che il denaro dei contribuenti americani – di solito attraverso il canale dell’Agenzia per lo Sviluppo internazionale – sia utilizzato a vantaggio di organizzazioni di pianificazione familiare che offrano operazioni di interruzione di gravidanza o facciano opera di informazione, consulenza e indirizzamento a strutture che effettuano gli aborti.

Conosciuta anche come “Global gag rule” o “Mexico City Policy”, è stata introdotta per la prima volta ai tempi della presidenza Reagan (nel corso di una conferenza Onu nella capitale messicana nel 1984) e poi revocata e reintrodotta dalle successive amministrazioni democratiche e repubblicane. Bill Clinton l’aveva revocata nel 1993, ma era tornata come uno dei primi atti di George W. Bush al suo primo ingresso alla Casa Bianca nel 2001.

Obama ha scelto di firmare il provvedimento in un’occasione di “basso profilo” – dice l’Associated Press – il giorno dopo il 36esimo anniversario, celebrato ieri, della famosa sentenza Roe v. Wade con cui la Corte Suprema legalizzò l’aborto.

Il provvedimento non è una sorpresa, dal momento che sia Obama sia il segretario di Stato Hillary Clinton, che sovraintende agli aiuti internazionali, l’avevano introdotto tra le loro promesse in campagna elettorale. Ma nelle primissime ore della sua presidenza, finora, Barack Obama ha scelto sì di rovesciare le politiche Bush ma sempre su argomenti abbastanza condivisi, come la necessità di chiudere il campo di prigionia di Guantanamo o rendere più trasparenti i documenti pubblici.

Le associazioni antiabortiste si sono scatenate e i vescovi si sono detti “molto preoccupati per il deciso sostegno di Obama al diritto all’aborto”. Ai microfoni della Radio Vaticana il vescovo di Orlando, monsignor Thomas Gerard Wenski, ha detto che “i vescovi sono impegnati a convincere la gente a contattare i rappresentanti in Congresso affinché si oppongano a qualsiasi iniziativa legislativa tesa ad ampliare il diritto all’aborto”.

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23 gennaio 2009

fonte: http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/esteri/obama-presidenza/aborto-fondi-ong/aborto-fondi-ong.html

Commissione Brunetta: età pensionabile uguale per uomini e donne, ecco 5 ipotesi

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ROMA (23 gennaio) – Elevare in via «obbligatoria» e non più facoltativa, nel settore pubblico, l’età della pensione di vecchiaia delle donne a 65 anni; oppure estendere anche agli uomini la facoltà di accesso a 60 anni, fermo restando il limite legale a 65 anni; o, ancora, fissare per entrambi i sessi il requisito di età per l’accesso facoltativo alla pensione di vecchiaia ad un’età intermedia tra i 60 e i 65 anni. Sono tre delle cinque soluzioni «astrattamente prospettabili» indicate dalla Commissione di studio sulla parificazione dell’età pensionabile nella sua relazione, pubblicata on-line sul sito del ministero della Pa.

La sentenza della Corte di giustizia europea. La commissione è stata costituita dal ministro della Pubblica amministrazione e l’innovazione, Renato Brunetta, a seguito della sentenza della Corte di giustizia europea che lo scorso 13 novembre aveva dichiarato inadempiente l’Italia rispetto al mancato adeguamento dell’età pensionabile di vecchiaia tra uomini e donne nel pubblico impiego (attualmente fissata, rispettivamente, a 65 e 60 anni).

Le due soluzioni più innovative. Si tratta, spiega una nota di Palazzo Vidoni, di «proposte da sottoporre al governo per la scelta più idonea per il nostro ordinamento. A tal fine la commissione sta verificando le conseguenze previdenziali, economiche e sociali di ciascuna delle possibili soluzioni». In ogni caso, viene indicata una gradualità dell’intervento. A queste tre ipotesi più “conservatrici”, si aggiungono altre due possibili soluzioni individuate dalla commissione, indicate come «più innovative»: una riferita alla revisione dell’intero sistema pensionistico pubblico, rendendo applicabile ai dipendenti pubblici il regime previdenziale dell’Inps; l’altra mirante a parificare e a fissare “a regime”, per entrambi i sessi, i requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia nell’arco flessibile dei 62-67 anni.

Periodo transitorio. La delineazione delle ipotesi di possibile azione, si legge nella relazione, «deve comprendere anche l’ideazione di un periodo transitorio di messa a regime delle norme, durante il quale i requisiti di età per il pensionamento di vecchiaia vengano elevati a gradini (ad esempio: un anno ogni due anni, o simili)».

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fonte: http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=43480&sez=HOME_ECONOMIA


Maltempo, tempesta in arrivo sulle coste della Sardegna

Neve in Valle D’Aosta, Sicilia, Campania e Basilicata

L’allarme dell’Ismar-Cnr: «Onde singole fino a 20 metri e raffiche di vento a oltre 100 chilometri orari»

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Pioggia e allagamenti a Palermo (Emmevi)
Pioggia e allagamenti a Palermo (Emmevi)

CAGLIARI – Una vera e propria tempesta sta per abbattersi sulle coste della Sardegna: a lanciare l’allarme per il fine settimana è l’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Venezia (Ismar-Cnr). Sono attese verso le 18 di sabato onde da 8-9 metri (con onde singole di 16-17 metri), oltre al vento violentissimo che spazzerà le coste, in particolare quelle nord-occidentali, con raffiche fino a 100 chilometri all’ora.

ALLERTA – «Una mareggiata di libeccio colpirà le coste occidentali della Sardegna – ha spiegato Luigi Cavalieri, ricercatore dell’Ismar-Cnr – con onde di 8-9 metri e alcune anche di 16-17 metri. Subito dopo subentrerà un forte vento di maestrale proveniente dal golfo del Leone che spingerà l’altezza delle onde fino a 10-11 metri e alcune anche di 20 metri». Il picco è previsto per la mezzanotte fra il 24 ed il 25. La previsione mostra che la tempesta poi investirà il Tirreno, con onde che sulla punta occidentale della Sicilia raggiungeranno gli 11 m (singole fino a 20, picco previsto per le ore 6). Nel Tirreno meridionale, con mare da nord-ovest (maestrale), la previsione indica onde fra gli 8 e 9 metri (singole onde fino a 15-16 metri). Picco raggiunto nella tarda mattinata del 25. Dall’Ismar-Cnr rassicurano: «Sulle coste dell’isola non si verificheranno fenomeni che metteranno a rischio la popolazione». Pioggia, vento e mareggiate, in particolare nel nord della Toscana e su costa e isole: a causa del vento forte potranno anche verificarsi interruzioni elettriche e telefoniche, problemi alla circolazione e ai collegamenti marittimi.

Meteo – Le previsioni del tempo

NEVE – Nel frattempo nevica sui tratti alpini della Valle D’Aosta, sui rilievi della Sicilia, della Campania e della Basilicata. Lo fa sapere l’Anas, spiegando che è già scattato il piano neve in diverse aree. Nevica in Valle d’Aosta sulla statale 27 del Gran San Bernardo e sulla variante di Gignod: la transitabilità è garantita, ma si segnalano rallentamenti. Nevica anche in Abruzzo sulla statale 17 e sulla 696 dove si circola con rallentamenti. In Campania neve sulla statale 7 Appia, dove si procede con rallentamenti. In Basilicata nevicate su gran parte della rete, dal raccordo Sicignano-Potenza alla statale 92 dell’Appennino meridionale. Ghiaccio, infine, segnalato alla statale 598 Fondo Valle D’Agri dove il traffico è rallentato.

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23 gennaio 2009

fonte: http://www.corriere.it/cronache/09_gennaio_23/maltempo_sardegna_onde_2f8bd226-e94c-11dd-8250-00144f02aabc.shtml

Bruxelles, strage all’asilo: tre morti

Un folle irrompe nell’istituto con
il volto dipinto e accoltella bambini
e maestre: l’uomo è stato arrestato
mentre si allontanava sulla bicicletta

BRUXELLES
«Un inferno». Il ministro dell’Interno del Belgio Guido De Padt
non ha esitato a definire così un terribile quanto assurdo fatto di sangue che ha coinvolto un asilo nido a Termonde, una cittadina fiamminga di 40mila abitanti a 30 km a nordovest di Bruxelles. Una strage degli innocenti il cui bilancio finale, dopo una serie di informazioni contrastanti, vede due bambini e una maestra uccisi a coltellate da uno squilibrato, altri 12 bambini e due adulti feriti, alcuni in modo grave.

«Il paese è sotto choc» ha dichiarato il premier belga Herman Van Rompuy. Sconvolgente è l’incredibile facilità con cui l’assassino, un giovane di 28 anni, ha potuto perpetrare il massacro. Sono le 10 del mattino, l’uomo suona al campanello dell’asilo nido dal nome macabramente ironico, visto quello che è successo, di “Fabeltjesland”, Terra delle favole. Dentro ci sono 18 bambini tra zero e tre anni e sei maestre. In Belgio è uso mandare al nido anche neonati di pochissimi mesi, che vengono tenuti in culle e allattati dal personale dell’asilo. Il ministro De Padt, sintetizzando il racconto dei testimoni, parla di un uomo dalle palbebre tinte di nero e dal volto invece pitturato di bianco e i capelli rosso fuoco.

Nonostante quest’aspetto sconcertante, quando chiede di entrare per avere un’informazione, viene fatto passare. Un errore terribile: l’uomo, ha riferito ancora De Padt, «è andato direttamente nell’ala riservata ai neonati e ha dato numerosi colpi di coltello a vari bambini. Poi si è spostato in un’altra sezione e ha ripetuto il gesto». Una maestra che cerca di fermarlo paga con la vita. «C’era sangue dappertutto, era incredibile – ha raccontato sconvolto Theo Janssens, vicesindaco di Termonde – veramente un massacro». «I più piccoli stavano certamente dormendo nelle culle» racconta ancora, le lacrime agli occhi. L’autore della strage se n’è quindi andato tranquillamente in bicicletta, ma un’ora e mezzo dopo è stato fermato dalla polizia, che gli dava la caccia con cani ed elicotteri.

L’uomo aveva con sè nel suo zaino ancora il coltello insaguinato, nell’arresto è rimasto leggermente ferito. È stato medicato e trasferito in carcere, ma per ora non collabora, non risponde, sghignazza in modo strano. Alcuni giornali fiamminghi e di Bruxelles sostengono che fosse ospite di una struttura psichiatrica, ma per ora non ci sono conferme. Certo è che per ore è stato l’orrore puro per i genitori, molti dei quali non sapevano che sorte fosse capitata ai loro piccoli. I genitori dei due bimbi uccisi hanno dovuto fare un primo riconoscimento tramite foto digitale, i corpicini erano troppo straziati e le autorità non hanno voluti mostrarli subito. «L’orrore è enorme», ha detto il sindaco di Termonde, Piet Buyse. Nel pomeriggio un portavoce di uno dei sei ospedali coinvolti aveva parlato di un terzo bambino morto, il che avrebbe portato a quattro le vittime, ma è stato un errore. Anzi, il ministro della Giustizia De Cleck ha riferito che, secondo i medici, nessuno dei feriti, neppure quelli più gravi, sono in pericolo di vita. Sul posto si stanno recando da Bruxelles anche la principessa Matilde e il principe ereditario Filippo, mentre fiori si accumulano davanti all’asilo.

Rimane però l’inquietante interrogativo di come sia stato possibile un fatto del genere, con tanta facilità. L’ente pubblico fiammingo “Kind en Gezin” (bambino e famiglia), responsabile anche del controllo di molti asili, ha chiesto piena luce. «Dobbiamo indagare rapidamente – ha detto alla tv fiamminga Vrt uno dei responsabili dell’ente, Leen Du Bois – su come sia stato possibile che l’uomo sia entrato all’interno della struttura».

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23 gennaio 2009

fonte: http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200901articoli/40320girata.asp

SUL CASO BATTISTI – Il parere (discutibile, ma che pone interrogativi interessanti) di un camerata

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E’ probabile che qualche compagno voglia mettermi in ‘croce’ per aver osato pubblicare lo scritto di un fascista ma, consentitemelo, mi pare che, se lo leggiamo bene, l’articolo ponga una questione di fondo di estrema importanza, centrata com’è sull’equità e la giustizia di trattamento di TUTTI i cittadini italiani, chiunque essi siano. Ad ogni modo, come sempre, è aperta la discussione.

mauro

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di Gabriele Adinolfi

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La figura di Cesare Battisti non desta simpatia né ammirazione. E non potrebbe essere diversamente se si è convinti che i delitti che gli sono stati imputati (ovvero omicidi brutali e inutili commessi a scopo di rapina) sono autentici (cioè se egli ne è realmente il colpevole) e unici (ovvero se non rientrano in una dinamica d’insurrezione – che peraltro sembra non aver intrapreso se non di sguincio – cosa che ne muterebbe comunque il profilo morale). Inoltre Battisti è, o almeno così appare, arrogante ed antipatico. Sicché io stesso mi trovo emotivamente soggetto alla tentazione di partecipare al disprezzo generalizzato, specie se è vero, come si dice ultimamamente, che abbia ucciso un camerata in anni in cui ” uccidere un fascista  non – era – reato “.

Questa premessa è d’obbligo per sgombrare il campo da ogni possibile equivoco. Il che non ci esime però dal dovere di trattare il problema in sé, in termini ” oggettivi “. Perché è l’incapacità manifesta e prolungata da parte di ogni fazione a ragionare in termini ” oggettivi “, ” universali “, ” equi ” se non proprio eguali, quello che rende fertile il terreno alle iniziative liberticide che il Nuovo Ancien Régime sta conducendo a spese di ogni spazio di libertà e di sovranità (individuale, di gruppo, ideologica, nazionale, giuridica, ecc). E tutto voglio meno che essere complice passivo della macina uniiformante e liberticida.

Battisti è una cosa, il suo caso un’altra

A differenza di altri nemici di ieri (in parte anche di oggi e forse di domani) per i quali mi sono spesso speso (Dorigo, la Baraldini, Ferrari, Curcio, Persichetti, Scalzone), di quello che capita a Battisti non me ne può calar di meno; non riesco ad attribuirgli il rispetto del Nemico ché mi sembra invece tutt’al più un desperado coccolato dall’intellighentia allo champagne. Né mi eccita o suggerisce reazione di alcun genere la sua nuova dis/avventura giuridica. Perché se lo inquadriamo in un’ottica disincantata, dobbiamo convenire che il suo arresto in Brasile non ha il significato politico che ebbe invece l’estradizione concessa un anno e mezzo fa dalla Francia dove, nello strombazzato rinnegamento della dottrina Mitterrand, veniva consumata la messa a morte della sovranità giuridica transalpina. E questo fu davvero un evento grave. Come risponderà il Brasile ad una domanda di estradizione in un caso vergine, ovvero non precedentemente protetto da un ombrello giurisidzionale, è invece un fatto a se stante, un evento singolo come tanti altri. E ognuno lo vive dal suo punto di vista, con i suoi occhi e i suoi paraocchi. A me interessano invece i casi nella loro complessità generale, nel loro generale interesse.

Resta vigile solo Strauss-Kahn?

In termini oggettivi, universali (ovvero a prescindere dalla sorte dell’inidviduo) la questione-Battisti dovrebbe porre sul tavolo un elemento che però sembra essere del tutto trascurato da ogni osservatore.  In Francia se ne è ricordato solo Strauss-Kahn, il notabile socialista democratico che è in quota alle presidenziali con il centrista (e trilateralista) Bayrou. ” Se l’Italia pretende di farsi consegnare i suoi ricercati – ha detto costui – dovrebbe mettere il suo Codice in ordine con la Giustizia internazionale “.

È su questo argomento – piuttosto che sulla persona di Battisti – che si dovrebbero puntare i riflettori; perché, al di là dei singoli casi, i mandati di cattura, i capi d’imputazione e le sentenze politiche di fine anni Settanta e degli anni Ottanta in Italia hanno sconvolto, triturato e sbeffeggiato il Diritto Romano. E sono dell’avviso che tutti dovremmo occuparci di questo. Anche in un caso piuttosto sinistro come quello di Battisti. Sono del parere che dovremmo condurre una battaglia in quella direzione, una battaglia davvero trasversale. Eppure non è così che si ragiona. Ci si spertica a difendere o ad accusare Battisti in quanto tale. Un mostro o un perseguitato. O comunque un mostro inveterato e incurabile o un ” compagno ” che sbagliò…

Le fazioni ultrà

Ogniqualvolta si presenti un ” caso “ tutti, a destra come a sinistra, si mettono ad angelizzare o a issare sul rogo il singolo individuo magari senza conoscerlo né sapere granché di lui o dei capi d’imputazione che gli vengono contestati. Nessuno più ha la visione complessiva del fenomeno né si preoccupa di come esso si integri nella declinazione politica e giuridica del nostro comune futuro immediato. Le fazioni ” ultrà ” vivono questi eventi come se fossero partite di calcio, i loro risultati come se si trattasse di punteggi acquisiti o subiti e non, piuttosto, di precedenti che si riversano poi sul capo di ognuno di noi, senza eccezione. E così facendo ognuna di esse permette la consumazione di ogni misfatto, perché a turno plaude a quelli subiti dall’altro club dell’estremismo virtuale. E quando poi viene il suo turno la meccanica che si mette in moto è la stessa sia pure a parti rovesciate. E il risultato è devastante. Per tutti.

Battisti… e Touvier? Battisti e Papon

In Francia gli esempi di questa puerilità isterica si sprecano. Gli stessi che oggi strillano in difesa di Battisti e si scandalizzano per i suoi diritti calpestati batterono allegramente le mani quando, anni addietro, il miliziano Paul Touvier venne condannato per ” crimini contro l’umanità ” per il presunto omicidio di due resistenti, il tutto dopo la sorprendente e disinvolta cancellazione della grazia presidenziale ottenuta venti anni prima! Quelli che giubilano per l’arresto dell’assassino gauchiste si sono invece rattristati tantissimo per le disavventure di Maurice Papon. Il quale fu condannato e carcerato, benché avesse superato i limiti d’età consentiti dalla legge francese, per aver partecipato al rastrellamento degli ebrei durante Vichy. Va detto che Papon era funzionario di polizia, che come tale partecipò a ogni genere di vessazione prima contro i resistenti, poi contro i collaborazionisti, servì in seguito ogni potere (restando coinvolto nella repressione sanguinosa dei moti pro-algerini di Parigi) fino alla pensione. Se si fossero difesi i diritti di Papon a prescindere dal personaggio, che tutto era meno che gradevole, se cioè ci si fosse messi a difendere i suoi diritti, ovvero a sottolineare la non certezza delle prove a suo carico e il fatto che non avesse comunque più l’età per essere recluso, non avrei nulla da ridire. Ma l’estrema destra francese, esattamente come oggi l’estrema sinistra fa con Battisti, s’identificò nel personaggio ; tutti si identificano in personaggi dai quali farsi rappresentare il men che si può dire è che non sia gratificante.

Meglio non conoscere la risposta…

Cosa dire degli uni e degli altri? Perché difendere Battisti e non Papon, Papon e non Battisti? Il senso di scuderia e lo spirito di parrocchia accecano talmente da far credere a ciascuno che ” il suo ” è innocente e ” l’altro ” è colpevole? Sempre? Comunque? O piuttosto i delitti del proprio sono sempre e comunque veniali e quelli dell’altro sempre e comunque imperdonabili? O tutto questo nasconde una complicità obliqua con i delitti commessi dal ” proprio paladino ” che vengono tacitamente considerati leciti, o comunque resi impunibili da un’auto-ipnosi fideistica che assolve tutto? Del genere : ” le mie motivazioni di giustizia sociale perdonano ogni cosa “. O, magari, c’è anche di peggio?  Temo di conoscere la risposta. Una risposta che nulla ha a che fare con la giustizia e con il bene comune.

Tribù virtuali e Cosa Grigia

La visione d’insieme, i diritti e i doveri (dell’uomo, delle istituzioni, dell’individuo, della comunità) : tutto questo è fondamentale. Come lo è il dogma, oramai praticamente abbandonato, che recita ” meglio un colpevole in libertà che un innocente in galera “. Il fatto che la giustizia non venga manipolata, la certezza che i diritti della difesa siano sempre rispettati (o che, in subordine, se ciò non avvenisse, che questo accada in ” stato d’emergenza ” e che il medesimo stato d’emergenza sia preludio a normalizzazzioni da amnistia e non preveda persecuzioni internazionali), tutto ciò si trova a fondamento di qualsiasi concezione di Polis. È questo che ci dovrebbe premere, non altro. O almeno è questo che ci dovrebbe premere prima di ogni altra considerazione in merito. Ma non succede. Schiavi del protagonismo da schermo, coinvolti nella sindrome del televoto, non ragioniamo così, mai. Quasi vivessimo in tribu primitive e ciascuno di noi fosse il grande capo di un’orda sanguinaria, abbiamo la tendenza a esaltare o a squartare tizio o caio. E intanto, mentre godiamo o soffriamo coinvolti da lontano in orge di cui siamo solo cornice, quegli altri, quelli ” alti “, ci smembrano tutti quanti, giorno dopo giorno. Gli esempi si sprecano : dal calcio alla politica, dal pensiero alla parola, dal costume alla critica, ogni minuto che passa la Cosa Grigia ci toglie un po’ di più la libertà elementare. Della Cosa Grigia ci dovremmo preoccupare e non di Battisti, non di quanto ci disgusti o piaccia.

Una questione per tutti

Questa riflessione la rivolgo a tutti. In particolare questa volta ce l’ho con la sinistra ben più che con i miei. Che dalle nostre parti si provi disprezzo per Battisti non lo trovo né sorprendente né criticabile. Certo, che non si riesca ad interpretare il suo caso in un’ottica generale e, quindi, a fare astrazione del disprezzo per l’individuo fino a prendere una posizione costruttiva e politica, è sicuramente disdicevole. Certo, se s’impostasse il caso Battisti nel quadro di quelle datate irregolarità di cui anch’egli è stato oggetto e che si protraggono ancora oggi, sarebbe cosa ottima. Certo, se a farlo fossimo noi che non siamo parte in causa, questo sarebbe sorprendente e particolarmente efficace. Ma come pretenderlo? E da quale pulpito condannare l’atteggiamento opposto?

Voi che difendete Battisti

Vorrei chiedere ai garantisti battistiani : come fate? Come fate a difendere Battisti ma a lasciare che passino leggi che impediscono di redigere tesi storiche scorrette. Come fate a lasciar gettare in carcere un David Irving per aver sostenuto (si badi bene) di ” non aver trovato documentazione sull’Olocausto “? Come fate? Come fate a difendere Battisti ma a lasciar passare le violazioni di ogni diritto nei confronti di un uomo, Eric Priebke, che contro ogni principio giuridico è stato processato tre volte per lo stesso delitto, tenuto di forza in carcere una volta assolto e poi recluso all’ergastolo per un crimine improponibile. Un ufficiale che partecipa a una decimazione non viola alcuna legge. E questo lo sappiamo tutti. Come fate a dormire tranquilli mentre colui che provocò le Fosse Ardeatine, massacrando trentatre soldati disarmati e qualche civile romano, fra cui un bambino, è Medaglia d’Oro alla Resistenza? Complimenti!

Come fate? Come fate a difendere Battisti e a non profferire parola in difesa di Luigi Ciavardini contro il quale sono stati montati processi farsa talmente grossolani da essere inimmaginabili persino in casi oramai emblematici alla Sacco e Vanzetti?

Gorghi e sirene

Come fate? Di cosa vi lamentate? Non prendetevela più di tanto se venite pian piano ridotti a poltiglia, e per di più dai vostri compagni stalinisti al caviale. Lo avete voluto voi!  La questione è ben semplice : o tutti liberi o tutti morti, tutti naufraghi nel mare din cui domina il dio globale degli abissi.

E allora : siamo disposti a difendere TUTTE le libertà e TUTTI i diritti o preferiamo farci spazzare via? E stavolta mi rivolgo di nuovo a tutti, anche ai miei. Siamo disposti a difendere la libertà e la civiltà senza fossilizzarci nelle simpatie individuali, nell’esclusivismo di fazione, nella politica-tifo? Siamo disposti a batterci a tutto campo o preferiamo lasciarci camminare sulla testa, lasciarci stendere a tappeto, lasciarci umiliare, imbavagliare, annientare? Vogliamo navigare su questo mare o essere inghiottiti dai suoi gorghi? Siamo disposti, per sopravvivere, ad aprire gli occhi e a non ascoltare il canto delle sirene che ci trascina inebetiti e beoti sul fondo? Temo di conoscere la risposta, miei cari morituri di ogni schiera e bandiera.

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fonte:  http://www.gabrieleadinolfi.it/

La gente di Gaza torna libera. E disperata

REPORTAGE – Nella striscia: cosa resta dopo i bombardamenti

Finita la censura imposta di Israele, meno controlli di Hamas: i palestinesi raccontano il loro dramma

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dall’inviato del Corriere

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GAZA – E’ un momento unico questo per i giornalisti nella striscia di Gaza. Dopo mesi e mesi di chiusura imposta dagli israeliani e di censura sui media locali da parte delle autorità di Hamas, la regione è aperta. La popolazione sembra più incline a parlare del solito. C’è scoramento, rabbia, dolore, confusione. E soprattutto torna a galla l’antica guerra fratricida tra Fatah e Hamas. L’autorità di Hamas è messa in dubbio. Solo nelle ultime 24 ore i suoi poliziotti armati, informatori e miliziani sono tornati a farsi vivi per le strade. E comunque tendono a restare in disparte, meno intrusivi di prima. L’emergenza bombardamenti è al massimo. E le priorità del dopoguerra trionfano sul resto. Dunque si può lavorare. I giornalisti possono muoversi, raggiungere zone che erano sbarrate sino a poco fa.

Un polizitto di Hamas a Gaza (Ap)
Un polizitto di Hamas a Gaza (Ap)

SFOGHI CONTRO LA GUERRA – Non è difficile sentire pareri di fuoco contro Hamas, contro le debolezze e la corruzione di Abu Mazen, contro il fatto che questa è stata una guerra stupida, inutile, perdente in partenza. «La guerra si fa quando si può vincere. Altrimenti perché battersi?» dicevano ieri scorati un gruppo di pescatori. In uno dei caffè più frequentati dagli studenti dell’Università Islamica sostenevano di essere vittime di Hamas e dei Fratelli Musulmani, sostenevano che ancora una volta i palestinesi sono stati vittime di giochi decisi a tavolino altrove. E’ possibile cogliere il mutare delle opinioni quasi in tempo reale. Nei primi giorni della guerra sembrava prevalere il consenso. La popolazione, esasperata da oltre due anni di embargo e chiusura imposta da Israele (con la collaborazione egiziana), vedeva nel tiro di missili sul Negev un più che legittimo gesto di rivolta.

GLI EFFETTI DELLA PUNIZIONE COLLETTIVA «Meglio morire subito combattendo, che strangolati lentamente dalla chiusura israeliana. Gaza è diventata una gigantesca prigione a cielo aperto», dicevano in tanti. Anche i più critici con Hamas tendevano comunque a plaudire la vendetta armata. Poi però queste opinioni sono cambiate. Il massiccio bombardamento israeliano è stato terrificante. Un vera operazione di punizione collettiva anche contro i civili, che in certi casi rasenta il crimine di guerra. Il messaggio è stato chiaro, evidente per tutti: dovete assolutamente bloccare Hamas, sappiate che qualsiasi zona dove operano i loro miliziani, specie quelle da dove sparano i missili, potrà venire colpita e rasa al suolo. E’ vero. Quasi sempre, specie nelle zone urbane di frontiera, Israele ha notificato la popolazione con qualche ora di anticipo che avrebbe bombardato. Lo ha fatto con i volantini dal cielo (come avveniva in Libano nel 2006), ma anche utilizzando la rete telefonica locale mandando sms sul sistema Jawwal. Pure, poche ore dopo il bombardamento è stato letale, le incursioni di carri armati e squadre speciali dell’esercito brutali. Durante l’azione militare Israele non ha guardato in faccia a nessuno. Ne abbiamo fatto le spese anche noi, quando con la nostra macchina a metà gennaio siamo stati presi di mira da una pattuglia della fanteria nella zona di Netzarim. Ci hanno sparato contro per due ore, pur vedendo che, dopo le prime raffiche, noi non rispondevamo affatto al fuoco, anzi gridavamo che eravamo giornalisti da dietro una duna. Solo una lunga serie di telefonate con i portavoce militari a Gerusalemme, mentre ancora a Netzarim ci sparavano contro, ha permesso infine la nostra fuga. Ma cosa sarebbe successo a una qualsiasi famiglia palestinese? Quel fatto ci ha fatto capire in diretta la logica delle regole di ingaggio israeliane in questo conflitto.

IL MESSAGGIO DI ISRAELEE’ stata un’operazione mirata non tanto a distruggere l’apparato

Un palestinese in preghiera (Reuters)
Un palestinese in preghiera (Reute

militare di Hamas, che per il suo carattere di guerriglia mischiata alla popolazione è ben difficile da annientare, quanto a convincere i palestinesi che d’ora in poi non solo il sostegno ad Hamas, ma anche la sola esistenza di questa organizzazione tra le loro terre, rappresenta un pericolo. E’ ancora difficile capire se Israele abbia avuto successo. Appare però sempre più evidente il malcontento di Gaza. La popolazione è scorata, confusa. C’è chi parla apertamente con nostalgia dell’”età dell’oro” 1967-1987, il periodo precedente la prima intifada, quando c’era sì la repressione militare dell’occupazione israeliana seguita alla Guerra dei Sei Giorni. Ma c’era anche il benessere economico, la possibilità per ogni palestinese di viaggiare in auto da Khan Yunis ad Haifa, Tel Aviv, Gerusalemme. Ci è capitato di sentire più volte negli ultimi giorni gli abitanti di Gaza dire che allora, prima della “stupida e inutile intifada contro i sionisti”, i “nostri datori di lavoro ebrei erano amici, ci pagavano bene, venivano a visitarci qui nelle nostre case e noi andavamo nelle loro”. Dichiarazioni impensabili solo sino a un mese fa, specie qui a “Hamastland” nel cuore di Gaza. Probabilmente sono sentimenti solo temporanei, passeranno presto. Al loro fianco convivono le grida di vendetta, la radicalizzazione dei giovani che oggi, di fronte ai morti e alle case distrutte, chiedono una “nuova guerra santa” e glorificano gli “shahid” morti combattendo. Ma è comunque un momento magico per cogliere tutti questi sentimenti contrastanti. Questo è il momento per raccontare Gaza.

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Lorenzo Cremonesi
23 gennaio 2009

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fonte: http://www.corriere.it/esteri/09_gennaio_23/gaza_libera_lorenzo_cremonesi_91d51cbe-e927-11dd-8250-00144f02aabc.shtml

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Palestinians inspect the rubble of buildings in the eastern area of Jebaliya after Israeli troops withdrew from the northern Gaza Strip, Sunday, Jan. 18, 2009.


A Palestinian boy walks between a dead cow and a destroyed house in Jebaliya refugee camp, northern Gaza Strip, Sunday, Jan. 18, 2009.


Piles of furniture are seen outside a destroyed house in the Zeitoun neighborhood in Gaza City, Sunday, Jan. 18, 2009.

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fonte: http://empire.blogsome.com/2009/01/19/dag-23-fotos/

Firmato contratto scuola e ministeri. La Cgil dice no: “Sciopero”

Statali, via libera definitivo alle nuove norme per il 2008-2009
Cgil e Fiom: “Servizi a rischio. Il 13 febbraio scenderemo in piazza”

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"Sciopero"Il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani

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ROMA – Via libera definitivo al contratto dei ministeri e della scuola, per il biennio economico 2008-2009. La stipula, dopo l’ok del governo e della Corte dei Conti, è avvenuta stamattina all’agenzia per la rappresentanza negoziale delle P.A. I contratti, per entrambi i comparti, non sono stati sottoscritti dalla Cgil. Per quanto riguarda il contratto relativo al personale dei ministeri anche Rdb-Cub e Cse non hanno firmato. La Cgil ha confermato lo sciopero per il 13 febbraio, insieme alla metalmeccanici della Fiom. “Il futuro dei servizi è messo in discussione dalle politiche dei tagli del governo. Scendiamo in piazza, unitamente alla Fiom, anche contro le scelte economiche del governo che non danno le garanzie che servono ai lavoratori per fronteggiare la crisi. Entrambe le categorie sono impegnate ad ottenere garanzie certe” dice il segretario nazionale della funzione pubblica della Cgil, Alfredo Garzi.

Il testo dell’accordo, che ha una forma sperimentale per i prossimi quattro anni, racchiude in 19 punti le nuove regole della contrattazione collettiva che sostituiscono l’accordo siglato nel 1993 dal governo presieduto allora da Carlo Azeglio Ciampi.

Le maggiori innovazioni prevedono che il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria avra’ durata triennale, tanto per la parte economica che normativa. Per quanto riguarda la dinamica degli effetti economici sugli aumenti salariali, si stabilisce di individuare un indicatore della crescita dei prezzi al consumo assumendo (in sostituzione del tasso di inflazione programmata) un nuovo indice previsionale costruito su base europea.

Infine, annuncia Garzi, si terrà il 9 e il 10 febbraio un referendum tra i lavoratori dei ministeri, delle agenzie fiscali e degli enti pubblici non economici sulle ipotesi di contratto e sul contratto stipulato oggi.

“L’indicazione che daremo – spiega Garzi – è di esprimersi in modo contrario. Sono contratti che non garantiscono nè difendono le retribuzioni rispetto all’inflazione, nè sono in grado di ridare i soldi del salario accessorio che la legge 133 ha sottratto ai dipendenti pubblici, con i primi effetti sulle buste paga già da gennaio”.

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23 gennaio 2009
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Lampedusa, migliaia in piazza contro il centro espulsioni: scontri con polizia

Il PD: «Nel centro situazione drammatica: violati i diritti dell’uomo»

Sciopero generale sull’isola, tensione tra il prefetto e il sindaco

Alcuni extracomunitari mescolati alla folla

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Extraxomunitari accalcati ai cancelli del Centro di prima accoglienza
Extraxomunitari accalcati ai cancelli del Centro di prima accoglienza

LAMPEDUSA – Alta tensione a Lampedusa. A scatenare la rabbia e le proteste degli abitanti è la decisione del ministro dell’Interno, Roberto Maroni, di realizzare un Centro per l’identificazione e l’espulsione degli immigrati. Sull’isola è scattato lo sciopero generale proclamato dal consiglio comunale e dal comitato «Sos isole Pelagie». I manifestanti – circa 4 mila secondo gli organizzatori, 2.500 per le forze dell’ordine – hanno bloccato un pullman che stava trasportando un gruppo di 110 persone dal Cpa alla ex base Loran della Nato, dove è prevista la nuova struttura. Alcune decine di extracomunitari sono usciti dal Centro di prima accoglienza, mischiandosi ai manifestanti davanti alla struttura di contrada Imbriacola insieme al sindaco, Bernardino De Rubeis. Ci sono stati scontri con le forze dell’ordine si sono schierate in tenuta anti sommossa.

Dario Franceschini con il sindaco Dino De Rubeis
Dario Franceschini con il sindaco Dino De Rubeis

SCONTRI E TENSIONE – I manifestanti hanno impedito il passaggio di un’auto su cui viaggiava il prefetto Mario Morcone, il funzionario del Viminale che guida il Dipartimento immigrazione. Alcuni presenti hanno detto di essere stati caricati dalla polizia: feriti due ragazze e un minorenne, accompagnato alla Guardia medica dal padre che ha annunciato un’azione legale (in audio la madre del 16enne). Un episodio smentito dal questore di Agrigento, Girolamo Di Fazio, che coordina sull’isola i servizi di ordine pubblico e secondo cui non c’è stata alcuna carica. Diversa la posizione del sindaco De Rubeis: «Se qualcuno ha sbagliato, verrà denunciato – ha detto ai manifestanti -. So che l’agente che ha usato il manganello è stato identificato». Il sindaco ha invitato la popolazione «a non accettare provocazioni»: «Chi usato il manganello è un incosciente».

LITE PREFETTO-SINDACO – C’è stato anche uno scontro verbale tra il prefetto Morcone e De Rubeis, che accompagnava la delegazione del Pd al Cpa (in audio la lite). Morcone si è lamentato con il capo della delegazione, il vice segretario del partito Dario Franceschini, della tensione creata tra gli ospiti del centro dalle incitazioni dei manifestanti all’esterno della struttura. De Rubeis è intervenuto a difesa della manifestazione ed è scoppiato un litigio in cui il prefetto lo ha definito «un ospite sgradito». In serata la situazione è tornata sotto controllo ma il sindaco ha sollecitato l’intervento dei carabinieri in sostituzione della polizia. «Stiamo tornando alla normalità – ha commentato il prefetto -, anche se c’è ancora un po’ troppo movimentismo, soprattutto da parte delle autorità locali». Morcone conferma che la ex base Loran sarà predisposta per ospitare un Centro di identificazione ed espulsione, anche se vi sono ospitate un’ottantina di donne. Quanto alla discussione con il sindaco, il capo del Dipartimento commenta: «Non spetta a me dare giudizi. Ma mi sembra che ci sia troppo movimentismo, con comportamenti che hanno creato grossi problemi e impedito il ritorno alla normalità».

«STRUTTURA OPERATIVA» – Il ministro Maroni ha comunque confermato che il centro per l’identificazione e l’espulsione degli immigrati clandestini è ormai operativo. «Sono già stati trasferiti lì i primi extracomunitari per l’identificazione – ha detto Maroni -. Al Consiglio dei ministri ho fatto presente la decisione di mantenere i clandestini nell’isola, per rimpatriarli direttamente, e sono soddisfatto che si sia accolta la nostra linea di rigore». Il responsabile del Viminale ha spiegato che a Lampedusa ci sono al momento 1.677 extracomunitari: dal primo gennaio ne sono stati rimpatriati 150, tra egiziani e nigeriani.

LA DENUNCIA – Decine di extracomunitari, alla vista della delegazione del Pd e dei giornalisti in visita nel centro, si sono ammassati contro la recinzione chiedendo aiuto e denunciando di essere stati malmenanti dai carabinieri mentre tentavano di fuggire dal centro. «Pensavamo che l’Italia fosse il Paese delle libertà – racconta un tunisino di 31 anni – e invece ci tengono prigionieri qui dentro da 40 giorni. Dormiamo in 30 dentro una stanza, il cibo è scarso, i materassini su cui ci stendiamo sono bagnati fradici. Abbiamo pagato 1200 euro perché cercavamo un futuro». Il prefetto Morcone smentisce i maltrattamenti: «Non capisco a cosa si riferiscano. La disperazione porta a giocarsi qualsiasi partita (ascolta l’intervista audio del nostro inviato Alfio Sciacca)». «Gli immigrati ci hanno detto che dentro li hanno trattati male – ha però rilanciato Salvatore Cappello di “Sos Pelagie” – non li fanno mangiare e altre cose gravi». Cappello ha poi affermato che «le tv presenti qui hanno ripreso tutto, vediamo se avranno il coraggio di mandare in onda le immagini». Duro il commento del vicesegretario del Pd, Dario Franceschini: «La situazione qui nel centro è drammatica: sono violati i più elementari diritti dell’uomo» (ascolta l’intervista audio).

ONU: «SITUAZIONE CONFUSA» – Laura Boldrini, portavoce in Italia dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), parla di situazione confusa. «In una giornata convulsa e trascorsa all’insegna delle tensioni è difficile avere un quadro chiaro di quello che sta succedendo – ha detto -. Ci sono stati tre trasferimenti, di circa 250 richiedenti asilo, verso il centro di Bari. Questo rappresenta certamente un fatto positivo, che diventa tuttavia difficile da valutare in un contesto così confuso». La portavoce dell’Unhcr ricorda che «sono state trasferite nella ex base Loran, definita dal consiglio dei ministri un Centro di identificazione e di espulsione, un gruppo di donne, molte delle quali sono richiedenti asilo. E questo appare incomprensibile, a meno che la decisione non sia stata motivata dalla necessità di trovare uno spazio adeguato ed evitare il sovraffollamento e la promiscuità del Centro di prima accoglienza». Una denuncia arriva anche da Save the Children, «per le sempre più critiche condizioni del Centro di soccorso e prima accoglienza». L’organizzazione parla di «crescente e preoccupante tensione sia fra i migranti ospitati – costretti a un illegittimo allungamento dei tempi di permanenza (che per legge non dovrebbero superare le 48 ore) -, sia nella popolazione dell’isola che sta protestando da diversi giorni». In particolare, per i minori, Save the Children ravvisa il pericolo che possano venire erroneamente identificati come adulti sulla base del solo accertamento medico (la radiografia del polso), immediatamente trasferiti nel Cie e rimpatriati, senza la possibilità di appellarsi contro la decisione relativa alla loro identificazione.

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23 gennaio 2009

fonte: http://www.corriere.it/cronache/09_gennaio_23/lampedusa_tensione_immigrati_cpt_5371d0d6-e952-11dd-8250-00144f02aabc.shtml