Corruzione ‘percepita’, esce il rapporto: Italia retrocessa prende un quattro

https://i0.wp.com/www.rifondazionelazio.it/files/storace.jpg

Transparency, L’Organizzazione mondiale contro la corruzione boccia l’Italia:55esimo posto

Il nostro paese fa un salto all’indietro, sotto accusa soprattutto la gestione della sanità

.

ROMA – Corruzione reale o percepita? Transparency, L’Organizzazione internazionale contro la corruzione divulga oggi in tutto il mondo il rapporto di aggiornamento dell’Indice di percezione della corruzione 2008 (CPI). Lo studio segnala una brusca retrocessione della ‘corruzione percepita’ per l’Italia, che prende un voto di 4,8 su 10.

Nella graduatoria mondiale l’Italia si colloca al 55esimo posto, preceduta da Cile (23esimo), Corea del Sud (40esimo) e Costa Rica (47esimo). In cima alla classifica della trasparenza ‘percepita’ si confermano i soliti virtuosi: Danimarca, Nuova Zelanda e Svezia. Al quarto posto c’è Singapore. Germania, Gran Bretagna, Francia e Spagna occupano rispettivamente il quattoridcesimo, sedicesimo, ventitresimo e ventiottesimo posto. In fondo alla classifica di 180 paesi c’è la Somalia. L’Italia, dunque, si trova tra le ultime del terzo superiore, quello dei paesi più avanzati.

L’indice è ottenuto sulla base di complessi studi statistici e ordina i paesi del mondo sulla base del “livello secondo il quale l’esistenza della corruzione è percepita tra pubblici uffici e politici”, secondo la definizione che ne dà la stessa organizzazione. Che definisce la corruzione come “l’abuso di pubblici uffici per il guadagno privato”.

Quanto a scarsa trasparenza, in Italia è la gestione della sanità in cima alla classifica negativa. Afferma Quintiliano Valenti, Vice-Presidente di Transparency Italia: “Ogni singola attività della sanità dovrebbe essere completamente trasparente, proprio per la sua importanza: le scelte, i costi, le graduatorie devono essere visibili e controllabili, in rete, da tutti i cittadini”.

L’organizzazione apprezza la trasparenza impressa dal ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, per “l’esposizione pubblica di molti dati, che consentono ai cittadini di conoscere e giudicare” – afferma la Presidente Maria Teresa Brassiolo. Che però, adesso, vuole un segnale più forte: “chiediamo con insistenza la nomina, con la massima urgenza, del nuovo Sottosegretario alla funzione di Alto commissario per la lotta alla corruzione, in grado di dare all’istituzione la massima stabilità e visibilità anche internazionale”.

.

25 settembre 2008

fonte: http://www.repubblica.it/2008/09/sezioni/cronaca/rapporto-corruzione/rapporto-corruzione/rapporto-corruzione.html?rss

__________________________________________________________________________________________________

https://i0.wp.com/www.tempostretto.it/8/upload/sanita.jpg

Sanità e corruzione: che fare?

.

di Roberto Landolfi

.

Sanità e corruzione

Due i termini che propongo alla riflessione di chi legge: sanità e corruzione. Una prima considerazione sulla sanità: sanità non è sinonimo di salute. Si può essere in buona salute anche senza utilizzare i servizi sanitari, come è ben comunemente detto “una mela al giorno leva il medico di torno”. Che il cibo possa essere medicina lo sapevano già Ippocrate, Galeno e Paracelso. Qualche anno fa invece il governo ha ritenuto di rinominare il Ministero della sanità cambiando il nome in Ministero della salute; a chi sarà venuto in mente? Questa poco brillante idea genera un’enorme confusione. La salute è un fatto individuale e collettivo: alla mia salute ci penso da solo (aiutato se voglio dagli esperti e dal servizio sanitario); l’organizzazione sanitaria, la sanità, è di competenza, in Italia, dello Stato (e dei privati). Sgombriamo il campo dalle ipocrisie: è bene che lo Stato si occupi dell’organizzazione sanitaria e dia consigli (se possibile “discreti”) su come tutelare la salute, in termini di prevenzione, di educazione sanitaria eccetera; ma è meglio, molto meglio che Stato, Regioni, Aziende sanitarie locali (Asl) e Aziende ospedaliere (Ao) si occupino di organizzare servizi utili alle persone, di organizzarli al meglio, con efficienza e qualità; devono occuparsi di sanità.
La seconda considerazione è sulla corruzione: più c’è organizzazione, partecipazione, meno c’è corruzione. La corruzione è un male endemico della specie umana. Occorre pertanto attivare, con sistematicità, i metodi per contrastarla. La corruzione in sanità ha caratteristiche molto particolari: dipende certamente dall’entità dalle risorse finanziarie in gioco. I soldi per la sanità in Italia sono pochi per far funzionare, al meglio, i servizi (giova ricordare che la spesa sanitaria italiana, rapportata al Pil, è al di sotto della media europea). Ma i soldi in gioco sono, in ogni caso, tanti; dovunque c’è molto danaro pubblico c’è anche qualcuno che ci prova… a lucrare, rubare, corrompere. La domanda che viene naturale a questo punto è: esistono sistemi efficaci per contrastare il malaffare in sanità? Certamente sì, ma sono molto complessi da attivare e  ancor più complesso è assicurare continuità al sistema dei controlli una volta attivati. Le stesse Asl e Ao hanno al proprio interno Servizi ispettivi, competenti anche su questioni amministrative e contabili. I controlli esterni vengono effettuati da altri organi dello Stato: data la complessità del sistema dei controlli esistono, non a caso, corpi specializzati delle forze dell’ordine per i controlli in sanità, ad esempio i Nas dei carabinieri e la Guardia di finanza. Ciò nonostante le cronache dei giornali sono piene di notizie su tangenti, arresti di direttori, medici, amministratori, insieme agli onnipresenti politici e a componenti di organizzazioni malavitose. Il fenomeno, ormai da anni, ha caratteristiche ubiquitarie. Parimenti diffuso nelle regioni del nord, centro e sud Italia; diffuso nei policlinici universitari, negli ospedali, nel territorio (distretti e medici di famiglia). Una specie di “mal comune mezzo gaudio” all’inverso. Perché tanta corruzione? Come si fa a contrastarla? è sempre giusto “sbattere in prima pagina” notizie su reati presunti prima che indagini, sempre lunghe ed estremamente complesse, arrivino a conclusioni certe?

Le riforme della sanità

I due temi, organizzazione della sanità e corruzione, non possono essere slegati: più è organizzato in maniera equa e trasparente, il servizio sanitario, più elevato è il grado di partecipazione di utenti singoli e associati,  più è complicato truffare. Più c’è disorganizzazione e sfascio, più le decisioni “calano dall’alto”più è facile che vinca il connubio tra politica malversata e malavita (questa sì) organizzata. Da quest’intreccio nascono le truffe al Ssn, di cui troppo spesso leggiamo sui giornali.
L’organizzazione attuale della sanità pubblica in Italia ha una data d’inizio: il 23 dicembre del 1978 quando venne approvata in parlamento la legge di Riforma sanitaria, una delle poche riforme strutturali, di sistema, avvenute nel nostro paese. Era allora ministro della sanità Tina Anselmi, la quale può vantare di essere stata il ministro capace di promuovere l’istituzione del Servizio sanitario nazionale (Ssn). La riforma ha dato dignità al diritto costituzionale di tutela della salute dei cittadini. Tina Anselmi, intervistata da “Il Sole 24 ore Sanità” nel dicembre 2003, in occasione del venticinquennale dall’istituzione del Ssn, ribadiva un concetto che mette in luce una fondamentale criticità del Ssn. Alla domanda :”dopo tante speranze, oggi cosa possiamo dire che non è stato realizzato e che lascia insoddisfatti?”, rispondeva: “non è stato realizzato e non si sta realizzando il fondamento della Riforma: non c’è partecipazione e non c’è un sistema di controlli che permetta al cittadino, come singolo o come raggruppamento sociale, di vigilare. Non c’è spinta in questa direzione. Dobbiamo stare attenti a non tornare a una politica privatistica ma a volere con intelligenza e con prudenza recuperare le motivazioni e gli obiettivi che c’eravamo posti come politica sanitaria del paese.”
La legge di riforma sanitaria fu in seguito molto criticata in quanto legge “ideologica”, poco attinente alla realtà: si è più volte detto: la 833 voleva dare “tutto a tutti”, senza porsi il problema della scarsità delle risorse; legge estremamente politicizzata, che aveva fatto accedere, a pieno titolo, la politica nella sanità. Proviamo a capire se è del tutto vera quest’ultima affermazione. Per ironia della sorte a succedere al ministro Anselmi, fu Renato Altissimo, esponente del Partito liberale, unico partito presente in parlamento che nel 1978 votò contro la riforma. Una riforma che dette fastidio a molti (come del resto la legge 180 di riforma dei manicomi, la cosiddetta legge Basaglia): leggi figlie del ’68, della cultura politica derivante dai movimenti di piazza, della volontà di partecipazione, della forte critica alle istituzioni realizzata dai movimenti politici extraparlamentari di quegli anni (basti ricordare le esperienze negli ospedali psichiatrici di Trieste, Gorizia, Arezzo, i collettivi sanitari di quartiere,  a Napoli la Mensa bambini proletari, a Giugliano il Centro di medicina sociale). Una bell’idea, ma con troppi sogni, dicono da tempo coloro che non erano e non sono d’accordo con la riforma.
Il passaggio dal vecchio sistema delle mutue (Inam, Empals ecc.) al Ssn scontentava in primo luogo i medici timorosi delle innovazioni: la storia di questi ultimi vent’anni dimostra che hanno avuto torto; grazie alla legge di riforma hanno acquisito grande dignità proprio gli ex medici della mutua (attualmente medici di medicina generale – Mmg) così ben descritti nel film di Alberto Sordi “Il medico della mutua”, sorta di bigliettaio, nel senso che veniva pagato, come si usava dire, a notula, cioè più visite faceva, e più incassava.

Partiti politici e sanità

Il degrado politico e sociale degli anni ottanta ha in seguito lasciato un duro segno anche in sanità: estrema politicizzazione (nel senso di occupazione, da parte dei partiti politici,  degli ospedali) dei Comitati di gestione delle Unità sanitarie locali (Usl), sperpero di danaro pubblico, inefficienza, insostenibilità dei costi, hanno fatto saltare il sistema. Hanno pesato di più dei buoni risultati raggiunti dalla legge 833: unificazione dei percorsi di prevenzione cura e riabilitazione, maggiore equità nella distribuzione delle cure, avvio del sistema dei Lea (livelli essenziali di assistenza) uniformi su tutto il territorio nazionale. Il sistema delle Usl andava quindi cambiato: e fu ancora un ministro liberale Francesco De Lorenzo a modificare l’assetto organizzativo. Nel 1992 si è passati dalle Unità sanitarie locali alle aziende Usl. Furono sciolti i Comitati di gestione delle Usl (di nomina politica) e le Asl hanno un solo capo, il Direttore generale, nominato dalla Regione (e quindi anch’egli di nomina politica). Tutti coloro che lavorano nelle Asl (medici, infermieri, amministrativi ecc.) si lamentano costantemente dell’invasione politica della sanità; essi confondono, con tutta probabilità, la politica con i partiti politici, o con la malapolitica. Hanno però ragione da vendere: l’occupazione politica delle Asl è addirittura superiore all’occupazione politica delle Usl. Nel 1992 il Decreto “De Lorenzo” trasferì tutte le competenze sanitarie alle Regioni. Dal 1992 nuovi soggetti si affacciano al mondo della sanità – gli economisti, gli esperti di aziendalizzazione – e la sanità si avvia a essere trattata come un’azienda, le attività sanitarie a essere regolate dal mercato, si mettono in competizione le strutture pubbliche (ospedali, poliambulatori ecc.) con quelle private (cliniche, centri privati accreditati).
In sanità si cominciò inoltre ad affacciare, per la prima volta, lo spettro del federalismo. La sanità italiana è già un esempio di federalismo compiuto. I promotori del federalismo dovrebbero analizzare a fondo le vicende sanitarie degli ultimi dieci anni, analizzare quanto si sta verificando nelle varie regioni e poi esprime una valutazione se sia o meno opportuno regionalizzare anche la scuola o la polizia. I  danni prodotti dal sistema federale all’italiana (diverso per tradizione e attuazione dal federalismo tedesco) sono, ad avviso di chi scrive,  certamente maggiori dei benefici, con sistemi sanitari regionali molto diversi tra loro, con diversificate regole di accesso ai servizi, con livelli di assistenza non più uniformi su tutto il territorio nazionale. Prima conseguenza diretta ne è l’accentuazione delle disuguaglianze, la migrazione sanitaria verso le regioni dove i servizi sono meglio organizzati (anche se ottimi specialisti esistono anche nelle regioni che hanno ospedali meno organizzati). La competenza è passata dunque alle Regioni, e il cosiddetto “federalismo solidale”, caro ai politici di area progressista, termine palesemente contraddittorio, si è dimostrato difficilmente applicabile nella pratica. Ideologico anch’esso, come la legge di Riforma sanitaria 833 del 1978. Occorrerebbe dunque scegliere, senza ipocrisie, tra rafforzamento del ruolo del Servizio sanitario nazionale o “secessione sanitaria”, quest’ultima gradita solo ad alcuni esponenti del Lombardo-Veneto (parlo di Lombardo-Veneto atteso che il termine padania è un esercizio linguistico senza riscontro normativo o istituzionale). Ogni Regione organizza dunque il proprio Servizio sanitario regionale (Ssr), deve essere autosufficiente, può scegliere di far pagare ticket o ricorrere ad altre forme di fiscalità locale. Estrema politicizzazione, decentramento burocratico, presenza solo formale di meccanismi di partecipazione e controllo degli utenti sono, con tutta probabilità, determinanti e pre-condizioni della diffusione della corruzione in sanità. Con l’aziendalizzazione anche i  medici che si considerano più progressisti hanno rinunciato all’eguaglianza e abbracciato una nuova idea: l’efficienza. Lo Stato ha gli ospedali e ha i debiti; i privati hanno le cliniche e fanno i soldi,  scriveva qualche tempo fa Antonello Caporale su “la Repubblica”, commentando l’ennesima truffa ai danni del Ssn, avvenuta in Puglia. La dirigenza delle Aziende sanitarie e ospedaliere sembra perennemente alla ricerca di strategie per allinearsi a quanto sostenuto dal cardinale Richelieu, quattro secoli fa: “Comando senza avere responsabilità”.

Meglio le ministre

Dopo Tina Anselmi, un’altra donna ministro, Rosy Bindi, ha dato un positivo impulso legislativo alla  sanità pubblica. Rosy Bindi si è fatta promotrice nel 1999 della terza riforma sanitaria, tentando di rimettere al centro della politica sanitaria il bisogno di salute. “Il Ssn ha rovesciato il paradigma dominante nei sistemi governativi con le mutue e le casse malattie e ha collocato al centro della politica il bisogno di salute: grazie alla 833 gli italiani hanno capito che il diritto alla salute non era più un’opportunità legata alla capacità produttiva dei singoli, ma un diritto della persona e un bene della comunità. Un diritto riconosciuto a tutti, senza discriminazioni di reddito, status sociale o culturale, un diritto che oggi appartiene a tutti anche a chi, disperato o clandestino, arriva dal sud del mondo. Si tratta di un principio di giustizia sociale che più di altri ha ridotto lo scarto tra Costituzione formale e Costituzione materiale e ha permesso che i valori di uguaglianza, rispetto delle dignità umana e solidarietà non fossero solo proclamati ma, seppur faticosamente, praticati” (Rosy Bindi in “Il Sole 24ore Sanità”, cit.). Il cosiddetto “Decreto Bindi” pose dunque tutte le condizioni legislative per realizzare, in pratica, trasparenza, equità e partecipazione. Per far fronte allo strapotere delle regole di mercato, anche nel settore sanitario, il servizio sanitario ha bisogno di rigore nell’accreditamento delle strutture e dei professionisti, di diffondere la cultura  del miglioramento continuo della qualità. Al contrario se i governi, nazionale e regionale, essi per primi non dettano regole chiare, minano la legalità, vengono meno alla loro funzione regolatrice del mercato sanitario. Si tornerà a parlare, sempre con maggiore frequenza, di malasanità e dell’intreccio tra affari, salute e politica. è necessario rifondare il rapporto tra politica, responsabilità gestionali e autonomia dei professionisti, realizzare in maniera diffusa il “governo clinico” e la partecipazione degli utenti. La politica deve tornare, in maniera autorevole, alla propria funzione di programmazione e controllo, a partire dalla nomina dei Direttori generali delle Asl. L’autonomia delle scelte dei medici e degli operatori sanitari non devono essere condizionate da interessi di parte, politici, economici, clientelari, ma devono essere al servizio delle persone e degli obiettivi di salute individuali e collettivi.

Utopia e normalità

Una tendenza diffusa tra coloro che governano, dai ministri ai presidenti delle regioni ai direttori generali delle Asl, è inaugurare grandi opere: il modo di far politica degli antichi romani è tuttora presente nel nostro italico genoma: ci si preoccupa sempre delle “grandi opere e difficilmente ci si prende cura di ciò che serve direttamente alle persone, in special modo a coloro che Fanon chiamava “i dannati della terra”. Ai politici piacciono sempre di più le “inaugurazioni”: si è inaugurato un nuovo reparto ospedaliero qui, una Residenza sanitaria assistita un po’ più in la, un Centro antidiabetico e via di seguito. Pochi si occupano invece delle “manutenzioni” che tanto interessano alle persone, agli utenti della sanità, ai medici e agli operatori sanitari. Mantenere costa, in termini di energie e di risorse che devono essere spese, sistematicamente, quotidianamente. Mantenere non è mai spettacolare. Dovremmo ispirarci alla capacità di mantenere le nostre case, dovremmo ispirarci all’economia domestica più che all’economia aziendale (che immancabilmente verte sui “tagli” alla spesa) e riversarla nella manutenzione degli ospedali e servizi sanitari pubblici: spazio comune che essendo di proprietà pubblica meriterebbe maggiore cura.
L’organizzazione di tipo aziendale non è la più consona per gestire servizi socio-sanitari, servizi alle persone. Le regole di mercato mal si adattano alla prevenzione delle malattie e alla riabilitazione delle patologie croniche. Non sempre sono conciliabili economicità ed eticità come ci ricorda Lorenzo Tomatis in un’ editoriale della rivista “Epidemiologia e prevenzione”: “Il fatto di avere una scelta etica come suo fondamento fa della medicina una scienza atipica, non asservibile ai valori di mercato. L’economia oggi detta legge nella sanità e la competitività è di rigore, competitività che spesso rischia di essere spinta fino ai suoi aspetti più crudeli. è giustificato ridurre gli sprechi e le spese inutili ma è inaccettabile che nelle nozioni di spreco siano comprese anche le attenzioni umane e professionali alle quali ogni malato ha diritto se venisse deciso di rinnegare la scelta etica che sta alla base della medicina, qualunque discussione di etica e morale della medicina diverrebbe un inutile perditempo. Per esempio, dopo i 50 anni il beneficio di qualche anno produttivo in più diviene rapidamente inferiore ai costi aggiuntivi della vecchiaia, il che significa che passati i cinquant’anni l’argomento economico in favore della prevenzione perde valore. Se non accettassimo più l’impegno morale della medicina e riconoscessimo una priorità assoluta all’economia, dovremmo escludere dall’assistenza fornita dal Ssn gli ultracinquantenni”.
Occorrerebbe diffondere la conoscenza dell’etica sanitaria fra gli operatori del Ssn, mettere in pratica quanto affermato da Mario Zanetti: “Teniamo presente che anche il sistema sanitario migliore del mondo in cui vi sia il miglior rapporto fra etica ed economia non permetterà, in ogni caso, di evitare completamente disuguaglianze, almeno rispetto alle pari opportunità di accesso. Bisogna quindi sottolineare che l’eventuale contributo a un miglioramento dell’efficienza, dell’efficacia e della qualità del sistema sanitario, unito alla conservazione di gradi adeguati di equità intrinseca a costi contenuti può essere garantito solamente nel caso in cui i medici assicurino la loro collaborazione. Ogni scelta clinica comporta una decisione etica ed economica, e oggi il medico è responsabile di ambedue.”  (Mario Zanetti in “Il sole 24 ore Sanità”, cit.)
Sono conciliabili etica ed economia? Come sostiene Vicente Navarro in un saggio pubblicato su “Qualità Equità. Rivista del Welfare futuro” (1999) dal titolo “La politica alla guida dello Stato sociale”, la salute dipende dalla volontà politica di ottenerla e la sinistra pone soprattutto l’accento sulle cause sociali delle malattie, mentre la destra sull’economia e sulla corretta gestione delle risorse. Sembra però che in parecchi campi oggi distinguere tra destra e sinistra è particolarmente complesso, fatti salvi naturalmente i due estremi dell’ex comunismo in cui è lo stato padrone che decide e gestisce tutto e del cosiddetto “turbocapitalismo deregolato”, come lo definisce il politologo Edward Luttwak nel libro “La dittatura del capitalismo” (Mondadori 1999).
Eticità ed equità, divenute patrimonio diffuso degli operatori sanitari servirebbero certamente ad arginare la corruzione. Parlo di equità (concetto caro agli stessi economisti aziendali) e non di eguaglianza: è opportuno sottolineare che equità è diversa da eguaglianza in quanto la prima è la caratteristica di una determinata “politica” che lo Stato decide di adottare (e che nel nostro Paese non si è ancora, almeno in parte, deciso di adottare concretamente), mentre la seconda è l’effetto di tale “politica” tra i membri della comunità cui essa si applica.
Come ci ricorda John K. Galbraith, le regole di mercato andrebbero riviste di per sé, prima di essere adattate alla gestione dei servizi alla persona: “Il bello del capitalismo e del mercato è che ogni tanto vi accade qualcosa per cui il danaro viene separato dai cretini. Il brutto del mercato è che troppo spesso esso tollera un numero eccessivo di spudorati imbroglioni” (da Riccardo Staglianò, “Cattive azioni. Come analisti e banche d’affari hanno creato e fatto sparire il tesoro della new economy”, Editori Riuniti 2003).

Corruzione e democrazia

Un esempio d’intervento per diffondere la cultura della legalità, esempio difficile, complesso da realizzare, ma possibile, può essere tratto dal lavoro realizzato nella cittadina di Chelsea. Finora nessuna formula adottata, di lotta alla corruzione in sanità ha portato a risultati concreti e duraturi. Formule basate sulla repressione, sull’efficientismo, possono essere utili per far fronte a situazioni particolarmente gravi. Occorre, a mio avviso, lavorare a partire da modelli diversi, diffondendo trasparenza, democrazia, partecipazione tra gli operatori sanitari. Un’ottima riflessione al riguardo può essere fatta a partire dal libro di Susan L. Podziba, “Chelsea story. Come una cittadina corrotta ha rigenerato la sua democrazia” (Bruno Mondadori 2006). All’inizio degli anni novanta Chelsea nel Massachussetts era considerata una delle cittadine più corrotte e clientelari d’America tant’è che la sua gestione venne affidata provvisoriamente alla Boston University. I cittadini furono messi in grado di partecipare alla stesura di un nuovo statuto, decidendo sulle nuove regole da rispettare, sul funzionamento della pubblica amministrazione: raro esempio di partecipazione dal basso che ha consentito di passare da una gestione corrotta alla riconquista della normalità. L’esperienza di Chelsea offre degli interessanti spunti che potrebbero essere importati in vasti settori della pubblica amministrazione italiana e al settore sanitario in particolare. Quando si è in una fase di crisi, di cambiamento bisogna rispondere allargando la democrazia e la partecipazione, questa è una prima risposta all’inefficienza e alla corruzione. Nell’esperienza di Chelsea alcune persone, indicate da altri come persone di cui ci si poteva fidare vennero addestrati a fare i facilitatori alle riunioni. Compito principale dei facilitatori, oltre a redigere un buon rendiconto di ogni incontro, era quello di far valere un atteggiamento di ascolto attivo nel quale si assumeva che tutti quelli che intervenivano, pur portando tesi diverse, alle volte opposte, aiutavano a capire meglio la situazione. Fu ripensato il concetto di “pubblico” che non era solo lo Stato ma la pluralità degli attori presenti nella società impegnati a risolvere un problema comune. Si mise al centro della nuova dimensione di scelta pubblica la figura dell’immigrato, come persona reale che vive fuori casa e vive abitudini che non capisce. La figura dell’immigrato vista anche come metafora: in un certo senso sono molti i delocalizzati che hanno il problema di costruire e valorizzare uno spazio pubblico comune.
Non è possibile paragonare Chelsea a un ospedale, ma alcuni aspetti di quell’esperienza potrebbero essere trasferiti: ad esempio la partecipazione come metodo, le riunioni con facilitatori, la formazione alla legalità, la scelta etica di mettersi al posto (in senso evidentemente metaforico) dell’assistito e cercare soluzioni condivise a problemi comuni. Se si pensa alla prevenzione, oltre che alla repressione, della corruzione non vedo quali altri possano essere gli strumenti a disposizione. Va tenuto inoltre  conto anche delle differenze geografiche, regionali: tutto si complica nelle Regioni del sud (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia) dove la malavita organizzata è più diffusa e la cultura dell’illegalità più radicata. Non solo nel settore sanitario, evidentemente.

Che fare?

Ancor più, dunque, nelle regioni del sud, occorre individuare strategie vincenti per tagliare alla radice l’intreccio tra potere politico e lottizzazione dei primariati, forniture e convenzioni coi privati. Molti degli scandali emersi ultimamente sulla sanità evidenziano che occorre agire efficacemente contro le prassi che moltiplicano costi, sprechi e ruberie di ogni genere, come descritto in maniera analitica da Ivan Cavicchi nel suo ultimo libro “Malati e governatori, un libro rosso per il diritto alla salute” (Dedalo 2006).
Da pochi mesi si è insediato un nuovo governo: abbiamo un’altra ministra: Livia Turco. Avrà l’audacia di continuare sul solco tracciato da Tina Anselmi e Rosy Bindi? Riuscirà a non farsi sommergere dal Ministero del tesoro? La capacità di imporre sacrifici, tagli alla spesa pubblica, sanitaria e sociale, dei governi di centro sinistra è stata, nell’ultimo decennio, di gran lunga superiore a quella dei governi di centro destra. Riuscirà a difendersi dagli attacchi che le verranno portati (da molti dei “suoi” di governo e dall’opposizione); riuscirà a mettere al centro della sua attività di governo la valorizzazione delle “buone prassi” e la lotta alle disuguaglianze? Ritengo siano questi i punti centrali su cui misurare l’attività della nuova ministra. Ne sapremo di più nei prossimi mesi. Per ora non c’è che da esser soddisfatti delle prime intenzioni: in Commissioni affari sociali, infatti, la ministra Turco ha presentato un “Piano per la promozione ed equità della salute dei cittadini” centrato su nove parole chiave: Fiducia, Qualità, Umanizzazione, Unitarietà del sistema, Responsabilità, Legalità, Cultura dei risultati, Politiche delle alleanze, Europa-Mondo. Tutte buone idee e chiare. Sulla Legalità, afferma che deve tornare a essere un principio guida universale nei comportamenti individuali, nelle pratiche concorsuali e contrattuali, nelle negoziazioni per l’appalto di forniture e servizi. Le premesse ci sono tutte. è necessario però abbandonare ogni prudenza. Sulla questione della legalità è necessario che arrivino segnali chiari e decisi alla periferia del sistema sanitario. Perché, ad esempio, non proporre sperimentazioni gestionali per la diffusione della cultura della legalità in alcune Regioni o Asl? Si potrebbe cominciare proprio dalle Regioni del sud, dove il fenomeno illegalità/irregolarità è più diffuso; si potrebbe, in esperienze, dapprima limitate, sperimentare il “metodo Chelsea”. Servono coraggio, lungimiranza, tenacia.  Bisogna sperimentare e ri-creare modelli e condizioni organizzative affinché la lottizzazione esca definitivamente dalla sanità. Se, per far ciò, è necessario arrivare a un cambiamento di sistema, che ben venga. Si arrivi a un nuovo modello organizzativo che, dopo le stagioni delle Usl e delle Asl, rimetta al centro gli utenti e i loro bisogni di salute. Occorre riversare nell’organizzazione della sanità il metodo individuato da Karl Popper per la ricerca scientifica: “Audacia nelle congetture, estremo rigore nelle confutazioni”.

.

fonte: http://www.lostraniero.net/agosto06/landolfi.html

2 risposte a “Corruzione ‘percepita’, esce il rapporto: Italia retrocessa prende un quattro”

  1. Matteo dice :

    Quante parole, mi sembra un problema molto, ma molto vecchio. So per contrastarlo, le ultime iniziative sono le limitazioni alle intecettazioni telefoniche, il patteggiamento, la prescrizione rapida, l’immunità pratica.

    Vorrei fare una sola domanda:
    Chi è andato in galera negli ultimo 20 anni, tranne Cusani?

Lascia un commento