Archivio | giugno 12, 2008

La spoon river dei lavoratori: in Sicilia 42 morti in sei mesi

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di Antonio Fraschilla
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L´accusa dei sindacati: “Mancano gli ispettori”
Il settore più colpito è quello dell´edilizia, molti infortuni anche nel pubblico
Ausl e amministrazione regionale non hanno personale per i controlli

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Orazio Linguanti di Ragusa, Giuseppe Caracausi di Villabate, Gaspare Maganuco di Gela, Giovanni Berretta di Mirabella Imbaccari. E da ieri i sei operai di Mineo. La Spoon River delle morti bianche siciliane è arrivata a quota 42 soltanto da gennaio di quest´anno. Centodue i morti nel 2007. Altri 85 nel 2006. Tutti operai fulminati mentre riparano impianti, maciullati dentro le macchine che trebbiano il grano o caduti da una impalcatura. «Un´ecatombe senza fine, una vera emergenza», dicono adesso in coro tutti i rappresentanti delle istituzioni, ma i sindacati attaccano: «Colpa di un sistema senza controlli, con la Regione senza ispettori e nessuna vera battaglia al lavoro nero».

Questa ecatombe nell´Isola registra numeri simili ad una vera e propria guerra. Gli infortuni sul lavoro nelle 480 mila aziende siciliane sono stati da gennaio a maggio di quest´anno già 15 mila, nel 2007 sono stati 40 mila, nel 2006 invece 34 mila. Il settore più a rischio è quello edile: «Senza contare i morti di Mineo siamo arrivati nei primi mesi del 2008 già a 11 morti tra gli operai di cantieri siciliani, una cifra impressionante se si considera che nel 2007 in tutto sono stati 12», attacca Franco Tarantino, segretario della Fillea Cgil di Palermo.

A febbraio un operaio di 32 anni, Gaspare Maganuco di Gela, dipendente di una impresa edile, è morto precipitando dall´impalcatura mentre stava lavorando alla costruzione di una galleria artificiale dell´autostrada Siracusa-Catania. Qualche giorno dopo invece è stata la volta di Giovanni Berretta, operaio di 41 anni morto cadendo dal tetto della villetta dove stava facendo alcuni lavori di ristrutturazione. Era di Mirabella Imbaccari, un paese del calatino a due passi da Mineo. Berretta, che lavorava in proprio e non aveva nemmeno una partita Iva aperta, era privo di qualsiasi forma di protezione. Il 15 maggio scorso un muratore di 62 anni, Giuseppe Caracausi, è morto sul colpo dopo essere precipitato da un balcone al secondo piano di un edificio a Villabate. Anche lui era un lavoratore autonomo, che in molti dei casi significa lavorare in nero.

La piaga del lavoro sommerso è una delle cause dell´alto tasso d´incidenti, che fa registrare nell´Isola un incremento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno del 3,5 per cento. «Sul piano della sicurezza non c´è l´attenzione che dovrebbe esserci, anche se sulla carta ci sono leggi nuove che dovrebbero portare a controlli e misure più forti – attacca Tarantino – Su 35 mila lavoratori censiti nell´edilizia lo scorso anno, circa il 50 per cento sono in nero, solo nella provincia di Palermo si parla di 17 mila operai che non hanno alcun diritto o garanzie».

Le morti e gli infortuni sul lavoro non riguardano solo l´edilizia. Tra i settori a rischio c´è quello metalmeccanico e manifatturiero (cinquemila incidenti lo scorso anno), ma anche agricoltura: domenica scorsa a Riesi è morto un agricoltore schiacciato dai rulli di una trebbiatrice. In questo settore sono già 5 le morti avvenute nei primi mesi del 2008. Per non parlare degli infortuni tra i campi, che sono stati tre mila solo nello scorso anno. Anche nella pubblica amministrazione, è il caso dei dipendenti del comune di Mineo morti ieri, l´Inail ha ricevuto quattro mila denunce d´infortuni negli ultimi due anni.

Ma perché questa ecatombe? Chi deve fare i controlli? Sulla carta nei cantieri e suoi luoghi di lavoro, anche degli enti pubblici, dovrebbero intervenire gli ispettori dell´Ausl, quelli della Regione e i carabinieri: «L´Ausl è però carente di personale, e spesso ci diamo una mano a vicenda, ma anche noi abbiamo poco personale – dice il responsabile dell´ispettorato regionale del lavoro, Vito Di Bella – In tutto posso contare su 150 ispettori più un nucleo di 80 carabinieri». Ben poco se si considera che dovrebbero controllare le norme sulla sicurezza e sui contratti di lavoro in 480 mila aziende più i cantieri edili sparsi in tutta la Sicilia, oltre a 400 enti locali. «Abbiamo bandito un concorso interno all´amministrazione per 300 ispettori, ma si sono presentati in meno di duecento, speriamo comunque di metterli in servizio al più presto», dice Di Bella. «La mancanza di controlli da parte degli ispettori è una delle cause principali del proliferare del lavoro nero e degli incidenti in Sicilia», aggiunge Tarantino.

Oltre ai controlli c´è però un problema di formazione del personale: «Non esiste alcuna programmazione sui corsi di formazione che dovrebbero fare i datori di lavoro, che siano privati o pubblici, ai propri dipendenti – dice Pino Lo Bello, dirigente dell´Inail – Comunque ormai ci troviamo di fronte ad una vera e propria emergenza che va affrontata in tutte le sedi istituzionali, i dati del 2008 registrano un più 3 per cento negli infortuni sul lavoro in Sicilia, e siamo già a 42 morti contro le 102 dello scorso anno».

«Occorre immediatamente definire insieme alla Regione e agli imprenditori gli interventi necessari per garantire sicurezza in ogni luogo di lavoro, non è più il tempo per dichiarare buone intenzioni ma di decidere interventi concreti per limitare questa strage, se non c´è chi controlla che le regole siano rispettate qualsiasi buona norma non serve a nulla», dice Claudio Barone, segretario regionale della Uil. «Quella di Mineo è un´altra “ThyssenKrupp”, ancora una volta frutto di approssimazione, superficialità, disorganizzazione, mancanza di cultura e di risorse per la prevenzione», aggiunge Maurizio Bernava, segretario regionale della Cisl che ha annunciato che «tutte le bandiere della Cisl saranno listate a lutto». Michele Palazzotto, segretario della Funzione pubblica Cgil, «chiede che vengano subito individuati i responsabili della sicurezza e quindi della morte dei sei operai di Mineo: «Siamo pronti a costituirci parte civile se si aprirà un processo», dice Palazzotto.

Ieri a Mineo è andato il neo assessore regionale al Lavoro, Carmelo Incardona: «Non è più tollerabile in un Paese civile il continuo ripetersi di tragedie di questo tipo – dice Incardona – Sono vicino e solidale con le famiglie. Ma questo non basta e non può bastare. Conto di raccogliere tutti gli spunti utili per agire, potenziando gli organici dell´ispettorato al Lavoro, che so essere carenti ma, se necessario, anche modificando le leggi vigenti».

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fonte: http://espresso.repubblica.it/dettaglio-local/La-spoon-river-dei-lavoratori-in-Sicilia-42-morti-in-sei-mesi/2029300

DOSSIER CARITAS: Rom e Romeni più vittime che criminali

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In un anno il numero dei romeni in Italia è raddoppiato: ad inizio 2008 è stato superato il milione di presenze. Lo stima la Caritas Italiana. All’inizio del 2007, la comunità romena regolare era stimata in 556mila; dopo un anno l’ipotesi è che sul territorio italiano ci siano 1.016.000 romeni. Di questi, il 73,7% è qui per motivi di lavoro e il 23,5% di famiglia. La maggior parte, il 53,4%, sono donne.
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padova prostitute multe clienti corteo ANSA 220

Il rapporto Caritas È la fotografia che presenta la Caritas Italiana in un rapporto, presentato giovedì al Cnel, sull’immigrazione romena. La pubblicazione utilizza dati di varie fonti ed è stata curata da una cinquantina di autori, un terzo di questi romeni.

Nel 1980 i romeni in Italia erano appena 8mila. In 17 anni sono aumentati di ben cento volte. I ricercatori della Caritas sostengono che se anche la stima di un milione di romeni fosse eccessiva (è possibile un errore del 10-15%) e la comunità contasse 850 mila presenze, quella romena sarebbe comunque la più numerosa nel nostro paese.

Il gruppo più ampio è nel Lazio (200mila), Lombardia (160mila), Piemonte (130mila). Le rimesse dei romeni ammontano a quasi 4 miliardi l’anno. Per l’Un’impresa, sarebbero 20mila le imprese italiane in Romania che danno lavoro a 800mila persone; alimentano un interscambio di 12 mila miliardi di euro annui. Il loro fatturato è di 150 milioni di euro, pari al 7% del Pil.

Discriminazioni e Criminalità Il documento prodotto dalla Caritas si sofferma anche sul rapporto esistente tra immigrazione romena e sicurezza. Il focus sui romeni parte dalla constatazione che l’argomento criminalità ad opera di stranieri in Italia è un «problema serio» e che in particolare i romeni, che sono stati il 12% dei soggiornanti nel 2006, hanno inciso con una percentuale più alta in diversi reati (omicidi volontari consumati, violenze sessuali, furti di autovetture, furti con strappo, furti in abitazione, furti con destrezza, rapine in esercizi commerciali e rapine in pubblica via, estorsioni).

Va però messo in evidenza
un dato fondamentale: Le vittime di questi reati sono per lo più romene. Questo significa che il problema non risiede nell’indole violenta dei cittadini romeni, ma nelle difficili condizioni economiche e sociali in cui versa tale popolazione nel nostro paese.

Comunque, si legge nel dossier, si può sottolineare che tra i romeni ci sono solamente piccole frange di persone che si comportano male rispetto alla stragrande maggioranza. Anche tra i romeni vi sono le organizzazioni malavitose che si occupano di immigrazione clandestina, tratta degli esseri umani, lavoro nero, traffico di sostanze stupefacenti, contraffazione, clonazione di carte di pagamenti, accattonaggio e sfruttamento di minori e di storpi.

Prostituzione romena Per alimentare il circuito della prostituzione, le ragazze vengono reclutate con violenza nelle zone più povere della Romania: si tratterebbe, tra le romene e quelle di altre nazionalità, di 18.000/35.000 persone l’anno che circolano in Italia. La stragrande maggioranza dei clienti delle prostitute romene sono cittadini italiani che contribuiscono notevolmente a far lievitare la domanda nel mercato nero della prostituzione . Purtroppo, sono ricorrenti anche gli atti di violenza sessuale all’interno delle mura domestiche, a danno delle romene o di altre colf a servizio delle famiglie italiane.

Un aspetto ancor più preoccupante consiste nel fatto che un terzo dei minori stranieri denunciati è romeno (4.000 nel 2004), per lo più di sesso femminile e in prevalenza rom e accusate di furto contro il patrimonio; quasi un migliaio di questi minori sono passati nei centri di prima accoglienza. Inoltre i romeni sono i primi anche tra i minori non accompagnati (più di 2.000), abbandonati o venduti dai genitori o desiderosi di sfuggire a un regime familiare oppressivo o allontanatisi per altri motivi.

I nomadi
i rom, i sinti o i camminanti, oltre a vivere in situazione di povertà ed emarginazione, sono svantaggiati per l’alloggio, i servizi sociali, l’occupazione, l’istruzione e oggetto di notevoli pregiudizi che li inquadrano come approfittatori, malviventi o vagabondi: essi, non di rado invisi anche in patria, costituiscono una questione specifica all’interno della questione dei romeni. In Romania i rom sono ufficialmente 535.140, il 2,5% della popolazione locale, ma in realtà sarebbero fino a 4 volte di più: studiati in profondità da Etnobarometro, essi si tripartiscono in 23 gruppi e quindi in ulteriori sottogruppi, con caratteristiche differenziate: alcuni sono nomadi e altri sedentari, alcuni istruiti e integrati (le élite) e altri no, per cui dovrebbe essere maggiormente articolato l’approccio nei loro confronti.

Gli aspetti problematici, riscontrati in tutti i flussi migratori di massa, possono però essere ridimensionanti tramite l’insistenza sulla legalità (anche a livello lavorativo), il coinvolgimento delle associazioni dei romeni (un immigrato che delinque offusca innanzitutto l’immagine della collettività), la collaborazione bilaterale e una maggiore insistenza sui percorsi di integrazione: c’è bisogno di una strategia concreta e ispirata alla reciproca fiducia.

Rapporto Unar I romeni più che «untori sono delle vittime»: lo sostiene l’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali che fa capo al ministero delle Pari opportunità, secondo quanto riferisce un rapporto della Caritas Italiana dedicato all’immigrazione romena. L’Unar, che collabora con l’omologo romeno Cncd e con le associazioni romene, sulla base delle segnalazioni che riceve, parla di «ricorrenti situazioni di discriminazione e di disparità» per quanto riguarda i romeni. Essi sono in particolare vittime di «un’informazione tendenziosa» sui fatti nei quali sono coinvolti connazionali.

E poi: subiscono la mancanza di informazioni per l’assistenza legale; sono sfruttati sul posto di lavoro, specialmente nel settore edile dove hanno il primato negli infortuni mortali e nelle molestie sessuali subite da donne; sono perseguiti dalla sicurezza pubblica con atteggiamenti intimidatori; hanno difficoltà burocratiche e sono oggetto di atteggiamenti ostili degli operatori pubblici. A volte – prosegue l’Unar – si hanno segnalazioni di impedimenti che ostacolano l’esercizio del diritto di voto nelle amministrative del 2007: qualche comune ha addirittura preteso una traduzione legalizzata della parola ‘Bucarestì, nome romeno della capitale. «Contrariamente a quanto si crede – afferma il rapporto – la vita quotidiana dei romeni non è facile»

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Pubblicato il: 12.06.08
Modificato il: 12.06.08 alle ore 16.41

fonte: http://www.unita.it/view.asp?idContent=76229

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giovedì 12 giugno 2008

Bergamo, la Mez invita tutti al convegno

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La Chiesa evangelica sinta, M.E.Z., invita tutti i Cittadini di Bergamo al Convegno religioso che si terrà dal giorno 10 al giorno 17 giugno 2008, presso via Aria della Fiera Nuova. Tutti saranno accolti nella grande tenda dove i Pastori proporranno la Parola di Dio ai cuori di tutti i partecipanti: con i nostri camper e le nostre roulotte ci siamo riuniti per far conoscere la grande verità del Vangelo.

Le funzioni religiose si terranno tutte le sere dalle ore 20.30, la domenica si terrà la funzione religiosa dalle ore 10.30 della mattina.
Inoltre, venerdì 13 Giugno si terrà il “Giorno nazionale dei sinti e delle associazioni” a cui sono inviati politici, giornalisti e tutti i Cittadini.

La M.E.Z., è associata alle Assemblee di Dio in Italia (A.D.I.) e conta oggi circa duemila aderenti, in maggior parte Sinti italiani. Attualmente i pastori consacrati sono quaranta; sei di essi svolgono attività missionaria in alcuni paesi dell’Europa dell’Est (Slovenia, Serbia, Slovacchia, Ungheria e Romania) allo scopo di evangelizzare le comunità Rom e Sinti di quelle regioni. Vi sono inoltre dei candidati al ministerio di pastorato. La Missione è un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale (O.N.L.U.S.).
In primavera ed estate la Missione organizza Convegni religiosi in tutta l’Italia, riunendo tutti i convertiti all’Evangelo e tutte le persone che si stanno avvicinando alla Parola del Signore.
Nel periodo autunnale ed invernale i pastori sono inviati nelle diverse Comunità sinte, garantendo regolari servizi di culto.

La Missione, oltre al suo scopo religioso e spirituale, svolge un’azione di aiuto e recupero sociale di tutte le persone che si trovano in difficoltà esistenziale. I pastori assistono spiritualmente e socialmente gli ammalati e le loro famiglie anche attraverso le offerte dei convertiti.
La Missione svolge campagne di evangelizzazione, attività didattiche per i bambini, consulenze individuali e di coppia, incontri di carattere spirituale, distribuzione gratuita della letteratura cristiana, produzione di materiale audio e video ecc…

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Per informazioni più dettagliate contattare il Pastore Casadio Davide (cellulare 334 2511887, che risponderà a tutte le vostre domande. Sito internet: http://mez-italia.blogspot.com.

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fonte: http://sucardrom.blogspot.com/

GUANTANAMO – Corte Suprema Usa riconosce i diritti dei detenuti

La sentenza è stata pronunciata con maggioranza minima, 5-4, indice di spaccatura
E’ la terza sconfitta per l’amministrazione Bush sul tema della legittimità costituzionale

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Guantanamo, Corte Suprema Usa riconosce i diritti dei detenuti

La prigione di Guantanamo

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WASHINGTON – I detenuti di Guantanamo possono appellarsi al diritto costituzionale e ricorrere nei tribunali ordinari americani contro la loro detenzione. Lo ha stabilito la Corte Suprema degli Stati Uniti, al suo terzo intervento sulla spinosa questione della base militare americana a Cuba.

La Corte si è pronunciata con una maggioranza minima, un 5-4 che indicando ancora una volta la spaccatura all’interno del massimo organo giudiziario americano nel valutare la legalità di Guantanamo. E’ la terza sconfitta dal 2004 per l’amministrazione Bush sul tema della legittimità costituzionale dell’apparato giudiziario militare messo in piedi dopo l’11 settembre 2001, per tenere in stato di detenzione e processare presunti terroristi. La Corte Suprema ha ribaltato la decisione con cui la Corte federale d’appello aveva confermato la legittimità di una legge che nel 2006 aveva definito le modalità dei processi militari.

La decisione potrebbe avere effetti immediati sui processi in programma, tra cui quello ai presunti responsabili degli attacchi a New York e Washington dell’11 settembre 2001, e sul futuro dei circa 270 detenuti ancora presenti nella base. La scelta dei giudici di Washington offrirà nuove armi agli oppositori di Guantanamo e anche ai due candidati alla Casa Bianca, John McCain e Barack Obama, che sono entrambi favorevoli alla chiusura della prigione nella base militare a Cuba.

In vista dei probabili ricorsi
la corte federale di Washington, che ha gestito in questi anni i casi dei presunti terroristi, è entrata in stato di emergenza: i giudici hanno convocato riunioni immediate per decidere cosa fare di vari casi sospesi in attesa della pronuncia della Corte Suprema. I magistrati si aspettano una raffica di ricorsi da parte dei legali dei detenuti e stanno valutando come procedere. La decisione del massimo organo giudiziario, in tutto 70 pagine, crea una sorta di limbo legale caratterizzato dall’incertezza. Anche la Casa Bianca e il Pentagono hanno reagito sottolineando soltanto di aver bisogno di “studiare il provvedimento”, per capirne le conseguenze.

Uno degli effetti più immediati sembra essere lo stop a un primo processo di fronte alle commissioni militari che era in programma a Guantanamo nelle prossime settimane. Si tratta del procedimento contro Salim Hamdan, uno yemenita che è stato in passato autista di Osama Bin Laden. Il suo avvocato militare, il comandante di Marina Brian Mizer, ha annunciato che presenterà un ricorso per far cadere le accuse contro Hamdan, sostenendo che l’intera procedura è ora da ritenere non costituzionale.

12 giugno 2008

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fonte: http://www.repubblica.it/2008/06/sezioni/esteri/guantanamo-corte-suprema/guantanamo-corte-suprema/guantanamo-corte-suprema.html

Fabbriche che chiudono: la Nuova Sirma

Intervista ad Andrea, operaio della Nuova Sirma

9 giugno 2008

Questa intervista è stata raccolta il 12 aprile, durante l’occupazione della Nuova Sirma.
Dal 23 aprile la fabbrica è stata chiusa ed i lavoratori sono in cassa integrazione, per 5 mesi, prorogabili a 12.
Il presidio è rimasto, anche se fuori dalla fabbrica.
Il comune di Venezia, in un Ordine del Giorno approvato dal Consiglio Comunale, ha solidarizzato con i lavoratori, condannando la speculazione sull’area dello stabilimento.
Si parla della possibilità di acquisto dell’attività produttiva da parte di altri imprenditori, ma Gavioli, padrone della fabbrica e dell’area, non è disposto all’oggi a cedere anche il terreno (che appartiene ad un’altra sua società), e lo vorrebbe affittare ad un prezzo tale da rendere estremamente difficile la cessione.

Dopo aver appreso la notizia dell’occupazione dello stabilimento, siamo venuti per portare la nostra solidarietà e per capire le cause della crisi della Nuova Sirma.
In realtà non c’è nessuna crisi ma solo la volontà della proprietà di mettere in atto una speculazione edilizia sull’area dove sorge lo stabilimento.
La fabbrica ha commesse, ha ordini, produce.
Questa crisi che non è assolutamente dovuta a problemi produttivi o a questioni legate alla delocalizzazione degli impianti.

Che cosa produce la Nuova Sirma?
Facciamo mattoni refrattari per altoforni, il grosso viene ordinato proprio in questi mesi.

La società è in attivo o in passivo?
I bilanci sono attivi e sono stati anche certificati perché la Sirma doveva entrare in borsa.
Poi è emerso che alcuni bilanci non erano corretti e che forse ci sono state delle perdite, ma in ogni caso, anche se queste perdite ci fossero state, queste non sono dovute alla mancanza di commissioni, ma alla mancanza di investimenti che in questi anni il padrone, Gavioli, non ha mai fatto.
I profitti non sono stati destinati ad ampliare la Sirma né a sviluppare o migliorare i prodotti.

Gavioli è del nord-est?
E’ di Mogliano, ha acquistato la Nuova Sirma dieci anni fa, ma è specializzato soprattutto nel settore delle immondizie e già da 4 anni ha cominciato ad utilizzare gli attivi della Sirma per acquistare altre società del settore dei rifiuti. Attualmente Gavioli è proprietario complessivamente di 27 società, la maggior parte legate al trattamento dei rifiuti, altre sono società immobiliari.
Tra l’altro la proprietà dell’immobile della Sirma è stata spostata alla “Iniziative Immobiliari” che è una delle tante aziende di Gavioli.

In che cosa consiste questo progetto speculativo che sta portando alla chiusura della fabbrica?
L’operazione consiste nello svuotare la fabbrica dai lavoratori, avere aree che sono appetibili nella zona e venderle. E’ come vendere una casa vuota o una casa con la gente dentro. La casa vuota la vendi a 300, l’altra a 100.

Quanti lavoratori siete?
Gli operai sono 140, gli impiegati circa 40. Circa una decina sono donne. Tra gli operai ci sono anche una quindicina di lavoratori migranti, nordafricani e dell’est Europa. Il numero complessivo dei lavoratori è diminuito un po’ perché la crisi è iniziata a marzo e conseguentemente c’è stata qualche defezione.
Ci sono poi altri 60, 70 addetti legati all’indotto.

Il salario medio a quanto ammonta?
A circa 1100 euro la paga base, poi dipende anche dalle turnazioni.
Il ciclo produttivo normalmente è settimanale. Nei picchi si fanno anche turni.
Il lavoro al sabato era richiesto ma non era obbligatorio.
Un gruppo di lavoratori addetti ai forni lavora a cicli continuo, perché i forni non si possono spegnere. Sono accesi anche adesso, con la fabbrica occupata.

Come hanno reagito i lavoratori alla notizia della chiusura?
I lavoratori hanno visto il percorso di questi anni e come Gavioli non abbia mai investito nella fabbrica. Per cui la decisione di dismettere non è giunta inaspettata. Ci sono sempre stati problemi sulla manutenzione, qualche volta anche mancanza di liquidità, magari quando qualche cliente tardava i pagamenti. Il segnale di fondo era che il padrone da alcuni anni a questa parte non era più interessato alla fabbrica.
Ma adesso il processo che vuole mettere in atto è la chiusura definitiva.

Quando è cominciata l’occupazione e che obiettivo vi siete dati?
L’occupazione è cominciata il 7 aprile, lo stato di agitazione dal 7 marzo.
L’obiettivo è la continuità produttiva e il mantenimento del sito industriale e dei livelli occupazionali.

C’è determinazione?
Sì, tenendo presenti tutti i problemi di una situazione di occupazione: mancanza di salario, i mutui che scadono comunque…

Avete ricevuto atti di solidarietà da altri consigli di fabbrica.
Ci sono stati alcuni comunicati di solidarietà, soprattutto dai consigli di fabbrica dell’area chimica, qui attorno; qualcuno ha anche raccolto dei soldi.
Alla Camera di Lavoro si è parlato di fare un’ora di lavoro come sottoscrizione da parte delle altre fabbriche.

Che sindacati sono presenti e qual è il rapporto lavoratori/iscritti?
Sono iscritti al sindacato più del 50% dei lavoratori. Una gran parte alla CGIL, una decina di lavoratori alla CISL.

Si sono fatti vedere i partiti?
Si è vista solo la sezione di zona del PD, a cui appartengono i lavoratori stessi.

Non possiamo prescindere dalle elezioni che si sono tenute domenica scorsa e al risultato che nessuno prevedeva, in particolare il consenso alla Lega da parte di molti lavoratori. Si è discusso di questo all’interno della fabbrica?
Non è che ci siano state molte discussioni. Sicuramente alcuni operai che di solito andavano a votare, questa volta invece sono rimasti a casa
Ci sarà sicuramente anche qualcuno che si è spostato verso la Lega.

C’è consapevolezza che una parte del voto operaio è andato verso la Lega. Questo dato è considerato credibile e che tipo di valutazione ne danno i lavoratori?
Ragionando ci sono gli anni del governo di centrosinistra che ha dimostrato che tipo di politiche portavano avanti, c’è stato anche la questione del PD che ha eliminato la poca sinistra che c’era ancora dentro i ds, così come le candidature di Calearo, di Colanino, ha mostrato che tipo di politica sul lavoro avrebbe messo in atto il PD
Per cui alcuni lavoratori possono aver fatto le loro scelte di conseguenza. Lo spostamento verso la Lega lo vedo legato alle campagne razziste in atto.

Il pane e le rose

fonte: pane-rose@tiscali.it

CeSVI: 12 giugno contro lo sfruttamento del lavoro minorile

CeSVI lancia una petizione per chiedere al Governo Italiano un impegno concreto a favore dei diritti dei bambini sfruttati e un videogioco per promuovere l’educazione come possibile via d’uscita.

Sono ancora 218 milioni i bambini che nel mondo sono vittime di sfruttamento.
Sebbene secondo i dati più recenti il fenomeno sia in diminuzione, l’eliminazione dello sfruttamento del lavoro minorile è tuttora un obiettivo lontano. Servono azioni urgenti e concrete.

Il Cesvi ha raccolto la sfida facendosi promotore italiano della campagna europea Stop Child Labour – School is the best place to work e in occasione del 12 giugno lancia una petizione per richiamare il Governo Italiano a un impegno concreto nel combattere un fenomeno che non è unicamente prerogativa dei Paesi del Sud del Mondo ma assume una dimensione allarmante in tutto il pianeta.

Quest’anno il rapporto ILO (Organizzazione Mondiale del Lavoro) è dedicato al tema dell’educazione come corretta risposta allo sfruttamento.
Insistere sullo stretto legame tra superamento dello sfruttamento e affermazione del diritto all’educazione contribuisce più di ogni altra strategia a debellare le peggiori forme di lavoro minorile.
L’educazione per tutti, almeno fino al raggiungimento dell’età minima lavorativa, favorisce inoltre l’eliminazione di tutte le forme di sfruttamento del lavoro minorile.



Alcuni testimonial del Cesvi, come Claudio Bisio, Lella Costa, Cristina Parodi e il Trio Medusa, oltre a giornalisti e opinion leaders, sono tra i primi firmatari.


La petizione sarà consegnata tra un anno al Governo Italiano.

Il 12 giugno, inoltre, viene lanciato nei sei Paesi in cui la campagna Stop Child Labour è presente, un videogioco interattivo online dedicato al tema dello sfruttamento del lavoro minorile.

I parlamentari europei Pia Locatelli (membro del Comitato industria ricerca ed energia e del Comitato eguaglianza dei generi), Roberta Angelilli (membro Comitato Libertà civili e giustizia), Patrizia Toia (membro del Comitato industria ricerca ed energia), e Cristiana Moscardini (membro del Comitato Commercio Internazionale) hanno potuto dilettarsi nel gioco in anteprima.

Fallo anche tu!


>> Firma anche tu la petizione!

Stop Child Labour è una campagna promossa dal network europeo Alliance2015 grazie al sostegno della Commissione Europea.
La nuova fase della campagna durerà fino alla fine del 2009 e vede il coinvolgimento anche del Comitato India Olandese, della Federazione Olandese dei Sindacati (FNV) e dell’Unione dei Sindacati Olandesi (AOb).

La campagna internazionale Stop child labour ha l’obiettivo di richiamare tutti i governi, le imprese e gli attori sociali alle loro responsabilità verso i bambini e le bambine vittime dello sfruttamento del lavoro minorile, cioè lo sfruttamento del lavoro compiuto da un minore: attività che può interferire con la sua educazione o essere dannoso per la sua salute, il suo sviluppo psichico, mentale, spirituale, morale o sociale.

In occasione del 12 giugno, Giornata Mondiale contro il lavoro minorile, Cesvi ha lanciato una petizione il cui obiettivo è chiedere al Governo Italiano un impegno concreto nella lotta contro lo sfruttamento dei bambini in tutto il mondo.

Inoltre nei sei Paesi europei in cui operano le ong promotrici della campagna, è stato lanciato un gioco interattivo online, rivolto ai giovani dai 13 ai 17 anni per promuovere la consapevolezza dell’educazione come soluzione possibile al problema del lavoro minorile.

Firma anche tu!
Fai la tua parte chiedendo al Governo Italiano di impegnarsi nella lotta contro il lavoro minorile.

Gioca con Stop Child Labour
Salva il maggior numero di bambini che lavorano in un campo di cotone e portali a scuola!

Visita il sito internazionale della campagna: www.stopchildlabour.eu

Cover photo: Monica Bulaj

Finanziato da Unione Europea

fonte: CeSVI