EMERGENZA RIFIUTI: Rischia di allargarsi per ‘Deregulation selvaggia’ / Spacciatori di rifiuti. In mare

Una ricerca di Ambiente Italia rivela quello che si potrebbe fare
ad esempio eliminando correttamente i vecchi elettrodomestici

Il governo ha azzerato il Cobat, uno dei consorzi di smaltimento più virtuosi

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di ANTONIO CIANCIULLO

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Emergenza rifiuti, rischia di allargarsi tutta colpa della deregulation selvaggia Rifiuti elettronici, batterie al piombo, gas buca-ozono in libera uscita: una nuova ondata di deregulation rischia di allargare l’emergenza rifiuti. Il sistema è di fronte a un bivio. E’ possibile moltiplicare i posti di lavoro e raggiungere, solo con un corretto smaltimento dei frigoriferi e dei condizionatori, il 3 per cento degli obiettivi di Kyoto. Oppure si può scegliere di affidarsi completamente alle convenienze del mercato, esponendosi alle fluttuazioni che rischiano di paralizzare la raccolta nei momenti di bassa dei prezzi.

Oggi il modello vincente è quello applicato per gli imballaggi: un consorzio di recupero che si assume la responsabilità dei risultati per ogni materiale e lo raccoglie sia quando i prezzi delle materie prime sono alti che quando sono bassi, sia quando i cassonetti si riempiono da soli sia quando c’è da pedalare per raggiungere posti sperduti. Questo sistema – basato sulla concertazione con i Comuni, i produttori, i trasformatori e le ex municipalizzate – potrebbe allargarsi ad altre tipologie, come le pile, o essere minato dalla moltiplicazione di consorzi che rispondano solo a una logica di mercato senza garantire gli obiettivi di protezione ambientale.

“Il governo insiste su un’interpretazione ideologica della liberalizzazione: invece di aumentare l’efficienza punta ad aumentare il numero dei consorzi di recupero”, accusa Ermete Realacci, ministro ombra dell’Ambiente. “Al contrario, dobbiamo incentivare il riciclo dei rifiuti e l’industria collegata: con un incremento del 15 per cento al 2020 si potrebbero far scendere i consumi energetici di 5 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, pari al 32 per cento dell’obiettivo nazionale di efficienza energetica a quella data”.

Le aree di crisi sono due. Da una parte, denuncia il senatore del Pd Roberto Della Seta, il colpo di mano del governo “che non ha tenuto conto del parere unanime espresso dalla commissione umiliando il ruolo del Parlamento e azzerando il Cobat, uno dei consorzi di smaltimento più virtuosi: recupera il 98 per cento delle batterie a un costo che è il più basso in Europa”.

Dall’altra in ballo c’è un milione di tonnellate di rifiuti: i cosiddetti Raee, cioè le apparecchiature elettriche ed elettroniche. E’ un flusso importante sia sotto il profilo ambientale (ci sono sostanze potenzialmente tossiche e con rilevanti effetti per la distruzione della fascia di ozono e per la crescita dell’effetto serra) che sotto il profilo economico (sono una miniera di materie seconde di grande valore).

Secondo uno studio di Ambiente Italia, “gli elettrodomestici bianchi (che corrispondono alle classi 1 e 2 dei Raee, di competenza del consorzio Ecodom) potenzialmente recuperabili sono 6 milioni di pezzi: 258 mila tonnellate, di cui 89.500 tonnellate di frigoriferi e congelatori e 7.400 tonnellate di condizionatori (prodotti contenenti CFC e HCFC)”. Con una buona gestione si otterrebbe: il recupero di 230 mila tonnellate di materie seconde; un taglio di emissioni equivalente a 3,4 milioni di tonnellate di CO2; un recupero energetico pari a 119.000 tonnellate di petrolio. In sintesi si riuscirebbe – solo attraverso il recupero dei fluidi refrigeranti e il riciclo – a tagliare circa il 3 per cento delle emissioni di CO2 che l’Italia dovrebbe ridurre entro il 2020, mentre il recupero energetico vale all’incirca i consumi di una città di 40 mila abitanti.

“Sono obiettivi raggiungibili migliorando il sistema”, commenta l’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi, l’ideatore del decreto che ha rilanciato la raccolta differenziata. “Oggi ci sono 17 consorzi che raccolgono i rifiuti elettrici ed elettronici ma nessuno ha l’obbligo di raggiungere una quota minima o di operare su tutto il territorio nazionale. Si tratta di arrivare a una gestione coordinata e capace di affrontare target obbligatori di raccolta, secondo la strada indicata dall’Unione europea”.

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27 nov 2008

fonte: http://www.repubblica.it/2008/11/sezioni/cronaca/rifiuti/emergenza-rischio/emergenza-rischio.html?rss

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Carlo Lucarelli svela misteri e connivenze dietro le navi con i carichi pericolosi

Spacciatori di rifiuti. In mare

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di Carlo Vulpio 
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Le parole aiutano, è vero. Ma a volte ingannano. Nel settore dei rifiuti, per esempio, i nomi di quasi tutte le imprese finiscono per «eco». Mentre nel traffico illegale dei rifiuti «eco» è diventato un prefisso, e tutti diciamo «ecomafia». In entrambi i casi, quell’«eco» tranquillizza. Poiché ci consegna un mondo ben diviso in due: l’uno «eco» per male (l’ecomafia), l’altro «eco» per bene (la preoccupazione ambientale inserita nella ragione sociale). E invece questo è l’inganno più sottile e meglio riuscito degli ultimi venticinque anni.

Nel racconto-verità Navi a perdere, scritto con la consueta bravura da Carlo Lucarelli per la collana Verdenero di Edizioni Ambiente (da domani in libreria), di questo si parla. Di come si «smaltiscono» i rifiuti più pericolosi, anche quelli radioattivi, facendo credere che tutto avvenga in maniera «eco» («eco-logica» ed «eco-nomica», dunque: «eco-compatibile»). In realtà, le file di camion carichi di fanghi industriali cancerogeni, che viaggiano di notte e per lo più dal Nord al Sud della penisola (dalla Toscana alla Puglia, per esempio), sversano tutto in discariche «controllate» per modo di dire o addirittura in aperta campagna. E lo fanno senza incontrare sul proprio cammino grandi resistenze (che, se vi fossero, sarebbero rapidamente vinte dalla «moral suasion» dei mitra che scortano quei carichi) o grandi controlli di polizia (che, quando ci sono, vengono vissuti con fastidio dalla Legge che dovrebbe reprimerli, dall’Economia che potrebbe risentirne e dalla Informazione che, per carità, non vorrebbe allarmare). Non ci sono però soltanto i camion. Ci sono anche le navi. Ve le ricordate? Le abbiamo chiamate «navi dei veleni».

Trasportano rifiuti d’ogni genere, persino diossine e scorie radioattive, dal mondo opulento al mondo dei morti di fame. Da Nord a Sud, appunto. Per questo «eco-servizio» il Nord paga il Sud, spesso anche in armi, e il Sud vende al Nord i suoi diamanti e la sua droga, se li ha, oppure vende la sua terra. Meglio, il suo sottosuolo: se ci date le armi, o i soldi per comprarle, le vostre porcherie potete sotterrarle qui da noi. Ha funzionato così per anni, anche in base ad accordi fra Stati, e funziona ancora così, nonostante le indignate condanne pubbliche. Lucarelli mette in fila alcuni fatti realmente accaduti e li fa «parlare». Non fa «dietrologia», ragiona. Non cerca il «giallo» a tutti i costi, si documenta. E poiché la realtà è molto più ricca di retroscena di quanto la «dietrologia» non riesca a produrne, ecco che Lucarelli riesce ad argomentare in maniera impeccabile, rendendola credibilissima, l’ipotesi della morte dei giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (Mogadiscio, 20 marzo 1994) come un duplice assassinio premeditato (e non l’iniziativa di un balordo). Un duplice assassinio commissionato in seguito alla scandalosa scoperta fatta da Ilaria e Miran. Un traffico «armi per rifiuti» tra l’Italia e la Somalia.

Il traffico di rifiuti è un’attività miliardaria. Rende più del traffico di droga. E se si tratta di roba che scotta, per esempio le scorie radioattive o le sostanze più tossiche e nocive, ecco che le navi sono l’ideale. Ne compri qualcuna malandata, la carichi di tutta questa roba, la porti in mezzo al mare, simuli un naufragio, la fai inabissare e oltre ai soldi dello «smaltimento» prendi anche i soldi dell’assicurazione. È difficile fregare i Lloyd’s di Londra, eppure anche loro ci sono cascati. Quando se ne sono accorti, hanno denunciato una truffa di almeno 500 milioni di dollari per aver assicurato ben 25 «navi a perdere». Tutte naufragate in maniera a dir poco sospetta. Tutte colate a picco nel Mediterraneo. La procura di Reggio Calabria, invece, ha sempre sostenuto che le navi cariche di scorie radioattive affondate con questo sistema nel Mare Nostrum erano almeno 40. Mentre Legambiente, che denunciò questa strana battaglia navale fatta di autoaffondamenti, dice che sono 50 e qualcun altro 100. Senza contare le scorie finite sotto il mare grazie a un originale sistema di smaltimento realizzato in barba a ogni convenzione internazionale (la London Dumping Convention del 1972, il Protocollo di Londra del 1996).

Il sistema si chiama Penetrator ed è un siluro d’acciaio pieno di scorie radioattive che una nave porta in alto mare e lascia cadere. Il siluro pesa circa 300 tonnellate e si inabissa alla velocità di 220 chilometri orari, conficcandosi nel fondale marino, dove dovrebbe «resistere» per un milione di anni. Poiché ogni Penetrator è (dovrebbe essere) anche «schedato», grazie a un’antenna fissata sulla coda che trasmette a un satellite il segnale della sua presenza in quel preciso punto del sub fondale, non dovrebbe essere complicato sapere quanti ce ne sono nel Mediterraneo. Invece non si sa. O, se si sa, è segreto. Nemmeno delle «navi a perdere» si sa quante sono. Non risulta che il governo italiano, nonostante sia stato denunciato alla Commissione europea per i Diritti dell’Uomo, abbia mai finanziato una perizia radiometrica sul contenuto delle navi affondate nel Mediterraneo. Bastavano — lo scrivemmo anche noi del «Corriere», nel 1996 — cinque miliardi di lire. Invece, niente. E così nemmeno i magistrati inquirenti hanno potuto fare granché. «Ci spiano — dissero — e ci oppongono chiusure istituzionali». Ma non accadde nulla. Il racconto di Carlo Lucarelli, che nasce da una nave che invece di affondare finì spiaggiata sulla costa calabra, lasciando immaginare cosa era accaduto alle altre 25, 40 o 100 «navi dei veleni» ci obbliga a riflettere e ci stimola a volerne sapere di più. Cosa sappiamo, per esempio, di Natale De Grazia, il capitano di fregata della Capitaneria di porto di Reggio Calabria morto in maniera strana, a 38 anni, quando godeva di ottima salute e proprio mentre indagava con passione su queste «navi a perdere»? Niente, non sappiamo niente. E, invece, sarebbe il caso che qualche magistrato prenda in mano il libro di Lucarelli e vada a leggere cosa disse nel 2004 il presidente Carlo Azeglio Ciampi quando, elogiandone il lavoro straordinario, assegnò a De Grazia la medaglia d’oro alla memoria. De Grazia, disse Ciampi, ha lavorato «nonostante pressioni e atteggiamenti ostili».

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27 nov 2008

fonte: http://www.corriere.it/cultura/08_novembre_27/spacciatore_rifiuti_mare_vulpio_20c2473a-bc73-11dd-88c4-00144f02aabc.shtml

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