Archivio | febbraio 24, 2013

Il prigioniero Arafat Jaradat muore in un carcere israeliano. Proteste in Cisgiordania / Chi mette sotto silenzio la Palestina

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Il prigioniero Arafat Jaradat muore in un carcere israeliano. Proteste in Cisgiordania

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InfoPal. Arafat Jaradat, 30 anni, di Sair, in provincia di Hebron, è morto sabato 23 febbraio nel carcere israeliano di Megiddo, molto probabilmente a seguito delle torture subite. Ne ha dato notizia il ministro per i Prigionieri, Issa Qaraqe.

Il giovane, che era stato arrestato il 18 febbraio 2013,  è morto di arresto cardiaco durante o a seguito degli interrogatori subiti in prigione.

Jaradat era sposato e aveva due figli e un terzo in arrivo. Studiava alla Al Quds Open University.

Gli avvocati del centro palestinese per i diritti dei prigionieri, Addameer, hanno dichiarato che l’uomo non soffriva di alcuna patologia, né prima dell’arresto né durante la detenzione.

I prigionieri palestinesi nel carcere di Nafha hanno dichiarato lo sciopero della fame per protestare con la morte di Jaradat. Manifestazioni e scioperi sono stati indetti in altre località della Cisgiordania.

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fonte infopal.it

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Un giornalista palestinese controlla la sua auto dopo un bombardamento israeliano del 18 novembre 2013 a Gaza City (Foto: Majdi Fathi/APA images)

Un giornalista palestinese controlla la sua auto dopo un bombardamento israeliano del 18 novembre 2013 a Gaza City (Foto: Majdi Fathi/APA images)

Chi mette sotto silenzio la Palestina

Nei Territori Occupati, giornalisti target dell’occupazione israeliana: arresti, multe e a volte omicidi. E l’informazione perde professionalità

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di Emma Mancini*

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Betlemme, 15 febbraio 2013, Nena NewsNon è certo facile fare il giornalista nei Territori Occupati Palestinesi. E se il nuovo rapporto di Reporter Senza Frontiere premia Cisgiordania e Gaza per il maggior rispetto della libertà di stampa, a restringere drammaticamente il diritto all’informazione è l’occupazione israeliana.

Nel rapporto annuale di Reporter Senza Frontiere, la Palestina guadagna otto posizioni e si piazza al 146esimo posto nella classifica che verifica la tutela della libertà di stampa. “Il miglioramento delle relazioni tra Hamas e l’Autorità Palestinese ha avuto un impatto positivo sulla libertà di informazione e l’ambiente di lavoro dei giornalisti”, si legge nel comunicato di gennaio.

Al contrario, Israele crolla al 112esimo posto della classifica, perdendo ben venti posizioni. Ad influenzare un simile risultato sono le politiche di repressione della stampa palestinese nei Territori, ed in particolare l’attacco a giornalisti palestinesi durante l’offensiva militare, ribattezzata “Operazione Colonna di Difesa”, contro la Striscia di Gaza lo scorso novembre.

L’aviazione israeliana ha bombardato le sedi di diverse emittenti palestinesi, tv e radio, e ha ucciso e ferito numerosi giornalisti: distrutte le sedi di Al Quds TV e Al Aqsa TV (feriti gravemente sei giornalisti e un autista); colpiti la casa del fotografo Ali Ibrahim dell’European Agency e il quartier generale dell’associazione Free Media; centrata la macchina dove viaggiavano due cameraman di Al Aqsa TV, Hossam Mohamed Salamah e Mahmoud Ali Al-Komi, morti sul colpo; ucciso il direttore di Al Quds Educational Television, Mohammed Mousa Abu Eisha; seriamente danneggiata la torre Alja, dove si trovavano gli uffici di Al Jazeera, e quella di Nea’meh, sede dell’AFP.

“Durante l’operazione militare del novembre 2012 – prosegue il rapporto di Reporter Senza Frontiere – l’esercito israeliano ha deliberatamente colpito giornalisti e sedi dei media considerati affiliati ad Hamas. E gli arbitrari arresti e detenzioni di giornalisti palestinesi sono ancora pratica frequente“.

Ne parliamo con Maath Musleh, giornalista palestinese che lavora per Al Jazeera, Ma’an News e Al Akhbar, oltre che noto blogger e fondatore del blog di giovani giornalisti “Beyond Compromise“.

“Il problema di fondo è l’inesistenza di una legge che ci tuteli, che tuteli i giornalisti palestinesi. Lo strumento che l’esercito israeliano utilizza per reprimere il diritto all’informazione è la legge militare che vieta in Cisgiordania raduni di più di nove persone. In questo modo tutte le manifestazioni sono considerate illegali e di conseguenza è illegale la presenza di reporter”.

“Prendiamo ad esempio il villaggio di Nabi Saleh, dove tutti i venerdì si svolge la tradizionale marcia contro il Muro e le colonie – ci spiega Musleh – Ogni venerdì l’esercito israeliano dichiara il villaggio ‘zona militare chiusa’: i soldati impediscono l’ingresso ad attivisti e giornalisti attraverso barriere di cemento nella principale strada di ingresso a Nabi Saleh. Ecco perché i grandi media non coprono più le proteste pacifiche in Palestina: è difficile prendervi parte e, in ogni caso, non vengono più considerate una notizia. Si tratta di una vera e propria forma di normalizzazione della violenza israeliana: le aggressioni a manifestanti nonviolenti non fa più notizia, non è più una storia da raccontare”.
Ecco così che il movimento di resistenza popolare palestinese si riorganizza: per attirare di nuovo l’attenzione del mondo, nelle ultime settimane sono state organizzate azioni originali e brillanti, come la costruzione di nuovi villaggi in terre minacciate di confisca. È il caso di Bab al-Shams, villaggio eretto in poche ore in Area E1 (dove Israele ha pianificato la costruzione di nuove colonie). Immediata la repressione israeliana, che ha avuto come principale target proprio la stampa: molti giornalisti sono stati picchiati, ad altri è stato impedito l’ingresso nel villaggio, mentre per ore le autorità israeliane bloccavano le frequenze dell’emittente Palestinian Public Tv.

Ma se i media mainstream sono assenti, sono i giornalisti locali a garantire la copertura delle azioni di protesta da parte della resistenza palestinese. Spesso si tratta di reporter e cameraman che vivono nei villaggi obiettivo dell’esercito, gli unici già sul posto quando le comunità vengono chiuse all’esterno.

“Nonostante abbiamo tutti la pettorina con su scritto ‘press’ – continua Maath – veniamo regolarmente arrestati e rilasciati solo dietro il pagamento di multe salate. Ci sono soldati che si occupano solo di questo, di individuare i giornalisti palestinesi e di impedire il loro lavoro. E questo non avviene solo durante le manifestazioni, di giorno: in genere i soldati compiono raid militari nei villaggi della Cisgiordania di notte e gli unici che possono documentare l’accaduto, gli eventuali arresti o le perquisizioni, sono i giornalisti locali”.

Tra gli strumenti più utilizzati dall’esercito c’è quello economico: multe per i giornalisti arrestati e distruzione sistematica di macchine fotografiche e videocamere, strumenti di lavoro preziosi e molto costosi, soprattutto per le tasche dei giornalisti più giovani e dei freelance, i meno tutelati. “In questo modo l’esercito tenta di fermare il nostro lavoro, facendoci soffrire finanziariamente. Sanno che non abbiamo paura di essere arrestati o picchiati. Quello che davvero temiamo è la perdita delle attrezzature”.

Attrezzature difficili da reperire per le mancanze strutturali del settore di informazione palestinese: mancano soldi, finanziamenti, equipaggiamento, non esistono scuole e i giovani giornalisti spesso si formano al di fuori delle redazioni. “Il nostro settore qui in Palestina – prosegue Musleh – è affetto da scarsa professionalità e scarsi salari. È difficile trovare un lavoro stabile, remunerato, di cui si possa vivere. Per questo molti freelance si rivolgono all’estero o lavorano soprattutto nei social network. In breve tempo, siamo stati in grado di creare un network per lo scambio sia di informazioni che di esperienze, che supera le barriere. Da Gaza alla Cisgiordania, dalla Palestina ’48 ai campi profughi all’estero, il sistema di informazione palestinese ha trovato nei blog, in Facebook e Twitter nuovi strumenti di condivisione. Prendete Gaza e l’ultima offensiva militare israeliana: grazie ai blogger e i giornalisti gazawi, il mondo aveva costantemente notizie in diretta“.

Insomma, l’informazione palestinese tenta di uscire dal guscio in cui è stata relegata dall’occupazione israeliana e anche dai media internazionali, che spesso non riportano le storie raccontate dai giornalisti palestinesi perché considerati di parte o poco credibili.

Una sorta di boicottaggio che influenza la professionalità della stampa locale. Spesso costretta a coprire quello che i grandi media non raccontano, ha finito per arenarsi su numeri e statistiche, sul racconto di arresti e violenze citando solo nomi e numeri. “Quello che ci permetterebbe di fare il salto di qualità è la trasformazione del nostro giornalismo in un giornalismo di inchiesta. Raccontare storie, dare volti ai nomi, approfondire le questioni inerenti all’occupazione – conclude Maath – Ma non c’è tempo né ci sono i mezzi economici per farlo. Per sopravvivere i giornalisti devono produrre più articoli possibile e spesso sono costretti a rimanere in superficie. Non siamo in grado di dedicare settimane ad un’inchiesta o ad un reportage, se dobbiamo anche mantenerci. Chi vive di giornalismo è costretto a sacrificare la qualità sull’altare della quantità”. Nena News

*Pubblicato su L’Indro

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fonte nena-news.globalist.it

REGIONALI LAZIO – Anzio, Storace e M5s denunciano: «Presidente di seggio ha rubato le schede elettorali» – VIDEO

Alessandro Di NicolaAlessandro Di Nicola

Pubblicato in data 23/feb/2013

Ad Anzio succede l’impossibile: la presidente del seggio rube le schede

Anzio, Storace e M5s denunciano: «Presidente
di seggio ha rubato le schede elettorali»

Lite nella sezione sabato. Moduli verdi nella sua borsa: contestata, la donna li fa a pezzi. Domenica voto regolare

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di Rinaldo Frignani

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La videodenuncia dei grillini sul caso di AnzioLa videodenuncia dei grillini sul caso di Anzio
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ROMA – Fa il giro del web la vicenda, denunciata dal Movimento 5 Stelle e dal leader de La Destra, Francesco Storace, della presidente di seggio che secondo l’accusa sarebbe stata sorpresa a nascondere schede elettorali per il voto regionale ad Anzio, in provincia di Roma. Ma i particolari della vicenda, emersi domenica, sembrano smontare il presunto «caso». Quel che è accaduto, spiegano testimoni, è che sabato pomeriggio il rappresentante di lista di M5S avrebbe notato su un tavolo la borsa della presidente di seggio, aperta, con dentro due schede verdi. Alle sue immediate contestazioni la donna, 47 anni, avrebbe risposto che le schede erano state prelevate perchè deteriorate: andavano tolte di mezzo – avrebbe detto – perchè non si confondessero con le altre.

FATTE A PEZZI – Ne sarebbe comunque seguito un alterco e la presidente, in preda ad una crisi di nervi, avrebbe preso le due schede e le avrebbe fatte a pezzi. A quel punto sono intervenuti gli agenti di servizio al seggio, uomini del commissariato di Anzio-Nettuno guidati dal dirigente Fabrizio Mancini – che hanno recuperato i pezzetti delle schede e li hanno trasmessi con un verbale alla Procura di velletri. Sabato in serata la presidente ha dato le dimissioni e le autorità competenti hanno provveduto alla nomina di un nuovo presidente di seggio. Domenica le operazioni si sono svolte regolarmente. «Non è stata sporta alcuna denuncia», precisa la Polizia. E la Digos non si sta occupando del caso.

STORACE – Ricorre all’ironia, Francesco Storace, candidato alla presidenza della Regione Lazio che su Twitter scrive: «Pizzicata presidente di seggio ad Anzio che rubava schede per le regionali. Immagina a quale partito le doveva indirizzare. Penoso». La denuncia dell’accaduto è arrivata anche da Maurizio Brugiatelli, responsabile cittadino La Destra di Anzio, che sostiene: «La presidente di seggio in questione è una veterana iscritta e militante del Pd».

MANDIAMOLI A CASA – Cresce il numero di tweet e post dedicati all’argomento e la cosa comincia a diffondersi anche sulle pagine ufficiali dei partiti e dei candidati. Dopo le segnalazioni condite di sarcasmo di Francesco Storace, c’è chi, commentando la vicenda sul social network, prende a prestito lo slogan di Beppe Grillo: «Mandiamoli a casa!».

24 febbraio 2013 | 16:27

fonte corriere.it

Madrid, 45 arresti e 40 feriti alla manifestazione contro l’austerity

Manifestación 23F-2013, Madrid. Interposición de los Bomberos. Mareas Ciudadanas.

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Pubblicato in data 23/feb/2013

Durante la manifestación, un cinturón de bomberos evitó provocaciones entre policías y manifestantes, así como asaltos a la valla que protegía el Congreso

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Madrid, 45 arresti e 40 feriti  alla manifestazione contro l'austerity (ansa)

Madrid, 45 arresti e 40 feriti alla manifestazione contro l’austerity

Nella giornata di sabato, decine di migliaia di persone sono tornate a marciare verso il Parlamento per protestare contro gli aumenti delle tasse, i tagli alla spesa pubblica, la disoccupazione e la corruzione. Al termine della manifestazione, piccoli gruppi hanno innescato le violenze di strada. Tra i feriti, anche 12 poliziotti

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MADRID Quaranta feriti, non gravi, e 45 persone arrestate, tra cui 9 minori. Questo il bilancio delle manifestazioni che ieri hanno visto tornare sulle strade di Madrid decine di migliaia di spagnoli contro la recessione, l’austerity e per chiedere maggiore tutele sociali. Lo riferisce il ministero dell’Interno, confermando i dati diffusi dalla polizia, che ha sottolineato come tra i feriti ci siano anche 12 agenti delle forze dell’ordine, coinvolti nelle violenze di strada. Il ministero non ha fornito cifre certe sull’affluenza alla manifestazione.

Di certo, sotto lo sguardo dei duemila poliziotti schierati in assetto antisommossa, sono stati in decine di migliaia gli spagnoli che, partendo da quattro diversi punti della capitale, ieri hanno marciato verso il parlamento per protestare contro gli aumenti delle tasse e i tagli alla spesa pubblica del governo del premier Mariano Rajoy, contro una disoccupazione che ha toccato il 26% della popolazione e la corruzione.

I diversi gruppi si sono riuniti sotto lo slogan ‘Marea di cittadini 23F’, a ricordare che i cortei si sono svolti nel giorno in cui ricorrono i 32 anni dal fallito golpe militare del 23 febbraio 1981. Altre manifestazioni sono state pianificate in altre 80 città spagnole. Gli organizzatori della protesta hanno chiesto ai partecipanti di vestire di verde, bianco, rosso, giallo, nero, blu o viola, per simboleggiare il loro impegno per l’ecologia, migliori servizi sanitari e via dicendo.

A manifestazione conclusa, nella serata di sabato, gruppi di giovani hanno innescato le violenze gettando oggetti in mezzo alla strada e dando fuoco a cassonetti per l’immondizia. Più tardi la polizia ha rinvenuto quattro bombe incendiarie in uno zaino abbandonato in strada. Il ministro dell’Interno ha annunciato di aver sequestrato a due minorenni bloccati nei pressi della stazione principale di Madrid un piccolo arsenale: 22 petardi, cinque razzi luminosi e un bastone.

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fonte repubblica.it

Elezioni 2013: Io Voto lo Stesso! Protesta degli studenti Erasmus / Caparezza: “Io diventerò Qualcuno!” VIDEO

Elezioni 2013: Io Voto Lo Stesso! (MADRID)

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Pubblicato in data 23/feb/2013

Gli italiani temporaneamente all’estero per motivi di studio non possono votare per le elezioni, a differenza dei loro colleghi di tutta Europa. Noi non ci stiamo, ed esercitiamo con un gesto simbolico il nostro diritto al voto.
VIVERE ALL’ESTERO È UNA SCELTA, VOTARE ALL’ESTERO È UN DIRITTO!
Io Voto Lo Stesso!

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CAPAREZZA – IO DIVENTERò QUALCUNO (HQ official video)

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Caricato in data 15/mar/2011

RIT: Io diventerò qualcuno, non studierò non leggerò, a tutti voi dirò di no. Ecco perché diventerò qualcuno.
Se vuoi parlare un po’ con me ti devo addare al mio myspace.

Nel dopoguerra non c’era chi urlava nei comizi più di cherokee. Non c’erano TV colme di Nembo Kid ne radio attive come nubi a Chernobyl. C’era l’uomo qualunque, sostenuto dal Fronte dell’Uomo Qualunque. Nella schiena dei partiti affondo le unghie: “Io non sono di destra nè di sinistra, sono un uomo qualunque! E lo stato è demagogo, nel sistema bipolare non mi ci ritrovo..” Ooh, ferma tutto! Devo aver avuto un herpes, dato che questo sfogo non mi è nuovo. Vivo decenni dopo nello stesso clima che su questo fuoco getta più benzina ma non c’è più l’uomo qualunque, tutti sono qualcuno, tutti sono in vetrina. RIT.
Il qualcunista milita in una banda che prende piede se la prendi sotto gamba. Gode come te quando ti stendi sotto Ramba, ma è talmente finto che sembra un ologramma. Partecipa al raduno, di quelli che gridano “Italia uno!” poco prima di un programma. Scrive recensioni di cd nel web e non distingue Zenyatta Mondatta da Ummagumma.
E’ una farsa, ha una cultura scarsa, ma non gli basta il ruolo della comparsa. Prima parla per bocca di Giorgio Bocca e poi la pensa come Giampaolo Pensa. Lascia nei forum commenti di boria, ma si.. sono piccoli commenti di gloria.
Porta avanti una staffetta scorretta: non passa il testimone ma passa a testimonial. RIT.
“Il Fronte dell’Uomo Qualunque è il primo partito di questo paese. Grazie e arrivederci.”
Bene, adesso mister e miss faranno del parlamento la Diaz del Blitz. Non distinguono il Foglio dal Manifesto, del resto io non distinguo Libero da Gin Fizz. La democrazia fa la fine del vip che ritrova H.P sull’uscio dell’hotel Ritz.
E siamo tutti nelle mani di chi? Di questi che per diventare qualcuno cambiano nick? Si, il Fronte dell’Uomo Qualcuno ha voti al cubo, mamma che dolore al culo, lo appuro, se questo è uno scherzo manca il sens of humor.
Uuh che manrovescio! Stiamo seppellendo nell’Endemol generation. Devo aspettare di perdere il mio diritto di voto per guadagnare il diritto alla nomination? RIT.

E Bruno Vespa per Le Monde diventa un cartoon…

E Bruno Vespa per Le Monde diventa un cartoon…

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Elezioni: Femen contesta Berlusconi, a seno nudo al seggio – VIDEO

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Elezioni: Femen contesta Berlusconi, a seno nudo al seggio VIDEO

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13:26 24 FEB 2013

(AGI) – Milano, 24 feb. – Non appena Silvio Berlusconi e’ arrivato nel seggio di Milano di via Scrosati per votare, tre ragazze al grido ‘basta Berlusconi’ si sono spogliate, rimanendo a seno nudo. Le Forze dell’Ordine hanno bloccato le emule casalinghe del gruppo ‘Femen’ e le hanno poi portate all’esterno del seggio, dove le giovani hanno continuato a urlare ‘basta Berlusconi’. Le tre ragazze che hanno contestato Berlusconi al seggio erano straniere e attiviste di ‘Femen’, un gruppo ucraino per la parita’ dei diritti. Probabilmente si tratta di due giovani ucraine e una francese.

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Il video della contestazione delle ‘Femen’

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fonte agi.it

VATICANO – Conclave, nuova grana in arrivo dalla Scozia: cardinale accusato di rapporti ‘inappropriati’

Conclave, nuova grana in arrivo dalla Scozia: cardinale accusato di rapporti 'inappropriati'
Il cardinale Keith O’Brien (ansa)

Conclave, nuova grana in arrivo dalla Scozia: cardinale accusato di rapporti ‘inappropriati’

L’alto prelato scozzese, in partenza per Roma in vista dell’elezione del nuovo Papa, messo sotto accusa per ‘molestie’ dall’esposto di quattro sacerdoti al Nunzio apostolico in Gran Bretagna: “Si deve dimettere, la Chiesa non lo faccia votare”

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LONDRANon bastava il caso Mahony, sul conclave che dovrà eleggere il nuovo Papa piove un’altra grana che stavolta arriva dal Regno Unito. Uno degli “elettori” del pontefice, il cardinale scozzese Keith O’Brian, è stato accusato di “comportamento inappropriato” da tre sacerdoti e un ex sacerdote in Scozia. A svelare la notizia sono il Guardian e l’Observer.

Secondo il Guardian, i quattro hanno sottoposto la loro segnalazione, con riferimento a un periodo che risale a fino 33 anni fa, al Nunzio apostolico in Gran Bretagna, Antonello Mennini, chiedendo le dimissioni immediate del porporato. Un portavoce del cardinale ha fatto sapere che le affermazioni degli ‘accusatori’ sono state contestate. O’Brien ha 74 anni e si dovrebbe ritirare il mese prossimo.

A quanto emerge, uno dei denuncianti ritiene che O’Brian avesse sviluppato nei suoi confronti un rapporto definito “inappropriato” e che ciò lo abbia costretto ad anni di assistenza psicologica. I quattro, si legge ancora sulla versione online del quotidiano, affermano di essersi rivolti al Nunzio già prima dell’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI, l’11 febbraio scorso. L’Observer riferisce che i quattro farebbero parte della diocesi di St Andrews e di Edimburgo di cui è titolare O’Brien. Inoltre, i denuncianti temono che una partecipazione del primate scozzese all’elezione del Papa vorrebbe dire che la Chiesa ha ignorato le loro rivendicazioni.

Il primo caso – secondo quanto riporta l’Observer – risale al 1980 quando uno degli accusatori era “un seminarista 18enne al Drygrange college a St Andrews, dove O’Brien era il suo direttore spirituale”, e dove, secondo il domenicale, l’attuale cardinale gli avrebbe fatto delle “avance inappropriate dopo la preghiera della notte”. All’epoca, l’uomo, ha spiegato di essere “troppo terrorizzato per denunciare il caso”. Venne ordinato sacerdote, ma si spogliò dell’abito talare quando seppe che O’Brien era stata nominato vescovo.

Per quanto riguarda gli altri tre ‘denunciati’, tutti ancora sacerdoti, il primo ha riferito di di essere stato oggetto di “un contatto inopportuno” da parte di O’Brien nella sua prima parrocchia; il secondo ha spiegato che nel 1980 fu invitato a passare un settimana con l’attuale cardinale nella sua residenza e qui, ha detto, di essere stato vittima di un comportamento inadeguato dopo una bevuta a notte fonda; l’ultimo sacerdote ha dichiarato che quando era un giovane prete O’Brien utilizzava la vicinanza durante le preghiere serali per “contatti inappropriati”.

Ieri il cardinale scozzese, in un’intervista alla Bbc, aveva confermato la sua intenzione di partire per Roma il prossimo martedì per partecipare al conclave. L’intervista aveva suscitato clamore per alcune sue dichiarazioni sulla opportunità per i preti di sposarsi: “Se lo vogliono dovrebbero poterlo fare”, aveva detto il cardinale. In passato invece, O’Brian aveva manifestato posizioni molto conservatrici, in particolare rispetto all’omosessualità che aveva condannato come immorale e contro i matrimoni gay che aveva definito “dannosi”. (23 febbraio 2013)

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fonte repubblica.it

MA AI POLITICI NON INTERESSA – Rapporto sull’Italia delle frane. L’82% dei Comuni in dissesto idrogeologico

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L’ultima alluvione  a Catania – fonte immagine

Rapporto sull’Italia delle frane

Per arginare i danni si spende più di un miliardo e mezzo l’anno. Se si intervenisse per risanare il territorio la sicurezza aumenterebbe e si nascerebbero nuovi posti di lavoro. E’ quanto scrive L’Anbi, associazione nazionale bonifiche e irrigazione. La regione più a rischio è la Campania

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di Nello Trocchia

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Il nubifragio che ha colpito Catania nei giorni scorsi  avrebbe imposto, almeno nelle ultime ore, un confronto sul disastro di un paese che frana. Invece, il vuoto regna in questa campagna elettorale. Non solo il tema è rimasto al palo nei dibattiti ma non compare neanche nei programmi dei partiti. Eppure in Italia sono 6633 i comuni in pericolo per il dissesto idrogeologico, l’82%. Una vulnerabilità che, nel nostro paese, si affronta solo in regime di emergenza e somma urgenza con minori controlli e maggiori costi.

L’Anbi, associazione nazionale bonifiche e irrigazione, ogni anno, aggiorna il piano di intervento per ‘riparare’ il territorio. “C’è bisogno di 2943 interventi, recita il documento sulla sicurezza territoriale, per un importo complessivo di 6 miliardi e 800 milioni di euro”. Il risanamento ambientale avrebbe anche un vantaggio occupazionale con la possibilità di dare lavoro a 7 persone per ogni milione di euro speso, complessivamente a quasi 50 mila unità coniugando occupazione e politiche di contrasto al dissesto idrogeologico.

L’Italia spende, infatti, secondo quanto calcolato da uno studio del consorzio universitario del Politecnico di Milano, oltre 2 miliardi di euro ogni anno per tamponare i danni causati da frane e alluvioni più un miliardo e mezzo per interventi minori. Anche i dati sulle strutture sono preoccupanti, ci sono oltre un milione e 200 mila edifici a rischio frane e alluvioni, di questi 6251 scuole e 547 ospedali.

La regione che rischia di più è la Campania con oltre 1000 scuole e 56 ospedali. Un’emergenza perenne e irrisolta che trova poco spazio anche nei programmi dei partiti. Proprio in Campania, il Pdl promette di riaprire i termini del condono edilizio del 2003 nonostante in Italia il consumo del suolo sia cresciuto, negli ultimi anni, ad una media di 8 metri quadrati al secondo. La regione si trova nella prima fascia per consumo di territorio, dal 7 al 10% secondo le ultime stime dell’Ispra.

Il Pdl, Mara Carfagna in testa, torna sul cavallo di battaglia già usato nella campagna elettorale per le regionali del 2010. Promessa non mantenuta, ma gli azzurri ci riprovano. ” Riaprire i termini del condono edilizio in Campania sarà il primo provvedimento che adotteremo se vinceremo le elezioni” fanno sapere. Fu la giunta Bassolino a bloccare l’applicazione in Campania del condono del 2003. ” Vogliamo – spiegano dal Pdl – che i cittadini campani possano accedervi come hanno potuto fare quelli delle altre regioni”.

In Campania si contano 60 mila strutture abusive per le quali c’è una sentenza di abbattimento, il condono riaccende le speranze e porta voti nella regione del mattone illegale e nel paese che frana.

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fonte espresso.repubblica.it