Archivio | dicembre 9, 2008

PUPARI E PUPAZZI – Rai, il debutto di Villari: apro l’«istruttoria» su Fazio

Mi hanno detto che “Tempo che fa” è un programma fazioso..

https://i0.wp.com/biografieonline.it/img/bio/f/Fabio_Fazio.jpgSinceramente, mi viene da ridere..

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«Solo ospiti di sinistra». Il presidente della commissione chiede i dati.

Gasparri: «Che tempo che fa» pro Pd, la Vigilanza intervenga. I democratici: trucchetto per legittimarla

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ROMA — Festa dell’Immacolata, primo pomeriggio: le agenzie di stampa cominciano a battere una notizia non scontata. Titolazione eloquente: «Gasparri: Villari intervenga su abusi a ” Che tempo fa” ».
Seguono dichiarazioni schioppettanti e indignate del presidente dei senatori del Pdl, che è anche membro — dicono molto, molto ascoltato — della commissione di Vigilanza Rai (di cui Riccardo Villari, con un blitz della maggioranza, fu eletto presidente quando ancora era però un senatore del Pd: poi è scoppiata la bufera, Villari non s’è dimesso, il partito l’ha espulso ma, come si sa, lui — Villari appunto — continua imperterrito a restar seduto sulla poltrona di palazzo San Macuto).
Ora torniamo a Gasparri. È piuttosto arrabbiato. Sentite: «Il Presidente Villari chiarisca a chi risponde Fazio: a Cappon o a Veltroni? Chiedo a Villari, presidente della commissione di Vigilanza, di sapere che regole siano in vigore alla Rai. Mi sembrava infatti d’aver capito che il direttore generale avesse stabilito che i politici non dovessero andare nei programmi di intrattenimento. Ma Fazio, a ” Che tempo fa”, su Rai Tre, invita chi vuole. Prima Veltroni. L’altra sera il presidente della Sardegna, Soru. Fazio, mi chiedo, risponde ai suoi padroni del Pd o a chi? Chiedo perciò a Villari interventi immediati contro gli abusi in atto».

Ascoltate le parole di Gasparri, s’intuisce che la vicenda ha due diversi livelli politici di lettura.
Il primo: Fabio Fazio conduce un programma fazioso? Davvero invita solo personaggi liberal, di area Pd? Davvero gli ospiti di Fazio sono tutti riconducibili a Veltroni?
Il secondo: Gasparri invoca l’intervento di Villari. Ma proprio a Villari, alcune tra le massime cariche dello Stato (Renato Schifani e Gianfranco Fini), lo stesso premier Silvio Berlusconi e poi anche il suo autorevole sottosegretario Gianni Letta, non avevano ufficialmente chiesto di fare un passo indietro, e dunque di dimettersi?
Il più lesto a commentare — non casuale la sua rapidità — è Fabrizio Morri, capogruppo del Pd in commissione di Vigilanza.

«Quello di Gasparri è un patetico trucchetto. Fabio Fazio è un misero pretesto». Può essere più preciso? «Gasparri cerca di legittimare la presenza di Villari, alla guida della commissione, sollecitandone l’intervento… anche se tutti sanno che il Paese è in attesa che Villari si dimetta». Intanto, però, Villari continua a non avere alcuna intenzione di dimettersi. «Lo so. Villari ignora le parole di tutte le massime cariche dello Stato e, davvero, non so dove trovi il coraggio…». Magari sente molto sincero il rispetto che gli esprimono esponenti come Gasparri e… «Può essere, certo. Ma se è così, allora sia chiara una cosa». Quale? «Gasparri, in questa vicenda in cui Fazio viene coinvolto pretestuosamente, invoca l’intervento del “loro”, personale presidente di commissione Rai…».

Davvero le accuse a Fabio Fazio sono solo un pretesto? Ne è convinto anche Furio Colombo, deputato del Pd ed ex direttore dell’Unità. «Beh, innanzitutto, a me sembra che la trasmissione di Fazio si qualifichi per il livello culturale e intellettuale delle persone che invita, e non certo per la loro appartenenza politica ». Ma, spesso, gli invitati paiono o no, in un modo o nell’altro, legati all’area liberal? «Mah, che devo dire? A me farebbe piacere se i sospetti di Gasparri fossero veri, e quindi se tanta gente brillante e di fama davvero appartenesse al centrosinistra. Purtroppo…». Cosa? «Temo che quella di Gasparri sia una sceneggiata comica. E infatti, come tutti i comici, ora chiama sul palcoscenico la spalla, vale a dire Villari. E trovo che tutto questo sia assai umiliante, per Villari».

Villari — medico epatologo, ricca borghesia napoletana, alta percezione di se stesso — non si sente affatto umiliato. Anzi. Alle 19, il suo ufficio stampa rende noto che «in seguito alle numerose richieste di chiarimento giunte da esponenti politici sulla trasmissione ” Che tempo che fa”, il presidente Villari nelle prossime ore chiederà al direttore di RaiTre, Paolo Ruffini, i dati delle presenze televisive della stagione».
Un’ora, ed ecco, di nuovo, Gasparri: «Ringrazio il presidente Villari per aver chiesto notizie sui vergognosi abusi di ” Che tempo che fa”. È stato molto tempestivo».
Tempestivo, quindi efficiente, perciò operativo (con buona pace di chi ne aspetta le dimissioni). Bisogna leggerla così?

Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera, ne ha viste talmente tante, nella sua lunga vita politica, che non bisogna star lì a spiegargli certe sottigliezze.
«Eh… ho capito, ho capito…». Commento? «Premesso che sulla posizione di Villari è in corso una riflessione… ». Premesso questo? «Beh, non è mica vietato evocarlo. Voglio dire: fino a prova contraria, se si deve sollecitare l’intervento del presidente della commissione di Vigilanza, bisogna chiamare Villari, o no?».

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9 dicembre 2008

fonte: http://www.corriere.it/politica/08_dicembre_09/fabrizio_roncone_debutto_villari_istruttoria_fazio_3929d406-c5be-11dd-a2ac-00144f02aabc.shtml

Fao: “Aumenta la fame nel mondo quasi un miliardo senza cibo”

Le stime preliminari dell’agenzia Onu. L’aumento dei prezzi alimentari la causa principale

Rispetto al 2007, 40 milioni in più. E l’attuale crisi economica può far peggiorare la situazione

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"Aumenta la fame nel mondo quasi un miliardo senza cibo"

Un manifestante protesta in Africa contro l’aumento dei prezzi alimentari

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ROMA – La fame miete sempre più vittime: altri 40 milioni di persone si sono aggiunti quest’anno alla già lunga lista di coloro che soffrono la mancanza di cibo, principalmente a causa dell’aumento dei prezzi alimentari. Secondo le stime preliminari pubblicate oggi dalla Fao, nel mondo sono 963 milioni le persone sottonutrite, quasi un miliardo. E l’attuale crisi finanziaria ed economica – avverte l’agenzia delle Nazioni Unite – potrebbe far lievitare ulteriormente questa cifra.

La lista si allunga. Nel 2007 erano 923 milioni le persone che non avevano abbastanza cibo. La Food and agriculture organization segnala che alla base del “drammatico quanto rapido” aumento del numero di affamati cronici nei Paesi del Sud del mondo c’è l’impennata dei prezzi delle materie prime agricole.

Il costo del cibo. L’aumento dei prezzi ha fatto precipitare nell’insicurezza alimentare milioni di poveri e ridotto drasticamente la quantità e qualità del cibo a loro disposizione. E’ pur vero che c’è stato un calo dei prezzi dall’inizio del 2008, ma, ha spiegato il vicedirettore generale della Fao e curatore del rapporto Hafez Ghanem, “per milioni di persone riuscire a mangiare ogni giorno una quantità di cibo sufficiente è ancora un sogno lontano”. In ogni caso, il calo non è stato abbastanza forte: l’Indice Fao dei prezzi alimentari nell’ottobre 2008 era ancora un 20 per cento più alto rispetto all’ottobre 2006.

Le difficoltà degli agricoltori. Con i prezzi delle sementi e dei fertilizzanti più che raddoppiati dal 2006, i contadini poveri non sono riusciti ad aumentare la produzione, mentre gli agricoltori più ricchi, soprattutto nei Paesi sviluppati, hanno sostenuto i prezzi più alti e accresciuto le semine.

L’avvertimento. Ghanem ha parlato anche dei rischi futuri: “Se i prezzi più bassi e la stretta creditizia associati alla crisi economica costringeranno gli agricoltori a diminuire le semine – ha osservato – l’anno prossimo potrebbe verificarsi un’altra drammatica ondata di prezzi alimentari alti”.

Spiraglio di speranza. Gli esperti Fao, però, hanno sottolineato che l’alto prezzo delle derrate può diventare un’opportunità di sviluppo per i milioni di piccoli agricoltori poveri: potrebbe infatti favorire l’espansione dei mercati regionali, creare nuovi posti di lavoro e rilanciare in modo sostenibile l’agricoltura del Sud del mondo.

Doppia strategia. L’Onu propone una duplice azione da parte di governi, donatori e ong: da una parte rafforzare il settore agricolo e aiutare i piccoli produttori ad aumentare la produttività fornendo sementi, fertilizzanti, mangimi, macchine agricole e simili; dall’altra, avviare programmi di sicurezza e protezione sociale per le categorie più vulnerabili, così da garantire ai più poveri l’accesso al cibo.

Servono soldi. “L’obiettivo del Vertice dell’alimentazione del 1996 di dimezzare il numero delle persone che soffrono la fame entro il 2015 – ha affermato Ghanem – richiede un forte impegno politico e finanziario di almeno 30 miliardi di dollari l’anno per l’agricoltura e per le misure di protezione sociale delle popolazioni povere”.

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9 dicembre 2008

fonte: http://www.repubblica.it/2008/12/sezioni/esteri/fao-fame/fao-fame/fao-fame.html?rss

Cuore e arterie salvi grazie alle noci

Uno studio spagnolo sottolinea l’importanza della dieta mediterranea integrata

Per correggere la sindrome metabolica e ridurre le patologie cardiovascolari

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(da Crisp.cc)

MILANO – Secondo uno studio spagnolo pubblicato sull’Archives of Internal Medicine journal, le noci migliorano considerevolmente lo stato generale di salute nei casi di sindrome metabolica (consistente in obesità, colesterolo alto ed elevata pressione sanguigna). In sostanza il frutto pulisce le arterie e, se consumato con morigeratezza e abbinato a una dieta mediterranea, può essere un vero e proprio toccasana per tutti i candidati a serie patologie cardiovascolari.

LO STUDIO – I ricercatori hanno osservato nel tempo lo stato di salute di 1.200 volontari con sindrome metabolica divisi in tre gruppi: al primo è stato suggerito un regime alimentare genericamente privo di grassi eccessivi, al secondo è stata raccomandata un’alimentazione mediterranea ricca di olio d’oliva (noto per essere un protettore delle arterie) e al terzo gruppo è stata consigliata una dieta mediterranea integrata con 30 grammi di noci al giorno. Dopo un anno i volontari sono stati convocati per osservare eventuali progressi. I ricercatori spagnoli hanno evidenziato nel primo gruppo un miglioramento nel 2 per cento dei casi, nel secondo gruppo nel 6,7 per cento dei casi e nel terzo gruppo nel 13,7 per cento dei casi. E se in generale nessuno dei partecipanti ha perso peso, nei «mangiatori di noci» è stata riscontrata anche una diminuzione del giro vita.

UN PUGNO DI NOCI AL GIORNO – Del resto le proprietà di questo seme oleoso sono note da tempo, tanto da rischiare di rubare alla mela la fama di essere una sorta di frutto-medicina. Dopo il cenone di Natale, e in generale dopo le grandi abbuffate, gli esperti hanno sempre consigliato una dose ragionevole di noci, miracolose, pare, nel combattere i danni causati dallo stato infiammatorio e dalle reazioni ossidative conseguenti al circolo dei grassi. Queste reazioni causano elevati rischi cardiocircolatori ai quali una manciata di noci giornaliera può provvedere, preservando elasticità e flessibilità alle arterie, grazie all’amminoacido arginino (che stimola a sua volta l’ossido nitrico, indispensabile all’elasticità dei vasi). Infine le noci contengono i grassi omega-3, celebri per essere d’aiuto all’organismo. Il dr. Jordi Salas-Salvado, che ha guidato lo studio, si raccomanda ovviamente di non esagerare con questo tipo di frutta secca e di non fare vere e proprie scorpacciate con la scusa di pulirsi le arterie. In medicina la prima regola è sempre e comunque una sana moderazione.

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Emanuela Di Pasqua
09 dicembre 2008

fonte: http://www.corriere.it/salute/nutrizione/08_dicembre_09/noci_dieta_cuore_127c0ed4-c5f3-11dd-a2ac-00144f02aabc.shtml

IL PUNTO – Grecia, Francia, Italia la gioventù bruciata

(Ap)(Photo AP)

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In Grecia è esplosa una rivolta giovanile. Partita da Atene, si è propagata in molti altri punti del paese. Da Salonicco a Patrasso, da Corfù a Creta. Ma la protesta ha scavalcato i confini, coinvolgendo, fra i bersagli, le ambasciate greche di alcune capitali europee. E’ una vera mobilitazione, scandita da episodi violenti. E di scontri continui, con le forze dell’ordine. Molti di essi sono studenti. E infatti l’epicentro del terremoto sociale è diventato il Politecnico di Atene, insieme al quartiere di Exarchia (intellettuale e, insieme, alternativo). Luoghi mitici, perché proprio da lì, proprio dagli studenti partì la rivolta che, con un costo di vite altissimo, travolse il regime dei colonnelli, 35 anni fa.

D’altra parte, non è un “movimento studentesco”. Perché agli studenti si sono uniti molti altri: lavoratori, precari, disoccupati. Comunque: giovani. Inoltre, a guidare le manifestazioni sono gruppi di sinistra radicale, affiancati da gruppi anarchici. Ma non ciò che sta avvenendo non può essere riassunto in un’azione della sinistra antagonista. Anche perché la sinistra antagonista non dispone di una base tanto ampia. La ribellione di massa che sta incendiando le città greche è un po’ di tutto ciò. Mobilitazione studentesca universitaria (e non), antagonista, di sinistra, giovanile.

L’episodio scatenante è drammatico. La morte di un giovane 15enne, sabato scorso, ad Atene, nel quartiere di Exarchia, ucciso da un poliziotto, in seguito allo scontro fra un gruppo di studenti e una pattuglia della polizia. Di fronte a quel che è avvenuto e che sta avvenendo, però, l’episodio, per quanto sanguinoso e violento, appare quasi epifenomenico. Un incidente occasionale. La miccia che provoca un’esplosione a catena. Ed è facile, anche se discutibile, per questo, accostarlo ad altre rivolte che hanno investito le metropoli europee negli ultimi anni.

Per prima, l’esplosione di rabbia che ha sconvolto le banlieue francesi – parigine, anzitutto – nell’autunno del 2006. Anche in quel caso il motivo scatenante è lo stesso: l’uccisione di un ragazzo in una colluttazione con la polizia. Da cui la spirale di violenza che ha travolto, per settimane, le periferie di Parigi, per propagarsi presto ad altre metropoli francesi. La stessa dinamica si ripropone un anno fa, a Villiers-le-Bel, nella banlieue Nord di Parigi. Stessa meccanica: la morte di due ragazzi in moto, investiti (in questo caso in modo del tutto accidentale) da un’auto della polizia. Cui segue una vampata di violenze che degenerano subito. In modo drammatico, visto che in pochi giorni si contano oltre cento feriti, perlopiù tra forze dell’ordine. Certo: si tratta di eventi assolutamente diversi, per contesto urbano e sociale. In Grecia: studenti che si mobilitano in centro storico, con obiettivi apertamente politici. I palazzi del governo e del potere, la maggioranza di destra. In Francia: francesi di seconda generazione; giovani socialmente periferici che abitano le periferie più povere e inospitali. I bersagli: i simboli della cittadinanza negata. Auto, centri sociali, biblioteche. In entrambi i contesti, però, si tratta di “giovani”. E la violenza investe alcuni “oggetti” specifici. Oltre alle auto: negozi e hotel di lusso. Simboli di un sistema che si regge e si rappresenta attraverso i consumi. In entrambi i casi, ancora, lo scontro avviene direttamente con le forze dell’ordine e con la polizia, in modo aperto. Non solo è solo la polizia a opporsi alle azioni giovanili. Sono gli stessi giovani a cercare lo scontro con la polizia.

La rivolta di Atene, per alcuni versi, richiama, inoltre, le mobilitazioni che attraversano l’Italia da alcune settimane. Le differenze, in questo caso, sono però ancor più evidenti. Perché in Italia la protesta giovanile non nasce da un episodio violento e non ha assunto toni violenti (se non in alcuni casi molto specifici). Perché ha fini e bersagli squisitamente politici. I provvedimenti del governo in materia di scuola e università. Tuttavia, fra le mobilitazioni vi sono i punti di contatto altrettanto palesi. In Italia come in Grecia i protagonisti sono gli studenti, i teatri le università. In Grecia come in Italia la popolazione studentesca era da tempo in ebollizione, per gli stessi motivi. L’opposizione aperta contro la riduzione delle risorse e degli investimenti sulla scuola – e in particolar modo sull’organizzazione della ricerca e dell’università – pubblica.

Se colleghiamo questi tratti, tanto diversi in apparenza, si delinea un profilo comune e largamente noto. Perché le rivolte investono i giovani, sia gli studenti che i marginali, delle classi agiate e dei gruppi esclusi. I bersagli sono, in ogni caso, le istituzioni di governo, il sistema educativo e le forze dell’ordine, il sistema politico e in particolar modo i partiti e gli uomini di governo. Il denominatore comune di queste esplosioni sociali sono i giovani, occultati e vigilati da una società vecchia e in declino, da un sistema politico im-previdente, inefficiente e spesso corrotto. Schiacciati in un presente senza futuro. Cui sono sottratti i diritti di cittadinanza. Costretti a una flessibilità senza obiettivi. Il che significa: precarietà.

La violenza, in questo caso, diventa un modo di dichiarare e gridare la propria esistenza. Loro, invisibili. Inutile ignorarli, fare come se non ci fossero. Ci sono. Studenti, precari, di buona famiglia oppure marginali e immigrati, politicizzati o apertamente impolitici e antipolitici. Esistono. E se si finge di non vedere si accendono, bruciano. Fuochi nella notte che incendiano le città.

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9 dicembre 2008

fonte: http://www.repubblica.it/2007/02/rubriche/bussole/giovane/giovane.html

CORTE COSTITUZIONALE. Sentenza: Se il depuratore non funziona, si può chiedere il rimborso della bolletta

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Se nel proprio comune di residenza il depuratore dell’acqua fognaria è assente, o non funziona, si può richiedere al Comune, all’Ato o alla azienda concessionaria dell’acquedotto il rimborso della tariffa di depurazione nella bollette dell’acqua dal 1998

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ACQUA. CANONE DEPURAZIONE, CHIEDI IL RIMBORSO!

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MOVIMENTO DIFESA DEL CITTADINO (MDC) LANCIA LA “CAMPAGNA GIUSTO CANONE” PER CHIEDERE LA RESTITUZIONE DELLE SOMME INGIUSTAMENTE VERSATE AI COMUNI SENZA DEPURATORE
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Se nel proprio comune di residenza il depuratore dell’acqua fognaria non funziona, si può richiedere al Comune, all’Ato o alla azienda concessionaria dell’acquedotto il rimborso della tariffa di depurazione
nella bollette dell’acqua dal 1998. A stabilirlo è stata una sentenza della Corte Costituzionale (sentenza 335/2008) che ha dichiarato illegittimo l’art. 14, comma 1, della legge n. 36/1994 (legge Galli) e il Codice ambientale (D.lgs n. 152/06), nella parte in cui si stabiliva che gli utenti dovessero pagare la depurazione anche nel caso in cui la fognatura fosse sprovvista di impianti centralizzati o questi fossero temporaneamente inattivi.

“Dopo anni di lotte la Corte Costituzionale ha messo la parola fine a una palese ingiustizia – spiega Francesco Luongo, responsabile del Dipartimento Servizi a rete del Movimento Difesa del Cittadino (MDC) – Ora tutti i comuni privi di impianti e che riscuotono direttamente o tramite la società concessionaria del servizio idrico o l’Ato la tariffa per la depurazione, devono restituire le somme versate dai cittadini, costretti a pagare in assenza del servizio e con gravi danni all’ambiente”.

“Ad essere coinvolte – continua Luongo – non sono soltanto le utenze domestiche, ma anche quelle dei condomini, commerciali e , addirittura, quelle di fabbriche,scuole, ospedali, alberghi ed enti pubblici o privati che in questi anni hanno pagato milioni di euro per una depurazione delle acque reflue rimasta il più delle volte una pia illusione”.

Per conoscere se nel proprio comune esistono e sono funzionanti impianti di depurazione e per recuperare le somme indebitamente versate, il Movimento Difesa del Cittadino lancia la “Campagna Giusto Canone”. Nel sito dell’associazione http://www.mdc.it, i cittadini interessati, i titolari delle utenze domestiche o commerciali, gli amministratori di condominio e tutti gli aventi titolo, possono scaricare il modulo per il rimborso, compilarlo e inviarlo via fax al numero 06/4820227 oppure rivolgersi alla sede locale più vicina (consultando la sezione “dove siamo” del sito http://www.mdc.it o chiamando la sede nazionale MDC 06/4881891).
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Scarica il comunicato in pdf
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Scarica il modulo

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04.11.2008

fonte: http://www.mdc.it/it/comunicato_acqua_giusto_canone.html#

Morti sul lavoro: continua la strage, tre vittime e un ferito gravissimo

Grave un operaio finito in una betoniera nel Riminese

Un interinale alla Tenaris di Dalmine (Bergamo), in una cava di ghiaia nel Pavese e nel Bellunese

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Il comunicato dello sciopero alla Tenaris di Dalmine (Ansa)
Il comunicato dello sciopero alla Tenaris di Dalmine (Ansa)

MILANO – È passato da pochi giorni l’anniversario per la strage alla Thyssen Krupp di Torino, ma non rallentano i morti sul lavoro in Italia. Anche martedì sono tre le vittime, più un ferito gravissimo.

DALMINE – Sergio Riva, 20 anni, è morto all’1,30 di notte alla Tenaris di Dalmine (Bergamo). Il giovane è stato travolto da un cilindro d’acciaio del peso di circa una tonnellata, mentre insieme a un collega stava lavorando a un macchinario che produce tubi. La vittima era entrata nel macchinario per risolvere un guasto, quanto il pesante cilindro ha ceduto e lo ha travolto uccidendolo. L’operaio era stato inserito in azienda da circa un anno e da poco tempo il suo contratto di lavoro interinale era stato prorogato per altri sei mesi solo dopo uno sciopero interno. I lavoratori hanno proclamato otto ore di astensione dal lavoro. Il segretario nazionale della Fiom-Cgil, Giorgio Cremaschi, sollecita il governo a inviare gli ispettori nelle fabbriche «contro l’uso disinvolto del lavoro interinale nelle aziende a rischio» e per mettere fine alle «stragi» sul lavoro.

CAVA DI GHIAIA – Cesare Bertelli, 21 anni, è morto poco prima delle 8 in una cava di ghiaia a Torretta di Galliavola (Pavia). Il giovane è stato schiacciato dal cassone del camion che stava riparando. L’operaio era salito sul pianale mentre il cassone era in posizione verticale e, per cause non ancora accertate, il cassone è sceso non lasciando scampo al giovane.

BELLUNO – P. F., 34 anni, è deceduto mentre operava alla costruzione di uno spazio industriale per la realizzazione di precompressi a Santa Giustina, in provincia di Belluno. Secondo quanto si è appreso, l’operaio sarebbe stato schiacciato da una paratoia di acciaio del peso di varie tonnellate del tipo usato per il contenimento di grandi gettate di cemento.

BETONIERA – Un operaio di 21 anni è rimasto gravemente ferito verso le 10 in un cantiere di Bellaria Igea Marina, nel Riminese. L’uomo stava lavorando con una piccola escavatrice quando è finito per cause in corso di accertamento all’interno di una betoniera. Per liberarlo i vigili del fuoco hanno dovuto smontare un pezzo della macchina.

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9 dicembre 2008

fonte: http://www.corriere.it/cronache/08_dicembre_09/vittime_lavoro_51ef50d6-c5f7-11dd-a2ac-00144f02aabc.shtml

ALLARME DIOSSINA – L’Irlanda conferma: contaminati anche i bovini

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L’INFORMAZIONE CONTROLLATA – E, come al solito, tutti a buttare acqua sul fuoco. Certo, perché provocare allarmismo, ne vanno di mezzo i consumi..

mauro

Positivi i test sui bovini irlandesi, che però possono essere isolati più facilmente
Continuano i sequestri di carne suina in Italia: 42 in diverse regioni, tutti all’ingrosso

I veterinari rassicurano: “Nessun pericolo per la salute”.
Il sottosegretario alla Salute: “Non c’è carne avvelanata nei supermercati”

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Diossina, l'Irlanda conferma contaminati anche i boviniUn sequestro di bovini ammalati nel 2002

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ROMA – Il sospetto c’era e l’aveva avanzato ieri il sottosegretario alla Salute Francesca Martini. Il mangime alla diossina che ha avvelenato i maiali irlandesi, ha contaminato anche alcune mandrie di bovini. A confermarlo è l’Unione europea che ha detto di aver ricevuto dall’Irlanda i risultati dei test effettuati sui bovini. Nulla da temere, assicurano gli esperti, facendo sapere che nel caso dei bovini la situazione sarebbe meno grave. Rispetto ai suini, infatti, l’individuazione e l’eliminazione dei capi è più facile perché è possibile risalire a ogni animale a rischio lungo tutta la catena alimentare e isolarlo.

La carne importata e i sequestri. Delle 89 partite di carne suina importate in Italia dall’Irlanda a partire da settembre, da quando cioè è scattato l’allarme diossina, 42 sono state sequestrate. “Contiamo in brevissimo tempo di trovarle e sequestrarle tutte”, ha affermato il sottosegretario Martini, specificando che la carne non ha ancora raggiunto il commercio al dettaglio. “Sono state tutte rinvenute presso i grossisti – ha detto – e nei 120 controlli che ieri hanno fatto i Nas nei supermercati, non è stato trovato nulla”. I sequestri hanno riguardato diverse regioni: 23 in Lombardia, uno in Calabria, uno nella Provincia di Trento, otto in Emilia Romagna, sei in Veneto, uno rispettivamente nel Lazio, Puglia e Basilicata.


Nessun pericolo per la salute. I consumatori possono stare tranquilli. “Da quello che ci risulta come veterinari addetti ai controlli il problema diossina non esiste”. Lo ha detto Aldo Grasselli, segretario della Sivemp, la società italiana dei veterinari pubblici, che liquida così l’allarme diossina nelle carni irlandesi. “I consumatori possono stare più tranquilli di un mese fa, perchè dopo l’allerta i controlli sono a tappeto, e tutta la carne che trovano in tavola è passata al vaglio”.

Preoccupati commercianti. Evitare allarmismi ingiustificati: è la voce unanime che si alza dal mondo della produzione e del commercio delle carni. “L’effetto di allarmismi generalizzati sarebbe deleterio”, sostiene la Confederazione italiana agricoltori (Cia). “Non solo in un momento come quello di vigilia delle feste quando aumentano i consumi, ma per l’intero settore suinicolo che riveste una grande importanza nel contesto dell’economia agroalimentare nazionale”.

Consumatori temono aumento prezzi.
Chiedere al governo la lista dei marchi che hanno acquistato i prodotti contaminati ed evitare speculazioni sui prezzi. È quanto chiede il presidente dell’associazione dei consumatori ‘Adoc’ Carlo Pileri. “Eventuali rincari ingiustificati – ha affermato – rischiano di nuocere gravemente alla già compromessa economia delle famiglie, per di più sotto Natale”.

Etichetta d’origine e controlli alla frontiera. Alla luce dell’allarme diossina, sono in molti a chiedere alle autorità l’adozione tempestiva di certificazioni precise sulla provenienza delle carni e maggiori controlli alle frontiere. “Il governo deve emettere un decreto urgente che imponga subito l’etichetta di origine sulle carni suine commercializzate in Italia”, è stato l’invito rivolto dal presidente del Codacons, Carlo Rienzi, che ha aggiunto: “In attesa che ciò avvenga, non comprate per le prossime festività cotechino e zampone”. Dello stesso avviso è la Confederazione italiana agricoltori (Cia), che però tranquillizza sulla bontà delle carni e invita a comprare i prodotti natalizi.

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9 dicembre 2008

La Ue mette al bando le lampadine a incandescenza: vendita vietata dal 2012

BRUXELLES (8 dicembre) – Le lampadine a incandescenza usate in tutte le case saranno messe al bando nella Ue dal 2012. Lo hanno deciso oggi gli esperti degli stati dell’Unione approvando una proposta di regolamento che mira a togliere dal commercio progressivamente le lampadine tradizionali a partire dal 2009 per terminare nel 2012.

Grazie a lampadine di nuova generazione, i cittadini europei non solo potranno risparmiare energia, ma permetteranno, sottolinea una nota della Commissione, di ridurre di circa 15 milioni di tonnellate all’anno le emissioni di C02.

Secondo i calcoli dell’esecutivo Ue, una famiglia media che sostituisce le lampadine a incandescenza con lampade fluorescenti compatte potrà fare un’economia da 25 a 50 euro all’anno sulla bolletta dell’elettricità.

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fonte: http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=37531&sez=HOME_ECONOMIA


Incubo spazzatura elettronica: 14 chili all’anno per abitante

Vecchi cavi, monitor in disuso, cellulari inutilizzati, ma anche frigoriferi, lavastoviglie e tv. L’Onu lancia un piano di intervento. E anche in Italia si fa largo una nuova normativa per il riciclo e lo smaltimento

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di RICCARDO BAGNATO

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SAREMO presto sommersi da vecchi cavi, monitor in disuso, cellulari inutilizzati, ma anche da frigoriferi rotti, lavastoviglie arrugginite o televisori abbandonati. E come se non bastasse, lo tsunami di elettrodomestici obsoleti che si sta per abbattere su di noi porta con sé materiali tossici e sostanze chimiche come la plastica in Pvc, piombo, cadmio, e mercurio. Non lo dice Frate Indovino o il solito ecologista estremista. E’ ciò che ci attende dietro l’angolo. Fra qualche anno. Ed è quanto sta già succedendo in alcuni paesi in via di sviluppo, ridotti a privata discarica del vecchio continente. Parola di Onu. Che per affrontare il problema dei rifiuti tecnologici (eWaste) ha lanciato e finanziato il corposo programma Step. In Italia, però, si sta facendo largo una nuova normativa per il riciclo e lo smaltimento. A cui si aggiungono iniziative di Legambiente e Compagnia delle Opere, fra gli altri, per favorire trasparenza e combattere lo spreco.

Il lato oscuro della tecnologia.
Il volume dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (ufficialmente detti “Raee”) ha raggiunto livelli allarmanti in tutto il mondo e in Italia. Il Bel Paese nel 2006 ne ha prodotto ben 800 mila tonnellate, di cui sono state raccolte 108 mila. Nello stesso periodo in Europa si sono prodotti 8-12 milioni di tonnellate di Raee. Mentre l’Onu stima tra i 20 e i 50 milioni le tonnellate di rifiuti hi-tech prodotti nel mondo: più del 5% di tutti i rifiuti solidi urbani generati nell’intero pianeta. E a farla da padrone, in futuro, saranno sempre più computer, tastiere, cellulari: insomma l’armamentario completo dell’uomo 2.0.

Un fenomeno inarrestabile. L’ong ambientalista Greenpeace calcola che nel 2010 saranno oltre 710 milioni i nuovi computer immessi sul mercato globale (erano 183 milioni nel 2004). Proprio mentre nei paesi industrializzati la vita media di un computer è calata dai 6 anni del 1997, ai 2 del 2005. Per non parlare dei cellulari: se nel 2004 ne sono stati venduti 674 milioni esemplari nel mondo, in Italia i telefonini che hanno trovato un padrone negli ultimi 12 mesi sono oltre 20 milioni, per una vita media di 4 mesi. Tanto che in ogni famiglia rimangono abbandonati nei cassetti dai 2 ai 4 cellulari. Ma non basta. A questi prodotti vanno infatti aggiunti grandi e piccoli elettrodomestici, apparecchiature di illuminazione, giocattoli ed apparecchiature per lo sport e per il tempo libero, dispositivi medici e molto altro.

Le principali rotte dei rifiuti tecnologici. Oggi si raccolgono in modo separato meno di 2 kg. di Raee pro-capite all’anno in Italia, contro una media europea di 5 kg ed una produzione di rifiuti elettronici di circa 14 kg per abitante. E il resto: dove va a finire?
Greenpeace stima che il 75% dei rifiuti europei seguano “flussi nascosti”. La percentuale sale all’80-90% nel caso di Raee prodotti negli Stati Uniti. Scarti che fuggono al controllo delle autorità competenti per ricomparire come d’incanto in discariche incontrollate in Africa, Ghana in primis, oppure in riciclatori clandestini in Asia. Dove i lavoratori, spesso bambini, sono esposti ai rischi legati al cocktail di composti chimici che questi rifiuti contengono e sprigionano quando trattati in modo rudimentale e senza protezioni. Nessuna novità, quindi, se come sostiene l’Onu i paesi in via di sviluppo triplicheranno la produzione di Raee nei prossimi 5 anni.

La guida dei produttori più virtuosi. Sempre Greenpeace ha pensato bene di prendere di mira le più importanti software house a stelle e strisce. Dall’agosto 2006, quasi ogni mese, l’associazione ambientalista redige la sua classifica delle aziende più o meno virtuose, di cui è appena uscita l’edizione di dicembre 2008. Fra i criteri adottati per stilare l’elenco compaiono: la presa in carico dello smaltimento del prodotto, l’uso di materie riciclabili, l’assenza di composti chimici tossici. E sorpresa: la società più attenta agli aspetti ecologici del proprio prodotto risulta essere la Nokia, col punteggio, però, di appena 6.9 punti su 10, seguita da Sony Ericsson, Toshiba e Samsung (5.9). Mentre agli ultimi posti si trovano Nintendo (0,8), Microsoft (2,9), Lenovo (3,7) e Philips (4,1). E in mezzo altri colossi del calibro di Motorola (5,3), Panasonic (5,1), Acer e Dell (4,7), Hp (4,5), e Apple (4,3).

Eppure qualcosa si muove anche in Italia. Il recente accordo siglato il 18 luglio fra l’Associazione dei Comuni Italiani (Anci) e il Centro di Coordinamento Raee (istituito grazie al Decreto legislativo 151 del 25 luglio 2005), ha sancito infatti il definitivo passaggio della competenza sulla gestione dei rifiuti tecnologici dai Comuni ai produttori. Dalle istituzioni, quindi, alle aziende, riunite in consorzi per lo smaltimento o riciclo dei prodotti. “I primi risultati sono incoraggianti – ha spiegato Giorgio Arienti, Presidente del Centro, in occasione della recente fiera Ecomondo di Rimini organizzata da Legambiente – ma resta ancora da fare”. Prima fra tutti mettere mano alla normativa: lo stesso decreto legislativo attende i decreti attuativi dal 2005, sistematicamente rinviati di anno in anno, in calendario per il 31 dicembre di quest’anno. Ma anche a guardare i risultati fin qui raggiunti, la strada è ancora molto lunga. Per quanto riguarda, infatti, l’attività di raccolta effettuata dai sistemi collettivi presso i soli centri di raccolta iscritti al Centro di Coordinamento, nel periodo compreso tra il primo gennaio e il 30 settembre 2008 sono stati ritirati 33mila tonnellate di Raee. Troppo poco se paragonate alle 800mila del 2006, ultimo dato complessivo di rifiuti prodotti a disposizione.

L’esempio del Banco Informatico. Al pare dei suoi più conosciuti e seguiti omologi, il Banco Alimentare (che in questi giorni ha celebrato al sua giornata nazionale di raccolta) e il Banco Farmaceutico, il Banco Informatico Tecnologico e Biomedico (BITeB) mira a raccogliere attrezzature d’ufficio come pc, monitor, e stampanti, usati ma funzionanti, per poi donarli a scuole, università, opere sociali, istituti di formazione in paesi in via di sviluppo e in Italia. “Unici requisiti sono che il destinatario sia una onlus, e che dimostri di non essere in grado di acquistare esemplari nuovi” dice il presidente del Banco Informatico, Stefano Sala, e aggiunge “in Italia ogni anno viene smaltito un milione di pc di cui il 10% sono ancora funzionanti, forse lenti, non aggiornatissimi, ma basta rinnovarli, reinstallare il sistema operativo e il gioco è fatto. Mandarli al macero sarebbe un vero spreco”.

A chi gli fa notare che forse installando sistemi operativi GNU/Linux sui vecchi computer recuperati (come fanno ad esempio i gruppi di Trashware sparsi in tutti Italia), ridurrebbe la spesa e allungherebbe la vita dei pc, Sala risponde che la maggior parte delle volte è lo stesso destinatario a richiedere il sistema operativo di Microsoft: “Ormai il 60% dei computer che doniamo sono muniti di Windows – precisa – mentre il restante 40% ha Linux oppure è lo stesso destinatario che installa quello che preferisce”.

Da agosto, infine, Banco Informatico si occupa anche di cellulari. In questo caso non importa che funzionino o no. Quelli che non funzionano, infatti, non vengono donati, ma spediti a un’azienda belga leader in Europa nel recupero di telefoni cellulari dismessi, la Ecosol, che ne estrarrà e separerà i metalli riutizzabili. In cambio il Banco riceverà un contributo economico non superiore ai 5 euro per ogni pezzo raccolto.

Un esempio non isolato in Europa, se proprio da un’altra azienda belga, la Brainscape Nv, è stato lanciato il sito Brainscape. eu, a cui hanno aderito l’ong italiana Coopi e quella internazionale Medici senza Frontiere. Anche in questo caso le due associazioni invitano i propri sostenitori a inviare loro i cellulari dismessi. Brainscape devolverà un contributo economico alle due non profit per ogni esemplare che riceverà.

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8 dicembre 2008

fonte: http://www.repubblica.it/2008/12/sezioni/scienza_e_tecnologia/computer-riciclo/computer-riciclo/computer-riciclo.html