Archivio | dicembre 13, 2009

Dal blog di Vik: il premio Nobel più coerente nella storia dei Nobel

Obama+War
Così dovremmo tramandare ai posteri:
il giorno in cui Obama vinse il Premio Nobel per la Pace,
un centinaio afghani esplosero di gioia.
Ma proprio letteralmente esplosi, sotto i soliti bombardamenti statunitensi errati che stanno falcidiando la popolazione civile afghana da 9 anni a questa parte.
Rifletteteci, mai Premio Nobel è stato più coerente:
Alfred Nobel è stato infatti l’inventore della dinamite.
Segnalo un pezzo di Enrico Peyretti di Peacelink che denuda la sconcezza del discorso di Obama a Oslo nel giustificare guerre presenti e guerre future targate imperialismo made in USA.
Restiamo Umani
Vik
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Il discorso di Obama a Oslo è una sfida alta alla cultura nonviolenta, che vuole costruire pace giusta ripudiando il mezzo della guerra.
Obama ha detto che a volte la guerra è strumento per la pace; che esiste una guerra “giusta” come questa in Afghanistan; che un movimento nonviolento non avrebbe mai sconfitto Hitler; che c’è differenza tra una guerra scelta e una guerra imposta dalla necessità.
Sono arcinoti luoghi comuni del “realismo” non volgarmente guerrafondaio, ma neppure determinato a “salvare le future generazioni dal flagello della guerra” (prime parole del Preambolo dello Statuto dell’Onu), dopo il terribile Novecento.
In sintesi telegrafica, possiamo dire (cioè ripetere):
– La guerra può eliminare un potere violento, ma affida sempre la decisione alla forza delle armi, non alle ragioni del diritto. Armi e diritto possono coincidere per caso, non per loro natura. “La guerra è l’antitesi del diritto: non fa vincere chi ha ragione, ma dà ragione a chi vince” (Norberto Bobbio). “La guerra è un male perché fa più malvagi di quanti ne toglie di mezzo” (Immanuel Kant). La guerra consacra le ragioni stesse della violenza che vuole combattere, perché la imita e la riproduce.
– Chi arriva tardi perde il treno. La cultura politica democratica e nonviolenta avrebbe potuto evitare Hitler e poi sbalzarlo democraticamente dal potere se fosse stata difesa e diffusa molto per tempo nell’animo popolare e nelle istituzioni. E’ in anticipo che si deve combattere la tirannia. La guerra arriva sempre in ritardo. La vittoria in guerra è sempre pregna di nuova violenza. La vittoria su Hitler ci ha dato l’incombente universale morte atomica.
– Questa condanna storica vale anche per la risposta bellica degli Usa al clamoroso attacco dell’11 settembre, contraccolpo ingiustificabile di una secolare ingiustificabile violenza dell’occidente verso il mondo esterno, di cui la rinascita islamica sente l’offesa e in qualche sua componente reagisce con ingiustificabile violenza.
– Va riconosciuto, tuttavia, il caso estremo e tragico in cui si ha il “dovere di uccidere” (parole di Gandhi) chi sta sistematicamente uccidendo altri, se davvero non c’è nessun altro modo di fermarlo. Ma il tirannicidio per necessità estrema non è la guerra, che è violenza estesa, sistematica, indiscriminata, che sempre colpisce i popoli assai più dei tiranni, con immensa ingiustizia, anche ora in Afghanistan. Anche la corretta azione di polizia (statale o internazionale) non è guerra: la polizia tende a ridurre la violenza, la guerra tende ad accrescerla per imporsi sul più debole. Per vincere in guerra bisogna diventare più violenti del nemico (avverte Gandhi).
– La guerra è assai più utile ai criminali fabbricanti e trafficanti delle armi omicide, che non ai popoli che essa vorrebbe liberare e difendere. Inoltre, tutti i popoli potrebbero difendersi da soli con l’arma nonviolenta della estesa disobbedienza civile ai poteri violenti, perché ogni potere consiste in definitiva soltanto nell’essere obbedito (Etienne de la Boétie; Gene Sharp). Ciò sarebbe possibile se la cultura della pace e della giustizia avesse voci e mezzi per diffondere (più di quanto già faccia con pochissimi mezzi) la conoscenza di questo diritto e possibilità dei popoli. In generale, i governi impediscono la conoscenza di questi mezzi di difesa popolare nonviolenta, perché, anche se eletti democraticamente, non vogliono che i popoli abbiano reale possibilità di controllo sulla loro azione e potere.
– La democrazia, come reale potere popolare, non è affatto facile. E’ più facile obbedire a un capo. I popoli non sono fatti interamente di santi e onesti. I vizi dei potenti sono latenti nell’umanità comune. Se cala la vigilanza etico-civile, le democrazie degnerano in autoritarismi, come accade ora drammaticamente e orribilmente in Italia. Kant dice: non occorre che i cittadini siano angeli, basta che siano “diavoli intelligenti”; cioè, nonostante i vizi umani, la conoscenza e l’intelligenza possono portare a ridurre o eliminare le maggiori cause di sofferenza e ingiustizia, come è la guerra, presunta e falsa soluzione dei più gravi conflitti. L’umanità procede in civiltà se sa immaginare e istituire metodi più umani nelle relazioni difficili. Questo è il compito della cultura politica popolare, democratica. I governanti valgono e meritano riconoscimenti nella precisa misura in cui non impediscono, ma rispettano e promuovono questa umanizzazione.

Enrico Peyretti

Continua il Gaza Restiamo Umani Tour fra Aosta e Milano:
Lunedì 14 dicembre alle ore 21 allo Espace Populaire di Aosta, Via J-C Mochet 7
Mercoledì 16 dicembre alle ore 21 al Centro Sociale Vittoria, Via muratori ang. Friuli

restiamo umani di vittorio arrigoni

Restiamo Umani

Vik

(per donazioni: guerrillaingaza@gmail o tramite paypal)

fonte: Guerrillaradio

10/12/2009: Vittorio Arrigoni – ancora minacce di morte

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Lee Kaplan, fanatico estremista americano, che aveva minacciato di morte l’inverno scorso Vittorio Arrigoni ed altri attivisti dell’International Solidarity Movement si è rifatto vivo. All’epoca incitava all’uccisione gli attivisti e per riconoscerli aveva pubblicato su un sito http://www.stoptheism.com/ i loro nomi e cognomi, le foto e anche i segni particolari per rintracciarli, aveva pubblicato un numero di telefono dove chiunque poteva fornire informazioni per rintracciarli ed eliminarli fisicamente.

Kaplan non è solo un fanatico,
alle spalle ha lobby israeliane potenti e i coloni più estremisti della Cisgiordania. Il sito era stato chiuso grazie all’interessamente di singoli, associazioni e politici. Ma adesso è nuovamente attivo. Ci si deve mobilitare per fare in modo che le autorità italiane intervengano, si deve far girare il più possibile la notizia per evitare che la situazione venga sottovalutata.


Si può scrivere ad esempio alla Farnesina:
unita.crisi@esteri.it

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cdr@esteri.it

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Ufficio Relazioni con il Pubblico: relazioni.pubblico@esteri.it

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il Consolato italiano in Israele: consolato.telaviv@esteri.it

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l’Ambasciata italiana negli Stati Uniti, (il server del sito si trova negli USA):
stampa.washington@esteri.it

Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo – ufficio stampa.

fonte: Associazione Zaatar

Silvio scaduto

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di Marco Damilano
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Gli scontri con Fini. Il pressing della Lega. L’incubo dei processi. Le elezioni regionali alle porte. E le grandi riforme promesse tutte ferme al palo. Ora perfino nel Pdl si pensa già al dopo Berlusconi

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L’Italia, giurava, diventerà in breve come la Francia: una Repubblica presidenziale. «Il presidenzialismo è la migliore formula costituzionale », sosteneva. Aggiungendo: «È una riforma essenziale se vogliamo fare del nostro Paese una democrazia moderna». Era il 20 dicembre 2008, sotto le volte di Villa Madama, affrescate da Giulio Romano, Silvio Berlusconi dettava in diretta televisiva i prossimi appuntamenti in agenda nel suo governo: immediata approvazione del disegno di legge sulle intercettazioni, riforma della giustizia, riforma delle pensioni, riforma del fisco («Tutto ciò che recupereremo nella lotta all’evasione fiscale sarà utilizzato per abbattere le tasse») e soprattutto la Grande Riforma: il presidenzialismo. «Da fare dopo il federalismo», puntualizzava il portavoce Paolo Bonaiuti. Con l’obiettivo ultimo di consentire il trasloco del Cavaliere da palazzo Chigi al Quirinale. A furor di popolo.

Dodici mesi dopo quel proclama alla tradizionale conferenza stampa di fine anno il bottino è a dir poco misero. Perfino la legge per limitare le intercettazioni, che in quell’elenco di provvedimenti mirabolanti sembrava quasi una formalità, è finita impaludata in qualche commissione del Senato, della sua necessità per il Paese e i cittadini nessuno per fortuna parla più. La maggioranza Pdl più Lega, che appariva una testuggine compatta, è paralizzata dai veti incrociati. E il Cavaliere assomiglia sempre più ad un altro inquilino di palazzo Chigi che arrivato all’età di 73 anni, giusto gli anni del premier, fu costretto a lasciare la guida del governo. Niente di più lontano, in apparenza, del Caimano di Arcore dal Divo Giulio Andreotti. Fragoroso Berlusconi, in punta di piedi il sette volte presidente del Consiglio. Animato da ottimismo indistruttibile e fiducia in se stesso Silvio, scettico sul genere umano fino al cinismo Giulio. Eppure, in questa fine 2009, le due figure si sovrappongono. Tutti e due tirati in ballo dai pentiti di mafia: con la differenza, però, che Andreotti si è difeso nei processi, mentre Berlusconi si preoccupa di come evitarli. Entrambi in rotta con la Casa Bianca e a braccetto con Gheddafi. Entrambi alle prese con una maggioranza rissosa e divisa: ieri il pentapartito, oggi il triumvirato Berlusconi-Fini- Bossi. Tutti e due con l’imperativo di durare fino all’elezione del nuovo presidente della Repubblica, carica cui aspirava Andreotti, e sappiamo com’è finita, e che Berlusconi considera naturale per sé, e si vedrà. «Braccato dai tribunali, non può governare l’Italia», ha concluso intanto il “Financial Times”. Di certo, l’uomo del fare, l’imprenditore che detestava le lentezze della politica si è trasformato in un fedele osservante del primo comandamento andreottiano. Il tirare a campare.

Una girandola che intaserà i lavori parlamentari. Messe in corsia preferenziale, da licenziare a tempo di marcia, le riformette della giustizia fanno finire in coda altre proposte che lo stesso centrodestra aveva considerato urgenti, anzi, urgentissime. Il testamento biologico, per esempio: il governo Berlusconi voleva introdurlo per decreto, fu Giorgio Napolitano a rifiutarsi di firmarlo. Fu sostituito da un disegno di legge da approvare, si promise la tragica notte della fine di Eluana Englaro, al massimo in due settimane. Fatto? Macché: tutto bloccato alla Camera, e sono passati oltre dieci mesi.

Tutta colpa degli alleati infidi, ragiona Berlusconi. Come il co-fondatore del Pdl Fini che, in onda o fuorionda, non perde occasione per mollare qualche calcetto al premier. Ma l’immobilismo non dipende dal presidente della Camera. Nel Pdl c’è una scena che si ripete: auto blu a palazzo Grazioli, Berlusconi che si fa giurare all’unanimità dai vertici del partito che il Capo è lui, nessun altro all’infuori di lui, ma senza prendere decisioni su nulla. E in assenza di direttive l’intendenza si divide. Finiti i tempi dei kit dei candidati, le navi azzurre, i manifesti sei per tre, i provini di telegenia per gli aspiranti consiglieri regionali, le campagne elettorali pianificate con mesi di anticipo. Lontanissima anche la stagione in cui Berlusconi decideva da solo, senza neppure una telefonata, il nome del futuro governatore della Sardegna, tal Ugo Capellacci, detto Ugo-chi?: eppure non sono passati molti mesi. Le elezioni regionali del 29 marzo sono alle porte e tutto è in ritardo: lo schema di gioco e le squadre da schierare. Nicola Cosentino candidato presidente in Campania? «Mi ritiro dalla corsa se me lo chiede il premier», ha ripetuto il sottosegretario all’Economia sotto inchiesta per camorra. Mentre Berlusconi rimandava indietro la palla: «Spetta a lui decidere». La Lega reclama le presidenze di Veneto e Piemonte? «Troveremo una soluzione», ha ribadito il Cavaliere, senza avvicinarsi alla meta. Anche perché il partito di Bossi non ha mai fatto mistero di puntare al colpaccio, la presidenza della Lombardia. Risultato: la paralisi totale, dal Piemonte alla Calabria, che comunque lascerà sul campo morti e feriti. Come già avviene in Sicilia: nella regione crocevia di tutte le storie, anche le più drammatiche come quelle vagheggiate dal pentito Gaspare Spatuzza, nell’isola che nelle elezioni del 2001 regalò a Berlusconi uno storico cappotto (61parlamentari per la destra, zero per il centrosinistra) il dopo-Silvio sta già iniziando, nella confusione più totale.
Con il governatore Raffaele Lombardo che prova a spaccare il Pdl e fare una nuova giunta con chi ci sta: «Se si rivotasse subito Berlusconi avrebbe ancora la forza di schiacciarmi. Ma se resisto un altro anno sarò io a schiacciare lui». È il calcolo che fanno in tanti: amici, alleati, poteri forti, Chiesa. I molti soggetti che scrutano il tramonto del berlusconismo, che potrebbe anche rivelarsi molto lungo e sicuramente tempestoso. Gli unici a non aver ancora messo a fuoco una strategia per il dopo-Berlusconi sono i dirigenti del Pd: timorosi che il sistema finisca per crollare addosso a loro, come il Muro di Berlino. E non lo mette nel conto, ovviamente, il Cavaliere che ha affinato un’abilità straordinaria a fare leva sui guai per risalire: lo tirano in ballo nelle deposizioni su mafia e stragi e lui ne approfitta per ricompattare le truppe e giocare la carta preferita, il vittimismo. Il calendario di fine 2009- inizio 2010 è inzeppato di viaggi all’estero e prestazioni straordinarie, come il Natale tra i terremotati a Onna. Buone per far passare il tempo. Esorcismo necessario per il Cavaliere andreottizzato che tira a campare. In attesa della scadenza.

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QUANDO BOSSI DICEVA ‘SILVIO E’ MAFIOSO’ Video
LEGGI Gli amici d’onore di Lirio Abbate

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9 dicembre 2009

fonte: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/silvio-scaduto/2116598&ref=hpsp