Archivio | dicembre 17, 2009

Renault condannata per suicidio dipendente: “Troppo lavoro. L’ha ucciso lo stress”

Il tribunale di sicurezza sociale di Nanterre accusa l’azienda di “negligenza ingiustificabile”
La vedova: “Un segnale per le imprese che sacrificano ogni cosa sull’altare del profitto”

Renault condannata per suicidio dipendente
“Troppo lavoro. L’ha ucciso lo stress”

Alla France Telecom si sono tolti la vita 25 tecnici
dopo la ristrutturazione della compagnia e i tagli al personale

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L’amministratore delegato della Renault Carlos Ghosn

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PARIGI – La Renault è stata condannata per il suicidio di un suo ingegnere. Antonio B. è stato ucciso dall’eccessivo stress lavorativo. Tre suoi colleghi del centro progettazione della casa automobilistica si sono tolti la vita. Dopo i recenti suicidi per i tagli al personale della France Telecom, la sentenza sulla causa intentata dalla vedova dell’ingegnere della Renault potrebbe aprire la strada a una serie di procedimenti contro le aziende che impongono ritmi di lavoro troppo duri. “Spero che sia un segnale forte per tutte quelle imprese che sacrificano ogni cosa sull’altare del profitto”, ha commentata la moglie di Antonio B.
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Da Citroen a France Telecom, sono numerose le grandi imprese francesi che negli ultimi mesi sono state accusate dai sindacati di aver indirettamente spinto al suicidio alcuni dei propri dipendenti, con sistemi manageriali aggressivi o trattamenti degradanti. E ora potrebbero essere trascinati in tribunale dalle famiglie.
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Antonio B. aveva 39 anni, una moglie e un figlio. Il 20 ottobre 2006 si gettò dal quinto piano del Centro tecnologico della Reanult di Guyancourt, alle porte di Parigi. “Per raggiungere gli obiettivi che gli avevano fissato – ricorda la vedova, Sylvie – mio marito lavorava tutte le sere, tutte le notti, tutti i weekend. Negli ultimi mesi dormiva solo due ore per notte e mi diceva continuamente che comunque non sarebbe mai riuscito a raggiungere gli obiettivi dell’azienda”. Anche i colleghi della vittima erano preoccupati. Ricordano che Antonio era “inquieto e ansioso, ed era anche dimagrito”, come è scritto nella sentenza, ma i superiori “non avvertirono il medico del lavoro”.
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Nel 2007 già la Cassa primaria di assistenza sanitaria dell’Hauts-de-Seine aveva riconosciuto il suicidio di Antonio B. come “incidente sul lavoro”. Ora la sentenza del tribunale di sicurezza sociale (Tass) di Nanterre, secondo cui “la Renault avrebbe dovuto essere consapevole del pericolo al quale il dipendente era esposto”. “Una negligenza ingiustificabile”, scrivono i giudici che hanno fissato la massima indennità per la vedova e il figlio, ancora minorenne.
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Renault ha un mese di tempo per presentare ricorso: “Esamineremo in dettaglio il dossier”, dicono i legali della casa automobilistica. Ma la serie preoccupante di suicidi ha già spinto l’azienda a riorganizzare radicalmente i propri centri ingegneristici, riducendo l’orario di lavoro e istruendo il personale su come individuare i colleghi in difficoltà. Lo stesso amministratore delegato Carlos Ghosn, durante un’assemblea generale, ha ammesso che tra i dipendenti di Guyancourt si registravano “tensioni oggettivamente molto forti” e che sarebbe necessario “identificare le situazioni nelle quali i collaboratori sono lasciati soli di fronte ai problemi”.
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17 dicembre 2009
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Io sto con Marco Travaglio, dalla parte dei fatti

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Contro Marco Travaglio è in atto un’aggressione violenta. A un cenno del capogruppo Pdl alla Camera, il piduista Fabrizio Cicchitto, che nel compilare la lista nera comprendente il Fatto, Santoro e il gruppo Repubblica-Espresso, lo ha definito “terrorista mediatico”, subito si è scatenata la canea televisiva. Da Porta a Porta, a Canale 5, a Omnibus il pestaggio di Marco si è sviluppato attraverso la falsificazione e la manipolazione di sue dichiarazioni rese dopo il ferimento di Berlusconi a Milano, in totale assenza di contraddittorio o con interventi tardivi quando ormai la scientifica azione diffamatoria era irrimediabile. I diffamatori e i picchiatori a libro paga sappiano che risponderemo colpo su colpo. A difesa della persona di Marco Travaglio a cui tutti i giornalisti del Fatto ribadiscono la loro più totale e affettuosa solidarietà. A difesa del suo diritto di fare giornalismo. A difesa dell’informazione e della democrazia di questo Paese, mai come oggi messa in pericolo dall’assalto dei nuovi squadristi.

Barbara Spinelli: Solidarietà a Marco Travaglio

Non è tempo di tacere

Cick to Cick di
Marco Travaglio

Quel sorriso da Joker, dal marxi-cicchittismo al cicchi-berlusconismo di Luca Telese

Altro che “abbassare i toni” di Gianni Barbacetto

Fini: sì alla libertà di parola, no alle liste di proscrizione

io sto con marco travaglio
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Firma in difesa di Marco Travaglio e della libertà di parola

per firmare vai qui

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15 dicembre 2009

fonte:  http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2401706&title=2401706

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Cicchitto attacca personalmente in aula il giornalista Travaglio. Si accanisce con viltà contro una minoranza

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La campagna giornalistica

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Qui di seguito riporto un brano del discorso tenuto da Benito Mussolini alla Camera dei Deputati il 3 gennaio 1925. I riferimenti vittimistici alla campagna ostile di “tutti i giornali” sono puramente casuali…
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“Fu alla fine di quel mese, di quel mese che è segnato profondamente nella mia vita, che io dissi: “voglio che ci sia la pace per il popolo italiano”; e volevo stabilire la normalità della vita politica.
Ma come si è risposto a questo mio principio? Prima di tutto, con la secessione dell’Aventino, secessione anticostituzionale, nettamente rivoluzionaria. (vive approvazioni). Poi con una campagna giornalistica durata nei mesi di giugno, luglio, agosto, campagna immonda e miserabile che ci ha disonorato per tre mesi. (Applausi vivissimi e prolungati). Le più fantastiche, le più raccapriccianti, le più macabre menzogne sono state affermate diffusamente su tutti i giornali! C’era veramente un accesso di necrofilia! (Approvazioni). Si facevano inquisizioni anche di quel che succede sotto terra: si inventava, si sapeva di mentire, ma si mentiva.
E io sono stato tranquillo, calmo, in mezzo a questa bufera, che sarà ricordata da coloro che verranno dopo di noi con un senso di intima vergogna. (Approvazioni)”.
Benito Mussolini
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16 dicembre 2009
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Processo Thyssenkrupp, tre testimoni ritrattano

La procura: deposizioni gestite dai vertici.

In tre ritrattano.

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Nel giorno delle ritrattazioni di tre dei falsi testimoni della difesa ThyssenKrupp – chi ancora reticente, chi comico – la procura parla in aula di «sistema di gestione dei testimoni». Chi e come gestiva emerge dalle deposizioni. Luigi Veraldi, ex caporeparto del trattamento e uno degli indagati di falsa testimonianza, rivela di aver incontrato il giorno prima della convocazione di fronte alla Corte d’Assise Andrea Cortazzi, ex responsabile della produzione e manutenzione e vice di Salerno, direttore dello stabilimento TK di Torino: «Mi ha chiamato al telefono: ”Ti fa piacere che ci vediamo?”. Non mi chiesi perché e in quel momento non misi in relazione l’incontro con la deposizione del giorno dopo.

Il dubbio mi è venuto quando mi ha consegnato due pagine con 10-12 domande che mi sarebbero state rivolte in aula. Non ne lessi che 2-3. Riposi in tasca i fogli e a casa li strappai». In aula il presidente Maria Iannibelli e il giudice a latere Paola Dezani lo reinterrogano sulle precedenti sue risposte, il 10 novembre molto categoriche, ieri assai più «ragionate» sulla sicurezza in fabbrica e in particolare se la pulizia delle linee spettava agli operai (cavallo di battaglia della difesa unitamente alla risposta ricorrente in certi testi della «scarsa motivazione» degli operai negli ultimi mesi). Esilarante il passaggio sui pulsanti d’emergenza che l’ex caporeparto, molto sicuro la volta scorsa, non sa più dire se fossero a forma di fungo o piatti. Il presidente: «O erano a forma di fungo o piatti».

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Veraldi sostiene di non avere avuto anche le risposte con le domande di Cortazzi, come era accaduto per Carlo Griva, l’ex capoturno che si era recato in procura mettendo in moto l’inchiesta parallela di Guariniello e dei pm Laura Longo e Francesca Traverso. Un altro indagato per falsa testimonianza che ha chiesto di ritrattare e si mostra subito molto incerto – Marco Raso – rivela per primo della cena a una bocciofila di Settimo in cui si parlò della denuncia di Griva. «Una rimpatriata, una volta eravamo una famiglia» la definisce l’organizzatrice Vanda Rossetto (ex segretaria del direttore).

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Vi parteciparono 2 imputati (Cafueri e Salerno) e numerosi testi indicati dalla difesa. Rossetto è quella che, alla domanda «esclude di aver ricevuto o inviato una mail a un funzionario Asl per un’ispezione?», risponde «lo escludo, le ispezioni erano tutte a sorpresa». Sarà indagata pure lei di falsa testimonianza. Per la cronaca, Raso ricevette da Adalberto Delindati (altro ex quadro TK) il piano di emergenza per conto di Cafueri «su cui potevo prepararmi per la testimonianza». Michele Tosches teneva i contatti da futuro testimone con Antonio Spallone (altro ex TK): «Mi ha detto di dire la verità, nient’altro che la verità», ripete tre volte imperterrito il falso teste che aveva chiesto di ritrattare.

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Nelle telefonate intercettate gli istigatori ai futuri falsi testimoni raccomandavano: «Non dire ciò che ascolti in tv, ma la nostra verità». Non è ancora tutto: il giorno che arrivano ai primi gli inviti a comparire in procura, Cafueri si reca da Cortazzi e questi, dopo, va a casa di Veraldi. L’attività inquinatoria ora è finita? Siparietto finale: Rossetto esce dall’aula e si ripresenta alla Corte: «La madre di una delle vittime, fuori, mi ha detto “sei una stronza”».

ricevuto via mail, da un articolo di Alberto Gaino per La Stampa

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La strage del 2007

Thyssen, tre testi della difesa ritrattano

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Colpo di scena al processo per la tragedia in cui morirono 7 operai. Un testimone: “Consegnate domande prima dell’udienza”. Incontri, telefonate e conversazioni con ex superiori prima delle deposizioni. Tensione con i parenti delle vittime

thyssen (immagini di flickr  - foto di Verleihnix)

Colpo di scena al processo per la tragedia della ThyssenKrupp, in cui morirono 7 operai il 6 dicembre 2007. E’ il giorno delle ritrattazioni di tre lavoratori che, convocati nelle precedenti udienze dalle difese degli imputati, resero dichiarazioni che costarono loro un avviso di garanzia per falsa testimonianza. I tre sono tornati in aula per chiarire le loro dichiarazioni. I tre avevano negato contatti con imputati e colleghi e di aver parlato con loro del processo. Oggi hanno invece riferito di incontri, telefonate e diverse conversazioni.

In particolare, uno di loro ha detto che il giorno prima dell’udienza in cui fu sentito, il 9 novembre, incontrò un suo ex superiore che lo aveva contattato telefonicamente e che “mi diede due fogli con delle domande, presumibilmente quelle che mi avrebbero fatto il giorno successivo”. Il teste ha poi precisato: “A.C. disse che non voleva, così facendo, invogliarmi a testimoniare il falso, ma solo farmi ricordare meglio. Buttai via il foglio. Non mi sembrava giusto”.

L’operaio ha poi raccontato
che in quell’incontro “l’ex superiore mi chiese se mi ricordavo, ad esempio, quale fosse il ruolo di Cafueri (uno degli imputati, ex vicedirettore dello stabilimento di Torino e responsabile della sicurezza) nell’azienda oppure se mi ricordavo che ci fossero stati degli incendi sulla linea 5″. Per poi aggiungere che lo stesso superiore gli fece sapere che un collega, dopo aver ricevuto il medesimo foglio, aveva fatto denuncia alla magistratura. “In quel caso oltre alle domande, c’erano anche le risposte ma nei miei fogli no”.

Il teste ha ancora dichiarato
che qualche giorno prima della sua deposizione era stato contattato telefonicamente da Cafueri “che voleva il mio indirizzo – ha detto – per mandarmi l’invito a presentarmi all’udienza come testimone”. Subito dopo l’ex operaio telefonò al suo ex superiore, quello che avrebbe poi incontrato dopo qualche giorno, “che mi disse di stare tranquillo. Il giorno successivo lui mi chiamò chiedendomi se volevo incontrarlo e in quel momento non ci vidi nulla di male”.

“Cafueri – ha continuato l’operaio specificò di non dire a nessuno che mi aveva fatto avere il piano di emergenza”, ha specificato il testimone. “E perché questo non ce lo disse la scorsa volta?”, lo ha incalzato il pm, Francesca Traverso. “Perché non dovevo dirlo”, è stata la sua risposta Gli altri testimoni che hanno chiesto di parlare non hanno aggiunto nulla di nuovo. IL terzo, soprattutto, ha risposto “non lo so” ad almeno una decina di domande. Per la sua reticenza, è stato rimproverato dal presidente, il giudice Maria Iannibelli, che gli ha ricordato: “Guardi che è stato lei a chiedere di intervenire oggi”.

Secondo quanto riporta la Apcom, inoltre, attimi di tensione si sono registrati al termine dell’udienza. Il presidente di corte stava per chiudere la seduta, quando la segretaria del direttore di stabilimento, ultimo testimone della difesa a parlare, ha indicato la madre di una vittima che si trovava in fondo all’aula: “E’ lei la signora che mi ha dato della stronza – ha gridato rivolta alla corte – non è possibile. Lo ha fatto anche prima”. A quel punto i legali della difesa hanno gridato: “Basta, siamo esasperati, i nostri assistiti vengono continuamente insultati e anche noi siamo dei morti che camminano, da due anni che riceviamo minacce, uno di noi anche nei confronti del figlio”.

“Si vergogni”, lo ha apostrofato la madre della vittima.
“Si vergogni – ha ripetuto la signora al difensore – io ho perso un figlio e lei mastica e mi ride in faccia!”. Il presidente, nella confusione generale, ha preso la parola: “Capisco il lato umano, ma se non si in grado di autocontrollarsi vi prego di non venire più in aula”, ha detto al microfono rivolto ai familiari in udienza, e ha disposto una scorta di carabinieri per la signora Rossetto fino all’uscita del tribunale. Il processo stato aggiornato al 17 dicembre, quando andrà a testimoniare il gestore della manutenzione della linea 5.

» L’interrogatorio dei manager tedeschi
» Archivio, La tragedia di Torino

Fonte: Rass egna.it

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Gli aggiornamenti sul processo e la storia della strage su Legami d’Acciaio

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Cdm, rinvio per stretta internet e cortei Schifani: “Facebook più pericoloso di gruppi anni ’70” / La violenza di Facebook, e quella dei parlamentari

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Schifani: “Facebook è più pericoloso dei gruppi extraparlamentari anni ’70”

Maroni ha solo letto una relazione al Cdm: nessuna decisione internet e su limitazioni alle manifestazioni. Il governo: “Approfondiremo la materia”

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ROMA – Dopo gli annunci degli ultimi giorni (norme per regolare le manifestazioni di piazza, ma soprattutto per controllare di più i contenuti sul web) il Consiglio dei ministri ha scelto di non scegliere. Il disegno di legge che doveva contenere le nuove disposizioni è stato solo citato in una relazione del ministro dell’Interno, Roberto Maroni. ”Ulteriori approfondimenti’ andranno studiati, si è detto, anche se il Cdm, all’unanimità, è si è mostrato d’accordo nel presentarlo “con alcuni aggiustamenti”. “In quanto a internet – è stato deciso – dobbiamo arrivare a sanzionare chi supera determinati limiti”.

E’ quanto ha spiegato stamane al termine della riunione a Palazzo Chigi il ministro per le Infrastrutture, Altero Matteoli. ”Serve un ulteriore approfondimento ed oggi – ha aggiunto – si è proceduto solo a un primo avvio di discussione, anche se c’è sostanziale accordo sul varo dell’iniziativa di legge”.

Lo stesso Matteoli ha poi spiegato che si tratta di ”consentire la possibilità di manifestare senza disturbi gravi che garantiscano tutti”. La difficoltà tecnica della normativa sta nel ”non mettere sullo stesso piano, ad esempio, chi disturba gravemente con chi fischia…”. Per quanto riguarda Internet serve, invece, ”sanzionare chi supera determinati limiti”. Ma a quali limiti ci si riferisca, ancora non si sa.

A dare un’idea di quel potrebbe essere il “limite” da imporre ai contenuti che viaggiano in Rete è stato il presidente del Senato, Renato Schifani, il quale ha affermato, in sostanza, che Facebook è più pericoloso dei gruppi extraparlamentari degli anni 70. La seconda carica dello Stato non sembra avere dubbi sul contenuto di alcuni messaggi che si leggono sul network americano.

“Si leggono dei veri e propri inni all’istigazione alla violenza. Negli anni 70, che pure furono pericolosi, non c’erano questi momenti aggregativi, che ci sono su questi siti. Così si rischia di autoalimentare l’odio che alligna in alcune frange”. Durante la cerimonia di auguri a Palazzo Giustiniani, Schifani ha espresso sintonia con il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, di voler usare una legge e non un decreto per mettere ordine nel web. “Una cosa è certa – ha sottolineato – qualcosa va fatto perchè non si può accettare che si pubblichino istigazioni all’odio violento”.

LE REAZIONI

L’Italia dei Valori. “Schiafani la pensa come Ahmadinejad, HU Jintao e Al Bahir, i presidenti di Iran, Cina e Sudan, dove Facebook è messo al bando”. Lo afferma il presidente del gruppo Idv alla Camera Massimo Donadi.

“Al presidente del Senato – ha detto – ricordiamo che Facebook non è un pericolo per la democrazia, ma una preziosa risorsa, un social network per la circolazione delle idee e delle conoscenze, per l’aggregazione e la socialità. Solo i regimi totalitari e oscurantisti vedono in internet un pericolo, per tutti gli altri è una ricchezza.

Non sentiremo mai il presidente Obama, pure oggetto di pesanti campagne sul web, invocare la censura di facebook e della rete come fa invece il nostro governo. Evidentemente in Italia c’è ancora una pesante arretratezza culturale rispetto alle nuove tecnologie, o forse paura della libertà”.

“Il nostro Paese – ha concluso il capogruppo Idv – non è né l’Iran, né la Cina né il Sudan, per quanto riguarda il diritto alla libertà d’espressione e d’informazione. Difenderemo l’articolo 21 della Costituzione ed impediremo a questo governo di imbavagliare la rete”.

Articolo 21.
“Al Presidente del Senato manderemo una bibliografia dettagliata di Facebook, perchè forse è leggermente confuso sul valore e il ruolo dei social network”. Lo dice il direttore di “Articolo21”, Stefano Corradino, in un editoriale sul sito commentando la dichiarazione del Presidente Schifani, che ha descritto Facebook come “più pericoloso dei gruppi anni ’70.

Corradino ha riaffermato che Facebook “non solo non è un fenomeno tutt’altro che residuale (sono iscritti 10 milioni di utenti della rete in Italia e 350 milioni in tutto il mondo) ma la rete, e quindi Facebook è uno straordinario spazio di libertà, che non può essere sottoposto a un editto censorio nè messo sotto il controllo di un Esecutivo”.

“Probabilmente – prosegue Corradino – il presidente del Senato, nel criticare Facebook sulla sua presunta capacità di autoalimentare odio, fa riferimento ad una delle tante iniziative promosse dagli alleati della Lega, primo fra tutti il figlio del leader Umberto Bossi, allorchè inventò un gioco per ‘rimbalzare’ le navi dei clandestini fuori dalle coste italiane…”.

“In ogni caso – conclude il direttore di Articolo21 – l’impresa del presidente del Senato e di altri che si stanno a adoperando per limitare o chiudere Facebook non sarà facile. Chi ha provato, purtroppo riuscendoci, a cacciare giornalisti come Biagi e Santoro e sta tentando di imbavagliare quotidiani come Repubblica e l’Unità e giornalisti come Travaglio, avrà qualche difficoltà in più ad imbavagliare 10 milioni di persone che, quotidianamente e autonomamente, dialogano su questo social network e che, a parte alcuni casi isolati, sono promotori di importanti campagne di libertà”.

Libertiamo.it. “Le preoccupazioni del presidente del
Senato riflettono una realtà che non esiste, solo perché, banalmente, Facebook non è ciò che Schifani pensa che sia”. E’ questo il commento della redazione di “Libertiamo.It”, la rivista online dell’associazione presieduta dal deputato del Pdl, Benedetto Della Vedova.

“Ci sono tante parole sul Web – si legge nell’articolo – molte cose intelligenti e molte cose stupide, ma sono sempre e soltanto parole, che tutti possono leggere e che tutti possono segnalare alle autorità, se si ritiene che rappresentino un’istigazione alla violenza o un’apologia di reato”.

“Dire che facebook (non alcuni gruppi di Facebook, ma proprio Facebook!) è pericoloso – continua “Libertiamo.It” – significa sostenere che è pericolosa la libertà di comunicare e scambiarsi idee. A ritenere pericolosi i social network sono i regimi totalitari, non le democrazie come la nostra”.

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17 dicembre 2009

fonte:  http://www.repubblica.it/2009/12/sezioni/politica/giustizia-22/governo-internet/governo-internet.html?rss

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La violenza di Facebook, e quella dei parlamentari

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Pubblicato da Rosario Mastrosimone su sostenibile.blogosfere.it

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La maggioranza vuole intervenire sull’Internet perché sarebbe responsabile del crescente clima di violenza verbale, e non solo verbale, nel nostro Paese.

Per Schifani Facebook è piu’ pericoloso dei gruppi extraparlamentari degli anni ’70, perché “non si puo’ accettare che si pubblichino istigazioni all’odio violento”.

A far scattare l’ennesimo circo delle iperboli all’italiana, è stato un atto di un folle che ha lanciato la statuetta contro Berlusconi, fatto che nulla ha a che vedere con Facebook, o l’Internet, o la violenza verbale dei toni della politica. Non osiamo immaginare cosa si sarebbe detto se fosse emerso che il lanciatore di statuette è un lettore del blog di Grillo o un appassionato di Facebook.

Ma forse, questa maggioranza, una maggioranza sempre piu’ inquietante per la sua indole profondamente illiberale, non aspettava altro che un’occasione, qualsiasi occasione, per estendere la lunga mano dello Stato sulla società civile, per imbavagliare ed intimorire il pubblico dibattito, per inventare nuovi divieti e nuove restrizioni.

Sarebbe pero’ bene ricordare, a questa maggioranza, quanta violenza verbale sia presente nei suoi pubblici comizi, in particolare in quelli di una delle sue componenti fondamentali, quella Lega Nord i cui esponenti parlano di “merdaccia mediterranea” o “pulizia etnica degli omosessuali” davanti a folle divertite e plaudenti.

Sarebbe bene ricordare il clima di “grande moderazione e rispetto” che i nostri deputati e senatori spesso mostrano in occasione delle sedute parlamentari, luogo di celeberrime risse fin dal lontano 1949 quando il comunista Luciano Pajetta, aggredendo un collega, scateno’ la prima rissa parlamentare della Repubblica, o il primo “cazzotto parlamentare”, quello del DC Stella contro il monarchico Viola, fino a quel novembre 2007 quando dai banchi di Forza Italia si levo’ un tonante “vaffanculo” corale verso un parlamentare del centrosinistra.

Sarebbe il caso di ricordare la violenza verbale di tanti quotidiani, sussidiati coi soldi dei cittadini, che da anni collezionano un ventaglio di titoli altisonanti degni del vociare dei bar piu’ malfamati.

E sarebbe il caso di ricordare la violenza dilagante di molte trasmissioni televisive, dove la rissa, spesso “creata ad arte” è lo strumento principale per aumentare la propria audience. Uno strumento che funziona, perché gli italiani certe trasmissioni le guardano sempre di piu’, e con crescente entusiasmo.

Chi determina cosa è “incitazione all’odio” e cosa non lo è? Come si puo’ legiferare su un sentimento come l’odio, per sua natura inevitabilmente sempre soggettivo, spesso impalpabile ed imprevedibile? Come se ne puo’ determinare la rilevanza penale in un Paese tradizionalmente innamorato della “parolaccia”, della “scurrilità del linguaggio”, della polemica fine a sé stessa?

E come puo’ una maggioranza con componenti che proprio sull’odio (contro gli stranieri, i comunisti, gli omosessuali, i rom, i musulmani, ecc) hanno costruito il proprio consenso politico, ritenere di avere una qualsiasi legittimità morale ad introdurre una simile normativa?

Puo’ uno Stato che si suppone liberale, legiferare anche sui sentimenti dei propri cittadini, fino a vietare l’odio, un sentimento che, per quanto detestabile, fa parte quanto l’amore della natura umana?

Negli altri Paesi, con eccezione delle dittature, nessuno mai si sognerebbe di introdurre limiti di questo tipo alla libertà di espressione.

Leader come Sarkozy, Obama, Merkel, Blair e Brown, sono oggetto di un’infinità di pagine web che inneggiano ad odio e disprezzo. Nessuno dei loro governi vi ha prestato particolare attenzione, salvo nei casi in cui potesse profilarsi una effettiva minaccia di aggressione fisica.

Ad esempio, su Obama, si trovano in rete un numero incredibile di pagine web che incitano alla violenza e contengono contenuti razzisti e denigratori. Su Facebook, tenere il conto del numero dei gruppi contro Obama è praticamente impossibile. Molte radio hanno conduttori che quotidianamente incitano all’odio ed alla violenza contro il Presidente. Ma non risulta che i Democratici intendano prendere qualsivoglia provvedimento contro la mera espressione di un’opinione o di un sentimento.

Ma tornando alla realtà italiana, l’ex premier Romano Prodi, all’epoca dei suoi governi e delle passate campagne elettorali, fu bersagliato di straordinarie campagne denigratorie e d’odio. Ancora oggi, su Facebook, esistono gruppi come “Odio Prodi”, “Prodi merda” e “Uccidiamo Prodi”.
Nessuno se n’è mai curato. Per Veltroni oltre a svariati “Odio Veltroni”, esistono ancora il celeberrimo e popolarissimo “Scommetto che riesco a trovare 50.000 persone che odiano VELTRONI e il PD!!” ed un “Veltroni sei un buffone” condito da una patetica caricatura del politico raffigurato quasi completamente nudo come una sorta di pornoattore.

Cosa si pensa di fare? Imporne la chiusura ed indagarne tutti i partecipanti, pur nella consapevolezza che nella quasi totalità dei casi si tratta di forme quasi giocose della vita virtuale di ragazzini annoiati?

E cosa si pensa di fare per i bar con chi si esprime in termini volgari o violenti parlando di questa o quella persona, poco importa quanto celebre?

Cosa rende un gruppo di quattro persone che parlano sul web in termini violenti  piu’ pericolose di un analogo gruppetto all’interno del quale si pronunciano le stesse parole in un angolo di strada?

Il fatto che Internet sia relativamente facile da mettere sotto controllo, non significa che sia opportuno farlo. Sarebbe, invero, un passo che ci allontanerebbe ancora di piu’ dai modelli di società liberale cui questa maggioranza afferma di volersi ispirare.

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17 dicembre 2009

fonte:  http://sostenibile.blogosfere.it/2009/12/la-violenza-di-facebook-e-quella-dei-parlamentari.html

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SCHIFANI TOUR

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rielab by mauro

Istat, la disoccupazione sale all’8,2%

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Confindustria: l’Italia tornerà ai livelli pre-crisi solo nel 2013

Nel terzo trimestre il numero degli occupati è diminuito di 508 mila unità rispetto allo stesso periodo del 2008

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MILANO – Il tasso di disoccupazione ha raggiunto a ottobre l’8,2%: si tratta del dato peggiore da aprile 2004. Lo rileva l’Istat, che ha corretto al rialzo il dato diffuso nelle scorse settimane (8%). Il numero di disoccupati nel mese è salito a 2.039.000.

CALO – Nel terzo trimestre 2009 l’occupazione è diminuita di 508.000 unità rispetto allo stesso periodo del 2008 (-2,2%), mentre è calata di 120.000 rispetto al secondo trimestre del 2009. L’Istat precisa che è il calo peggiore dal ’92, anno di inizio delle serie storiche, e che 386.000 posti sono stati persi nell’industria. Cala ovviamente il tasso di occupazione dal 59% al 57,5%. Si tratta del «quinto consecutivo arretramento tendenziale». L’Istat rileva un’ulteriore caduta dell’occupazione autonoma, dei dipendenti a termine e dei collaboratori, cui si aggiunge una significativa flessione dei dipendenti a tempo indeterminato.

CONFINDUSTRIA – Anche la Confindustria lancia l’allarme lavoro. «Sono stati bruciati 470 mila posti di lavoro – si legge nel rapporto del Centro Studi – mentre altri 195 mila sono a rischio». Quella che si profila per i prossimi anni, afferma Confindustria, rimane una ripresa «lenta e faticosa, in salita e ostacolata da venti contrari». Secondo le previsioni, l’Italia registrerà nel 2010 un Pil del 1,1% che si rafforzerà nel 2011 con un 1,3% riportando il Pil ai livelli del 2005. «La ripresa – dicono gli economisti di Viale dell’Astronomia- sarà sospinta da politiche economiche di straordinaria portata espansiva, tali da aver rinsaldato la fiducia di famiglie, imprese e mercati finanziari. I quali restano però esposti a turbolenze, come dimostrano le vicende di Dubai e della Grecia». «Il recupero del Pil perduto avverrà con tempistiche diverse tra diversi paesi. Tenuto conto dei tassi di crescita potenziali, all’Italia saranno necessari quattro anni, fino al 2013 per tornare ai livelli pre-crisi dopo una perdita che nel biennio di recessione ha riportato l’economia italiana indietro di quasi otto anni». Dalle rilevazioni del Csc emerge che «sono lunghi anche i tempi di recupero per Giappone (tre anni e nove mesi) e Spagna (tre anni e mezzo). La Germania impiegherà due anni e mezzo mentre la Francia già nella seconda metà del 2011 avrà pienamente compensato le perdite accumulate. Gli Stati Uniti saranno i più rapidi: solo un anno».

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17 dicembre 2009

fonte:  http://www.corriere.it/economia/carriere-lavoro/09_dicembre_17/istat_disoccupazione_occupati_d377c85a-eafd-11de-9f53-00144f02aabc.shtml

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MILANO – Le intercettazioni del «boss» Pdl Prosperini: «Questo va castigato», «Decido io»

Bell’esempio. Formigoni, per carità di patria, taci.

mauro

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Ricostruiti i debiti dell’assessore regionale al Turismo: centinaia di migliaia di euro, coperti «gonfiando» i costi

Formigoni: «Non credo che sarà facile per i magistrati dimostrare la sua colpevolezza»

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MILANO – L’assessore regionale al Turismo della Lombardia, Pier Gianni Prosperini, arrestato mercoledì sera mentre era al telefono in diretta tv (e negava tutto), era chiamato «il boss» dai suoi accoliti, come scrive il gip Andrea Ghinetti nell’ordinanza che lo ha portato in carcere. Per spiegare le esigenze di custodia cautelare in carcere il giudice ricorda che Prosperini è «il boss, come viene talvolta chiamato dai suoi accoliti, cui spetta certamente l’ultima parola sull’attività dell’assessorato e l’impiego dei fondi». L’assessore è accusato di aver ricevuto 230mila euro tramite un meccanismo di sovrafatturazione in relazione a programmi televisivi a cui partecipava per attività istituzionale.

«NON VA IN ONDA NIENTE SE NON CI SONO IO» – Un’attività «in cui spesso e volentieri appariva personalmente, che gestiva in prima persona, decidendone financo i contenuti». «Sintomatica», ad avviso del Gip Andrea Ghinetti, una conversazione telefonica intercettata dell’8 aprile 2008, in cui Prosperini «dispone testualmente a una dipendente di Odeon Tv»: «Ecco, sappiate che non desidero che vada più niente in onda se non c’è la mia presentazione… perché a ottobre si vota e… l’opportunità sono io che la giudico, e dico che è opportuno che il dottore (Prosperini parla di se stesso, ndr) ci sia sempre… se noi adesso facciamo una cosa, è per la campagna elettorale… non per far vedere la cosa bella!».

«QUESTO VA CASTIGATO» – In un’altra conversazione intercettata, Prosperini si lamenta della strategia difensiva del legale di Massimo Saini, un consulente anch’egli arrestato, e per questa ragione dice che Saini «va castigato». Nell’intercettazione, eseguita dagli uomini della Guardia di Finanza di Milano e riportata nell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti dello stesso Prosperini, l’assessore si lamenta in quanto, secondo il gip, Andrea Ghinetti, «ha percepito chiaramente la volontà di non voler far fronte comune contro il “nemico” (il riferimento è agli inquirenti, e per questo, a proposito di Saini, «non voglio avere a che fare con lui dal punto di vista lavorativo! I deboli… per sopravvivere sono capaci di uccidere anche i propri figli… e questo quindi va castigato…». Secondo il gip, Prosperini in questo modo manifesta «la sua pretesa di sapere immediatamente qualunque elemento che lo riguardasse» ed esplicita «la necessità di concertare tra indagati, un versione difensiva comune».

BIT, LO SPOT DA 100 MILA EURO – Nella ricostruzione dei pm Massimo Storari e Alfredo Robledo, poi avallata dal gip che ha disposto il carcere per Prosperini, l’assessore al turismo lombardo «aveva maturato con l’emittente televisiva locale Telelombardia un debito (non riconducibile alla Regione) di circa 100mila euro e l’espediente che veniva escogitato dal Saini (Massimo, anch’egli arrestato), in concorso con il direttore vicario dell’assessorato al Turismo Lambicchi Roberto, era quello di affidare a Telelombardia l’incarico di pubblicizzare la fiera Bit 2008… con alcuni spot e uno speciale in cui costo complessivo, ammontante a euro 152mila, era stato gonfiato al fine di comprendere anche il debito pregresso dell’assessore». Per quanto riguarda, invece, Telecity «nei cui confronti Prosperini vantava altro debito personale a circa 100mila euro», dalle conversazioni intercettate sull’utenza di Saini «è emerso che in favore di tale emittente era stata commissionata una serie di 30 trasmissioni telematiche, della durata di 24 minuti ciascuna, che venivano messe in onda nel 2008: il costo stanziato per tale iniziativa, pari a circa 240mila euro per tutto il 2008, è risultato anch’esso appositamente gonfiato, in maniera tale da ricomprendere anche il pregresso debito personale dell’assessore».

LE PERPLESSITA’ DI FORMIGONI – Venerdì la giunta lombarda riferirà in Consiglio regionale sulla questione Prosperini. Intanto il governatore della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, manifesta qualche perplessità. «Almeno per le carte che conosco, l’arresto di Prosperini non mi pare sufficientemente motivato», ha dichiarato Formigoni. «Tutti conoscono Prosperini. Se c’è una persona che appare limpida e trasparente, che ha la passione della politica, e che ci mette del suo, è proprio Prosperini. Non credo che sarà facile per i magistrati dimostrare la sua colpevolezza. Com’è noto è il magistrato inquirente che deve dimostrare la colpevolezza dell’indagato, e non viceversa. Prosperini come tutti gli indagati è e resta innocente fino a dimostrazione del contrario. E’ giusto che la magistratura compia il suo corso, ma mi auguro che sia molto rapido, perché il momento è delicato».

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17 dicembre 2009

fonte:  http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/09_dicembre_17/intercettazioni-prosperini-arrestato-odeon-tv-boss-1602169652091.shtml

Morte Bergamini, le nuove verità: “Riaprite il caso non fu suicidio”

Morte Bergamini, le nuove verità
“Riaprite il caso non fu suicidio”

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Il centrocampista del Cosenza morto 20 anni fa sotto le ruote di un camion: i compagni di squadra raccontano le ultime ore e i dubbi su quella morte

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di CORRADO ZUNINO

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ROMA – Non è stato un suicidio. Si comprese subito, e adesso la procura di Castrovillari potrebbe riaprire l’inchiesta che il Tribunale chiuse frettolosamente 17 anni fa sentenziando: fu morte cercata. Donato Bergamini, biondo centrocampista del Cosenza, ferrarese di Boccaleone estroso in campo e fuori, non aveva una frattura sul corpo. Una. Nonostante 64 metri di trascinamento sotto un camion. Sì, la versione ufficiale racconta che Bergamini il 18 novembre 1989 si è gettato sotto un autocarro.
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In queste settimane, grazie al testardo lavoro di alcuni giornalisti calabresi, sono diventate pubbliche le prime testimonianze dei vecchi compagni di club. Prima si è deciso a parlare l’ala destra Sergio Galeazzi, poi un calciatore riconoscibile come Michele Padovano. Hanno raccontato le ultime ore di Donato Bergamini, le telefonate ricevute in camera d’albergo, le due persone che lo fecero alzare dalla poltrona del Cinema Garden di Cosenza. “Se mi arriveranno nuovi atti e nuove testimonianze riaprirò l’inchiesta”, dice ora il pm Franco Giacomantonio, procura di Castrovillari, competente per territorio.
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Attorno al ricordo si sta coagulando un nucleo di parenti, avvocati, giornalisti, ex compagni, ora anche politici. E spinge per una nuova verità. Il suicidio di Donato Bergamini – il calciatore che la sera del 18 novembre 1989, secondo il verbale dei carabinieri di Cosenza, si lanciò tra le ruote di un camion sulla statale 106 all’altezza di Roseto Capo Spulico – non regge più.
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Domizio Bergamini, padre di Donato, lo ha detto apertamente al “Giornale di Calabria”: “Mio figlio non si è suicidato, me lo hanno ucciso. Queste cose succedono solo in Calabria o quando ci sono di mezzo calabresi. L’hanno ucciso, bastava guardare il corpo dopo il decesso”. Sulla morte del calciatore biondo, che fu titolare nel Cosenza di Di Marzio, che contribuì alla risalita della squadra in serie B dopo 24 anni e fu richiesto invano dal Parma, ha scritto un libro Carlo Petrini, l’ex calciatore convertito al giornalismo investigativo: “Il calciatore suicidato”, il titolo. In quelle pagine ci sono tutte le contraddizioni dell’inchiesta, ma Petrini si allunga verso scenari criminali che portano troppo lontano. Il padre di Donato, invece, crede a una storia di passioni ferite e chiede un aiuto alla fidanzata del calciatore, unica testimone oculare ufficiale della morte di Bergamini insieme al camionista. “Una volta mi telefonò e mi disse che Donato le aveva promesso in eredità una Maserati. Le ho risposto che di macchine gliene avrei regalate due se mi avesse detto com’era morto mio figlio”.
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Gianni Di Marzio, che lo conosceva bene, oggi racconta: “Sembrano strane tutte queste storie della fuga in Grecia, del traghetto, di questo ragazzo che si è buttato sotto l’autocarro”. Altre novità le ha portate l’ex compagno Sergio Galeazzi, affidandole a un’intervista al settimanale “Cosenza Sport”. Ha raccontato come quelli del Cosenza calcio, in quei tardi anni ’80, avessero l’abitudine di trascorrere il sabato pomeriggio delle partite da disputare in casa al Cinema Garden, in centro. “Eravamo in galleria, Donato stava da solo, due file più avanti. Quando si è spenta la luce ed è iniziata la pubblicità ho visto Donato alzarsi. Ero seduto vicino all’ingresso, proprio all’inizio della fila di poltroncine, e ho fatto in tempo a seguirlo con lo sguardo. L’ho fatto istintivamente, come quando ti accorgi che sta accadendo qualcosa. Ho visto con sufficiente chiarezza che lo attendevano due persone. Ho visto solo le loro sagome, non so dire se fossero due uomini, un uomo e una donna. Non so se sono andati via insieme, ma di certo Donato non è più rientrato. Sono stato l’unico calciatore del Cosenza a non essere interrogato da magistrati e carabinieri. Con il passare del tempo ho capito che non c’era alcun interesse a riaprire il caso”.
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Nel ventennale della sua morte, lo scorso18 novembre appunto, “Chi l’ha visto?” è sceso con le telecamere in Calabria e ha mostrato tutto quello che del caso Bergamini non tornava. Le scarpe riconsegnate alla famiglia erano perfettamente pulite, nonostante il presunto trascinamento del cadavere sotto il camion. L’orologio era intatto. La sorella Donata ha parlato, poi, di un’importante testimonianza sparita dal fascicolo. Ha segnalato come il telefono della famiglia Bergamini non sia mai stato messo sotto controllo. E ha ricordato le telefonate di minaccia ricevute, i vestiti spariti in ospedale e – addirittura – la morte di due impiegati del Cosenza calcio che avevano promesso alla famiglia nuovi particolari. “Il quadro lesivo”, ha dichiarato il medico che eseguì l’autopsia, “non era quello da trascinamento”.
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La troupe di “Chi l’ha visto?” in quei giorni ha ricevuto l’ennesimo rifiuto a parlare da parte dell’ex fidanzata di Donato, sia direttamente dalla donna che dal marito, un poliziotto della Digos che nell’autunno dell’89 partecipò ai funerali del calciatore. Oggi il miglior amico di Bergamini, Michele Padovano – lui sarebbe diventato centravanti della Juventus, del Genoa, del Crystal Palace – , ha voluto rivelare come i vestiti che il calciatore aveva indosso al momento della morte non siano mai stati repertati dai carabinieri. “Dopo la celebrazione dei funerali li ho visti sul pullman, dentro una busta. I miei compagni se li passavano, ognuno voleva possedere qualcosa di Donato”.
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Padovano ha un altro ricordo, preciso, sul 18 novembre 1989. Prima del cinema. Era con l’amico nella stanza d’albergo, il Motel Agip di Cosenza. “Dopo pranzo, riposavamo. La sveglia era fissata per le quattro del pomeriggio, lo spettacolo iniziava alle quattro e mezza. Intorno alle tre Donato ricevette una telefonata in camera. Non ci feci caso, ma lui cambiò espressione. Sembrava volesse parlarmene, non disse niente: diventò assente. Di solito andavamo al cinema con un’auto, quel giorno mi disse che avrebbe preso la sua. Voleva stare da solo. Accese il motore ed è stata l’ultima volta che l’ho visto”.
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Sulla morte di Donato Bergamini è già partita un’interrogazione parlamentare, firmata, tra gli altri, dal ferrarese Dario Franceschini. Il prossimo 27 dicembre a Cosenza si svolgerà una manifestazione per chiedere la riapertura del caso.

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17 dicembre 2009

fonte:  http://www.repubblica.it/2009/05/rubriche/la-storia/caso-bergamini/caso-bergamini.html

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Carlo Petrini

Il calciatore suicidato

La morte senza verità del centrocamista Donato Bergamini

Pagg. 148 – € 13,43 – ISBN 88-7953-102-6

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Nella storia recente del calcio italiano c’è un dramma che è rimasto senza verità. È la morte violenta del giocatore Donato Bergamini, centrocampista del Cosenza (serie B), trovato cadavere davanti alle ruote di un camion la sera del 18 novembre 1989. Una morte, fatta passare per suicidio, che è un vero giallo ambientato nel mondo falso e dorato del dio pallone, con personaggi che sembrano venire fuori da un film.
«Come ex giocatore che ha conosciuto bene la faccia nascosta del calcio, in questo libro ho tentato di chiarire alcuni dei retroscena della morte di Bergamini: mi sono studiato gli atti della magistratura, ho fatto ricerche e ho intervistato un po’ di persone, anche a Cosenza. Insomma, ho fatto quello che nessuno dei giornalisti sportivi ha mai fatto: loro sono troppo impegnati a leccare il culo del potere pallonaro e dei suoi divi, per occuparsi di un giocatore di serie B morto ammazzato come un cane» (C.P.)

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fonte: http://www.kaosedizioni.com/schcolpi_calciatsuicidato.htm


Clima, rush finale per l’accordo. Usa: sì maxi-fondo da 100 mld

Il summit di Copenaghen entra nel vivo

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In salita la strada per un accordo. L’incognita Cina. Gli Stati Uniti: se arriva una buona intesa aiuteremo i paesi in via di sviluppo

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dall’inviato di Repubblica.it ANTONIO CIANCIULLO

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COPENAGHEN – Cento miliardi di dollari sul tappeto. Con l’intervento di Hillary Clinton il clima della conferenza di Copenaghen è cambiato. Se ci sarà un accordo “operativo e trasparente” – ha detto il segretario di Stato Usa – si potrà arrivare alla creazione di un fondo per il trasferimento delle tecnologie pulite ai paesi in via di sviluppo che arriverà a 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020. E’ la stessa posizione dell’Europa: la creazione di un sostegno finanziario in crescita da oggi al 2020 per agevolare il salto verso una crescita economica a basso impatto ambientale anche nei paesi meno industrializzati.
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Basterà per chiudere con un accordo il summit mondiale sul clima? In realtà ci sono vent’anni di ritardo. Non è facile recuperare vent’anni di ritardo in poco più di venti ore. Ma è questa la strada che ha davanti il summit di Copenaghen. Ed è per questo che, nello scorrere concitato degli interventi di questa penultima mattina, le note di pessimismo si alternano alla speranza di trovare un’intesa per evitare il disastro climatico.
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La delegazione cinese aveva mandato nella notte messaggi negativi: fonti anonime avevano dato l’accordo per impossibile anticipando un’intesa solo politica. Poi il premier cinese Wen Jiabao ha detto che “il governo e il popolo cinese attribuiscono una grande importanza al problema del cambiamento climatico” e, sul sito web del ministero degli esteri di Pechino, ha aggiunto che la sua presenza al vertice ha il significato di ribadire la “sincerità” dell’impegno della Cina nella lotta contro il surriscaldamento del pianeta. A fine mattina il capo negoziatore cinese Su Wei, ha sostenuto che Pechino continua “a credere che la conferenza di Copenaghen otterrà un buon risultato”.
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Anche l’India, ha detto il premier Manmohan Singh, è disposta a “fare di più” nel rush finale del vertice a patto che vi siano “credibili” garanzie su trasferimenti tecnologici e sostegni finanziari da parte dei paesi ricchi. Sui fondi però l’intesa non sembra lontana. Il problema semmai è le gestione: si tratta di creare un meccanismo che dia garanzie a tutti. Cioè eviti un doppio rischio: da una parte evitare un dirottamento delle risorse che trasformi il supporto alle nuovi fonti rinnovabili nel rinnovo di antiche pratiche belliche, dall’altra la creazione di un centro verticistico controllato da pochi.
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Il passaggio verso un cambiamento reale del modello energetico, apparentemente sostenuto da tutti, si fa comunque sempre più stretto. Tanto che la cancelliera tedesca Angela Merkel appare preoccupata: “Le notizie che arrivano non sono buone. Al momento i negoziati non sembrano promettenti, ma spero ovviamente che la presenza di oltre 100 capi di Stato e di governo possa dare il necessario impeto all’evento”. La Merkel ha anche osservato che “la promessa degli Stati Uniti di tagliare le emissioni di CO2 del 4 per cento rispetto ai livelli del 1990 non è ambiziosa”. Gli Stati Uniti, con la legge sul taglio dei gas serra ancora in discussione al Senato, sono in grado di rilanciare?
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17 dicembre 2009
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Zeffirelli, la Traviata e la Crociata dell’Amore

Zeffirelli e giornalista, lite su Marrazzo

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Il regista raccontava di una scena della Traviata in una casa di prostitute

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10 dicembre, 21:08
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ROMA – E’ finita a insulti pesanti, da parte di Franco Zeffirelli, e una minaccia di denuncia, da parte di una giornalista di http://www.GothicNetwork.org, durante la presentazione alla stampa della Traviata all’Opera di Roma, che andrà in scena dal 18 al 31 dicembre, più due prove generali aperte al pubblico per beneficenza.
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Il regista raccontava di una Traviata all’Opera di Amburgo, con la festa di Violetta ambientata in una casa di prostitute che, dietro una parete trasparente, si vedono fare il bidet, e ha concluso: “del resto sono puttane, hanno bisogno di lavarsi, sono lì per fare cose, un po’ alla Marrazzo”. A questo nome la giornalista replica con indignata violenza che lo stesso vale per Berlusconi, che non è ammissibile continuare a dire queste cose, che bisogna farla finita. A Zeffirelli, che chiede chi sia, risponde di appartenere al movimento viola che ha organizzato la manifestazione di sabato. Lui allora si scalda, dice che “sta insultando un suo amico e una persona di valore”, e lei replica che le prostitute sono a casa del premier. A questo punto il regista perde la pazienza e la assale con insulti veri e propri, chiedendo tra l’altro che venga portata via, “che si chiami la Misericordia”. La giornalista replica che lo denuncerà e che non accetta di venir trattata a quel modo, ricevendo una replica sempre verbalmente pesante, al termine della quale Zeffirelli aggiunge: “spero abbiate filmato tutto”, rivolto alla troupe della Rai presente in sala.

Fonte: ANSA

Alla luce dei fatti più recenti (la statuetta lanciata contro Berlusconi e tutte le sue – logiche e prevedibili – conseguenze da caccia alle streghe) questa vicenda assume il sapore dell’anticipazione. Il PdL (partito dei ladri, almeno delle identità altrui, cfr. cambi di nome a gruppi su fb) ha lanciato la campagna dell’amore e della deprecazione della violenza e dell’odio: non c’è che dire, è un bell’esempio di quello che intendono. elena