Archivio | ottobre 4, 2011

IDIOZIE – Castelli contro Napolitano “Vuole reprimere le Padania”

Castelli in aria

Asino che vola – fonte immagine

Quel che profondamente offende il Popolo Italiano è che siffatti individui continuino imperterriti a percepire prebende dallo Stato, in totale contraddizione con sè stessi. Al poco onorevole signor Castelli, invece di parlare a vanvera e cercare di colpire il simbolo dell’unità nazionale nelle vesti del Capo dello Stato, sarebbe più utile fare un corso accelerato di educazione civica, non foss’altro per comprendere i principi del dettato costituzionale per i quali, lo ricordiamo, ha giurato fedeltà. Se ritiene di essere scontento della Patria che ha avuto nascendo (per sua immeritata fortuna) può sempre praticare la via dell’emigrazione. Un’altra patria che lo accolga la può ancora trovare. Forse.

mauro

Castelli contro Napolitano
“Vuole reprimere le Padania”

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Il viceministro ai Trasporti: “E’ un attacco alla mia libertà ed è un avvertimento  poichè non credo che il capo dello Stato parli senza pensare a ciò che dice”. “Ha ancora in mente la repressione perchè una certa mentalità esiste ancora”. Finocchiaro (Pd): “Fa paura l’irresponsabilità dei dirigenti della Lega”

Castelli contro Napolitano "Vuole reprimere le Padania"

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ROMA “Napolitano che dice che il popolo padano non esiste mi offende e mi fa paura. Si vede che per lui non esisto e sono un ectoplasma. Questo è molto inquietante”. Ai microfoni di Radio 24, il leghista Roberto Castelli, viceministro ai trasporti, entra in rotta di collisione con il Colle che aveva bollato come ‘grottesco’ il solo pensare a uno stato lombardo-veneto 1. “E’ un attacco alla mia libertà ed è un avvertimento – continua l’ex ministro della giustizia – poichè non credo che il capo dello Stato parli senza pensare a ciò che dice, secondo me sottintendeva: ‘se tirate fuori certi argomenti che a noi non piacciono vi scateniamo addosso la magistratura e vi mettiamo in galera. Ho 65 anni e la mia vita l’ho fatta. Sarebbe una meraviglia finire come martire della padania e poter avere un monumento in simil-bronzo nella piazza della mia frazione”.

Per Castelli il presidente della Repubblica “ha ancora in mente la repressione in Ungheria” perché “una certa mentalità esiste ancora”. “Ricordo- aggiunge Castelli – che qualche anno fa Violante voleva mandarci i carri armati. Anche Napolitano ha questa mentalità”.

Immediata la replica del Pd e dell’Idv. “A noi fa paura l’irresponsabilità dei dirigenti della Lega” dice il capogruppo democratico al Senato Anna Finocchiaro. Mentre per la dipietrista Silvana Mura “è davvero sconcertante che nessuno dei membri del governo abbia nulla da dire sul fatto che il presidente della Repubblica venga accusato di intimidazione e fatto oggetto di paragoni storici improponibili, solo per aver ribadito un elementare principio costituzionale, ovvero che la Repubblica è unica e indivisibile. A meno che questo silenzio tombale non sia la moneta con cui pagare il voto delle Lega sulle intercettazioni”.

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04 ottobre 2011

fonte:  http://www.repubblica.it/politica/2011/10/04/news/castelli_napolitano-22698490/?rss

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e il mensile di emergency

Pace fatta tra Vasco Rossi e Nonciclopedia

Sarà ritirata la querela presentata dal Blasco

Pace fatta tra Vasco Rossi e Nonciclopedia

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https://i0.wp.com/www.rainews24.it/ran24/immagini/2011/08/vasco_rossi_280xFree.jpg

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Oggi Nonciclopedia ha riaperto i battenti chiedendo scusa: “Chiediamo scusa se i contenuti della pagina di Vasco Rossi sono sembrati diffamatori, non c’è mai stata l’intenzione di offendere il cantante”, è scritto in una lettera pubblicata sul sito satirico, e anche su quello di Vasco Rossi. Annunciato il ritiro della querela del cantante

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Roma, 04-10-2011

Pace fatta tra Vasco Rossi e Nonciclopedia. I ragazzi responsabili del sito si sono scusati con il rocker per i contenuti giudicati diffamatori e il Blasco ha deciso di
ritirare la querela nei loro confronti. Il sito Nonciclopedia, che era stato chiuso dagli stessi responbili dopo la querela del cantante, riapre dunque i battenti.

Nella lettera di scuse, pubblicata sia su Nonciplopedia che sul sito e sul profilo Facebook di Vasco, si legge: “Cari lettori, ringraziandovi per il caloroso sostegno, vogliamo innanzitutto chiarire che ci dissociamo dalla violenza con cui il web ha reagito alla nostra decisione di oscurare il sito. Il nostro intento non è mai stato quello di incitare l’utenza contro Vasco quanto quello di informarla dei fatti avvenuti. Ci scusiamo se i contenuti della pagina di Vasco Rossi sono sembrati diffamatori, non c’è mai stata l’intenzione di offendere il cantante. Aggiungiamo che non abbiamo responsabilita’ sulle presunte versioni della pagina su Vasco Rossi che circolano in rete, non corrette in quanto non presenti sul nostro sito”.

“Da entrambe le parti -si legge ancora nella lettera- c’è una volontà di garantire umorismo di qualità, pertanto non escludiamo la possibilità futura che un giorno su Nonciclopedia tornerà ad esistere un articolo su Vasco Rossi che faccia ridere tutti quanti.

Tania Sachs, la portavoce ufficiale del rocker, ha assicurato di poter ritirare la querela contro Nonciclopedia”, conclude la lettera. E la press agent di Vasco conferma che la querela verrà ritirata.

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fonte:  http://www.rainews24.it/it/news.php?newsid=157081

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e il mensile di emergency

 

 

GELA – Morire di fame o d’amianto

L’Eni ha coperto la discarica di amianto nella raffineria di Gela

Caricato da in data 03/ago/2011

Enimed Spa ha dato seguito, in questi giorni, alle disposizioni dell’Asp nissena per quanto riguarda la discarica di materiale contenente amianto sita all’interno della raffineria di Gela. Per la messa in sicurezza definitiva della discarica, attualmente sotto sequestro, si attende da anni l’autorizzazione di Palermo

Morire di fame o d’amianto

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fonte immagine

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Gli operai dell’Eni di Gela lavorano da anni sottoposti alla contaminazione del ‘killer silenzioso’, nonostante ufficialmente lo stabilimento ne sia stato dichiarato privo dal ’93. E nessuno sembra poter ricevere nemmeno il sussidio Inail previsto

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Gli operai dello stabilimento Eni di Gela da decenni lottano per vedersi riconosciuto il diritto a percepire il sussidio speciale previsto per chi è stato sottoposto ad amianto. Una battaglia lunga e piena di delusioni, complicata dal fatto che l’Ente energetico corse ai ripari eliminando – almeno ufficialmente – il dannoso materiale pochi mesi prima dell’entrata in vigore della legge n.257 che impone il divieto assoluto di utilizzo dell’amianto a fini industriali o commerciali. Una mossa che quindi mise fuori gioco ogni rivalsa dei lavoratori, i quali, comunque, non si sono arresi e sono andati avanti ritenendosi dalla parte del giusto. Anni di lotta e di lavoro, durante i quali si sono consolati con la certezza che perlomeno da quel momento in poi avrebbero lavorato in un luogo sicuro. Poi il colpo di scena: a fine luglio, all’interno dell’isola 32 dello stabilimento, militari della guardia costiera e del nucleo speciale d’intervento di Roma hanno scoperto una grande vasca contenente almeno 27 tonnellate di amianto, del tipo amosite, conservate nella totale inosservanza delle regole. Teloni bucati, sacchi aperti e, di conseguenza, fibre d’amianto libere di essere trascinate dal vento e inalate dai lavoratori. Una scoperta scioccante, che ha messo ulteriormente in allarme gli operai. L’impresa che “mette in circolo l’energia”, ha continuato imperterrita in questi anni a mettere in circolo anche ben altro: sostanze nocive che – in base ai dati dell’Organizzazione mondiale della sanità – ogni anno uccidono centomila persone nel mondo, secondo cifre che gli esperti definiscono sottostimate. Per non contare i ventimila tumori per cancro al polmone e i diecimila casi di meotelioma che provoca ogni dodici mesi nei soli paesi industrializzati di Europa, America del Nord e Giappone. E, per stringere il cerchio alla sola Italia, si parla di 4000 decessi annui, in un paese che è stato il secondo produttore europeo e tra i principali consumatori della sostanza, che – secondo il Consiglio Nazionale delle Ricerche e l’Istituto per la prevenzione e la sicurezza del lavoro – resta ancora ben lontana dall’essere estirpata dal territorio nazionale. La stima è di 32 milioni di tonnellate di amianto ancora sparse per tutta la penisola e di un miliardo di metri quadri di coperture di eternit sui tetti.

Stando ai legali che seguono il caso dei lavoratori gelesi esposti all’amianto, la scoperta della discarica testimonia la politica industriale usata da Eni a Gela: ovvero occultare il materiale senza eliminarlo e dare una parvenza di regolarità, alla faccia della salute della gente. Come ha scritto Rosario Cauchi nell’articolo apparso su Libera Informazione, i responsabili locali di Raffineria di Gela s.p.a. – società appartenente alla multinazionale lombarda – non rilasciano commenti limitandosi a emanare comunicati stampa nei quali si rinvia l’intera questione alle indagini in corso. Ma nei molti dossier sul caso emerge che all’interno del sito industriale vi sono evidenti tracce di pericolosi minerali silicei. I veri nemici dei lavoratori, infatti, si chiamano crocidolite e amosite, anche conosciuti come amianto blu e amianto bruno: tra le fibre più pericolose per la salute umana. Eppure, nonostante questi documenti che evidenziano la presenza attiva del killer silenzioso siano comprovati, i contributi previdenziali in favore dei lavoratori che hanno operato a contatto con le fibre vengono riconosciuti, dopo lunghe battaglie legali, solo a coloro che possano dimostrare di essere affetti da patologie conclamate. Senza minimamente tener conto che l’effetto si può manifestare anche dopo 40 anni dal contagio, come sostengono gli epidemiologi.

Intanto a Gela, dopo il sequestro della discarica contenuta nella quarta vasca dell’isola 32, Enimed Spa ha provveduto a ricoprirla come richiesto dalla Capitaneria di Porto e dall’Asp di Caltanissetta. Secondo la legge, infatti, dopo a ogni abbandamento di materiale contenente amianto, si deve aggiungere uno strato di terra e un telo protettivo in plastica. Ma poco importa. È comunque troppo tardi e gli operai sono decisi a farla pagare ai responsabili. Già nell’agosto dello scorso anno, infatti, a seguito di un’ispezione, era stato riscontrato l’uso di teloni deteriorati dal tempo che, inevitabilmente, non bloccavano la diffusione in atmosfera delle pericolose fibre.
 Ma nessuno ha mosso un dito per rimediare. Dopotutto, quella iniziata a luglio scorso non è che l’ennesima inchiesta che coinvolge i vertici dell’industria gelese che hanno, spesso, negato persino la presenza di amianto all’interno del sito.

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03 ottobre 2011

fonte:  http://it.peacereporter.net/articolo/30793/Morire+di+fame+o+d%27amianto

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«Le donne morte nel crollo di Barletta lavoravano in nero a quattro euro l’ora»

Le ‘fortunate’ percepivano 4 euro all’ora. In nero. Personalmente so, per conoscenza diretta, di persone che lavorano alle stesse condizioni di schiavitù per 3 euro all’ora… Sono stato sul posto tempo fa, proprio in quelle zone, ed ho potuto constatare come la pratica del lavoro nero e sottopagato sia più che diffusa. Senza, peraltro, sentire proteste o mugugni per quelle condizioni di sfruttamento , anche minorile, che riguarda sopratutto le donne. Viene semplicemente accettato il dato di fatto: prendere o lasciare. Perché altro non c’è.

mauro

«Le donne morte nel crollo di Barletta lavoravano in nero a quattro euro l’ora»

La denuncia dei parenti. Si indaga per disastro colposo e omicidio plurimo. Napolitano: sciagura inaccettabile

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ROMA – Lavoravano in nero, senza contratto, le operaie morte nel crollo della palazzina di via Roma, nel centro di Barletta. Lo raccontano i parenti delle vittime, assiepati davanti all’obitorio del Policlinico di Bari dove si trovano i corpi delle operaie in attesa dell’autopsia. «Era gente – dicono – che lavorava per sopravvivere». Secondo una parente delle vittime, le operaie lavoravano per una paga di 4 euro l’ora.

Sono quattro le donne che lavoravano nel maglificio situato nel seminterrato della palazzina morte ieri nel crollo della palazzina (Matilde Doronzo, di 32 anni, Giovanna Sardaro, di 30 anni, Antonella Zaza, di 36 anni, Tina Ceci, di 37 anni) e una ragazzina di 14 anni, Maria Cinquepalmi, figlia dei titolari del laboratorio tessile.

Sono tutti in buone condizioni intanto i sei feriti del crollo. Sotto osservazione in particolare, una donna incinta al quinto mese di gravidanza, estratta dalle macerie un’oretta circa dopo il crollo, e un’altra donna tirata fuori cinque ore dopo. Gli altri quattro feriti sono stati invece colpiti di striscio perché si trovavano nei pressi della palazzina quando è avvenuto il crollo.

La magistratura di Trani indaga per disastro colposo e omicidio. Sono due le inchieste aperte sul crollo della palazzina di tre piani a Barletta, in via Roma. Il pm Giuseppe Maralfa ha avviato due fascicoli: all’ipotesi del disastro colposo, si è aggiunta
quella per omicidio plurimo colposo, accusa al momento a carico di ignoti. E poi ci sono verifiche sull’attività dell’opificio. In queste ore, polizia e carabinieri stanno raccogliendo documenti e informazioni sui risultati del sopralluogo effettuato venerdì 30 settembre scorso nello stabile crollato da parte di vigili del fuoco e tecnici comunali. La Guardia di finanza, invece, è stata delegata a raccogliere notizie sul maglificio e se fossero rispettati i requisiti minimi sul piano della sicurezza.

Numerose persone, tra le quali abitanti della palazzina crollata che erano fuori casa al momento della tragedia, sono state ascoltate dagli investigatori. Le audizioni si tengono nel commissariato di polizia di Barletta ma alle indagini collabora anche l’arma dei carabinieri. Al vaglio sono le tante denunce sui rischi di staticità dell’edificio in seguito ai lavori di demolizione di un rudere attiguo in corso da tempo per far posto ad un nuovo stabile.

E’ stata anche sequestrata la documentazione relativa alle autorizzazioni ottenute nel tempo per svolgere i lavori di demolizioni propedeutici alla costruzione del nuovo manufatto da parte del proprietario dell’area e dell’impresa edile alla quale erano stati affidati i lavori. La Guardia di finanza, dal canto suo, sta acquisendo notizie sull’attività del maglificio, ubicato in un locale al piano terra dell’edificio, soprattutto per verificare la sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa sulla sicurezza sui luoghi di lavoro e dalla regolarità delle assunzioni.

Napolitano: sciagura inaccettabile. L’inaccettabile ripetersi di terribili sciagure, laddove si vive e si lavora, impone l’accertamento rigoroso delle cause e delle responsabilità, e soprattutto l’impegno di tutti, poteri pubblici e soggetti privati, a tenere sempre alta la guardia sulle condizioni di sicurezza delle abitazioni e dei luoghi di lavoro con una costante azione di prevenzione e vigilanza». Lo scrive Giorgio Napolitano in un messaggio al sindaco di Barletta. Profondamente colpito dal tragico bilancio del crollo, Napolitano ha espresso al sindaco Nicola Maffei «sentimenti di commossa e affettuosa partecipazione al dolore delle famiglie delle vittime» e ha rivolto ai feriti «gli auguri di una pronta guarigione, manifestando all’intera comunità di Barletta, già duramente colpita negli anni da analoghi gravi eventi, la solidarietà di tutto il Paese. L’inaccettabile ripetersi di terribili sciagure, laddove si vive e si lavora – sottolinea il capo dello Stato – impone l’accertamento rigoroso delle cause e delle responsabilità, e soprattutto l’impegno di tutti, poteri pubblici e soggetti privati, a tenere sempre alta la guardia sulle condizioni di sicurezza delle abitazioni e dei luoghi di lavoro con una costante azione di prevenzione e di vigilanza».

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Martedì 04 Ottobre 2011 – 10:31    Ultimo aggiornamento: 18:24

fonte:  http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=165252&sez=HOME_INITALIA

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Slittano aiuti alla Grecia, Borse giù. Fmi, Ue e Bce: via i minimi salariali / VIDEO: Pawel Swidlicki: ‘Greece burning the bill, Tired to Debt’ [Sara Firth, Athens, RT]

Pawel Swidlicki: ‘Greece burning the bill, Tired to Debt’ [Sara Firth, Athens, RT]

Caricato da in data 30/set/2011

International debt inspectors are having trouble visiting key ministries in Greece – because angry workers are occupying them in their latest anti-austerity protest. The delegation are in Athens to decide whether Greece is fit enough for another portion of bailout – the government’s last chance to evade a collapse later this month. The decision was suspended earlier, over doubts that the country is doing enough to reduce its enormous debt. Leaders have pushed through pension cuts and extra taxes to try and please their creditors, but the public remains convinced that the relentless austerity policy is only making things worse. RT’s Sara Firth reports from Athens.
Also, RT talks to Pawel Swidlicki, who is a researcher and analyst with the Open Europe organization.

Slittano aiuti alla Grecia, Borse giù
Fmi, Ue e Bce: via i minimi salariali

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ROMA – Slittano ancora gli aiuti alla Grecia, mentre le Borse tornano in profondo rosso. Piazza Affari chiude con l’indice Ftse Mib dei titoli principali in calo del 2,72%. Affondano ancora le banche e Fiat. Vanno male anche Londra, Parigi e Francoforte che cedono poco più del 2%.

Intanto, mentre a Lussemburgo ieri i ministri delle Finanze dell’Eurogruppo chiedevano al loro collega greco Evangelos Venizelos l’adozione, entro la fine del 2011, di nuove misure di austerità per portare il deficit statale entro gli obiettivi previsti dagli accordi presi fra la Grecia e i suoi creditori, ad Atene la troika (Fmi, Ue e Bce) faveva pressioni sul governo chiedendo l’abolizione del contratto collettivo del lavoro allo scopo di ridurre ulteriormente gli stipendi nel settore privato per evitare di firmare un nuovo contratto che preveda la possibilità di tagliare le paghe. Infatti, durante l’incontro della troika con il ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, i rappresentanti dei creditori hanno chiesto al ministro di intervenire fra le parti sociali – sindacati e imprenditori – per ottenere l’abolizione del limite minimo degli stipendi e addivenire a un nuovo accordo per la riduzione dei stipendi come avviene negli accordi aziendali fra lavoratori e imprese. Qualora ciò non fosse possibile, la troika ha chiesto al ministro di procedere unilateralmente all’approvazione di una legge a riguardo.

Dal canto suo, la Confederazione Generale dei Lavoratori della Grecia (Gsee), il grande sindacato che raggruppa tutti i lavoratori del settore privato, ha definito la richiesta «un’estrema dimostrazione di sfrontatezza» da parte della troika.

L’Eurogruppo ha raggiunto a fatica un accordo sulle garanzie collaterali richieste dalla Finlandia per sbloccare i nuovi aiuti alla Grecia, ma la decisione sulla sesta tranche slitta ancora, almeno fino a dopo il 13 ottobre, data in cui la zona euro avrebbe dovuto dare il via libera con un incontro ad hoc.

Ma Atene, seppure non è ancora pronto il rapporto completo della Troika (Fmi, Bce, Ue) non rispetterà i target fiscali concordati per il 2012 e, anche per questo, dovrà «fare ancora di più» per i due anni successivi, ammonisce il presidente dell’organismo Jean Claude Junker che chiede nuove misure.

Ieri al termine di una riunione protrattasi fino alla mezzanotte, l’Eurogruppo ha comunque smentito ogni voce circolata dalla mattinata su un default dei pagamenti della Grecia o su una uscita dalla famiglia europea. Resta aperta ancora la definizione della dotazione del fondo salva stati Efsf di cui molti paesi vorrebbero accrescere la potenza di fuoco mentre la Germania, per bocca del suo ministro della Finanze Schaeuble rileva come sia «prematuro» parlarne.

Ma Atene non ci sta a prendersi tutta la colpa di un eventuale fallimento: «Non siamo il capro espiatorio dell’euro», ha detto Venizelos prima di entrare alla riunione a Lussemburgo dove è sorvegliato speciale dai suoi colleghi. E infatti, ci tiene a sottolineare che il Paese ha preso misure «necessarie e difficili» e che il budget per il 2012 è «molto ambizioso», dal momento che per la prima volta, dopo tanti anni, presenterà un avanzo primario di 3,2 miliardi, quando nel 2009 aveva invece un disavanzo di 24 miliardi. E tutto, aggiunge, «per soddisfare le richieste dei partner internazionali».

Ma nonostante gli sforzi riconosciuti da tutti i ministri di Eurolandia, i target fiscali non saranno raggiunti, come ha ammesso lo stesso governo greco domenica e come certifica anche prima del vertice del Lussemburgo il commissario agli Affari economici Olli Rehn: la Grecia ha preso «importanti decisioni». Decisioni comunque non sufficienti se i ministri dell’Eurogruppo parlano di «nuove misure» necessarie per Atene, in primis «consolidamento dei conti» e una nuova serie di «privatizzazioni».

Il risultato concreto del vertice è quindi quello sui collaterali a garanzie dei nuovi aiuti alla Grecia, richiesto dalla Finlandia. Il meccanismo permette a tutti gli stati membri di farne richiesta ma prevede quattro condizioni congegnate in modo da scoraggiare i paesi a utilizzarle. Al vertice infatti, ha puntualizzato Juncker, nessun paese tranne Helsinki, ha espresso l’intenzione di avvalersi di questo strumento. «È una soluzione soddisfacente», ha spiegato il commissario agli affari economici Olli Rehn il quale si è rallegrato «che il tema sia ora fuori dall’agenda dei lavori».

No intanto a qualsiasi ipotesi di fondi salva-Stati finanziato dalla Bce: lo ha detto il presidente dell’istituto centrale Jean Claude Trichet rispondendo a una domanda durante la sua audizione al Parlamento europeo. «Abbiamo cercato di essere misurati, ma senza ignorare la gravità della situazione, perché ciò sarebbe stato gravissimo», ha sottolineato Trichet. Spetta comunque ai governi «assicurare la stabilità finanziaria – ha poi aggiunto – perchè altrimenti si perde credibilità. Noi stiamo intervenendo proprio perchè i governi si sono impegnati a fare la loro parte».

Proteste ad Atene. Alcune decine di aderenti all’Adedy, il sindacato greco che raggruppa i dipendenti del settore pubblico, hanno occupato da questa mattina i ministeri dello Sviluppo Agricolo, quello del Commercio e quello delle Finanze in segno di protesta contro la sospensione temporanea del lavoro, misura decisa dal governo di Atene per ridurre di almeno 30.000 unità il numero degli impiegati statali chiesta dalla troika (Fmi, Ue e Bce). Secondo media locali, ci si attende che anche altri dicasteri e uffici pubblici vengano occupati dai manifestanti. Un’agitazione è in corso anche al ministero della Pubblica Istruzione. Un gruppo di studenti è riuscito a entrare nell’edificio cercando di appendere un grande cartellone. I manifestanti protestano contro la nuova legge sull’Università della quale chiedono il ritiro.

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Martedì 04 Ottobre 2011 – 12:46    Ultimo aggiornamento: 17:48

fonte:  http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=165269&sez=HOME_ECONOMIA

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LE PIGNE IN TESTA – Confindustria, esce anche ‘Cartiere Pigna’. Lega nord: ora fuori le aziende di Stato

Confindustria, esce anche Cartiere Pigna
Camusso: Fiat vuole tornare all’800

Sacconi: segnali di disgregazione. Boccia: non è vero ma c’è chi ci vuole dividere. Lega nord: ora fuori le aziende di Stato

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Confindustria ha ‘contratto’ un virus – fonte immagine

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ROMA – Dopo la Fiat anche le Cartiere Paolo Pigna Spa, azienda leader in Italia nel settore cartotecnico, fondata nel 1870, uscirà da Confindustria. Ad annunciarlo Giorgio Jannone, Presidente e Ad della società.

Sacconi: uscita Fiat è segnale di disgregazione. «Valuto l’uscita della Fiat da Confindustria con preoccupazione. È un segnale di disgregazione, ci auguriamo si possa ricomporre la frattura nel segno di una funzione sindacale modernizzatrice del sistema imprese». Lo ha detto Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro al ritiro del premio della fondazione Massimo D’Antona. «Abbiamo bisogno -ha aggiunto- di un sistema di imprese che sviluppi una forte evoluzione nelle relazioni industriali che si sono evolute ormai negli ultimi anni ma penso che queste si possano evolvere nella dimensione aziendale e territoriale».

Boccia: non c’è la disgregazione ma c’è chi ci vuole dividere. «Ma quale disgregazione: Confindustria è rappresentata per oltre il 90% da piccole e medie imprese, e quest’anno abbiamo avuto più di duemila nuove adesioni». Lo ha affermato Vincenzo Boccia, presidente della Piccola industria di Confindustria, rispondendo alle parole del ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. «Confindustria non è mai stata così forte e compatta – ha ribadito, lasciando i lavori del quinto Forum di Federexport in corso a Firenze – nella risposta a chi, in questi giorni, punta a dividere il mondo imprenditoriale».

Jannone, presidente di Pigna e parlamentare del Pdl. Giorgio Jannone, presidente delle Cartiere Pigna che ha annunciato l’uscita dell’azienda da Confindustria, «è parlamentare di maggioranza e presidente della Commissione bicamerale di controllo sugli enti previdenziali, il che la dice lunga». Ha aggiunto Vincenzo Boccia.

Camusso: la Fiat non rispetta le regole del Paese. «La scelta di uscire da Confindustria è una scelta che non rispetta le regole di questo Paese». Lo ha detto il segretario nazionale della Cgil, Susanna Camusso, ad un convegno sulla green economy a Roma. «Abbiamo da lungo tempo denunciato – ha spiegato la Camusso- una preoccupazione sugli obiettivi effettivi della Fiat. Non ci auguriamo che Fiat smetta di produrre in Italia però continuiamo a non capire cosa voglia produrre nel nostro Paese perchè – ha continuato la Camusso- “Fabbrica Italia” sembra sempre più una chimera. La cosa che troviamo più grave è un governo che fa da sponda all’idea di togliere le regole e non ha l’autorevolezza di chiedere qual è il programma industriale del Lingotto», ha concluso, evidenziando che «il piano del Suv è andato e venuto tre volte da Mirafiori. I famosi grandi innovatori stanno tornando a ricette ottocentesche».

Guidi: usciranno altri.
L’uscita della Fiat da Confindustria è «uno dei passi più dirompenti che siano mai avvenuti e cambia drammaticamente i rapporti interni. Credo che al di là del peso economico sia una lacerazione che lascerà al nuovo presidente di Confindustria dei problemi molto gravi da risolvere». Lo ha detto Guidalberto Guidi, ex vice presidente di Confindustria, nella “Telefonata di Belpietro” su Canale 5. Per Guidi all’uscita di Marchionne ne seguiranno altre: «Tutto il mondo della componentistica dell’auto, anzi tutta la metalmeccanica».

«Lo Statuto dei lavoratori andrebbe preso e buttato nel cestino» perchè «ha gradatamente messo un virus che ha contagiato la capacità di fare impresa e quindi la competitività. C’è gente che lo dice, come Marchionne, e c’è gente che non lo dice ma lo fa, sostanzialmente non investendo più in Italia». Ha aggiunto Guidi.

Lega Nord: aziende di Stato escano da Confindustria. «Lo scontro, in punta di fioretto, tra Emma Marcegaglia e Sergio Marchionne, non è limitato, come si potrebbe pensare solo alle richieste che Fiat ritiene di avere visto respinte in materia di contratti e rappresentanze sindacali. Esso va oltre, perchè riguarda il ruolo stesso di Confindustria come rappresentante delle imprese industriali italiane, nella quale evidentemente Marchionne non si riconosce più. Ora ci aspettiamo che il Ministero dell’Economia chieda alle aziende di Stato di prendere atto di questa situazione e di uscire dalla Confederazione». Lo affermano in una nota congiunta i parlamentari della Lega Nord, Paolo Franco e Maurizio Fugatti delle commissioni Finanze di Senato e Camera.

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Martedì 04 Ottobre 2011 – 17:09    Ultimo aggiornamento: 17:10

fonte:  http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=165310&sez=HOME_ECONOMIA

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OCCUPY WALL STREET – “Milioni in piazza contro il potere, vogliamo una tassa sui ricchi” / VIDEO: Shocking Police Arrest Children On Brooklyn Bridge OCCUPY WALL STREET

Shocking Police Arrest Children On Brooklyn Bridge OCCUPY WALL STREET

Caricato da in data 04/ott/2011

Shocking Police Arrest Children On Brooklyn Bridge OCCUPY WALL STREET

Occupy Wall Street is leaderless resistance movement with people of many colors, genders and political persuasions. The one thing we all have in common is that We Are The 99% that will no longer tolerate the greed and corruption of the 1%. We are using the revolutionary Arab Spring tactic to achieve our ends and encourage the use of nonviolence to maximize the safety of all participants.

L’INTERVISTA

“Milioni in piazza contro il potere
vogliamo una tassa sui ricchi


(Mario Tama/Getty Images) fonte immagine

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Parla Kalle Lasn, il fondatore del giornale che ha lanciato Occupy Wall Street: “Il Presidente non ha fegato”. “Non capisco come non vi siate liberati di Berlusconi”

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dall’inviato di Repubblica ANGELO AQUARO

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"Milioni in piazza contro il potere vogliamo una tassa sui ricchi" Kalle Lasn

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NEW YORK“Il mio sogno? Milioni di persone in tutto il mondo in piazza per il G20 di novembre. Milioni di persone a chiedere con una voce sola da Liberty Plaza a Cannes un passo concreto: la Robin Tax. Come potranno non ascoltarci?”.

Kalle Lasn, lei è il fondatore di Adbusters, il piccolo grande giornale non profit che ha lanciato “Occupy Wall Street”. Si aspettava una reazione così?
“Gli americani non trovano lavoro, la disoccupazione colpisce il 40 per cento tra i 19 e i 25 anni e il Tea Party continua a urlare contro ogni intervento statale. Non era il momento di puntare a una riscossa della sinistra? A ispirarci è stato quello che vedevamo succedere in Egitto, nella Primavera araba. E quando finalmente è successo anche qui… Allelujia!”.

Adbusters è una rivista canadese e il nuovo numero titola “American autumn”: l’America aveva bisogno di un aiutino dall’esterno?

“Forse sì. Va detto che la sinistra americana ha attraversato un periodo durissimo negli otto anni di George W. Bush. E poi l’avvento dei Tea Party. Qui s’è visto che Barack Obama non aveva abbastanza fegato”.

Molta gente ora in piazza dice di aver votato per lui. Ma che probabilmente non lo farà più. Il presidente non dovrebbe tornare a rivolgersi al suo popolo che protesta?
“Sarebbe meraviglioso. È un anno e mezzo che stiamo aspettando che si risollevi e faccia ciò che aveva promesso. Credo sia colpa della sua personalità. Lui era un outsider: e una volta eletto è rimasto un outsider. Sempre a voler piacere a tutti”.

C’è alternativa?
“Tra lui e Rick Perry alla fine anche la gente in Liberty Plaza voterà per lui. Il problema resta un altro: la sinistra non ha ancora un leader capace di far sognare”.

Da Michael Moore a Noam Chomsky passando per Naomi Klein: gli intellettuali che appoggiano Occupy Wall Street sono gli stessi che nel 2001 applaudirono i no global.
“Michael Moore è andato giù in Liberty Plaza con la gente che urlava e strillava: grande. Poi da lì però è andato a farsi intervistare alla Cnn per vendere il nuovo libro”.

Cosa vuol dire?
“Che tutta questa gente ha fatto tanto bene alla sinistra: ma oggi la sinistra ha bisogno di sangue fresco. Eppoi Moore e Chomsky e tutti gli altri: sarebbe toccato a loro far partire la rivolta. E invece sono troppo occupati a scrivere o dare interviste: pronti poi a saltare sul carro. Ma ripeto: non sono loro quelli che servirebbero alla sinistra per ritrovare quel tipo di passione che comunica il Tea Party”.

Vede un nuovo leader in piazza?
“Al momento no. Ma quando vedo parlare in tv questi ragazzi che dormono laggiù in Zuccotti Park, penso – mio Dio – questa è gente fantastica, davvero ha capito cosa sta succedendo, che se non facciamo nulla in 15 anni andranno a rotoli”.

Ma come si vince senza leader?
“Intanto la protesta ha fatto ripartire un discorso a sinistra. Tra loro emergerà qualcuno capace di guidarci? Lo spero. Ma vedo anche farsi strada una formula nuova. Forse il futuro ci riserva un modello diverso: la guida a sciame…”.

Perché non scende in piazza lei?
“Forse lo farò. Per ora preferisco restare il guerriero dietro le quinte: quello che ha lanciato l’idea e adesso gioisce di tutto questo”.

Non solo manca un leader. C’è chi sostiene che il movimento manchi anche di obiettivi concreti.
“Questo è un errore. Vedo anch’io che alcune risposte sono vaghe. Vogliamo questo, vogliamo quello, vogliamo essere ascoltati. Giusto avere una serie di richieste. Però serve che qualcuno salti su e dica: vogliamo una Robin Tax, vogliamo una legge sulle transazioni finanziarie, una riforma del sistema bancario, una riforma del finanziamento elettorale”.

La Tobin Tax, una versione più condivisa della Robin Tax, è la proposta che Nicholas Kristof ha fatto sul New York Times e Repubblica ha rilanciato.
“Il mio sogno è che per il 3 e il 4 novembre – quando a Cannes si riunirà il G20 – milioni di persone protesteranno in tutto il mondo. Sollevando la stessa richiesta: Robin Tax”.

Conosce l’Italia? Milioni di persone sono scese in piazza chiedendo conto a Silvio Berlusconi della sua politica e dei suoi scandali: è ancora lì.

“Sono stato diverse volte, conosco la tradizione di sinistra e non riesco a capire come non vi siate ancora liberati da Berlusconi. Proposte? Concentriamoci sulla protesta globale, facciamoci sentire al G20. E poi torniamo a Berlusconi”.

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04 ottobre 2011

fonte:  http://www.repubblica.it/esteri/2011/10/04/news/intervista_aquaro-22677255/?rss

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e il mensile di emergency

UFFICIALE – E Berlusconi si comprò la Lega. Patto di ferro stipulato con Bossi nel 2000 per salvarlo dai debiti – VIDEO

Moncalvo all’Annunziata: “Berlusconi comprò la fedeltà e il simbolo della Lega Nord”

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Non è il teorema della sinistra italiana e neanche la trama fantasiosa dei comunisti. Il premier Silvio Berlusconi ha davvero comprato la fedeltà (o meglio il marchio) della Lega Nord a partire dal 2000 come ha svelato l’ex direttore del quotidiano del Carroccio, Gigi Moncalvo. Il Senatur Umberto Bossi ha stipulato un patto di ferro con il capo del Governo Silvio Berlusconi undici anni fa per avere carta bianca dalla Lega Nord su tante questioni in cambio di denaro per pagare i numerosi debiti del partito. Un patto che era stato svelato in passato da diversi giornalisti di sinistra o anti-berlusconiani. Il giornalista Gigi Moncalvo, che non è comunista e neanche di sinistra, ha spiegato le origini di questo patto d’acciaio che ha consentito fra l’altro di “salvare” il deputato Pdl Marco Milanese e il ministro delle Politiche Agricole Saverio Romano, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.

Come scrisse Mario Calabresi su “La Repubblica”, l’allora amministratore nazionale di Forza Italia e oggi deputato del Popolo della libertà, Giovanni Dell’Elce, scrisse alla Banca di Roma per comunicare una fideiussione di due miliardi di vecchie lire a favore della Lega. Gigi Moncalvo ha dichiarato che il presidente Silvio Berlusconi aveva fatto un intervento economico pesante a favore della casse della Lega. In quel periodo la situazione finanziaria era davvero disastrosa: la sede del partito del Carroccio era stata pignorata e i giornalisti non ricevevano più lo stipendio.

In cambio della cessione della titolarità del simbolo del Lega, Berlusconi ha rinunciato a un serie di cause civili per gli slogan e le paginate del quotidiano “La Padania” in cui l’attuale capo del Governo veniva accusato di essere mafioso. Per Moncalvo si tratta di una vera e propria compravendita tipica della mentalità di Berlusconi.

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04 ottobre 2011

fonte:  http://www.politica24.it/articolo/moncalvo-all-annunziata-berlusconi-compro-la-fedelta-e-il-simbolo-della-lega-nord/17045/

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e il mensile di emergency

FABBRICA ITALIA? UNA CHIMERA – Camusso: «La Fiat non vuole regole e torna a ricette ottocentesche»

E per la numero uno del sindacato «Il governo fa da sponda»


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Camusso: «La Fiat non vuole regole e torna a ricette ottocentesche»

La leader della Cgil: «Noi continuiamo a non capire cosa vuole produrre in Italia perché Fabbrica Italia, il famoso piano annunciato, sembra sempre più una chimera»

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Susanna Camusso (Fotogramma)
Susanna Camusso (Fotogramma)

MILANO – «La scelta di Fiat di uscire da Confindustria è la scelta di non rispettare le regole, le norme di questo Paese», con il governo che «fa da sponda». Lo dice il leader della Cgil, Susanna Camusso, che aggiunge: «I famosi grandi innovatori stanno tornando a ricette ottocentesche».

RICETTE OTTOCENTESCHE – «Direi che – ha proseguito Camusso a margine di un convegno al Cnel – i famosi grandi innovatori stanno tornando alle ricette ottocentesche: no alle regole, sono i lavoratori che devono pagare le conseguenze della crisi e continuiamo ad avere di fronte un’azienda che vuole dettare le leggi sulle relazioni industriali senza dire quali siano i nuovi prodotti, che occupazione darà e che prospettive, e sa solo annunciare nuova cassa integrazione». È da tempo, ha sottolineato la Camusso, che la Cgil denuncia «la propria preoccupazione per gli obiettivi effettivi della Fiat. Noi non ci auguriamo che Fiat smetta di produrre in Italia ma continuiamo a non capire cosa vuole produrre in Italia perché Fabbrica Italia, il famoso piano annunciato, sembra sempre più una chimera».

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Redazione Online
04 ottobre 2011 12:51

fonte:  http://www.corriere.it/economia/11_ottobre_04/fiat-camusso_c1d2ad22-ee75-11e0-a09e-1525768cac3d.shtml

 


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e il mensile di emergency

Il vero volto della crisi greca: Una condizione economica più grave del previsto e un piano di salvataggio che non può funzionare

l vero volto della crisi greca

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di Francesco Bevilacqua – 04/10/2011

Fonte: il cambiamento
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Nicholas Economides, professore di economia e consulente del governo, dice la sua sulla situazione della Grecia. Ciò che emerge è una condizione economica più grave del previsto e un piano di salvataggio che non può funzionare

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crisi greca
Secondo Nicholas Economides la posizione della Grecia è più grave di quanto si voglia far credere
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Nicholas Economides è un noto economista e studioso di fama internazionale, la cui competenza si concentra in particolare su temi economico-finanziari legati a telecomunicazioni, politica antitrust, organizzazione industriale, mercati finanziari.

Recentemente interpellato dal Fatto Quotidiano per fornire la sua interpretazione della crisi greca, Economides non ha usato mezze misure per descrivere da un lato una situazione di una gravità capitale, che non prevede un’uscita indolore, dall’altra un intervento, quello del tandem FMIBCE, che anche i non esperti di politica economica non possono non considerare inutile e strumentale.

Le dichiarazioni dell’esperto, professore di Economia presso laStern School of Business della New York University, hanno un particolare valore proprio in virtù del percorso professionale di Economides, che è stato ed è tutt’ora advisor della US Federal Trade Commission, funzionario dello stato di New York, del centro di analisi Economist Intelligence Unit e soprattutto consulente dei governi di Nuova Zelanda, Irlanda, Portogallo e Grecia.

Secondo l’economista, non solo la posizione di quest’ultimo paese è più grave di quanto si voglia far credere, ma la manovra di salvataggio è chiaramente insufficiente a risolvere i problemi finanziari ellenici. L’unica soluzione rimane quindi quella di una dichiarazione di fallimento e della conseguente impossibilità di ripagare il debito.

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europa banche
Economides osserva che la classe politica greca ed europea tutta non ha la caratura per assumere posizioni forti
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La situazione è aggravata dal fatto che questo default programmato avrebbe un’incidenza molto minore di quanto previsto sulla carta, poiché, come spiega lo stesso Economides, “le obbligazioni greche sono al momento sottovalutate, ovvero scambiate sul mercato a interessi eccessivamente alti. Di conseguenza un taglio del 21% su un premio attualmente sopravvalutato equivarrebbe, secondo i calcoli di Barclays, a una riduzione pari a non più del 10% premio reale”. Il taglio degli interessi dovrebbe quindi essere pari ad almeno il 50% per mettere il paese balcanico in condizione di ripagare quantomeno una parte del debito.

Il piano di austerity proposto – imposto? – dalla BCE, basato su un imponente programma di privatizzazioni e su un giro di vite alla spesa pubblica, comprensivo delle molte migliaia di esuberi statali che hanno fatto infuriare i greci, sembra comunque insufficiente a raggiungere l’obbiettivo dei cinquanta miliardi di ricavi che farebbe respirare l’economia della Grecia. Secondo Economides infatti, questo piano non può fisiologicamente generare più di dieci o quindici miliardi di utili.

L’accademico aggiunge un suggerimento proprio sulleprivatizzazioni che, se dal punto di vista macroeconomico è corretto, da quello politico-sociale sembra difficile da accettare, prevedendo la vendita di importanti aziende statali come la banca centrale o la compagnia di trasporti, esponendo la fornitura di importanti servizi per la comunità agli attacchi degli speculatori.

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bandiere grecia europa
“Ricordiamoci che i piani UE servono soprattutto a salvare gli istituti europei, non la Grecia””
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Al di là dei tecnicismi economici, c’è un passaggio dell’intervista a Economides che chiarisce in maniera inequivocabile la situazione, confermando ciò che ormai non è più un sospetto quanto piuttosto una certezza. “Se la Grecia fa quello che io vado proponendo – spiega l’economista –, sarà ancora necessario ricevere piccoli finanziamenti per uno o due anni dal momento che non abbiamo ancora un surplus economico. Ma attenzione, sto parlando di fondi di scarsa entità, niente a che vedere con i maxi finanziamenti dei due pacchetti UE/FMI che sono stati e dovrebbero essere usati per pagare gli interessi alle banche sui vecchi prestiti. Ricordiamoci che i piani UE servono soprattutto a salvare gli istituti europei, non la Grecia”.

Ecco quindi il nodo: tutte le azioni che sono state attuate e che sono tutt’ora allo studio non servono tanto ad aiutare la Grecia in quanto membro di una comunità – l’Europa questo dovrebbe essere – che si trova in difficoltà, quanto piuttosto a mettere undebitore nelle condizioni di rifondere i propri creditori, almeno in una misura tale da non creare a questi ultimi problemi eccessivi.

Ecco quindi la soluzione che, a detta di un competente esperto del settore, sarebbe la sola operazione in grado di mitigare quantomeno la gravità della situazione: tagliare gli interessi delle obbligazioni detenute dai creditori a vantaggio dell’economia nazionale e a svantaggio delle banche detentrici del credito.

Realisticamente, Economides osserva che la classe politica greca ed europea tutta non ha la caratura per assumere posizioni forti, magari anche impopolari, ma capaci di attutire la caduta del paese. Forse, aggiungiamo noi, oltre alla capacità manca anche la volontà da parte di un mondo istituzionale che ha più volte dimostrato che preferisce schierarsi con le banche piuttosto che con la popolazione che governa.

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04 ottobre 2011

fonte:  http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=40461