Archivio | ottobre 1, 2008

APPELLO CONTRO IL BLOCCO DEGLI STATI UNITI A CUBA

FIRMA ANCHE TU INSIEME A NOI!

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Il prossimo 29 ottobre 2008 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sarà di nuovo chiamata a votare sul blocco economico, commerciale e finanziario imposto, ormai da quasi cinquant’anni, dagli Stati Uniti a Cuba.
Questa pratica illegale – già condannata dall’ONU ripetutamente dal 1992 per sedici volte consecutive, l’ultima volta con 184 voti a favore della sua eliminazione, 4 contro e 1 astenuto – ha causato danni al popolo cubano per circa 93.000 milioni di dollari (224.600 milioni al valore attuale).
Contro questa enorme violazione del Diritto Internazionale si sono pronunziati centinaia di organizzazioni, sindacati e partiti politici di tutto il mondo. Papa Giovanni Paolo II durante la sua visita a Cuba nel 1998 lo ha definito “inumano”.
Chiediamo l’adesione a questo appello a organizzazioni sociali, partiti politici, sindacati, personalità del mondo della cultura, dello spettacolo, dello sport, affinché il Governo italiano promuova in ambito internazionale un’efficace azione politica per il rispetto delle risoluzioni sul blocco dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

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Sergio Marinoni – Presidente Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba

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PER ADERIRE: invia una mail cliccando qui

(Per vostra verifica, l’indirizzo è noalbloqueo@italia-cuba.it)

Primi sottoscrittori:

Dario Fo – Premio Nobel Letteratura
Bianca Pitzorno – scrittrice
Margherita Hack – astrofisica
Giorgio Odifreddi – matematico
Francesco Polcaro – astronomo
Agostino Vignato – astronomo
Alessandro Portelli – docente
Oliviero Diliberto – segretario PdCI
Paolo Ferrero – segretario PRC
Don Andrea Gallo – sacerdote
Don Vitaliano Della Scala – sacerdote
Padre Massimo Nevola – sacerdote
Maurizio Musolino – giornalista
Mario Monicelli – regista
Antonio Cederna – attore
Lella Costa – attrice
Moni Ovadia – attore
Ottavia Piccolo – attrice
Gigi Proietti – attore
Franca Rame – attrice
Red Ronnie – artista
Eugenio Finardi – cantante
Enrico Capuano – musicista
Dunia Molina – musicista

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Fonte: http://www.italia-cuba.it/associazione/segreteria/adesioni.asp

Ma a me l’ha detto Ladytux!

Il purgatorio di un giovane albanese: compiuti i 18 anni rischia il rimpatrio

Edison Duraj è da nove anni in Italia. Tra due mesi diventerà maggiorenne e quindi clandestino: potrebbe essere espulso

La sua storia raccontata in un film e uno spettacolo teatrale

· NOTIZIE CORRELATE
· VIDEO: Il promo del documentario «Sognavo le nuvole colorate»
· VIDEO: Estratti dello spettacolo «Kapuce»:
– video 1
· – video 2

MILANO Alla soglia dei diciotto anni, i ragazzi sognano la patente e non vedono l´ora di firmare le giustificazioni a scuola. Alla soglia dei diciotto anni, Edison Duraj sogna invece di rimanere in Italia. Il 19 novembre diventerà maggiorenne: un compleanno che rappresenta l´inizio della sua clandestinità e il rimpatrio obbligatorio in Albania. Edison è in Italia da nove anni, da quando con un gommone sbarcò, senza la sua famiglia, sulle coste della Puglia. Da allora ha vissuto in diversi istituti, interpretato uno spettacolo teatrale, realizzato un film documentario e quasi terminato la scuola superiore. Ma tra poche settimane, secondo la cosiddetta legge Bossi-Fini, questo sogno potrebbe svanire.

UN LAVOREdison DurajO E UNA RESIDENZA«Vorrei una casa e un lavoro per non tornare in Albania. Voglio essere libero» racconta Edison, il cui sogno nel cassetto è fare l´attore di teatro oppure il cuoco. «La mia specialità sono gli gnocchi» ci spiega il ragazzo, appena rientrato da un pomeriggio nell´istituto alberghiero, dove frequenta il quarto anno. «A dicembre sono tornato in Albania per girare il film “Sognavo le nuvole colorate”. Il titolo deriva da una mia poesia. Vuoi che te la reciti?» mi chiede. E subito la sua voce si fa seria e con intensità interpreta i versi da lui scritti: «Navigo su una barca e vado nel cuore di un oceano» è il primo verso della poesia che ha ispirato il film.

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UN PADRE CLANDESTINO Il padre di Edison vive in Italia da clandestino. «L’ho incontrato anni fa e mi dispiace non poterlo più vedere, altrimenti lo prendono» dice Edison. La mamma abita invece in Albania, a Fier, con un figlio che Edison ha conosciuto solo qualche mese fa. «Avevo pochi ricordi del mio paese ed è stato strano incontrare mio fratello. Vorrei che la mia famiglia venisse in Italia per avere un futuro migliore. Mio fratello potrebbe andare a scuola, scegliere l’indirizzo che più gli piace».

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LO SPETTACOLO TEATRALE«Mi chiamo Edison come l’inventore della lampadina»: così quattro anni fa, il ragazzo si presenta al regista teatrale Alessandro Santoro. «Con l´associazione Oistros, organizziamo laboratori teatrali per progetti d´integrazione – racconta Santoro -. Ci aveva chiamato la psicologa di Edison, perché stava attraversando una fase delicata della sua vita; litigava spesso con i compagni, non parlava mai». Come in un diario di bordo, Edison ha iniziato a raccontare il suo viaggio verso l’Italia, «ma non c´era nulla di drammatico e tragico. Lui pensava che tutti viaggiassero in gommone» spiega Alessandro. Così è nato lo spettacolo «Kapuce», che significa scarpe. Un oggetto simbolico, perché sua madre fece molti sacrifici per comprargliene un nuovo paio per venire in Italia. «Appena sbarcato in Italia la polizia però gli tolse subito le scarpe. Ed Edison si chiede appunto dove siano finite» continua il regista. «Vorrei continuare a portare in giro il mio spettacolo, che non racconta solo la mia storia ma anche quella di molti albanesi che non ce l´hanno fatta» aggiunge il ragazzo.

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IL FILM La storia di Edison è stata raccontata anche nel film documentario «Sognavo le nuvole colorate» diretto da Mario Balsamo, che ha ripercorso – telecamera in spalla – il viaggio dall´Italia all´Albania di Edison e di Alessandro Santoro. Presentato al Festival di Locarno e in anteprima nazionale il 26 settembre al Salina Docfest, il film girerà diversi festival, ma la speranza di Balsamo è di raggiungere un accordo con la Rai per dare maggiore visibilità alla storia di Edison. «È un ragazzo che sconfigge gli stereotipi dell´emigrante e del bambino traumatizzato – spiega il regista -. Sicuramente ha vissuto una vita molto difficile, ma è riuscito a reagire».

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LA PETIZIONEPer sensibilizzare l’opinione pubblica su questa complicata situazione, l’associazione Oistros ha proposto una raccolta di firme. «È un modo per stargli vicino. In teoria avremmo già trovato un contratto di lavoro, ma per ottenere il permesso di soggiorno ci vogliono settimane se conosci qualcuno, altrimenti mesi» spiega Santoro. «Ci sarebbe anche un’altra soluzione per rimandare almeno di un anno il rimpatrio e fargli finire gli studi. Finora il Comune di Lecce, dove Edison è sbarcato, sta pagando la retta della scuola, i libri e il centro in cui vive – aggiunge il regista -. Se il minore ne fa richiesta, il comune può estendere questa copertura per un anno. Ma è una procedura che nessuno accetta, un po’ per mancanza di risorse e un po’ per non creare un precedente». Nel frattempo Edison aspetta il 19 novembre con una certezza: «Non voglio essere clandestino, non voglio sparire come tanti volti ingoiati dal Canale d’Otranto».

Elisabetta Corsini
29 settembre 2008 – ultima modifica: 30 settembre 2008

Il link diretto per firmare per Edison è:
http://firmiamo.it/sign/petition/edison-deve-restare-in-italia

Edison-deve-restare-in-italia

Fonte: corriere.it/cronache

Io firmo, sia chiaro… ma il fatto è che –forse – riusciremo a salvare Edison dall’espatrio coatto, però agli altri chi ci pensa? Perché non si tratta di un caso isolato: è la norma. Il problema non è essere delinquenti: è essere stranieri – o extracomunitari, come pare suoni meglio (perché gli svizzeri cosa sono???)

Se non vogliamo chiamarlo razzismo, certo non è giustizia…

Grazie Laura!

Nessun “salvataggio” per i più poveri nel mondo

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NAZIONI UNITE, 1 ottobre 2008 (IPS) – Mentre una pesante crisi finanziaria minaccia di inasprire la recessione economica negli Stati Uniti, la notizia di un piano senza precedenti di 700 miliardi di dollari per il salvataggio delle società in crisi si è diffusa nei corridoi delle Nazioni Unite la scorsa settimana, mentre più di 100 leader mondiali erano riuniti a New York per i consueti colloqui annuali: la 63ima sessione dell’Assemblea Generale.

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di Thalif Deen

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Proprio quando le Nazioni Unite chiedono maggiori aiuti finanziari dalle nazioni ricche per aiutare i paesi in via di sviluppo a raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (MDG), che tra le altre cose prevedono di ridurre del 50 per cento la fame e la povertà estrema entro il 2015, la crisi economica statunitense, insieme alle prevedibili conseguenze negative oltreoceano, preannuncia un grave tracollo.

Rivolgendosi ai delegati la scorsa settimana, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon ha avvertito che questo scenario cupo minaccia il benessere di miliardi di persone, “e soprattutto i più poveri tra i poveri”.

“Questo non fa che aggravare il danno [già] causato dall’aumento dei prezzi di cibo e combustibile”, ha aggiunto.

Ban ha chiesto 72 miliardi di dollari l’anno in finanziamenti esterni extra per raggiungere gli MDG entro il 2015.

Come ha fatto notare un delegato asiatico, “72 miliardi di dollari sono noccioline rispetto ai 700 miliardi che la Casa Bianca intende sborsare per salvare dalla bancarotta alcune società di Wall Street”.

“E adesso i bisogni urgenti dei paesi in via di sviluppo saranno l’ultima delle priorità per gli Stati Uniti e gli altri donatori occidentali”, ha lamentato.

Padre Miguel d’Escoto Brockman del Nicaragua, il neoeletto presidente dell’Assemblea generale, ha avvertito che l’attuale crisi finanziaria avrà “ripercussioni molto gravi” che impediranno progressi significativi, “se si potrà parlare di progressi”, verso i traguardi stabiliti dagli MDG, “che sono già di per sé insufficienti”.

“Sono sempre i poveri a pagare il prezzo dell’irresponsabilità e dell’avidità sfrenata dei potenti”
, ha affermato, riferendosi alla sbalorditiva somma di 700 miliardi di dollari proposta dall’amministrazione del presidente George W. Bush per salvare dalla bancarotta e dal crollo le banche di investimento ad alto rischio di New York.

Il primo ministro norvegese
Jens Stoltenberg ha dichiarato ai delegati che “il denaro non sembra essere un problema, quando il problema è il denaro”.

”Guardiamo per un momento a quello che sta succedendo a Wall Street e sui mercati finanziari di tutto il mondo: investimenti scriteriati minacciano le case e i posti di lavoro della classe media”, ha aggiunto.

“C’è qualcosa di fondamentalmente sbagliato,
ha osservato, “quando il denaro sembra essere tanto, ma poi i fondi per investire sulle persone sembrano così pochi”.

Il primo ministro giamaicano Bruce Golding ha commentato all’Assemblea che la crisi che scuote oggi i mercati finanziari del mondo riflette l’inadeguatezza di strutture normative che sono essenziali per il buon funzionamento di qualsiasi mercato.

Ma c’è dell’altro.
Questa crisi rappresenta un fallimento del sistema finanziario internazionale nel favorire il flusso di risorse verso aree dove queste possono produrre ricchezza reale – non ricchezza di carta, ha precisato.

Secondo Golding, il mondo non è a corto di capitale: “Ciò che manca sono i meccanismi per assicurare un uso efficace di questo capitale”.

Mentre negli Stati Uniti prosegue il disfacimento economico, tra le banche commerciali e di investimento le perdite non si contano più: Bear Stearns, Lehman Brothers e Washington Mutual (che sono state lasciate crollare senza alcuna misura di salvataggio da parte del governo); American International Group, Goldman Sachs e Morgan Stanley (cui è stato concesso di sopravvivere grazie ad aiuti finanziari d’emergenza, di cui una parte provenienti dal governo); Merrill Lynch è stata acquisita dalla Bank of America e Citigroup ha assorbito la Wachovia Bank.

L’indignazione nei confronti di Wall Street, descritta come la capitale finanziaria mondiale, è stata rivolta anche contro i CEO, che ricevono compensi da capogiro, e ai boss rampanti che accumulano stipendi multimilionari, con stock options e benefit che li portano ad autopromuoversi nella scala sociale.

Secondo un rapporto,
lo stipendio più basso a Wall Street è di circa 280mila dollari l’anno, in un paese dove l’impiegato medio della classe medio-bassa torna a casa con una paga di 50mila-75mila dollari l’anno.

Nel 2007, il CEO di Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, ha guadagnato 68,7 milioni di dollari – un compenso giudicato come “il più alto in assoluto per un CEO di Wall Street”.

Mentre l’intera struttura economica degli Usa rischia di crollare, la Casa Bianca ha lanciato un appello per salvare alcune delle più grandi istituzioni finanziarie del paese e, allo stesso tempo, raddrizzare gli eccessi dei magnati del business di Wall Street, che hanno incassato stipendi di milioni di dollari e bonus esagerati.

La prova dell’avidità in tutta questa crisi è che questi stessi magnati, che sono responsabili della cattiva gestione delle loro imprese, continuano a pretendere di portare avanti il loro stile di vita lussuoso senza perdere i loro stipendi strepitosi, anche dopo lo straordinario salvataggio finanziato dai contribuenti.

Ma questi stipendi e bonus potrebbero finire in parte nel denaro da restituire per il piano di salvataggio.

Rivolgendosi ai 192 membri dell’Assemblea generale la scorsa settimana, il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva ha osservato che l’economia di tutti i paesi è “un’impresa troppo seria per essere lasciata nelle mani degli speculatori”.

L’etica deve essere applicata
all’economia, ha aggiunto. Ma purtroppo, nella corsa verso il profitto, il fattore etico ha cessato di esistere.

Il presidente ha citato l’economista brasiliano Celso Furtado, che aveva detto: “Non dobbiamo permettere che i profitti degli speculatori vengano sempre privatizzati, mentre le loro perdite vengono ineluttabilmente socializzate”.

E alla fine del suo discorso, il presidente brasiliano ha aggiunto: “Non dobbiamo permettere che il peso dell’ingordigia smisurata di pochi debba gravare sulla comunità”.

Nel film hollywoodiano del 1987 “Wall Street”, il vincitore dell’Oscar Michael Douglas interpreta il ruolo di uno spietato finanziere d’assalto, Gordon Gekko, che mette da parte ogni etica aziendale per scalare i piani più alti della scala economico-sociale.

Il suo discorso ad un meeting
di azionisti è ancora considerato un classico su Wall Street: “Il punto è, signore e signori, che l’avidità, non trovo una parola migliore, è valida. L’avidità è giusta, l’avidità funziona”.

“L’avidità chiarifica, penetra e cattura l’essenza dello spirito evolutivo. L’avidità, in tutte le sue forme: l’avidità di vita, di amore, di sapere, di denaro, ha determinato la spinta in avanti di tutta l’umanità”.

Douglas, che è ambasciatore di pace
dell’Onu per il disarmo e “messaggero di pace”, ha partecipato la scorsa settimana alla Giornata internazionale della pace presso le Nazioni Unite.

Rispondendo a un giornalista che gli aveva rivolto la domanda: “Stai dicendo, Gordon, che l’avidità non è valida?”, un Douglas visibilmente annoiato ha replicato: “No, non ho detto questo. E il mio nome non è Gordon. È solo un personaggio che ho interpretato 20 anni fa”.

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fonte: http://ipsnotizie.it/nota.php?idnews=1300

DAL MOLIN – Il Consiglio di Stato annulla il referendum sulla base Usa

Manifestazione No Dal Molin

Vicenza non andrà alle urne domenica prossima per votare sull’ampliamento della base Usa del Dal Molin. Il Consiglio di Stato ha accolto la richiesta di sospensione del referendum previsto per il 5 ottobre. A comunicare il no alla consultazione referendaria è stato per primo l’avvocato Alessandro Moscatelli, uno dei legali del Comitato per il sì al Dal Molin, favorevole all’ampliamento della base. Ma gli effetti della decisione si sono riversati soprattutto sui NoDal Molin, che ora si vedono nuovamente sottratta la possibilità di un pronunciamento popolare sulla faraonica base militare americana che accusano di stravolgere l’intero territorio vicentino.  La consultazione popolare era stata promossa dal Comune di Vicenza, il cui sindaco Achille Variati, del Pd, aveva deciso di sondare l’opinione degli abitanti sulla possibilità di acquistare l’area demaniale destinata all’ampliamento della base. Ma secondo quanto si apprende dal fonte del sì, l’ordinanza del Consiglio di Stato ha giudica il referendum «illegittimo» perché avrebbe per oggetto un auspicio «irrealizzabile»: quello di acquisizione al Comune della zona aeroportuale, mentre non meglio precisate «autorità competenti» si sono già pronunciate in senso sfavorevole al passaggio dell’area in questione dal demanio al comune. Così la quarta sezione del Consiglio di Stato, riunita in camera di Consiglio, ha sospeso l’efficacia del provvedimento del Tar che aveva detto no alla richiesta di fermare la consultazione popolare deliberata dal consiglio comunale di Vicenza.

Dunque, sostengono ancora i magistrati del Consiglio di Stato: «Non occorrono infatti sondaggi per accertare il fatto che i cittadini sono favorevoli ad aumentare il patrimonio del comune in cui vivono.Sarebbe come chiedere loro se sono favorevoli ad aumentare il loro patrimonio personale».

Festeggiano al comitato del sì, dove il portavoce Roberto Cattaneo ritiene che «ora sia il momento per tutti di fare un passo indietro e discutere sulle compensazioni e sul ritorno economico che Vicenza si aspetta dalla nuova struttura».

Non si danno per vinti, invece, i vicentini del fronte del no, che anzi si danno appuntamento in serata per un cacerolazo, una protesta popolare con sbattimenti di pentole e coperchi alla maniera sudamericana. «Vogliamo mostrare l’indignazione contro un atto di autoritarismo» ha spiegato Marco Palma, del presidio permanente.

Sconcertati dalla decisione del Consiglio di Stato che annulla la consultazione di domenica prossima, gli eurodeputati della sinistra -Roberto Musacchio (Prc), Vittorio Agnoletto (Prc), Umberto Guidoni (Pdci) e Sepp Kusstatscher (Verdi) – hanno chiesto invece un incontro immediato al prefetto di Vicenza per «esporre al rappresentante del Governo le loro opposizioni» anche alla luce della sospensiva del referendum popolare sull’ampliamento della base decisa dal Consiglio di Stato.

Al di là della sospensiva rispetto al referendum del 5 ottobre, spiegano i quattro eurodeputati, bisognerà «operare in ogni modo affinchè sia consentito ai cittadini di pronunciarsi democraticamente».

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Pubblicato il: 01.10.08
Modificato il: 01.10.08 alle ore 16.44

fonte: http://www.unita.it/view.asp?idContent=79525

Dalla mailing list di acquabenecomune:

Pochi giorni fa abbiamo diffuso un appello (leggi l’appello all’indirizzo http://www.nodalmolin.it/notizie/notizie_246.html) ricordando che domenica 5 ottobre si terrà la consultazione popolare sul Dal Molin a Vicenza, ma anche che la questione non riguarda solo la nostra città e tutti hanno diritto di partecipare. Per questo, da oggi è possibile votare online e invitiamo tutti, vicentini e non, a esprimere la propria contrarietà alla nuova base Usa votando SI.
Votate all’indirizzo http://www.nodalmolin.it/consultazione/consultazione.php

“Ho scoperto un virus, e ora via”. Storie di precari in vendita su eBay

Sono di nuovo in piazza a Roma i ricercatori che rischiano di essere bloccati
Sono migliaia, da anni “in posti chiave. Ed eravamo lì perché serviva”

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“Ho iniziato la protesta dopo aver letto il caso di Valentina Benni su Repubblica.it

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di VALENTINA CONTE

"Ho scoperto un virus, e ora via" Storie di precari in vendita su eBay

Da eBay alle strade di Roma. I precari della ricerca, da ieri all’asta su internet per un centesimo di euro, gridano la rabbia di chi si sente espulso. All’improvviso, con un emendamento che li esclude da laboratori e progetti dopo anni – decenni – di lavoro incerto e sottopagato. Questa mattina in via Veneto erano migliaia: dipendenti di Isfol e Istituto superiore di sanità. Per chiedere al ministro del welfare Sacconi di ripensarci. È un muro contro muro. “Il loro modo per risolvere il problema dei precari è licenziarli”, riferiscono i manifestanti che piegano gli striscioni e tornano al lavoro.

Marco, 40 anni e da otto all’Iss, è il simbolo della protesta. Parla con il cartello che porta al collo: “Figli di un genitore precario. I diritti di un precario sono anche i loro”. Il broncio dei suoi tre bambini spiega più di ogni comunicato. “L’abbiamo saputo dal sito di Repubblica – racconta Marco – dalla storia di Valentina Benni, premiata da Brunetta ma messa fuori. Uno choc. Ho pensato: sono fuori anch’io. E ora come lo spiego ai miei figli?”.

Si inizia con un progetto per un mese. Poi due mesi, sei mesi. Un anno. Tre anni. A seconda dei fondi. Il tempo passa. E zero concorsi. Ti specializzi, diventi indispensabile. “Un lavoro che amo perché unisce due passioni – continua Marco – l’informatica e i bisogni delle persone. Ricordo gli inizi, quando ero nel progetto di sperimentazione del vaccino anti-Aids. Tutte le mattine mi svegliavo pensando ai malati che non ce l’avevano fatta e a quelli che aspettavano di guarire”.

L’unità informativa, nata anche grazie alle competenze e al lavoro di Marco, rischia di saltare. Sono tutti precari. E con loro anche i progetti aperti. Come quello sui farmaci contraffatti, un database a prova di hacker quasi pronto e realizzato in collaborazione con Aifa, carabinieri del Nas e ministero della Salute, per sconfiggere la piaga dei medicinali falsi spacciati su Internet senza controlli. Chi se ne occuperà? “Molti colleghi non hanno retto”. Marco abbassa lo sguardo. “Sai quanti vanno dallo psicologo dopo dieci, venti anni di precariato? La gente pensa che la pubblica amministrazione sia un porto sicuro. E invece è solo l’utero di una matrigna. Ci sei ma non ti vuole. Una schizofrenia”.

All’Istituto superiore della sanità i posti a rischio sono settecento: 400 con un contratto a progetto e 300 a tempo determinato. Quasi la metà del personale di ruolo. Biologi, medici, amministrativi di primissima qualità. Firmatari di progetti, autori di brevetti scientifici e articoli sulle riviste internazionali. Responsabilità e competenze che potrebbero scomparire e paralizzare l’intera attività dell’Istituto. Che vuol dire ricerca e controllo: alimenti, farmaci, ceppi influenzali, batteri, virus. “Ho colleghi anche di 50 anni con famiglia e mutuo. Fuori da qui come si riciclano? Cosa faranno? Cosa farò? Non siamo raccomandati, imbucati, infiltrati. La gente non capisce perché non sa. Abbiamo lavorato qui perché avevamo le competenze e servivamo. E ora?”.

Francesca, 43 anni, tecnico di laboratorio è da record: 23 anni all’Iss in attesa di una “stabilizzazione”. Quella garantita in modo graduale dalle ultime due leggi Finanziarie e per ora saltata. “Più di venti anni ad occuparmi di emergenze sanitarie e controlli di stato sui vaccini: morbillo, varicella”. Francesca scorre i ricordi. “Ve la ricordate la chikungunya? La febbre mortale trasmessa da zanzare infette che fece qualche morto anche in Italia nell’estate 2007? Siamo stati noi a identificare e isolare il virus in 24 ore”. Gli anni all’Istituto? “Bellissimi, ma un calvario. Nei primi tre ero a zero lire. Poi le parcelle. I co.co.co. E finalmente il tempo determinato. Fatto il concorso, speravo nella stabilizzazione. Niente. Non solo. Ora siamo fuori. È assurdo”.

La sala Pocchiari dell’Iss è stracolma. Mai stata così. Un muro di persone che parte dal marciapiede di viale Regina Elena. Tutti in assemblea con i sindacati di base. Per decidere cosa fare. Qualcuno chiede spiegazioni. “Cosa succede se passa l’emendamento?”. Intanto nei laboratori i camici bianchi lavorano con ampolle e vetrini. C’è l’australiana in arrivo, l’influenza di quest’anno. E poi il vaccino anti-Hiv: il progetto di sperimentazione va avanti ed è il fiore all’occhiello dell’Istituto. Il latte cinese con la melammina da testare. E la ricerca da proseguire.

Non molto lontano, in via Ardeatina altri ricercatori sono in assemblea permanente. Giovani e meno giovani angosciati. Fausta, 37 anni, è biologa dell’Inran (l’Istituto nazionale di ricerca per l’alimentazione e la nutrizione) e al settimo mese di gravidanza. Con un dottorato alle spalle e dodici anni di assegni di ricerca, co.co.co. e poi tempo determinato dopo il concorso. Un precariato lunghissimo e la speranza di essere “stabilizzata” presto. “Pensavo proprio di avercela fatta – si illumina – ero tra i primi 14 in graduatoria e sarei passata con la successiva tornata e invece niente. Stabilizzazione di fatto abrogata. Niente assunzione ma neanche tempo determinato, come ora. Completamente fuori. A casa. Con un bimbo in arrivo”.

Qui all’Inran rischiano di saltare 80 posti. Cioè ottanta ricercatori precari. Quasi la metà dei dipendenti totali. E con loro i progetti già assegnati: nazionali, internazionali, comunitari. “Un Paese che spende in ricerca solo lo 0,67% del Pil – grida Fausta – e che sbatte fuori i suoi ricercatori dopo averli formati e specializzati che Paese è? Se fossi raccomandata e fannullona non sarei qui ancora dopo dodici anni a firmare progetti e fare scelte di vita senza un orizzonte di futuro. Che ne pensa Brunetta?”.

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1 ottobre 2008

fonte: http://www.repubblica.it/2008/09/sezioni/scuola_e_universita/servizi/universita-2009/precari-ebay/precari-ebay.html?rss

Contratti, Marcegaglia all’attacco: “Valuteremo firma senza Cgil”

http://data.kataweb.it/kpm2eolx/field/foto/foto/1705488

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ROMA – “Confindustria valuterà l’ipotesi di firmare senza la Cgil”. La presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia conferma la volontà degli industriali di giungere ad un accordo per il rinnovo del modello contrattuale, anche senza il sindacato guidato da Guglielmo Epifani che ha opposto un nuovo no a trattare sul documento proposto dagli imprenditori.

Al termine dell’incontro di stamane la Marcegaglia ha ribadito che Confindustria “non accetta veti da nessuno”, sottolineando che “oggi abbiamo fatto dei passi avanti molto importanti sulle regole e sui salari.
Cisl e Uil hanno apprezzato, la Cgil invece non si è mossa di un millimetro. Per quanto ci riguarda non ci sono margini per ulteriori modifiche”. La leader degli industriali ha aggiunto che la Cgil “vuole il ritorno alla scala mobile, una proposta che ci porta fuori dall’Europa”.

Il 10 ottobre prossimo ci sarà un nuovo, ultimo incontro nel corso del quale Confindustria dovrà redigere la stesura finale del documento, incluse le modifiche formalizzate oggi. “Non speriamo niente. Noi crediamo in questo percorso. Siamo stati coerenti ma il non fare questo accordo avrebbe conseguenze pesanti”, ha aggiunto.

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1 ottobre 2008

fonte: http://www.repubblica.it/2007/12/sezioni/economia/contratti/marcegaglia-epifani/marcegaglia-epifani.html?rss

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Bombassei: «Se vogliono il far west ci adegueremo»

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«Qualcuno ha interesse a mantenere il Far West, se è così ci adegueremo». Così il vicepresidente
di Confindustria, Alberto Bombassei, ha commentato la presa di posizione annunciata ieri dalla Cgil sulla trattativa per il rinnovo del modello contrattuale.

Entrando nella sede di Confindustria di via Veneto, Bombassei ha espresso «stupore e un po’ di seccatura» per le dichiarazioni della Cgil che martedì ha definito «esaurito» il negoziato con gli imprenditori. «Abbiamo apprezzato la chiaroveggenza della Cgil che con largo anticipo, non sapendo le risposte di oggi, ha già dato un giudizio negativo – ha sottolineato Bombassei -. C’è stupore e un po’ di seccatura perché se si è dato un giudizio prima di ricevere delle risposte significa che non c’è nessuna volontà di fare un accordo».

Il vicepresidente di Confindustria ha ribadito che il documento presentato dagli industriali «era soggetto a discussioni e a cambiamenti» e che la settimana scorsa sono state fatte osservazioni «in parte recepite». «Oggi era il giorno delle risposte – ha continuato – e la Cgil in anticipo ha detto no. Credo siano stati molto bravi perchè hanno ascoltato la nostra richiesta di chiudere entro il 30 settembre. Loro – ha puntualizzato – hanno chiuso».

Bombassei non ha quindi accolto la richiesta di allargare il tavolo: «doverlo fare adesso è pretestuoso perché allargarlo su un documento non condiviso sarebbe una perdita di tempo».
Ritornando quindi alla presa di posizione del direttivo della Cgil Bombassei ha concluso: «personalmente sono seccato, lo trovo un atto scortese. Se questa è la conclusione non abbiamo alcuna speranza di ammodernare il Paese».

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fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2008/10/bombassei-contratti.shtml?uuid=3e2a5b06-8f9f-11dd-a060-76f5774fc2ab&DocRulesView=Libero

Il Cavaliere salva Catania con un regalo da 140 milioni

Il governo interviene per sanare il buco dei conti comunali. Il procuratore: l’ombra della mafia
Grandi manovre per recuperare altri fondi: si parla di aree agricole rese edificabili

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dall’nviato di Repubblica ATTILIO BOLZONI

Il Cavaliere salva Catania con un regalo da 140 milioniL’elefante di piazza del Duomo simbolo di Catania

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CATANIA – Il silenzio cupo della più grande città della Sicilia che è a oriente stasera sarà rotto da una strepitosa e strepitante “muschitteria”. Si intende per “muschitteria” ? in stretto dialetto catanese ? lo scoppio dei petardi che prelude ai fuochi di artificio. Con 140 milioni di euro gentilmente donati da Berlusconi qui è come se quest’anno fosse arrivata un’altra volta Sant’Agata.

Per un mese o due
Catania l’hanno salvata. No, Catania non era sull’orlo del crac: Catania era già fallita. Dopo mesi di luci spente persino sulla via Etnea, dopo i vigili appiedati per la benzina che era finita, dopo i quartieri in putrefazione per quelle montagne di rifiuti che nessuno raccoglieva più, un primo finanziamento (a fondo perduto) fa respirare per un po’ i catanesi e grazia per il momento i suoi amministratori spensierati e spendaccioni. Pieni di debiti, inseguiti dai creditori. Autisti, librai, trasportatori, giornalai, ristoratori, albergatori, maestre e pure ballerine brasiliane.

E’ stato proprio un bel regalo. Se lo aspettavano e non se lo aspettavano, avevano annusato che il ministro Tremonti aveva puntato i piedi per non farglielo avere, però sotto sotto tutti lo sapevano che il Presidente del consiglio in qualche modo avrebbe “perdonato” il suo farmacologo personale e quei proconsoli catanesi che fra sperperi e organici gonfiati avevano affossato la loro città. Il comunicato ufficiale come al solito è stato secco: “Il comitato interministeriale per la programmazione economica ha disposto uno stanziamento di 140 milioni per far fronte all’emergenza finanziaria dell’Ente”. Centoquaranta. Per sistemare i conti ne servirebbero secondo alcuni 300 ancora, secondo altri ce ne vorrebbero almeno 700 e forse di più.

E’ un supercrac. Se mai pioveranno un’altra volta finanziamenti come manna dal cielo, allora – e soltanto allora – al Comune di Catania potranno ricoprire la voragine e dimenticare come dallo splendore la città è stata risucchiata in un gorgo.
Non sono spiccoli ma basteranno per poco tempo e per poche cose.

Per ora potranno partire
gli accrediti in banca per i 4500 dipendenti comunali, per ora il regalo di Roma tapperà qualche buco e onorerà qualche “pagherò”. Il vero mistero è cosa accadrà alla vigilia di Natale. A Catania attendevano un'”anticipazione” di 70 milioni e l’omaggio si è rivelato doppio del previsto, ma il declino della città è già segnato. Per i soldi che servono e che ancora non ci sono, per le guerre intestine che si sono scatenate intorno alla bancarotta, per le voci che proprio in queste ore si rincorrono sulle grandi manovre nel tentativo di recuperare altro denaro. Per non finire a pezzi.

Si parla di speculazioni edilizie,
di trasformare con un colpo di bacchetta magica aree agricole in edificabili, qualcuno dice che qualcun altro stia progettando un altro grande “sacco” di Catania.
Altro che la Playa come Copacabana, la famosa spiaggia catanese che l’ex sindaco Umberto Scapagnini – “Sciampagnino” lo chiamavano i catanesi – voleva far diventare una piccola grande colonia carioca. Altro che piste da sci nella discesa di Piazza Stesicoro.

A Catania pochi minuti prima
del cadeau di Berlusconi i bambini pagavano ancora 4 euro per mangiare all’asilo, all’economato del Comune non erano partiti i mandati di pagamento per lo stipendio di settembre, i “cassamortari” – quelli delle pompe funebri – non consegnavano gratis le loro bare al cimitero. Tutto il resto è andato come doveva andare.

La prima dichiarazione alla notizia
del dono per Catania è stata quella del suo sindaco, il senatore del Pdl Raffaele Stancanelli: “E’ un successo per la nostra città. Con questi fondi si potranno chiudere i disavanzi fino al 2006. Ma bisognerà cominciare a rimboccarsi le maniche e a lavorare tutti insieme con grande rigore.
Ringrazio tutti per questo risultato ottenuto, anche quelli che a questa soluzione non credevano ma alla fine si sono accodati”.

La seconda dichiarazione è stata quella del presidente della Provincia Giuseppe Castiglione: “L’impegno del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è stato mantenuto in tempi brevi. Ma l’intervento del Cipe non risolve tutti i problemi finanziari del Comune”. Poi però Castiglione lancia la sua freccia velenosa: “Questo intervento del Cipe, che sottrae fondi agli investimenti, deve rimanere un intervento assolutamente straordinario e non può diventare la regola o una speranza per alcuni amministratori pubblici per ripianare situazioni d’emergenza”. Segnali di guerra.

Fra quello (Stancanelli, in quota An)
che alla scadenza delle candidature doveva finire alla Provincia e quell’altro (Castiglione, in quota Forza Italia) che era stato designato sindaco. Dalla notte all’alba uno si è ritrovato al posto dell’altro. E da lì è iniziata una ferocissima e sotterranea battaglia quotidiana su come spartirsi Catania e i suoi debiti presenti passati futuri.

Indovinate chi era nascosto alle spalle di tutti? Sì, proprio lui: il governatore Raffaele Lombardo. Prima di insediarsi a Palermo – non si mai, la lontananza – ha voluto imporre a tutti i costi in Comune (dove di Scapagnini è stato vice sindaco) un suo uomo.
Su quello che c’era ancora da “dividersi” in quegli anni a Catania la verità è affiorata fino in fondo soltanto dopo. Al Comune e nelle “partecipate”.

Solo l’Amt, l’azienda trasporti, ha accumulato un deficit di 157 milioni di euro. Sprechi, assunzioni pilotate, spese folli per consulenti, telefonini, viaggi. La Corte dei Conti a giugno ha denunciato tutte le “gravi irregolarità”, la “carente attendibilità delle scritture contabili”, l'”insufficienza delle risorse destinate ai bilanci.. “.

Un buco sempre più profondo, anno dopo anno dal 2003 in poi. Con un’inchiesta della magistratura che ha già coinvolto una quarantina di personaggi, fra i quali gli ex assessori al Bilancio e e naturalmente l’ex sindaco Scapagnini. E’ un’inchiesta che va avanti. “Certo che stiamo indagando ancora sul buco in bilancio al Comune”, dice il procuratore capo della repubblica di Catania Vincenzo D’Agata. E poi scaglia all’improvviso un sasso: “E’ un’inchiesta lunga e complessa e io spero che non ci siano connessioni con la criminalità organizzata”. E’ solo un sospetto.
E’ solo un’ombra mafiosa che si allunga anche sul fallimento di Catania.

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1 ottobre 2008

fonte: http://www.repubblica.it/2008/10/sezioni/politica/cavaliere-salva-catania/cavaliere-salva-catania/cavaliere-salva-catania.html?rss

D’Alema: «Berlusconi? E’ un leader imbarazzante»

Veltroni: «In Italia rischio di una decadenza della democrazia»

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Massimo D'Alema

ROMA (1 ottobre) – L’Italia non è a tinte rosa come la dipinge il presidente del Consiglio. Massimo D’Alema attacca così le affermazioni del premier Silvio Berlusconi, e le recenti rivelazioni del premier sul gradimento del governo da parte dei cittadini: «Berlusconi è imbarazzante come leader di un paese occidentale – dice l’ex vicepremier intervistato su RadioTre – Io sono estremamente preoccupato perché la raffigurazione in rosa che lui dà dell’Italia è falsa. Cresce la disoccupazione e le classi medie si impoveriscono e credo che l’azione del governo sia totalmente inadeguata. Noi conviviamo con un fenomeno anomalo non perché Berlusconi sia buono o cattivo ma perché concentra in sè potere politico finanziario e mediatico mentre la democrazia è equilibrio tra questi poteri». Quanto alle affermazioni del Cavaliere su Veltroni l’ex vicepremier invita a rispettare le altre forze: «Dialoghi con Veltroni, che è il leader del Pd».

Nessuna resa dei conti nel partito. Massimo D’Alema replica poi all’esponente Pdl Antonio Leoni, per il quale il fatto che l’ex vicepremier sia tornato a parlare prelude ad una resa dei conti nel partito Democratico: «Io non ho mai perduto la favella, parlo se ho qualcosa da dire, forse con una certa moderazione rispetto alla media. Nel Pd non è prevista alcuna resa dei conti – afferma – C’e una conferenza programmatica discutiamo, ma non ci sono rese dei conti. Viviamo certo un momento di messa a punto della proposta politica di rilancio della politica delle alleanze e io penso che lo si debba fare con calma. Il nervosismo porterebbe a compiere errori mentre noi abbiamo un periodo ragionevole per ridare forza alla proposta politica».

D’Alema ammette: «Abbiamo perso le elezioni ma siamo usciti con un indubbio successo del 34%» e ritiene che non vada dato troppo valore ai sondaggi che premiano il governo: «Hanno un valore relativo salgono e scendono, anche Prodi aveva percentuali positive subito dopo le elezioni. Non dobbiamo vivere nell’angoscia perché la politica deve avere una visione di medio periodo e noi dobbiamo metter in campo un progetto per il governo del paese». D’Alema dice di condividere la lettera del segretario del Pd Walter Veltroni che oggi torna sul Corriere sui rischi di una svolta autoritaria. «Veltroni – evidenzia D’Alema – torna in modo pacato sui problemi della nostra democrazia. Io credo che ci siano e sia giusto sollevarli anche se d’altra parte ci conviviamo da vent’anni».

Federalismo. Ha parlato anche di federalismo, D’Alema. E del progetto di Roberto Calderoli dice: «Non c’è scritto nulla di sostanziale, è una pura dichiarazione di principio». Per l’esponente del Pd «non c’e scritto quali tasse saranno trattenute a livello locale, quale quota, con quali garanzie per i cittadini. Il governo dice che ci guadagneranno tutti e questo non è possibile, e finché non scoprono le carte con i conti non lo sapremo».

La lettera di Veltroni. Il leader del Partito Democratico Walter Veltroni torna a parlare dei rischi per la democrazia in Italia in una lettera pubblicata oggi dal quotidiano di via Solferino: «L’allarme che ho manifestato nell’intervista al Corriere della Sera di domenica non è una “vecchia narrazione”, la ripresa di uno scontro muro contro muro in cui viene messa in forse la legittimità democratica dell’avversario. Attorno al tema del rapporto maggioranza-opposizione c’è stato un “gigantesco equivoco”: quello che i giornali hanno stucchevolmente chiamato dialogo, è diventato un’autocensura moderata dell’opposizione. Uno schema impossibile e irrealistico, prima di tutto per la vita stessa della democrazia, che però è stato adottato per primo proprio da Berlusconi, che è sembrato aspettarsi un’opposizione non dialogante ma inesistente».

Manifestazione del 25 ottobre. Veltroni illustra i motivi che hanno portato a indire la manifestazione del 25 ottobre e in particolare cita i «rischi di una vera decadenza della democrazia». Il leader democratico punta il dito contro il presidente del Consiglio, «abituato a mettere in discussione la legittimità democratica dell’avversario. Mentre alle Camere arrivava la norma blocca-processi – scrive Veltroni – i magistrati erano definiti metastasi della democrazia e il leader dell’opposizione diventava un “fallito” che dovrebbe “ritirarsi dalla politica”. Ed è di qualche giorno fa, nel pieno della trattativa Alitalia, la battuta insultante di un “Veltroni inesistente”, smentita solo giorni più tardi. Una litania delegittimante per l’opposizione e per le istituzioni». «A preoccuparmi – conclude il leader democratico – è una realtà che si sta incaricando di dimostrare che nel mondo il mercato può esistere anche senza democrazia o in presenza di democrazie deboli. È la realtà di pericolose pulsioni xenofobe e razziste, di un generalizzato bisogno di decisione che si manifesta con un insieme di semplificazione mediatica dei problemi, di fastidio per ogni complessità, di tendenze all’investitura plebiscitaria della leadership, di scavalcamento o marginalizzazione delle istituzioni, di noncuranza per la patologica concentrazione del potere. Di tutti questi fenomeni il nostro Paese, anche per l’evidente propensione del Presidente del Consiglio ad esserne l’incarnazione, è purtroppo un evidente esempio».

Bondi: campagna mediatica del Pd irresponsabile. La replica del Pdl non si è fatta attendere. Sandro Bondi, ministro della Cultura, ha detto: «Utilizzare ancora l’argomento per combattere il governo dei rischi della decadenza della democrazia nel nostro Paese è una debolezza pericolosa. Mobilitare il proprio elettorato in nome della democrazia, un valore comune a tutto il popolo italiano, per cementare il proprio vacillante potere personale o per salvaguardare l’unità del partito, è frutto di una debolezza irresponsabile. È facile prevedere – conclude il ministro – che d’ora in avanti si scatenerà da parte del partito di Veltroni una campagna mediatica che servirà da propellente necessario per preparare la mobilitazione di piazza. Ma sarà un’altra occasione sprecata per la sinistra e soprattutto per la democrazia italiana».

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fonte: http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=32004&sez=HOME_INITALIA

Luoghi Resistenti: una mostra sull’Italia che resiste

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La mostra Luoghi Resistenti: 24 pannelli per raccontare i comitati, le reti, i movimenti, i gruppi che ai quattro angoli della penisola, di fronte al panorama delle devastazioni ambientali e sociali che investono il paese, hanno detto No.
Attraversa e collega la loro lotta la capacità di concepire il territorio come bene comune, di leggere i singoli attacchi cui è sottoposto come elementi costitutivi di un modello economico devastante, che disprezza la democrazia, l’ambiente, la vita.

Luoghi Resistenti è una storia di battaglie in corso, da una parte gente comune che si organizza, dall’altra giganti da combattere: multinazionali, ecomafie, basi militari. I 24 pannelli ( che avranno al loro interno 24 approfondimenti in forma di articoli) raccontano con un percorso di immagini e testi le lotte contro le gigantesche e inutili infrastrutture: Tav, Mose, Ponte sullo stretto; le lotte contro le logiche di guerra: Dal Molin, F 35 a Cameri, il sistema delle basi Usa/Nato in tutto il territorio; le lotte contro le fabbriche inquinanti a Marghera, a Brescia; le lotte contro le forsennate politiche energetiche: NoCoke a Civitavecchia, No Rigassificatore offshore Livorno-Pisa, No Triv a Noto. E poi le battaglie sulla gestione dei rifiuti in Campania, la difesa dell’acqua pubblica, le lotte per la salute della piana Firenze Prato Pistoia e altre ancora.

Lette insieme, come la mostra Luoghi Resistenti punta a fare, queste storie raccontano l’attacco organizzato al bene comune, il disprezzo delle regole, il sistema delle collusioni, l’abile ignavia dei governi locali. Raccontano anche, però, un modo nuovo e forte di fare politica, collegando la difesa del territorio a nette prese di posizione contro le logiche di sterminio dell’ambiente, di guerra, di privatizzazione delle risorse pubbliche, di omicidi tramite sostanze tossiche, scorie nucleari, amianto.

Luoghi Resistenti nel tempo crescerà, con la collaborazione dei comitati, per diventare mappa vivente, e ambulante, anche delle iniziative future. In una logica di massima diffusione, i pannelli della mostra sono stampati come se fossero doppie pagine aperte di un quotidiano. E di questo “quotidiano” esistono mille copie, pronte a circolare perché la mostra possa rivivere nei presidi e in tutti i luoghi dove qualcuno vorrà esporla, magari aggiungendo nuovi materiali.

La mostra Luoghi Resistenti è realizzata dalle redazioni di due associazioni milanesi attive dal 2001: Progetto Comunicazione e Socialpress. Hanno collaborato i vari comitati, con preziosa assistenza e materiali, e hanno generosamente contributo molti fotografi, come Elio Colavolpe, Massimo Di Nonno, Luciano Ferrara, Grazia Fiore, Dino Fracchia, Samuele Pellecchia.
La ‘copertina’ della mostra è un gioco dell’oca nell’Italia che resiste, disegnata per Luoghi Resistenti da Michele Tranquillini.

E’ disponibile, per chi ne facesse richiesta, basterà scrivere a info dandoci un nome e un numero di telefono.
La mostra è stata completamente autofinanziata per questo vi chiederemo un contributo.

La redazione di Socialpress, Progetto Comunicazione

Nei documenti abbiamo allegato alcuni pannelli

Visitate la pagina di socialpress per scaricare i PDF

Don Gallo: la Chiesa è sessuofobica

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30 settembre 2008

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GENOVA – «La Chiesa è sessuofobica e chi, come me, sta nella casa che ama, le deve dire queste cose»: così si è espresso don Andrea Gallo, fondatore della comunità di San Benedetto al Porto di Genova, che negli anni ha sempre assunto posizioni scomode entrando anche in contrasto con il mondo ecclesiastico, in occasione dell’inaugurazione di una mostra fotografica a lui dedicata a Milano. A margine della mostra (in programma fino al 10 ottobre allo Studio 28 di via Moretto da Brescia), il prete genovese ha anche contestato l’attuale normativa sulle droghe: «Devono capire che fumare uno spinello è anche un piacere».

«Io amo la Chiesa, anche se è l’ultima struttura medioevale rimasta – ha spiegato il religioso – e uno che sta in una casa collusa con il potere e sessuofobica deve dire queste cose, se la ama». Don Gallo, dopo aver spiegato di essere favorevole «alla ordinazione sacerdotale delle donne», ha parlato anche di droga e prostituzione.

«La legge sulle droghe – ha aggiunto – favorisce solo il narcotraffico e da anni io dico che bisogna liberalizzare le droghe leggere». Il prete genovese ha inoltre criticato le norme sulla prostituzione: «Sono inutili, perché non affrontano lo sfruttamento».

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fonte: http://ilsecoloxix.ilsole24ore.com/genova/2008/09/30/1101786498945-don-gallo-chiesa-sessuofobica.shtml