Archivio | luglio 25, 2011

Lettera aperta ai cittadini israeliani – Open letter to Israeli citizens – מכתב פתוח לאזרחי ישראל – رسالة مفتوحة من مواطنين إسرائيليين

Lettera aperta ai cittadini israeliani

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Cittadini di Israele,
noi siamo Cittadini d’Italia ma, insieme a voi e ai Cittadini di qualunque altro Paese, siamo cittadini del mondo.
E’ in qualità di Cittadini del Mondo che desideriamo parlarvi.
I confini geografici possono essere una necessità ma limitano il riconoscersi tutti nel comune sentire di semplici Esseri Umani, ognuno con le proprie paure, le proprie fragilità, i propri sogni.
“Siamo tutti sulla stessa barca”, diciamo in Italia.
Sarà per questa simbologia, forse, che siamo tanto legati alla Freedom Flotilla. Ne avete, sicuramente, sentito parlare; magari, vi avranno detto che i suoi passeggeri sono cattivi, terroristi, che vogliono la vostra fine.
Non è così!
Chi si imbarca su quelle navi è convinto che tutti i Cittadini del Mondo debbano vivere liberi, da assedi e da paure, e decidere da sé come vogliono essere governati. È convinto che nessuna “ragione di Stato” può essere una giustificazione per togliere ad altri la libertà e la dignità.
“Dignità” è anche il nome di una piccola barca che, stamattina, si è diretta a Gaza.
Il vostro Governo l’ha bloccata con mezzi militari e ha costretto i suoi passeggeri ad andare al porto di Ashdod.
A questo punto del racconto, vogliamo farvi riflettere con noi su alcuni particolari:
l’anno scorso il vostro Governo ha assalito la Mavi Marmara, facente parte della prima Freedom Flotilla, uccidendo 9 persone e ferendone molte altre. Da quasi tutti i Governi del Mondo si sono levate voci di critica. Anche l’ONU ha condannato l’atto, dichiarandolo illegale, sia perché svoltosi in acque internazionali sia per la brutalità dell’esecuzione.
Quest’anno, il vostro Governo non ha avuto bisogno di uccidere nessuno. Ha, semplicemente, comprato altri Governi (compreso il nostro). Alcuni li ha comprati economicamente, altri politicamente. Il risultato non cambia. Sapete questo cosa significa per un Cittadino del Mondo? Che, se domani, un qualunque Governo riuscisse a comprarsene altri, nessuno di noi sarebbe più libero di muoversi. Noi come voi.
Il vostro Governo ha abbordato la piccola Dignité e ha condotto i suoi passeggeri nel porto di Ashdod, dove verranno interrogati e rimandati nei rispettivi Paesi oppure processati per “essere entrati, illegalmente, in Israele”. Vi possiamo assicurare che i passeggeri della Dignité non avevano intenzione di entrare in Israele. La loro destinazione era Gaza, come da sempre dichiarato e riportato da tutti i media del Mondo. D’altronde, non è proprio per questo che Israele si è data tanto da fare per impedirglielo, annunciando al Mondo che nessuno entrerà mai a Gaza, via mare, e che avrebbe usato qualunque mezzo per fermarli? E dunque, non suona schizofrenico costringere chi voleva andare a Gaza ad andare a Ashdod e, poi, accusarlo di essere entrato illegalmente in Israele?
Il vostro Governo giustifica qualunque sua azione con la motivazione di doversi difendere. Continua a bombardare Gaza, a togliere da vivere a un altro Popolo, impedendo ai pescatori di pescare e ai contadini di coltivare i loro campi. Per farlo, non esita a sparare su persone inermi. E bombarda voi, il suo Popolo, con la propaganda sul complotto per distruggervi.
Siete tutti terrorizzati, Palestinesi e Israeliani, chi per un motivo chi per un altro.
Siete tutti rinchiusi dal muro che il vostro Governo ha eretto, intorno alla vostra dignità, vostra e dei vostri fratelli Palestinesi.
Vi chiediamo: se il vostro Governo ha talmente paura da impedire anche a chi non ha armi di esprimere il proprio dissenso e di impegnarsi perché le regole che chi governa il Mondo ci sta imponendo, bypassando leggi nazionali e internazionali, conquistate in decenni di lotte civili dai nostri genitori, in quale modo possiamo evitare, noi semplici Cittadini del Mondo, di essere ridotti, di nuovo, in schiavitù?
La recente legge anti boicottaggio vi imbavaglia. Non sentite il bavaglio stringere sulle vostre bocche e sulle vostre anime?
Non siete liberi, non siamo liberi.
Indignatevi, insieme a noi. I Governi, il vostro, il nostro, non hanno paura delle armi, sulle quali, tra l’altro, fanno grandi affari. Una sola cosa temono: l’opinione pubblica.
Usano la paura, creata ad arte, per renderci deboli e timorosi di reagire.
Facciamo capire loro che, invece, non abbiamo paura della propaganda.
Indigniamoci, insieme! Diciamo al Mondo che i nostri Paesi sono migliori di chi ci governa e che vogliamo vivere insieme, mettendo insieme le nostre emozioni, i nostri bisogni, le nostre paure, le nostre fragilità, i nostri sogni.
Diciamogli che ci sentiamo tutti sulla stessa barca.
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(English version)
Citizens of Israel,
we are Italian citizens but, as you are and as all the people from any other country are, we are also citizens of the
world.
And as citizens of the world we want to address you.
Geographical boundaries may be necessary but they also hinder us from identifying ourselves as human beings, with common feelings, and our own individual fears, weaknesses, and dreams.
There’s an adage in Italy that goes: “We are all in the same boat”. Maybe it’s because of this image that we feel so bonded to the Freedom Flotilla. You’ve certainly heard of it. Maybe you’ve been told that its passengers are bad people, terrorists, that they want your demise.
This is not true!
The people who embarked on those ships believe that all the citizens of the world should live free from sieges and fears, and should decide for themselves how their country is ruled. They think that no “reason of state” may be invoked as a justification to deprive anybody of their freedom and dignity.
“Dignity” is also the name of a small ship that sailed this morning, bound for Gaza.
Your Government blocked it with military boats and forced its passengers to go to Ashdod port.
Before saying more, let us bring your attention to some details: last year your Government attacked the Mavi Marmara ship, which was part of the first Freedom Flotilla, killing 9 people and injuring many more. Critical voices came from almost all the governments in the world. Even the UN condemned this action, and declared it illegal, both because it took place in international waters, and because of its brutality.
This year, your Government hasn’t needed to kill anyone, but simply bribed other Governments (ours included). Some were bribed with monetary rewards, others with political favors. The outcome is the same.
Can you imagine what this means for a Citizen of the World? It means that if tomorrow whatever country were able to bribe other governments, none of us would any longer be free to go around. Neither us nor you.
Your Government boarded the small Dignité and took its passengers to Ashdod port, where either they will be interrogated and sent back to their own countries or they will be put on trial for “illegally entering Israel”. We can assure you that the Dignité passengers had no intention of entering Israel. Their destination was Gaza, as it has always been declared by them and reported by mass media all over the world. After all, isn’t this what Israel has been trying so hard to prevent, by announcing to the World that nobody will ever be allowed to enter Gaza by sea and that it would use any means to stop those who tried? So, doesn’t it sound schizophrenic to force people headed for Gaza to go to Ashdod and then incriminate them for entering Israel illegally?
Your Government justifies all its actions as measures of self-defense.
It keeps on bombing Gaza, taking off that people’s means of support, by preventing fishermen to fish and farmers to farm their fields. To reach its aim it isn’t backward about shooting at defenseless people. And it bombards you, its people, with its propaganda about a conspiracy to destroy you.
You are all terrified, both Palestinians and Israelis, for one reason or another.
You are all trapped inside the wall that your Government built around your and your Palestinian brothers’ dignity.
We ask you: if your Government is so frightened that it forbids even unarmed people from expressing their dissent and acting against the rules that world leaders are imposing on us – ignoring national and international laws that are the outcome of our fathers’ civil struggles in the past decades – how can we, common citizens of the worlds, save ourselves from being reduced to slavery again?
The new anti-boycott law is gagging you. Can’t you feel that gag on your mouths and souls?
You’re not free, we’re not free.
Get indignant, as we are. These Governments, your Government and our Government, are not afraid of weapons, in which they do a roaring trade, incidentally. They are afraid only of one thing: public opinion.
They use the fears they instill on purpose to make us weak and afraid to take action
Let’s make them understand, instead, that we’re not impressed by their propaganda.
Let’s get indignant together! Let’s tell all the world that our peoples are better than our leaders and that we want to live together, sharing our emotions, our needs, our fears, our weaknesses, our dreams
Let’s tell them that we feel we are all in the same boat.
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We are all on the Freedom Flotilla 2

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25 luglio 2011

fonte:  http://a-sinistra.blogspot.com/2011/07/lettera-aperta-ai-cittadini-israeliani.html

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C’E’ QUALCOSA DI MARCIO IN QUEST’UOMO – Feltri e la strage di codardi


Feltri da piccolo – fonte immagine

Il pensionato d’oro Feltri (per chi non lo sapesse, è andato in pensione a 53 anni e percepisce ‘qualcosa’ come 179.000 euro l’anno), invece di di occuparsi di informazione si limitasse alle partite a boccette forse sarebbe meglio. Quanto sembra, la senilità ha preso il sopravvento e gli ha mandato in corto i pochi neuroni ancora funzionanti che gli rimanevano. Non badate allo stile dello scritto. Dietro quella parvenza di serena obiettività si nasconde una scimmia ben addestrata. E senz’anima.

mauro

Feltri e la strage di codardi


fonte immagine

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L’editoriale di oggi di Feltri sul Giornale è un’analisi sulla strage di Oslo compiuta venerdì scorso dall’estremista di destra Anders Behring Breivik che ha causato la morte di 92 persone e di un centinaio di feriti.

Il fondatore di Libero se la prende con i giovani – morti nell’isolotto di Utøya in cui si erano riuniti per un meeting politico – perché codardi ed egoisti:

Si dirà che c’è poco da resistere in certe situazioni: se un uomo è armato fino ai denti, e le sue vittime, invece, non dispongono nemmeno di una fionda, la carneficina è scontata. Giusto. Ma in questo caso, stando alle notizie in nostro possesso, sull’isola (un chilometro quadrato, quindi piccola) si trovavano circa 500 partecipanti a un meeting annuale di laburisti. Un numero considerevole. Quando Breivik ha dato fuori da matto e ha cominciato a sparare, immagino che lo stupore e il terrore si siano impadroniti del gruppo intero. E si sa che lo sconcerto (accresciuto in questa circostanza dal particolare che il folle era vestito da poliziotto) e la paura possono azzerare la lucidità necessaria per organizzare qualsiasi difesa che non sia la fuga precipitosa e disordinata, contro un pericolo di morte. Ciononostante, poiché la strage si è consumata in 30 minuti, c’è da chiedersi comunque perché il pluriomicida non sia stato minimamente contrastato dal gruppo destinato allo sterminio. Ragioniamo. Cinque, sei, sette, dieci, quindici persone, e tutte disarmate, non sono in grado di annientare un nemico, per quanto agisca da solo, se questo impugna armi da fuoco. Ma 50 – e sull’isola ce n’erano dieci volte tante – se si lanciano insieme su di lui, alcune di sicuro vengono abbattute, ma solo alcune, e quelle che, viceversa, rimangono illese (mettiamo 30 o 40) hanno la possibilità di farlo a pezzi con le nude mani. Ci rendiamo conto.Cose così sono facili da scrivere, standosene qui seduti alla scrivania, e molto più difficili da praticare sul campo mentre echeggiano gli spari e decine di corpi cadono a terra senza vita. Ma è incredibile come, in determinate circostanze, ciascuno pensi soltanto a salvare se stesso, illudendosi di spuntarla, anziché adottare la teoria più vecchia (ed efficace) del mondo: l’unione fa la forza.

Praticamente, secondo Feltri, i 500 giovani presenti a Utøya avrebbero dovuto capire che si trattava di un falso poliziotto, aggredirlo a mani nude – tutti insieme, naturalmente – e sacrificare alcuni di loro per il bene di tutti. Caduti sì, ma da coraggiosi patrioti e altruisti.

La sfortuna dei giovani ad Utøya è stata quella di non avere Vittorio MacGyver Feltri con loro. Altro che coltellino svizzero, avrebbe fatto fuori Breivik con la sola stilografica in dotazione.

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25 luglio 2011

fonte:  http://www.agoravox.it/Feltri-e-la-strage-di-codardi.html

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Immigrati, Consulta: sì a nozze anche se uno dei due è irregolare

Immigrati, Consulta: sì a nozze anche se uno dei due è irregolare

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ultimo aggiornamento: 25 luglio, ore 20:40
Roma – (Adnkronos) – La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 116: la ”condizione giuridica dello straniero non deve essere considerata come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi”

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Roma, 25 lug. – (Adnkronos) – La condizione di immigrato o immigrata irregolare di per sé non può essere un ostacolo alla celebrazione delle nozze con un cittadino o una cittadina italiana. E’ quanto stabilisce la Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 116, primo comma, del codice civile, come modificato dall’art. 1, comma 15, della legge 15 luglio 2009, n. 94.

A sollevare la questione era stato il tribunale di Catania, cui si era rivolto un cittadino marocchino irregolare al quale era stato negato il diritto di contrarre matrimonio perché privo di un “documento attestante la regolarità del permesso di soggiorno”, così come previsto dall’art. 116 del codice civile.

Per la Corte Costituzionale presieduta da Alfonso Quaranta, oltre ad esserci nell’ordinamento altre norme che evitano i matrimoni di comodo, la ”condizione giuridica dello straniero non deve essere considerata come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi”. ”E’ evidente – rimarca la sentenza – che la limitazione al diritto dello straniero a contrarre matrimonio nel nostro Paese si traduce anche in una compressione del corrispondente diritto del cittadino o della cittadina italiana che tale diritto intende esercitare”.

Ciò comporta che ”il bilanciamento tra i vari interessi di rilievo costituzionale coinvolti deve necessariamente tenere anche conto della posizione giuridica di chi intende, del tutto legittimamente, contrarre matrimonio con lo straniero. Si impone, pertanto, la conclusione secondo cui la previsione di una generale preclusione alla celebrazione delle nozze, allorché uno dei nubendi risulti uno straniero non regolarmente presente nel territorio dello Stato, rappresenta uno strumento non idoneo ad assicurare un ragionevole e proporzionato bilanciamento dei diversi interessi coinvolti nella presente ipotesi”.

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fonte:  http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/Immigrati-Consulta-si-a-nozze-anche-se-uno-dei-due-e-irregolare_312281933504.html

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FaceGlat, il social «kosher » per gli ebrei ultraortodossi. Neppure marito e moglie possono interagire sul network. «Lo facciano dal vivo»

Neppure marito e moglie possono interagire sul network. «Lo facciano dal vivo»

FaceGlat, il social «kosher » per gli ebrei ultraortodossi

Iscrizioni separate per uomini e donne e nessun contatto tra i sessi. Ma la liberale Tel Aviv insorge: diritti violati


A Jewish woman from the Reform movement argues with Ultra Orthodox Jews at the Wailing Wall in Jerusalem (Source:AFP) – fonte immagine

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Su FaceGlat reti separate per donne e uomini
Su FaceGlat reti separate per donne e uomini

MILANO Uomini da una parte. Donne dall’altra. In mezzo, il vuoto. Anzi: un muro (virtuale). Benvenuti su FaceGlat, il primo social network israeliano «kosher» dove vige la segregazione sessuale. Questo clone di Facebook si rivolge solo a un particolare tipo di pubblico: gli ebrei ultraortodossi.

«NON SIAMO COME FACEBOOK» - A creare lo spazio virtuale è stato un 25enne religioso, Yaakov Swisa. Il ragazzo vive a Kfar Chabad, una cittadina a sud-est di Tel Aviv, e ha progettato FaceGlat in modo da tenere separate le amicizie maschili e femminili, senza pubblicità e vietando qualsiasi immagine «immodesta» secondo la religione ebraica. Il sistema prevede un filtro iniziale che non consente a un uomo di iscriversi nella sezione femminile e viceversa. Non solo. Ogni volta che si provano a inserire commenti e status non in linea con la religione, il social network li blocca all’istante. «Non siamo come Facebook: il nostro obiettivo non è fare soldi», dice il fondatore Swisa. «Quello che vogliamo è rispondere alle esigenze di una massa di ebrei ultraortodossi che chiedono un loro spazio virtuale sul web». Certo, «se dopo tutto questo, ci fosse pure un guadagno saremmo ancora più contenti», ammette il ragazzo.

TEL AVIV NON CI STAA Tel Aviv, città storicamente moderna e secolarizzata, non l’hanno presa molto bene. Oltre a denunciare la palese violazione dei diritti umani, sottolineano come nemmeno moglie e marito possano mettersi in contatto via FaceGlat. «È vero – ammette Swisa – due coniugi non possono interagire tra di loro. Ci abbiamo pensato a lungo se introdurre delle finestre speciali ai membri di una stessa famiglia, ma poi abbiamo detto di no: più di qualche iscritto, pur di mettersi in contatto con l’altro sesso, avrebbe potuto creare un profilo con elementi fasulli». E poi, aggiunte il ragazzo, «forse è meglio se moglie e marito si mettono in contatto dal vivo, sulla poltrona di casa loro».

RELIGIONE E TECNOLOGIAReligione e tecnologia non sono quasi mai andate d’accordo in Israele. I leader ultraortodossi continuano a vietare qualsiasi contatto con pc e smartphone. Qualche apertura, negli ultimi tempi, in realtà c’è stata. Come quella di far usare computer non collegati al web o cellulari utili solo a fare chiamate e a inviare sms. Ma l’alternativa religiosa non ha soddisfatto gli ebrei ultraortodossi adolescenti. A un certo punto qualcuno si era pure inventato la tariffa «kosher»: prezzi normali per le chiamate dalla domenica al venerdì pomeriggio, tariffe stratosferiche al calar del sole, cioè all’inizio dello Shabat, il giorno del riposo.

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Leonard Berberi
24 luglio 2011 20:10

fonte:  http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/11_luglio_24/faceglat-social-network-kosher-per-ebrei-ultraortodossi_78e3e0ce-b61f-11e0-b43a-390fb6586130.shtml

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Forte scossa di terremoto in Piemonte

Centinaia di chiamate e lievi danni

Forte scossa di terremoto in Piemonte

Alle 14.32 nel Torinese di magnitudo 4,3. Avvertita dalla Valle d’Aosta al Ponente ligure

Terremoto in Piemonte
fonte immagine

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Mappa della sismicità italiana (da Ingv)
Mappa della sismicità italiana (da Ingv)

MILANO – Una scossa di terremoto di magnitudo 4,3 Richter con epicentro a una profondità di 25 chilometri è stata registrata alle 14,32 tra la val di Susa e la val Chisone, in Piemonte, nel Comune di Giaveno, in prossimità dei comuni di Coazze, Cumiana, Trana e Piossasco in provincia di Torino. Su Twitter molti internauti raccontano la loro esperienza: in tanti dicono che mai prima di adesso hanno avvertito una scossa così forte e spiegano di aver avuto molta paura. La circolazione ferroviaria è stata temporaneamente sospesa a scopo precauzionale sulle linee Torino-Modane e Torino-Torre Pellice. La sospensione – spiegano a Trenitalia – è necessaria per consentire ai tecnici di effettuare le verifiche del caso.

DALLA VALLE D’AOSTA AL PONENTE LIGURE Le prime notizie parlano di danni in un’abitazione a Torino di corso Vercelli segnalati alla Centrale dei carabinieri. La scossa è stata avvertita in maniera distinta nel capoluogo piemontese, dove molta gente si è riversata in strada. Il sisma è stato avvertito in tutto il settore alpino occidentale dalla Valle d’Aosta al Ponente ligure. «Al momento non si segnalano danni importanti», ha affermato il presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota. «La Protezione civile è al lavoro e sono tenuto costantemente informato sull’evoluzione dell’evento». I vigili del fuoco del comando provinciale di Imperia hanno ricevuto diverse telefonate da Bordighera e Vallecrosia, dove l’evento sismico è stato avvertito chiaramente ma non sono stati segnalati danni a persone o cose.

«NORMALE ATTIVITÀ SISMICA» – Il terremoto del Piemonte rientra nella «normale attività sismica della penisola italiana, niente di anomalo», sottolinea Antonio Piersanti, funzionario della sala simica dell’Ingv. «Viviamo in una nazione altamente sismica e questo è un terremoto che non dovrebbe destare particolari problemi, si tratta di una magnitudo modesta che in un Paese avanzato non deve provocare alcun tipo di danno».

PRECEDENTE – Domenica 17 luglio alle 20,30 si era verificata una scossa di terremoto di 4,8 Richter tra le province di Rovigo, Ferrara e Mantova che ha provocato lievi danneggiamenti a due chiese nel Mantovano.

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Redazione online
25 luglio 2011 17:07

fonte:  http://www.corriere.it/cronache/11_luglio_25/forte-scossa-in-piemonte_cd2e85e4-b6ba-11e0-b3db-8b396944e2a2.shtml

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Il killer di Oslo in tribunale, folla furiosa. Norvegia in lutto / Il memoriale (integrale) di Breivik / VIDEO

Norvegia: killer avrebbe usato proiettili ad espansione

Pubblicato in data 24/lug/2011 da

Ammutolita dal dalore e dalla rabbia, la Norvegia si stringe nel ricordo delle vittime. Il doppio attentato di Oslo e dell’isola di Utoya ha fatto 93 morti ma la gravità delle condizioni di almeno 3 dei feriti lascia temere il peggio.

Secondo i medici Anders Behring Breivik, estremista di destra reo-confesso per la strage, 32 anni, avrebbe impiegato proiettili ad espansione, che moltiplicano i danni frammentandosi al momento dell’impatto.


http://it.euronews.net/

Il killer di Oslo in tribunale, folla furiosa. Norvegia in lutto

Rischia un massimo di appena 21 anni. Il Guardian: arrestato complice in Polonia ma la polizia polacca smentisce

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Il killer di Oslo in tribunale, folla furiosa. Norvegia in lutto

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Oslo, 25 lug. (TMNews) – Una folla inferocita si è radunata davanti al tribunale di Oslo dove, attorno alle 14, è arrivata l’auto della polizia con a bordo Anders Behring Breivik, il killer delle due stragi di venerdì in Norvegia. Per ragioni di sicurezza, scrive il Dagbladet, la polizia è stata costretta a far entrare dal retro l’uomo. Nel corso dell’udienza preliminare, a porte chiuse, i giudici dovranno pronunciarsi sull’arresto in via cautelare del 32enne norvegese. Nel frattempo il quotidiano the Guardian ha diffuso la notizia di un secondo arresto avvenuto in Polonia legato alle stragi ma la polizia polacca ha smentito. I contorni del duplice attentato si fanno intanto più precisi. Il vero obiettivo di Breivik sarebbe stata l’ex premier Gro Harlem Brundtland che era sull’isola di Utoya fino a poche ore prima che iniziasse la sparatoria. Anche il numero delle vittime potrebbe essere aggiornato, secondo la polizia i morti potrebbero essere meno dei 93 contati finora. L’uomo aveva provato già in precedenza a procurarsi armi in un viaggio a Praga a settembre in cui tentò invano di avvicinarsi alla malavita locale.

Il killer rischia un massimo di 21 anni di carcere. L’udienza di oggi è a porte chiuse nonostante Breivik avesse chiesto che la seduta fosse pubblica e di potervi partecipare in uniforme. Nel frattempo la Norvegia si è fermata a mezzogiorno per commemorare i morti con un minuto di silenzio in tutto il Paese. Breivik , 32 anni, ha confessato di essere l’autore della strage di venerdì al campus dei giovani laburisti. Fra le vittime ci sarebbe anche il fratellastro della di Mette Marit, la consorte del principe ereditario Haakon di Norvegia. Si tratta di Trond Berntsen, 51 anni, ed era la guardia privata che si trovava sull’isola quando Anders Behring Breivik è sbarcato.

Breivik ha utilizzato proiettili speciali per mettere in atto la sua carneficina. “Non ho mai visto ferite simili”, ha spiegato Colin Poole, del dipartimento di Chirurgia, al quotidiano norvegese “Aftenposten”. L’uso di proiettili a espansione è vietato dalla Convenzione di Ginevra, ma è utilizzato da coloro che praticano caccia grossa in Norvegia.

La pena massima prevista dal Codice penale norvegese è di 21 anni di reclusione. Ma di fronte all’orrore delle stragi di Oslo e di Utoya, cominciano a levarsi le prime voci per esigere un inasprimento della pena da applicare al caso di Breivik. In realtà, il diritto norvegese prevede che un condannato possa restare in carcere oltre i 21 anni, solo se viene considerato ancora pericoloso. In questo caso la sua pena può essere prolungata di cinque anni in cinque anni. Sull’isola di Utoya c’era anche Gro Harlem Brundtland, ex premier laburista norvegese, e ha lasciato l’isola appena poche ore prima dello sbarco di Anders Behring Breivik. Probabilmente anche lei era nel mirino del killer, scrive il quotidiano Aftenposten, secondo il quale Breivik voleva arrivare sull’isola al mattino, quando Brundtland teneva un discorso ai partecipanti al campus estivo.

red/Bat

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fonte:  http://www.tmnews.it/web/sezioni/top10/20110725_153637.shtml

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Ecco il memoriale di Breivik

(25 luglio 2011)

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Anders Behring Breivik ha impiegato un anno a scriverlo. European Declaration of Independence – 2083 è il suo testamento ideologico e un manuale per compiere stragi. Mix incredibile di analisi e indicazioni pratiche su come costruire una società di crociati anti islamica. E su come eliminare, con armi di distruzione di massa, coloro che sono per il multiculturalismo. Compreso il Papa

VAI QUI PER LEGGERLO INTEGRALMENTE (IN INGLESE)

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LA STORIA E I METODI DI PROPAGANDA AMERICANI – Una tragica Hollywood 1944: La finta battaglia a Castelnuovo al Volturno

UNA TRAGICA HOLLYWOOD 1944, CASTELNUOVO AL VOLTURNO

Una testimonianza non di parte sui metodi di propaganda americani


fonte immagine

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di Francesco Fossa  

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Dal giugno del 1944 sono trascorsi quasi 60 anni, ma i ricordi di Giovanni Tomassone, classe 1929, una vita da falegname a Castelnuovo al Volturno, sono nitidi come se i fatti che stiamo per raccontare fossero accaduti ieri: “… ma ancora oggi non capisco perché il mio paese che fortunatamente aveva riportato solo pochi danni nella guerra vera del 1944, è invece finito in macerie per una guerra finta”.

È una storia assurda che ci riporta alla primavera del 1944, quando Castelnuovo – un paesino di settecento anime appoggiate alla catena montuosa delle Mainarde, dove nasce il fiume Volturno, in un angolo di meridione incastrato tra Lazio, Molise, e Campania – viene tagliato da quella linea che i tedeschi, in ritirata lungo lo stivale, hanno tracciato sulle loro mappe: è la linea Gustav, un poderoso schieramento di uomini e mezzi dispiegato da Cassino a Ortona che, secondo le intenzioni del maresciallo Kesselring, dovrebbe bloccare l’avanzata degli alleate sbarcati il 9 settembre del 1943 a Salerno. Castelnuovo al Volturno è a circa cinquanta chilometri ad est di Cassino, a mezza costa sotto il monte Marrone. Già dal novembre 1943 il paesino è stato evacuato, o meglio rastrellato dai tedeschi, i suoi abitanti sono stati incolonnati e trasferiti con treni merci, prima ad Anagni, poi più a nord, a Ferrara e Modena. Solo un piccolo gruppo di persone, quasi tutti uomini, si era sottratto alla cattura e per diversi mesi aveva sopportato il freddo dell’inverno in anfratti e fienili nascosti dalla vegetazione. Tra questi c’è anche Giovanni Tomassone, aveva 15 anni. “I tedeschi si erano ritirati sulla cresta del monte Marrone e sulle cime circostanti mentre gli americani avevano preso tutta la pianura sottostante. Collaboravamo con loro indicando le postazioni, i nidi di mitragliatrice dei tedeschi…”.Fin qui la storia di Castelnuovo raccontata dall’anziano falegname non è molto diversa dalle tante vicende belliche che segnano la penisola nel 1944.

Dopo gli americani, nel paese fecero campo i nordafricani del contingente francese. Ne morirono quasi mille tentando di conquistare la cima del monte Marrone. Poi arrivarono gli alpini del Corpo Italiano di Liberazione. Saranno proprio le penne nere del battaglione Piemonte a espugnare, all’alba del 31 marzo, la cresta a 1800 metri dalla quale si dominava tutta la valle del Sangro. Il 16 maggio la battaglia di Cassino arriva al suo apice, l’Abbazia e tutto quello che gli sta intorno per decine di chilometri non esistono più. Il piccolo paese di Castelnuovo al Volturno però conta solo quattro case distrutte dai colpi d’artiglieria: è un miracolo.

Gli abitanti, quelli che non erano stati evacuati, ritornarono così alle loro abitazioni, mentre la guerra andava velocemente allontanandosi verso il nord e l’incubo sembrava passato. Ma la mattina del 5 giugno una jeep si arrampicò lungo i tornanti che portavano a Castelnuovo. A bordo c’era un tenete inglese che si presentò al sindaco, Vincenzo Martino, con un ordine perentorio: “Il paese deve essere immediatamente sgombrato, dobbiamo effettuare una disinfestazione che durerà almeno dieci giorni”. La gente di Castelnuovo fu caricata sui camion, come già era accaduto con i tedeschi, e costretta ad abbandonare nuovamente le case: “Ci portarono più a valle sulla piana di Rocchetta al Volturno”. Giovanni Tomassone rivive incredulo quelle ore: “La mattina del 6 giugno fummo svegliati da un rombo assordante, tutta la valle si era riempita di mezzi militari, carri armati, cannoni, camion carichi di soldati. Si assestarono attorno a Castelnuovo. Qualcuno di noi provò ad avvicinarsi, ma venne sempre allontanato dalla polizia militare. C’erano soldati di tutte le razze… ma non capivamo cosa volessero fare”. Gli abitanti di Castelnuovo avevano fatto largo a un grosso contingente della 82a divisione dell’ottava armata alleata. Truppe affiancate da un buon numero di cineoperatori. La bugia della disinfestazione era durata poco: doveva essere girato un documentario.

“Per alcuni giorni”, racconta Tomassone, “osservammo dalle cime degli alberi le scene di una battaglia in piena regola, esplodevano bombe fumogene, i soldati correvano a testa bassa e sparavano. Qualcuno faceva finta di essere stato colpito e allora arrivavano i barellieri, l’ambulanza che portava i soccorsi … urlavano ma era tutto finto!”. Le cineprese le ricorda Carmine Miniscalco, anche lui abitante sfollato di Castelnuovo. All’epoca aveva 17 anni: “Sparavano e filmavano, qualcuno mi disse anche di aver visto uomini con le divise tedesche, ma io in quella confusione non le ho notate. Le piante di quercia minate con la dinamite e fatte saltare come fuscelli invece sì, quelle non le scordo”.

Ma nessuno tra la gente della vallata avrebbe mai immaginato che lo scherzo, quella finzione, si sarebbe trasformata di lì a poco in tragedia. Ora i ricordi, i racconti di Tomassone e di Miniscalco si intrecciano alle voci sdegnate di un gruppo di anziani seduti attorno a un tavolo nella piazza del paese.Smettono di giocare a carte e anche quelli che non avevano voluto rispondere alle domande sui fatti di allora, quando si arriva alla cronaca del 17 giugno 1944 cambiano atteggiamento, si infervorano, lanciano imprecazioni: “Ci svegliammo, con i colpi dei cannoni, tiravano verso la montagna, un piccolo aereo girava in tondo nel cielo, qualcuno giura d’aver visto una cinepresa spuntare da finestrino… poi i colpi cominciarono ad avvicinarsi al centro abitato. A mezzogiorno il fuoco si concentrò sulle case… il campanile della chiesa fu il primo edificio a essere colpito, un colpo di cannone lo centrò in pieno! Vedevamo le nostre case cadere una dopo l’altra senza sapere perché. I carri armati attraversavano i campi di patate e i soldati, americani, inglesi, neozelandesi, marocchini, si riparavano dietro i cingoli… ma da cosa?”.

Per giorni il paese rimase avvolto da una nuvola di polvere dentro la quale si intravedevano cumuli di macerie. Agli abitanti di Castelnuovo al Volturno fu consentito di ritornare alle loro case solo ai primi di luglio: l’85 per cento delle abitazioni non c’era più. A testimoniare l’assurdo, il paese prima e dopo il bombardamento, restano o solo due foto, tra altri cimeli bellici, in un piccolo museo allestito in una delle poche case risparmiate dalle granate. La gente non riusciva a farsi una ragione di un simile scempio. E anche la vicenda dei filmati era passata in secondo piano, quasi dimenticata.Finché non cominciarono ad arrivare le prime lettere, come quella scritta da un cugdi Giovanni Tomassone, Domenico, fatto prigioniero dagli americani in Nordafrica e trasferito in un campo di detenzione negli Stati Uniti.Nella lettera voleva sapere se davvero il paese era stato distrutto, perché aveva visto un filmato dove era raccontata la storia di Castelnuovo e del monte Marrone eroicamente conquistato dalle truppe alleate con i soldati tedeschi che venivano snidati casa per casa…”. La guerra finisce e le lettere cominciano ad arrivare anche da Boston, da Los Angeles, spedite da gente del posto emigrata in America ma con amici e parenti a Castelnuovo. Tommaso Pitassi, da pochi mesi a Filadelfia, rimase senza parole nella sala cinematografica dove proiettavano un “Combat film” sulla guerra in Italia. La battaglia di Castelnuovo veniva descritta come una delle più cruente, i soldati dell’Ottava Armata raffigurati come eroi votati al sacrificio. Ma Pitassi sapeva che quelle scene di guerra, i corpo a corpo, erano una pura messa in scena. Perché lui era lì, su quella piana, quando erano state fatte le riprese, e sapeva anche che gli unici ad aver combattuto a monte Marrone erano stati i soldati marocchini e gli alpini del battaglione Piemonte. Perché per inglesi e americani la parete di roccia alle spalle di Castelnuovo era assolutamente imprendibile. In tanti videro negli Stati Uniti il documentario, figlio della propaganda bellica americana, la storia riscritta con la cinepresa e le comparse.

A chi, come Esterina Ricci aveva fatto delle ricerche a Chicago, avrebbero detto che quella drammatica farsa era stata necessaria perché alcune “pizze”, avvincenti filmati della campagna in Italia, erano bruciate e andavano rimpiazzate. Recentemente qualcun altro si è nuovamente messo sulle tracce di quel Combact Film: Michele Peri e Giuseppe Tomassone, rispettivamente insegnante al liceo artistico di Cassino e presidente de “Il Cervo”, un’associazione culturale di Castelnuovo al Volturno. “Non è solo curiosità. Quel filmato è un pezzo di storia, vorremmo dare luce a questa vicenda della quale si è parlato poco”. Finora le ricerche hanno dato pochi frutti. Negli archivi dell’Istituto Luce, Peri e Tomassone sono riusciti a scovare solo alcuni spezzoni di un filmato girato nella zona prima della distruzione del paese. Sono immagini dei soldati marocchini che per circa tre mesi tentarono di conquistare monte Marrone: eccoli camminare in fila indiana verso la montagna, e poi in momenti di relax nell’abitato di Castelnuovo, dove si divertivano ad aprire scatolame con i denti e a molestare le donne del paese. Sono poche sequenze, non hanno niente di epico ma, almeno queste, nella loro semplice crudezza, sono vere.

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(da L’ULTIMA CROCIATA) RINASCITA quotidiano del 1 agosto 2003

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fonte:  http://www.italia-rsi.org/alleatidichi/castelnuovoalvolturno.htm

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WW II MASSACRE AT MONTE CASSINO 1 of 3 1943 RARE COLOR FILM

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NO-TAV, REPORTAGE – Chiomonte: nel cuore di un altro giorno sbagliato / VIDEO: Heidi Giuliani al campeggio notav

#notav 24/7/11 – Heidi Giuliani al campeggio notav

Caricato da in data 24/lug/2011

Affollatissimo incontro al campeggio di Chiomonte con Carlo e Heidi Giuliani nel decennale del G8 e l’assassinio di Carlo.

IL REPORTAGE

Chiomonte: nel cuore di un altro giorno sbagliato   

Si scappa, si tossisce, si piange, si vomita. Ma non si retrocede di un metro. Forse è il ritratto della Val Susa

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Di MAURIZIO CROSETTI
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Chiomonte: nel cuore di  un altro giorno sbagliato   

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E’ la replica del solito, orribile film. Ma stavolta i lacrimogeni arrivano fin dentro quello che chiamano “il campeggio”, anche se qui davanti alla centrale elettrica nessuno è venuto a fare vacanza. Tra le tende del presidio No Tav, il gas si diffonde alle otto di sera, annunciato da un giorno almeno, dall’attesa di altri inevitabili scontri dopo la battaglia notturna nei boschi.
Non è come il 3 luglio, ma solo per una questione di numeri e dimensioni. Quella volta, però, i bambini e gli anziani li avevano portati via prima, invece ieri sera si sono trovati anche loro al centro del caos, nel cuore di un altro giorno sbagliato.

Si battono le pietre e i bastoni sui guard-rail, dove finiscono gli alberi e comincia il ponticello. E’ un suono ritmico e andrà avanti per tutto il pomeriggio, finché non gli farà da controcanto il rotore del’elicottero della polizia. Sembrano tamburi tribali, è invece il sottofondo degli opposti schieramenti. Pareva un giorno più tranquillo, rispetto agli ultimi. Non è andata così.

Alle tre del pomeriggio ci sono già tre o quattrocento persone in attesa degli alpini, cioè quelli che hanno deciso di contestare gli alpini veri, i militari che stanno presidiando il cantiere insieme alle forze dell’ordine. Anche se l’Ana li aveva diffidati dal portare il cappello con la penna nera, perché loro non devono fare politica, in molti ‘hanno indossato ugualmente e con orgoglio. “Gli alpini veri siamo noi, non quei mercenari là dentro. Il cappello me lo sono sudato durante la naja, è un simbolo di pace, non me lo tolgo certo adesso”, racconta un ex artigliere arrivato da Condove. E come lui ce ne sono proprio tanti, di tutte le età, la maggior parte tra i quaranta e i cinquanta, però ci sono pure i più anziani e le donne, anche loro con la penna nera. Verso le cinque si mettono tutti in marcia e salgono al cantiere della Maddalena, dove canteranno e protesteranno. Dietro di loro, una lunga coda di No Tav senza cappello, ma con più di una ragione per protestare.

FOTO – Chiomonte, cariche e lacrimogeni per respingere l’assedio

Valsusa, spunta ex terrorista tra gli assedianti del cantiere

FOTO – Centinaia di no tav preparano l’assedio

Non è una manifestazione ufficiale, non ci sono autorità in servizio, qualche sindaco e qualche assessore però sono venuti lo stesso. Alle 18 parleranno i genitori di Carlo Giuliani, il ragazzo morto al G8 di Genova dieci anni fa. Ed è a quell’ora che la gente si sposta al campeggio, tra le tende e i tavoli dove si mangiano frutta e panini, bevendo il vino No Tav e acquistando le magliette alla bancarella delle anziane signore, tutte con il foulard bianco e la croce sul treno. Anche se nell’aria c’è l’attesa degli scontri, o forse solo il timore, l’atmosfera è ancora quella della scampagnata. Molti anziani, bambini, cani al guinzaglio. Ci sono disabili sulle carrozzelle e un notevole ingorgo di auto nella discesa che porta alla borgata Ramats, il cuore degli scontri di venti giorni fa.

La mamma di Carlo Giuliani, Haidi, è la prima a prendere la parola. “Il G8 di Genova, oggi è alla Maddalena. E’ qui la violenza dello Stato. Carlo era piccolo, però era sveglio e aveva capito tutto: venne lui per primo a protestare a Torino, quando morirono Sole e Baleno. In dieci anni sono state raccontate molte cose false su mio figlio e oggi, se fosse vivo, sarebbe certamente qui. Guardo queste montagne e penso: ma come si permettono? Come possono pensare di rovinarle? Penso anche alla mia nipotina di tre anni, e mi sento in colpa perché le lasceremo un mondo diverso da quello che avevamo sperato”. Il marito Giuliano annuisce, tra gli applausi, poi prende la parola. “Oggi il mercato globale è una cosa molto complessa, ognuno deve stare attento ai propri gesti, anche quelli piccoli, tutti significativi. Carlo non andava in giro a spaccare le vetrine di McDonald’s: il suo modo di protestare, semmai, era non averci mai messo piede”.

Intanto, davanti al cancello della centrale elettrica c’è chi scava al ritmo dei bastoni, provando a scalfire le fondamenta. Viene issata una bandiera tricolore, e poi quella No Tav. Vengono legate corde alla griglia di rinforzo alla cancellata, finché questa non è divelta tra gli applausi. Ragazzi incappucciati si preparano alla battaglia, è chiaro che ormai manca poco. Dagli zainetti escono le mascherine, i limoni, i fazzoletti, le bottiglie di Maalox. I più attrezzati hanno pure la maschera antigas. A occhio, però, non ci sono i black bloc dell’altra volta, anche se la protesta più dura non è limitata a qualche decina di arrabbiati. Sono molti di più, invece, e sorprende che il resto della popolazione resti a battere le mani, a cantare cori e frasi durissime contro polizia e carabinieri, senza cedere o scoraggiarsi. Neppure quando le forze dell’ordine cominciano a indossare i caschi, segnale della battaglia imminente.

Alle otto di sera, gli alpini “contestatori” sono ormai tornati dalla Maddalena, per unirsi nuovamente al popolo No Tav. Le donne annunciano “un sabba, una performance” davanti al cancello “quando farà buio”. Ma non c’è bisogno della notte per vedere la scia dei primi lacrimogeni alzarsi a parabola, e ricadere in mezzo alle persone. Si scappa, si tossisce, si piange, si vomita. Ma non si retrocede di un metro. Forse è il ritratto della Val Susa.

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25 luglio 2011
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PALERMO – Si è risvegliato il vulcano. Violenta eruzione dell’Etna

Si è risvegliato il vulcano
Violenta eruzione dell’Etna

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Nel corso della notte sono cominciate le esplosioni al cratere di sud est, a circa 3.000 metri di quota, con fontane di lava ed emissione di sabbia e cenere

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di TURI CAGGEGI

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Si è risvegliato il vulcano Violenta eruzione dell'Etna

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Violenta eruzione dell’Etna tra la notte e la mattina di oggi. Nel corso della notte sono cominciate le esplosioni al cratere di sud est, a circa 3.000 metri di quota, con fontane di lava ed emissione di sabbia e cenere. L’eruzione, la terza nelle ultime due settimane, si è intensificata nelle prime ore della mattina provocando una enorme nube di cenere vulcanica che il forte vento presente ad alta quota ha spinto verso il versante orientale, in direzione di Giarre e del mar Ionio.

FOTO Guarda le immagini dell’eruzione

Analogamente a quanto avvenuto martedì scorso, una pioggia di sabbia nera ha investito i paesi del versante est dell’Etna. Il 19 luglio era stato chiuso per alcune ore l’aeroporto di Catania, mentre oggi i voli si sono svolti regolarmente. Il forte vento ha mantenuto la nube a quote relativamente basse (circa 4 mila metri sul livello del mare) spingendo la sabbia a oltre 200 km dall’Etna. L’eruzione è cessata poco prima delle 9.

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25 luglio 2011

fonte:  http://palermo.repubblica.it/cronaca/2011/07/25/news/si_risvegliato_il_vulcano_violenta_eruzione_dell_etna-19578505/?rss

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Irlanda, Santa Sede reagisce alle accuse. Preti pedofili a Cloyne, richiamato il nunzio

CITTA’ DEL VATICANO

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Irlanda, Santa Sede reagisce alle accuse
Preti pedofili a Cloyne, richiamato il nunzio

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Dopo la pubblicazione del rapporto della commissione d’inchiesta sugli abusi sessuali ai danni di minori nella diocesi a sud del paese e a seguito della accuse lanciate in Parlamento dal premier Kenny (“Vaticano ha incoraggiato a tacere”), Monsignor Giuseppe Leanza richiamato per consultazioni

Irlanda, Santa Sede reagisce alle accuse Preti pedofili a Cloyne, richiamato il nunzio Il premier irlandese Enda Kenny

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CITTA’ DEL VATICANO – La Segreteria vaticana ha richiamato il nunzio apostolico in Irlanda, monsignor Giuseppe Leanza, per consultazioni a seguito della pubblicazione, il 13 luglio scorso, del rapporto della commissione d’inchiesta del governo di Dublino sugli abusi ai danni di minori commessi da sacerdoti della diocesi di Cloyne, a sud del paese. La Segreteria di Stato e altri dicasteri vaticani dovranno mettere a punto una risposta ufficiale alle richieste provenienti dal governo irlandese circa il coinvolgimento del Vaticano nella copertura e insabbiamento di casi di abusi sessuali commessi da esponenti dal clero irlandese.

Si tratta della prima risposta del Vaticano al durissimo atto d’accusa pronunciato mercoledi scorso in Parlamento dal premier irlandese Enda Kenny, secondo cui “il rapporto della commissione ha evidenziato il tentativo della Santa Sede di bloccare un’inchiesta in uno Stato sovrano, democratico e Repubblica non più di tre anni fa, non trent’anni fa”.

Alle parole del premier aveva replicato padre Lombardi, direttore della sala stampa vaticana. “La Santa Sede risponderà opportunamente alla domanda posta dal Governo irlandese a proposito del Rapporto sulla diocesi di Cloyne”. Il religioso aveva anche richiamato tutti a dibattere la vicenda con la massima obiettività, in modo da contribuire alla causa che deve stare maggiormente a cuore a tutti, cioè la salvaguardia dei bambini e dei giovani e il rinnovamento di un clima di fiducia e collaborazione a questo fine, nella Chiesa e nella società, come auspicato dal Papa nella sua Lettera ai cattolici dell’Irlanda”.

A sua volta, l’arcivescovo di Dublino Diarmuid Martin aveva respinto con forza le accuse lanciate dal premier irlandese, sottolineando che nella diocesi di Cloyne sono state ignorate le norme del 2001, volute dall’allora cardinale Ratzinger, dunque dal Papa attuale.

Mercoledì scorso, davanti al Dail, la camera bassa del Parlamento irlandese, il premier Kenny aveva apertamente accusato il Vaticano di “disfunzione, disconnessione e elitarismo”, per aver incoraggiato i vescovi a non denunciare gli abusi da parte di 19 esponenti religiosi della diocesi di Cloyne alle autorità ufficiali, secondo quanto affermato dalla commissione d’inchiesta nel suo rapporto. Kenny non aveva usato mezzi termini. La vicenda di Cloyne, aveva affermato in Parlamento, “fa emergere la disfunzione, la disconnessione e l’elitarismo che dominano la cultura del Vaticano. Lo stupro e la tortura di bambini sono stati minimizzati per sostenere, invece, il primato delle istituzioni, il suo potere e la sua reputazione”.

Alla pubblicazione del rapporto, prima che Kenny pronunciasse il suo atto d’accusa, padre Lombardi si era già espresso, garantendo la volontà della Santa Sede di accertare la verità e una sua pronta risposta alle rivelazioni su Cloyne. In attesa di quella risposta, il gesuita aveva ricordato “gli intensi sentimenti di dolore e di riprovazione espressi dal Papa in occasione del suo incontro con i vescovi irlandesi, convocati in Vaticano l’11 dicembre del 2009 proprio per affrontare insieme la difficile situazione della Chiesa in Irlanda alla luce del Rapporto sull’Arcidiocesi di Dublino, allora recentemente pubblicato. Il Papa parlava allora apertamente di ‘sconcerto e vergogna’ per ‘i crimini odiosi'”.

Padre Lombardi aveva richiamato in proposito che “proprio in seguito a tale incontro, e a uno successivo del 15 e 16 febbraio 2010, il Papa ha pubblicato la sua nota e ampia Lettera ai Cattolici dell’Irlanda, del 19 marzo successivo, in cui si trovano le espressioni più forti ed eloquenti di partecipazione alle sofferenze delle vittime e delle loro famiglie, come pure di richiamo alle terribili responsabilità dei colpevoli e alle mancanze di responsabili della Chiesa nei loro compiti di governo o di sorveglianza. Una delle azioni concrete seguite alla Lettera del Papa è la visita apostolica alla Chiesa in Irlanda, articolata nelle visite alle quattro archidiocesi, ai seminari e alle Congregazioni religiose, visita i cui risultati sono in uno stadio avanzato di studio e di valutazione”.

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25 luglio 2011

fonte:  http://www.repubblica.it/esteri/2011/07/25/news/pedofilia_vaticano_richiama_nunzio_irlandese-19580595/?rss

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