Archivio | gennaio 11, 2010

“Nasciamo Pari e diventiamo Dispare” Un Comitato contro la discriminazione delle donne

Presentata dall’economista Fiorella Kostoris e da Emma Bonino un’associazione che si pone l’obiettivo dell’equiparazione di genere nel mondo del lavoro

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L’Italia ha un tasso di occupazione femminile al di sotto del 50%, ultima nella Ue dopo Malta
Ironico il metodo proposto per la ‘moral suasion’: cioccolata ai ‘buoni’ e carbone ai ‘cattivi’

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di ROSARIA AMATO

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Emma Bonino, Myrta Merlino e Fiorella Kostoris

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ROMA – “In Italia si nasce pari e si diventa dispare. Ma questo non può essere l’unico destino possibile per le donne”: con queste parole Emma Bonino ha presentato con l’economista Fiorella Kostoris il ‘Comitato Pari o Dispare’, un’Authority contro le discriminazioni di genere. In un Paese come il nostro che, ricorda Kostoris, ha “il tasso di occupazione delle donne più basso dell’Unione europea a 27 con la sola eccezione di Malta“, certo l’obiettivo di “raggiungere la parità” può sembrare eccessivamente ambizioso. Ma il Comitato, costituito il 19 dicembre, intende promuovere la parità tra uomo e donna sulla base di una leva fondamentale per lo sviluppo dell’intera società, e non solo delle carriere femminili: “la meritocrazia”.
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“Siamo convinti che la parità vada raggiunta innanzitutto sul mercato del lavoro – spiega Kostoris – Con il nostro 47 per cento, siamo lontanissimi dal target di Lisbona del 60 per cento per l’occupazione femminile”. E lontanissimi dal traguardo al quale due settimane fa inneggiava la copertina dell’Economist: “We did it!”, titolava il settimanale, (“Ce l’abbiamo fatta!”), aggiungendo “What happens when women are over half the workforce” (“Che cosa accade quando le donne sono oltre la metà della forza lavoro”).
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Il problema non è solo di quante donne siano occupate, ma di quante raggiungano posizioni di vertice. E infatti l’Authority costituita dal Comitato applicherà il principio “comply or explain”: alle aziende private, alle pubbliche amministrazioni, cioè, verrà chiesto perché non vengono assunte e promosse le donne. “Sono state cercate? Non sono state trovate? – dice Kostoris – Useremo la moral suasion, come si fa in altri Paesi”. Anche perché in Italia non esiste un’Authority istituita dalla legge che effettui un monitoraggio di questo tipo, nonostante la Direttiva europea 54 prevedesse l’istituzione di “una Agenzia pubblica indipendente e dotata di terzietà rispetto all’esecutivo”, che non ha mai visto la luce.
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Per premiare amministrazioni e aziende virtuose il Comitato Pari o Dispare utilizzerà un sistema che si collega a una festività appena passata, quella della Befana: “Ai premiati daremo una moneta di cioccolata, e a chi discrimina le donne del carbone di zucchero”. La prima moneta di cioccolato è stata assegnata stamane nella sede dell’Enciclopedia Italiana a Susanna Cenni, parlamentare senese del Pd che in qualità di assessore alle Pari Opportunità della Regione Toscana ha promosso una legge che si pone “l’obiettivo di rimuovere gli ostacoli verso la parità fra i generi nella vita civile, sociale ed economica regionale, attraverso un’analisi di genere nell’ambito della programmazione, la costituzione di una banca dati dei saperi delle donne e la realizzazione del bilancio di genere (un bilancio che cioè analizzi gli effetti sulla disparità di genere delle leggi finanziarie della Regione, ndr)”.
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Mentre il carbone è andato al Cnel (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) o meglio agli enti pubblici e privati e alle istituzioni che ne nominano i consiglieri, scegliendoli nella stragrande maggioranza tra gli uomini. Unica, lodevole eccezione, sottolinea Fiorella Kostoris, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha nominato due donne. Per il resto, dal Consiglio dei ministri alle associazioni che rappresentano i lavoratori autonomi e le associazioni di categoria, le donne non esistono: “Pochissime le eccezioni, come Emma Marcegaglia, nominata dagli industriali, e Renata Polverini, per i sindacati”.
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‘Pari o Dispare’ ha deciso di cominciare dal Cnel perché si tratta di un ente che ricopre un ruolo costituzionale nell’ambito del mondo del lavoro. Forse proprio da lì si potrebbe partire per cambiare numeri desolanti: non solo in Italia lavora meno di una donna su due (ma al Sud tale dato precipita sotto il 30 per cento), ma, a parità di qualifica e incarico, “una donna è pagata un quinto in meno di un collega uomo”. Ancora, ricorda il Comitato, “il 20 per cento delle donne lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio” e secondo la classifica di genere redatta dal World Economic Forum l’Italia è al 72° posto per la disparità uomo-donna, al 96° per partecipazione e opportunità nell’economia, all’88° per partecipazione al lavoro, al 91° per reddito da lavoro”.
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Se si guarda poi al peso delle donne che lavorano, “nei consigli di amministrazione delle aziende italiane quotate, su 2.753 posizioni solo 174 sono occupate da donne (6 per cento), sono solo 2 le donne rettrici di università e solo 2 le donne direttrici di quotidiano”. Ancora: “Nelle banche, su un campione di 133 istituti di credito, il 70 per cento dei Cda non conta neanche una donna, nessuna donna è amministratore delegato o presidente di banca”.
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Eppure, farcela è possibile. “Una carriera di successo è il risultato di vari elementi – osserva Anna Maria Tarantola, da un anno vicedirettore generale della Banca d’Italia – innanzitutto bisogna avere le qualità, coltivarle e avere la grinta di farle valere. Ma poi conta anche avere una rete familiare che possa dare il sostegno necessario, ed essere in un ambiente lavorativo che premi il merito”. “Non bisogna mollare mai: quando venivo a Roma da Treviso per le riunioni dell’Associazione Nazionale Magistrati – ricorda Luisa Napolitano, componente togato del Consiglio Superiore della Magistratura – immancabilmente i colleghi di Roma arrivavano in ritardo e poi mi proponenevano di andare a pranzo. Io ero tentata di mollare, e invece ho ottenuto il tempo continuato, visto che poi avevo l’aereo alle 5”.
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“Per me la disparità di genere non è stata a lungo un problema, visto che avevo 20 anni negli anni Ottanta e ho avuto la fortuna di salire su una scala i cui gradini erano stati costruiti da donne come Miriam Mafai – dice il direttore dell’Unità Concita De Gregorio – ma adesso la situazione è molto peggiorata, siamo tornati indietro”. Ma c’è chi invece ha molta fiducia nelle possibilità future delle donne: “Manca davvero poco al crollo delle mura di Gerico”, assicura il direttore di Gioia Raffaella Carretta.
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11 gennaio 2010

fonte: http://www.repubblica.it/cronaca/2010/01/11/news/nasce_pari_o_dispare-1905854/?rss

Cefalonia: due nuovi indagati

ROMA – Due nuovi indagati per la strage di Cefalonia, il peggior eccidio di militari italiani compiuto dai tedeschi durante la 2/a guerra mondiale. Sono due ex soldati della Wehrmacht, entrambi di 86 anni, sospettati di aver ucciso un numero imprecisato di uomini della Divisione Acqui. Gregor Steffens e Peter Werner sono stati rintracciati dai carabinieri, quasi 67 anni dopo i fatti, nell’ambito dell’inchiesta a carico di un’ex ufficiale tedesco morto a luglio. Si riapre cosi’ l’inchiesta.

Massimo riserbo viene mantenuto dalla procura militare di Roma sugli sviluppi giudiziari relativi alla strage di Cefalonia: il procuratore capo, Antonino Intelisano, si è limitato a confermare all’ANSA che vi sono due nuovi indagati, ma non ha fornito altri particolari. Secondo quanto è stato possibile ricostruire, tuttavia, i carabinieri delegati a svolgere indagini sull’eccidio di Cefalonia nell’ambito del procedimento a carico di Muhlhauser, si sarebbero messi sulla nuova pista dopo essersi imbattuti in due nomi, citati in una relazione del cappellano militare don Luigi Ghilardini, redatta poco dopo la strage, avvenuta nel settembre ’43.

Nel documento, proveniente dall’Ufficio storico dell’Esercito, si parla dei “soldati Steffens Gregor e Werner Peter, che precedentemente erano stati nostri prigionieri”, i quali “si vantavano di aver ucciso tramite fucilazione – lungo la strada tra Lakhitra e Faraò – 170 soldati disarmati che si erano arresi”. I militari dell’Arma si sono subito attivati e, grazie anche alla collaborazione della polizia criminale tedesca, sono riusciti a individuare i due ex militari della Wehrmacht, scoprendo che sono entrambi vivi e qual è il loro attuale domicilio in Germania.

Steffens e Werner appartenevano alla 1/a divisione Alpenjaeger (da montagna): uno faceva parte della prima compagnia del 910/o battaglione granatieri da fortezza e l’altro della prima compagnia del 909/o battaglione. I due, si é scoperto, erano già stati sentiti a “sommarie informazioni” nel 1965 e nel 1966 dalla procura di Dortmund, che sui crimini compiuti dalla Wehrmacht a Cefalonia aveva aperto un’inchiesta, conclusasi con l’archiviazione. Entrambi avevano negato ogni responsabilità. Sempre dalle indagini è emerso che dei due presunti assassini si era probabilmente occupata molti anni fa anche la magistratura militare italiana, che nel 1957 e nel 1960 emise due sentenze istruttorie nei confronti di 30 militari tedeschi accusati di “violenza con omicidio continuato commessa da militari nemici in danno di militari italiani prigionieri di guerra” in relazione all’uccisione, “tra il 15 e il 28 settembre 1943, in Cefalonia e Corfù”, di “450 ufficiali e 5.500 uomini di truppa italiani”.

Per tutti gli imputati la vicenda processuale si concluse con un nulla di fatto, tra archiviazioni e proscioglimenti, e in particolare per 17 di loro la sentenza del ’57 stabili’ di “non doversi procedere” per essere rimasti ignoti gli autori del reato. Tra questi “militari ignoti” anche tali ‘Wermer’ e ‘Stefans Gregor’, all’epoca non meglio identificati ed ora improvvisamente riemersi da un lontanissimo passato. La procura militare di Roma, secondo quanto si è appreso, avrebbe già sentito per rogatoria i due indagati, che avrebbero nuovamente confermato la loro estraneità ai fatti. Sentiti anche numerosi ex militari tedeschi in qualità di testimoni, ma ulteriori accertamenti sono in corso.

fonte: http://temporeale.libero.it/libero/fdg/3199796.html

In Palestina non uccidono soltanto le bombe

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“Un modo di guardare alla storia della comunità umana è che essa è stata una continua lotta contro la venerazione delle ’stronzate’ [‘crap’ in inglese]. La nostra storia intellettuale è una cronaca dell’angoscia e della sofferenza di uomini che hanno cercato di aiutare i propri contemporanei a vedere come una parte delle loro convinzioni più sentite non fossero che equivoci, supposizioni errate, superstizioni o addirittura vere e proprie menzogne. Abbiamo in mente un tipo d’educazione che cominci a formare esattamente questo tipo di persone: gli esperti nella ‘identificazione delle stronzate’”...[1]

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Con questa provocatoria citazione inizia il libro in cui l’israeliano Jeff Halper, professore di antropologia, fondatore del Comitato Israeliano contro la Demolizione delle Case (ICAHD), esamina il conflitto israelo/palestinese da ‘critical insider’.[2] Un fondamentale principio educativo, spiega nell’Introduzione, è che le persone, ricevuta l’informazione e gli strumenti per assimilarla, possano cambiare comportamento in funzione della nuova conoscenza acquisita anche se questa può portarle a conclusioni contrarie a quanto fino ad allora accettato come “giusto”. “E’ questa fondamentale tensione tra la capacità di imparare e cambiare, da una parte, e, dall’altra, il fatto che ci definiamo in base a schemi socio-culturali da noi internalizzati e ferocemente difesi, che ci impedisce di trascendere il nostro etnocentrismo e di trovare modi per trattare con giustizia coloro che definiamo nostri ‘nemici’.” Secondo Halper, il compito di ogni intellettuale è quello di liberare le persone dalla ‘gabbia mentale’ rappresentata dall’insieme di comportamenti e opinioni con cui esse si auto-definiscono ‘normali’ e che impedisce loro di riappropriarsi della innata capacità a guardare ‘fuori’.

Ciò che particolarmente colpisce del conflitto israelo-palestinese è il suo carattere quasi di tabù rispetto ad altre controverse questioni internazionali, come Cuba, Tibet o, a suo tempo, il Sudafrica. E’ indubbio come, diversamente dalla risonanza che ebbe l’apartheid sudafricano, la questione palestinese non consenta lo scambio di argomentazioni equilibrate da entrambe le parti. Anch’essa, infatti, ha la propria ‘gabbia’ che va aperta con coraggio e onestà intellettuale. “Se vi si praticano dei buchi, la maggior parte delle persone farà ciò che viene loro naturale: sbirciare fuori” dice Halper. Per rendersi conto che sono stati aperti dei fori è però necessario un minimo di quel ‘pensiero critico’ che i guardiani di ogni società aborriscono e che cercano di sopprimere attraverso, ad esempio, il sistema scolastico e quello della informazione. Un atteggiamento critico può aiutarci ad aprire qualche foro e riconoscere gli elementi di irrazionalità, pregiudizio, paura, pressione psicologica e condizionamento sociale che ci circondano.

Per il mondo medico, questo approccio critico e’ l’eredità lasciata dallo scienziato ottocentesco Rudolf  Virchow. La sua affermazione ‘la medicina è una scienza sociale e la politica nient’altro che medicina sui vasta scala’ ha portato ad evidenziare come il carico di malattia che grava sul genere umano sia in gran parte da attribuire alle condizioni socio-economiche in cui la gente vive, lavora, ama e muore, i cosiddetti determinanti sociali della salute.

Paradossalmente, tuttavia, più i professionisti della salute si concentrano sullo studio delle cause a monte o distali (le ‘cause delle cause’) delle malattie, più finiscono in territori (politica, economia, sociologia, antropologia, ecc.) che gli studi di medicina hanno sempre disdegnato. L’esclusione da questi ambiti significa tuttavia, per i medici, la perdita progressiva della loro rilevanza sul mondo circostante.

Un esempio di territori inesplorati è il rapporto tra violenza e salute. La violenza è al centro della narrativa del conflitto israelo-palestinese in cui essa si manifesta in forme molteplici, si ripercuote sulla popolazione e, entrando letteralmente nel corpo delle persone, ne influenza tragicamente la vita. Nel territorio palestinese occupato (TPO) è possibile osservare all’opera quotidianamente specifici determinanti sociali (come l’esclusione sociale, economica e politica, la mancanza di libertà fondamentali, la perdita di controllo sulla propria vita, la paura e lo stress quotidiani) e il loro impatto su salute, benessere e qualità della vita dei palestinesi (e sotto molti aspetti anche degli israeliani).

La serie “La Salute nel TPO”, pubblicata nel marzo scorso da The Lancet[3], affronta nei dettagli questo aspetto troppo trascurato da chi ancora insegue il miraggio di una scienza completamente distaccata dalla società. Utilizzando come cornice analitica il concetto di human security[4], vengono descritti i continui pericoli e le minacce alla sopravvivenza, allo sviluppo e al benessere in cui vive la popolazione palestinese: “Dal 2000 sono stati uccisi più di 6000 palestinesi, e la distruzione e il controllo israeliano delle infrastrutture ha limitato severamente l’approvvigionamento di combustibile e l’accesso ad acqua e servizi di igiene e sanità pubblica. Nelle prigioni avvengono torture e ai posti di controllo israeliani quotidiane umiliazioni. Il muro di separazione e i posti di blocco limitano l’accesso al lavoro, ai propri familiari, ai luoghi di culto e alle strutture sanitarie. I tassi di povertà sono rapidamente aumentati e quasi la metà dei palestinesi e’ dipendente dall’assistenza alimentare. La coesione sociale, che ha tenuto insieme la società palestinese, compreso il sistema sanitario, sta cedendo. Più di 9 miliardi di aiuti non hanno promosso lo sviluppo poichè i palestinesi mancano della sicurezza di base.”

Una tale situazione priva la popolazione degli strumenti essenziali per far fronte alle necessità di base per una vita decente, ossia della loro ’sicurezza umana’, esercitando sulle persone violenze indirette[5], non colte dall’analisi superficiale che considera soltanto la violenza che ‘fa notizia’, ossia quella diretta, collettiva o individuale.

E’ stato il norvegese Johan Galtung[6] ad elaborare la distinzione tra violenza diretta o personale (“quella in cui è individuabile un attore che la commette”) e violenza indiretta o strutturale in cui “tale attore sfugge alla identificazione… In entrambi i casi, singoli individui sono uccisi o mutilati. Ma mentre nel primo queste conseguenze possono essere attribuite a persone concrete…, nel secondo ciò non è possibile… la violenza è insita nella struttura…”. La violenza diretta, quella delle bombe, è terribile, la sua brutalità suscita la nostra reazione e viene naturalmente riportata dai media con dovizia di particolari. La violenza strutturale invece è subdola e invisibile, insita com’è ovunque nelle strutture sociali e ridotta ad un fatto normale in quanto parte integrante di istituzioni consolidate e dell’ordinaria esperienza quotidiana. Sembra naturale come l’aria che respiriamo”, dice Galtung. Poiché di lunga data, le iniquità strutturali sembrano normali, espressione di come le cose sono e sempre sono andate; ma non sono meno omicide: la violenza esercitata da un sistema economico globale profondamente ingiusto uccide 10 milioni di bambini all’anno[7], ben più delle morti dovute alla violenza diretta.
A causa delle loro strette interconnessioni, i due tipi di violenza vanno esaminati con la stessa attenzione, in modo da evidenziarne i rapporti di reciproca causalità. Uno degli aspetti problematici della violenza strutturale, infatti, e’ che spesso porta alla violenza diretta. Per ovvie ragioni chi è cronicamente oppresso finisce prima o poi per decidere di reagire con mezzi violenti. Esiste una correlazione diretta, per esempio, tra il grado di disuguaglianze socio-economiche all’interno di un paese e la frequenza degli omicidi. E’ anche vero il contrario: le società più egalitarie stanno meglio in tutti i sensi[8].
Il caso del TPO si presta bene ad usare la ‘lente della violenza strutturale’ per identificare i reali rapporti di forza esistenti e la direzione dei vari tipi di violenza. E’ questa lente che ci permette di guardare fuori dalla gabbia mentale che deforma la realtà e che ci fa identificare meccanismi di violenza finora sconosciuti. Un profondo equivoco presente nella comune narrazione del conflitto israelo-palestinese sta nell’assunto di una sua simmetria che considera le parti in causa come uguali in termini di potere e basate sullo stesso livello di rivendicazioni. Il problema, si sostiene, è dovuto all’incompatibilità tra le due parti, allo scontro di due civiltà che vedono il mondo in modo diverso. Questa visione distorta della realtà (’stronzata’) dipende dalla scarsa considerazione data al ruolo svolto dalla violenza strutturale.

La comprensione di come operi la violenza strutturale nel TPO può avere profonde implicazioni nella ricerca di possibili soluzioni al conflitto. Considerare, ad esempio, la ‘pace’ soltanto come ‘cessazione della violenza diretta’ significa non intervenire sulla situazione di profonda violenza strutturale che viene quindi lasciata operare indisturbata (naturalmente a vantaggio della parte in causa più forte). Una riduzione della violenza strutturale, al contrario, potrebbe portare ad un allentamento rilevante delle tensioni tra le due parti e alla diminuzione della violenza delle bombe.


Tabella 1.Violenza diretta e strutturale nei TPO

VIOLENZA DIRETTA

  • Assassini (mirati a civili e politici, “esecuzioni extragiudiziarie”, ecc.)

  • Torture

  • Violenza domestica

  • Closures, assedi

  • Uso di civili come scudi umani

  • Carcerazioni senza processo o imputazione

  • Espulsioni

  • Demolizioni di case private

VIOLENZA INDIRETTA O STRUTTURALE

Violenza Economica

  • Restrizioni e blocchi al movimento

  • Sistema di permessi molto difficili da ottenere

  • Disoccupazione e impoverimento

  • Marginalizzazione ed esclusione economica

  • Appropriazione e sfruttamento di acqua, terra, lavoro dei palestinesi

  • Mancanza di protezione sociale

Violenza Politica

  • Occupazione militare

  • Insediamenti colonici

  • Negazione di auto-determinazione, sovranità e diritto al ritorno dei rifugiati

  • Closures e checkpoint
  • Frammentazione del territorio amministrativo

Violenza Culturale

  • Stereotipizzazione del palestinese = terrorista nei media, scuola e linguaggio

  • Discriminazione delle donne

  • Imposizione di altre culture e dei loro sistemi di valori

  • Distruzione di siti culturali e archeologici

Violenza Religiosa

  • Linguaggio (popolo eletto)

  • Sionismo cristiano

  • Fondamentalismo

  • Demonizzazione dell’Islam

  • Negazione dell’esistenza dei cristiani arabi e nel medio-oriente

Violenza Ambientale

  • Confisca e distruzione di terre agricole

  • Sradicamento di ulivi

  • Appropriazione e ridirottamento di corsi d’acqua

  • Scaricamento di rifiuti solidi e tossici nel TPO

  • Convogliamento dei rifiuti fognari delle colonie nelle terre palestinesi

  • Restrizioni ai movimenti e violenza da parte dei coloni per impedire ai contadini palestinesi di accedere alle proprie terre

  • Danneggiamento di infrastrutture con conseguente mancanza di acqua potabile

Bibliografia

  1. Postman N. and Weingarten C. Teaching as a Subversive Activity. London: Penguin, 1969.
  2. Halper J. An Israeli in Palestine. Resisting Dispossession, Redeeming Israel. London: Pluto Press, 2008.  Traduzione italiana: Halper J.  Ostacoli alla pace. Una ricontestualizzazione del conflitto israelo-palestinese. Forlì: Una Città,  2009.
  3. Series.  Health in the Occupied Palestinian Territory. Launched in London, UK, March 4, 2009. The Lancet
  4. Batniji R, Rabaia Y, Nguyen–Gillham V, et al.  Health as human security in the occupied Palestinian territory. The Lancet, Published Online March 5, 2009 DOI:10.1016/S0140-6736(09)60110-0
  5. Si veda la tabella 1 adattata da: Interfaith Council for Peace and Justice, pag. 4 [PDF: 3,16 Kb]
  6. Galtung, J.  Violence, Peace and Peace Research. Journal of Peace Research 1969; 6(3): 167-91.
  7. Black RE,  Morris SS,  Bryce J. Where and why are 10 million children dying every year? The Lancet 2003; 361(9376): 2226–34.
  8. Wilkinson R, Pickett K. The Spirit Level: Why More Equal Societies Almost Always Do Better. Penguin Books, 2009.

fonte: http://rete-eco.it/it/approfondimenti/politiche-israeliane/10943-in-palestina-non-uccidono-soltanto-le-bombe.html

La Chiesa ed il razzismo

Osservatorio Romano:”Il razzismo non è mai stato superato”

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di: Germano Milite

ROMA – Un attacco durissimo ed impietoso nei confronti degli italiani; accusati di essere ancora “disgustosamente razzisti”, promotori di un “un odio muto e selvaggio che credevamo superato“.
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Per l’Osservatorio Romano, infatti, arrivati nel 2010 il problema del razzismo all’italiana non è assolutamente superato; anzi. Nel dettagliato servizio di Giulia Galeotti, le accuse non conoscono mezzi termini e si leggono riflessioni come:”Non abbiamo mai brillato per apertura, noi italiani dal Nord in giù. Né siamo stati capaci di riscattarci, quando il ‘diverso’ s’è fatto più vicino, nel mulatto, a prescindere dalle diversissime cause per cui ciò è avvenuto”.
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Per una volta – continua la Galeottila stampa non enfatizza: un viaggio in treno, una passeggiata nel parco o una partita di calcio, non lasciano dubbi (…) davvero a nulla è servito l’esempio americano: l’Obama-mania che imperversa trasversalmente, dalla politica all’arte, dallo stile al linguaggio, non ha invece fatto breccia alcuna nel dimostrare il valore dell’incontro tra razze diverse”.
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Insomma: la percezione del quotidiano della Santa Sede è quanto mai negativa e critica e viene resa nota proprio il giorno seguente al discorso del Papa durante l’Angelus.
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“Italiani brava gente”? Per l’Osservatorio romano sarebbe l’esatto contrario con un odio “ora muto, ora scandito e ritmato dagli sfottò, ora fattosi gesto concreto”.
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Evidentemente, i fatti di Rosarno, hanno scosso in maniera impetuosa e ripetuta le coscienze dei più sensibili; fondendo le tematiche del razzismo eclatante con quella della criminalità organizzata dilagante. In alcune zone del nostro paese, in effetti, sembra sul serio di trovarsi in realtà terzomondiste. Oltre alla cittadina calabrese, la Galeotti potrebbe essere portata in visita sulla Domiziana; la storica strada di epoca romana che collega alcune province del Casertano raccontata con incredibile crudezza e realismo dal regista Romano Montesarchio; anch’egli originario di terra di lavoro.
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E loro, che sono tolleranti, illuminati, animati da carità cristiana e soprattutto per nulla misogini:

Don Javier Martínez, Arcivescovo di Granada: “se la donna abortisce, il maschio può abusare di lei”.

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Spagna, aborto: reazioni alle dichiarazioni dell’arcivescovo di Granada

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Javier Martínez, Arcivescovo di Granada, nella sua omelia del 20 dicembre 2009 ha paragonato la nuova legge sull’aborto, proposta dal governo spagnolo, ai crimini commessi da Hitler, dichiarando inoltre che, “se la donna abortisce, il maschio può abusare di lei”.
Un gruppo di cittadine e cittadini ha creato il 7 gennaio 2010 il gruppo Facebook Que la justicia actúe contra el Arzobispo de Granada, ritenendo che le parole dell’arcivescovo possano essere costitutive di reato, in quanto incitano e giustificano la violenza maschilista. Per aver sostenuto posizioni simili, in Spagna l’imam di Fuengirola è già stato condannato a quindici mesi di prigione. Il gruppo sta procedendo a inviare relazioni al Ministero per le Pari Opportunità (Ministerio de Igualdad), ad associazioni, partiti politici, alla stessa Conferenza Episcopale Spagnola.

VIDEO DELL’OMELIA CHE HA SCATENATO LE POLEMICHE (Estratto dell’omelia pronunciata da Javier Martinez durante la celebrazione eucaristica del 20 dicembre 2009. Vai al minuto 2:07 dove dice le parole del titolo di questo video)

grazie a Francesco Milanaccio e Manuela Fps Baravalle per il suggerimento.

Fonte:
http://www.uaar.it/news/2010/01/09/spagna-aborto-reazioni-alle-dichiarazioni-larcivescovo-di-granada/

(ripreso da FB)

I bambini palestinesi marciano per rivendicare il diritto allo studio

Comunicato Stampa, 9 gennaio 2010

L’esercito israeliano dichiara “zona militare chiusa” l’area del villaggio di At-Tuwani per impedire lo svolgimento della marcia pacifica

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 At-Tuwani – Nella mattinata di sabato 9 gennaio 2010, i bambini palestinesi accompagnati dai genitori e dai volontari internazionali di Operazione Colomba e Christian Peacemakers Team, hanno marciato dal villaggio di At-Tuwani al villaggio di Al-Fakheit per rivendicare il proprio diritto allo studio e protestare contro il sequestro del pick-up utilizzato come scuolabus. Lo scorso 20 dicembre 2009 infatti, l’esercito israeliano aveva bloccato il trasporto di bambini e insegnanti della scuola di Al-Fakheit verso i rispettivi villaggi e aveva requisito l’automezzo.
Per questo motivo, insegnanti e scolari avevano dovuto camminare per le colline per circa un’ora.
Oggi, intorno alle ore 9,30, i soldati israeliani hanno bloccato la strada d’accesso al villaggio di At-Tuwani dichiarando l’intera area “zona militare chiusa” senza mostrare alcuna documentazione attestante la liceità del loro gesto. Alla richiesta dei volontari di Operazione Colomba di giustificare la chiusura dell’area, i soldati hanno risposto di non essere tenuti a dare informazioni in merito e hanno di fatto bloccato giornalisti, internazionali e israeliani giunti al villaggio per prendere parte alla marcia.

SULLE 2 ALIQUOTE – Epifani: «Subito il taglio delle tasse ma si parta da dipendenti e pensionati» / Giustizia, Berlusconi: leggi ad personam? Indignato, sono leggi ad libertatem

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Epifani: “Subito il taglio delle tasse, ma si parta da dipendenti e pensionati”

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di Antonio Troise
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ROMA (11 gennaio) – La riforma del fisco? «Non vorrei che fosse il solito specchietto per le allodole». Guglielmo Epifani, leader della Cgil, boccia il piano del governo per tagliare le tasse. «Ci sono due cose che non mi tornano – spiega nell’intervista al «Mattino» – La prima, è che abbiamo bisogno di avere risposte sulla riduzione delle imposte rapidamente. Vorrei ricordare a Tremonti che dal ’94 ad oggi i lavoratori hanno continuato a pagare sempre più tasse. Non vorrei che questa ipotesi della doppia aliquota, con l’avvio di una fase di studio e di consultazione per una grande riforma, non sia in realtà il tentativo, neanche tanto nascosto, di lasciar passare altri tre anni senza ridurre di un euro le tasse. Per poi arrivare a nuove elezioni continuando a parlare di tagli. Se questo è davvero il governo del fare, allora cominci davvero a fare le cose e non solo a prometterle».

Scusi, però in questo caso c’è una proposta precisa: realizzare un sistema con due aliquote. La convince?
«No. Perché hanno un difetto. Mentre quella più bassa resta uguale, quella più alta scende di 12 punti. Invece, il percorso da seguire è diametralmente opposto: occorre ridurre quella più bassa e mantenere il principio costituzionale della progressività delle tasse. Ma poi, il tema di fondo è un altro…».

Quale?
«Il motivo che deve ispirare la riforma è la riduzione delle imposte sulle pensioni e sul lavoro, aumentando il prelievo sulle altre forme di reddito. Cominciando, infine, una battaglia più incisiva contro l’evasione fiscale che a me risulta essere in ascesa».

E, allora, cosa farete?
«Oggi, con una lettera ufficiale al governo, apriremo una vera e propria vertenza sul fisco, con una mobilitazione e una serie di iniziative. I dati sono inequivocabili. L’economia è arretrata di 5 punti e tutte le imposte sono calate ad eccezione dell’Irpef, che è quella che pesa su dipendenti e pensionati. Secondo i nostri calcoli, al netto dei dipendenti licenziati o finiti in cassa integrazione, l’aumento dei salari di fatto è stato dell’1,9%, mentre l’inflazione è aumentata dello 0,8%. Si potrebbe pensare che i lavoratori hanno guadagnato quasi un punto di reddito. In realtà, il meccanismo del drenaggio fiscale, ha fatto sì che metà dell’aumento dei salari, sia andato al fisco. Risultato: il potere di acquisto in generale si è ridotto. Se il meccanismo non si corregge, fra tre anni lavoratori e pensionati subiranno un aumento delle imposte di almeno altri tre punti, mentre le vere ricchezze stanno da un’altra parte. Una situazione paradossale».

Quindi la riforma proposta dal governo è da bocciare?
«A me sembra che questa storia della doppia aliquota sia solo uno specchietto per le allodole. Bisogna puntare ad un intervento che riduca le tasse sul lavoro, sugli investimenti e sulle imprese».

Tremonti propone un tavolo: voi siete disposti a sedervi?
«Certo. Ma non appena seduti, porremo una condizione: che mentre si studia la riforma, si cominci subito a fare qualcosa».

Cosa, in particolare?
«Ridurre dal 23 al 20% l’aliquota più bassa, che è poi quella che interessa la grande massa dei lavoratori. E poi, entro maggio, un bonus da 500 euro per sostenere i consumi. È inutile partire dai redditi che superano i 200mila euro».

Nell’agenda 2010 del governo dovrebbe esserci anche il piano per il Sud.
«È da un anno che l’aspettiamo e ancora non c’è. Nel frattempo il governo ha continuato a sottrarre risorse al Sud, sia attingendo dai Fas sia ai fondi per la formazione. Le uniche idee sono quelle della banca del Mezzogiorno e il ponte sullo stretto, due simboli che produrranno effetti solo nel lungo periodo. Devo dire che il governo è molto capace ad evocare messaggi simbolici e poi a fare altro. Da questo punto di vista è abile: del resto è l’unico esecutivo europeo che non ha perso consensi durante la crisi propria per la sua grande capacità comunicativa e per il modo con il quale difende il suo blocco di interessi. In tutto questo il Sud paga il prezzo più alto».

Dove nel frattempo è scoppiata anche l’emergenza immigrazione.
«Credo che Maroni abbia preso un abbaglio colossale. Non sono illegali i clandestini, ma è l’illegalità che usa la clandestinità, favorita dalla legge Bossi-Fini. io spero che la magistratura accerti chi ha sparato per prima. Perché dietro quello che è successo c’è l’interesse della ’ndrangheta e ci sono le condizioni di schiavismo che abbiamo denunciato per tempo. Tutti problemi sui quali il paese chiude gli occhi e si preoccupa solo quando poi scoppiano le rivolte. Gli immigrati sono nella stragrande maggioranza delle vittime. E quando sento dire ai rosarnesi che gli extracomunitari non riescono neanche a vivere nelle case, che cos’è questo se non razzismo?».

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fonte:  http://www.ilmattino.it/articolo.php?id=87175&sez=ITALIA

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Giustizia, Berlusconi: “leggi ad personam? Indignato, sono leggi ad libertatem”

Il premier: «Nessun problema con Fini». Ottimista sulla riforma del fisco: «Spero si possa fare entro il 2010»

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ROMA (11 gennaio) – E’ ottimista sulla riforma del fisco e si dice «indignato» quando il leader del Pd definisce «leggi ad personam» le norme allo studio sulla giustizia. Torna per la prima volta a Roma dopo l’aggressione di Milano Silvio Berlusconi che conferma l’incontro in serata con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Spiega anche che con il presidente della Camera Gianfranco Fini «non c’è nessun problema».

La riforma fiscale. «Non lo so, c’è da lavorare, penso però che si possa fare quest’anno. Soprattutto se ci sarà la volontà di tutte le parti penso che si possa fare» risponde il premier a chi gli chiedeva i tempi della riforma fiscale che è nei programmi del Governo e che prevede due aliquote Irpef dalle attuali cinque a due (23% e 33%).

Berlusconi spiega che c’è piena sintonia con il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, e l’auspicio è anche che l’opposizione possa collaborare ad un «ammodernamento» del Paese che è «indispensabile».

Il premier ha assicurato che non ci sono problemi con Gianfranco Fini («Abbiamo tanti anni di collaborazione leale alle spalle e io non ho mai avuto dubbi al riguardo») ed è tornato sul tema della riforma della giustizia (sulla quale ci sarà un vertice nel pomeriggio) e sulle critiche di Bersani che parla di “leggi ad personam”.

«Non voglio più parlare di queste cose, sono leggi ad libertatem e mi indigno soltanto quando sento queste cose, e io non voglio indignarmi» ha commentato il premier.

Berlusconi inoltre non conferma né smentisce che la strada dell’immunità parlamentare possa essere quella giusta per uscire dall’impasse. A chi gli chiede se l’immunità possa essere una strada per uscire dall’attuale situazione, il presidente del Consiglio si è limitato a dire: «Non lo so, pensiamo adesso a fare le cose di cui c’è bisogno come le riforme a cui ho lavorato e stiamo lavorando». Il premier ha poi confermato che l’incontro di oggi con i vertici del Pdl avrà per tema l’intera agenda politica: «All’una e trenta riceverò tutta la coalizione per fare il punto sull’intera situazione».

Rimane ampio il dibattito sulla riforma del fisco basata sul sistema della doppia aliquota. Il leader Cgil, Giglielmo Epifani, in un’intervista al Mattino la definisce uno «specchietto per le allodole». «Ha un difetto – giudica Epifani – mentre quella più bassa resta uguale, quella più alta scende di 12 punti». Secondo Epifani, occorre ridurre quella più bassa e mantenere il principio della progressività delle tasse.

Intervistato dal Messaggero Raffaele Bonanni, segretario Cisl, afferma che la strategia corretta è quella di abbassare e ridurre di numero le aliquote attuali sui redditi da bassi a medi e medio-alti, creandone una più alta e divaricata, per i redditi sopra i 200 mila euro.

Di Pietro: due aliquote inattuabili con scudo fiscale. È «inattuabile», «fino a quando si fanno gli scudi fiscali per gli evasori», un provvedimento che preveda solo due aliquote fiscali. A sostenerlo è il presidente dell’Italia dei valori, Antonio Di Pietro, secondo il quale «la colpa delle tasse troppo alte è di coloro che evadono le tasse e dello Stato che per una tangente del 4%, perchè di tangente si tratta e di corruzione politica si tratta, vende l’anima al diavolo». «Magari ci fosse uno Stato in cui ci fossero due sole aliquote e in cui tutti pagassero le tasse. Lo Stato avrebbe i suoi soldi», ha concluso Di Pietro che oggi a Milano ha presentato il candidato a consigliere regionale lombardo dell’Idv, Giulio Cavalli.

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fonte:  http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=87215&sez=HOME_INITALIA

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Interpreti in zone di guerra, professione a rischio: «Nessuno ci protegge»

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Interpreti in zone di guerra, professione a rischio: «Nessuno ci protegge»

A Roma un forum organizzato dall’AIIC

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di Maria Grazia Filippi
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ROMA (10 gennaio) – Occhi per vedere, orecchie per ascoltare, parole per raccontare l’orrore delle guerre che entrerà nelle nostre case. Gli interpreti che lavorano nelle aree del mondo devastate dalle guerre, sono stati ieri i protagonisti di un convegno a Roma a Palazzo Ruspoli, organizzato dall’AIIC, Associazione Internazionale Interpreti di Conferenza.

Dal XV secolo, quando nei paesi dell’America Latina il “lenguaraz” era per i conquistadores che esploravano e conquistavano il Nuovo Mondo, il prezioso contatto con le popolazioni locali. Alle suggestioni cinematografiche che si muovono tra la storia vera di Dith Pran, giornalista e traduttore per il cronista del New York Times Sidney Shanberg, nell’orrore della Cambogia terrorizzata dai Khmer rossi nel ’75, raccontata nel film “Urla del silenzio” e Nicole Kidman, fascinosa interprete di un raro idioma africano tra le stanze dell’ONU che sventa un attentato nel film di Sydney Pollack “The interpreter”.

Fino ai nostri giorni più recenti, quando i nuovi scenari di guerra ci raccontano nuove storie e nuovi protagonisti: Hussein Hanoun, l’interprete iracheno rapito con la giornalista francese Florence Aubenas; Wail Salman Al Beiati, l’interprete della giornalista italiana del “Il Manifesto” Giuliana Sgrena in Iraq con lei nel 2005; Adjmal Nashqbandi, il ventitreenne giornalista afghano traduttore e interprete di Daniele Mastrogiacomo, decapitato dopo la liberazione del cronista italiano, solo per citarne alcuni.

Ma anche, Sultan Munadi il giovane giornalista afgano che lavorava come interprete per il reporter del New York Times Stephen Farrel ucciso dopo essere stato rapito assieme al giornalista americano: per protestare contro la sua morte un’associazione di giornalisti afgani ha organizzato per la prima volta uno sciopero di tre giorni sulle notizie che riguardano i Taliban necessarie ai media nazionali e internazionali.

Gli interpreti sono da sempre affianco di giornalisti, degli operatori umanitari, dei militari e delle missioni di pace nelle zone del mondo ancora teatro di guerre sanguinose o appena traghettate nel limbo del post-conflitto. Ieri, nel corso della prima giornata di un doppio appuntamento a Palazzo Ruspoli, organizzato dall’AIIC, diverse voci sono intervenute per per dar voce al loro ruolo e alle loro esigenze, dal diritto allo stato giuridico, dalla formazione ai pericoli, e per sensibilizzare l’opinione pubblica ai problemi relativi alla loro formazione e alla loro tutela. «Ai miei interpreti non ho fatto mai mancare nulla – ha raccontato Marco Guidi, editorialista de Il Messaggero facendo riferimento alla sua trentennale esperienza di inviato nei teatri di guerra del mondo – viaggi faticosi, orari impossibili, richieste assurde. Dalla serba Liljiana fino allo yemenita Sheick, nessuno di loro si è mai tirato indietro nel tradurre domande che non erano il massimo della prudenza. Ma non si trattava solo di rispetto: erano per me fratelli e sorelle».

«Infedele, spia, figlio di Bush, sono stato chiamato in tutti questi modi – ha detto invece Valey Arya, interprete e consulente per gli stranieri afghano parlando della sua esperienza in un paese devastato da decenni di guerra come l’Afghanistan – gli interpreti sono un obiettivo specifico dei talebani. Spesso uccisi perché testimoni delle trattative per la liberazione degli ostaggi. Basta pensare a ciò che è successo all’interprete che accompagnava il vostro giornalista italiano Daniele Mastrogiacomo».

Anche il versante più istituzionale, con il generale Giorgio Blais direttore del centro regionale di Banja Lika dell’Osce ed esperto sui problemi legati alla formazione di funzionari politici nei nuovi Stati di Diritto nati dalla frantumazione delle vecchie identità sovrannazionali, ha voluto sottolineare «la relazione molto stretta, anche amicale, che si crea con gli interpreti locali, soprattutto non professionisti, spesso autisti, accompagnatori, assistenti prima ancora che traduttori».

Infine il rappresentante dell’ambasciatore Moreno, il dottor Bartolini, ha spiegato quanto sia necessario, per tutelare la figura dell’interprete, «affermarne estraneità rispetto ai conflitti garantendo tutela a quei soggetti altrimenti esposti già durante la fase bellica ma anche nel periodo del dopo conflitto».

Oggi si continua
con il forum Conferenze Internazionali & Interpretazione del XXI Secolo che l’Associazione Internazionale degli Interpreti di Conferenza e la Regione Italiana AIIC hanno organizzato per affrontare i problemi e le sfide che comporta il mondo di oggi nel quale “global English is not enough for Global Business”.

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fonte:  http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=87118&sez=HOME_SPETTACOLO

Garofani per la Luxemburg

Decine di persone hanno partecipato alla commemorazione in onore di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, fondatori del partito comunista tedesco e leader del movimento spartachista, uccisi da militanti nazionalisti nel 1919. La manifestazione si svolge pochi giorni dopo la smentita ufficiale che il corpo mummificato senza mani e senza testa, conservato nei sotterranei dell’ospedale Charité di Berlino, appartenga alla Luxemburg. Ma la smentita non ha dissolto tutti i dubbi di chi pensa che sia stata fatta un’autopsia di comodo e che il corpo sia proprio quello della dirigente comunista. La Luxemburg e Liebknecht furono uccisi il 15 gennaio 1919 da milizie nazionaliste e gettati in un canale di Berlino. I loro corpi furono poi sepolti in una tomba distrutta dai nazisti nel 1935, poco dopo l’arrivo al potere di Adolf Hitler nel 1933. La cerimonia commemorativa si tiene ogni anno

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fonte:  http://www.repubblica.it/esteri/2010/01/10/foto/rosa_luxemburg_la_commemorazione-1895628/1/?rss